CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Roma Papale

Ultimo Aggiornamento: 26/12/2011 08:36
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Lettera Diciottesima
Lettera Diciottesima

La Conversione

Enrico ad Eugenio

Roma, Maggio 1849.

Mio caro Eugenio,

Tale e tanta era la mia consolazione nel trovarmi possessore di una Bibbia, che io non capiva più in me stesso, non mi sentiva più solo, mi pareva di conversare con Dio potendo leggere la sua Parola; mi gettai su quella Bibbia, e tutto il resto di quella giornata non feci che leggere, ma senza trarne alcun profitto, perchè, piuttosto che leggere, divorava quelle pagine, saltando di qua e di là, senza alcun ordine, e senza riflessione. Nella notte, meditava su quello che avea letto; ma la mia mente era arida e confusa. Come un affamato che si getta avidamente sul cibo desiderato, ne divora quanto più può e non ne ritrae nutrimento, ma indigestione e malessere, così quell’ indigesta lettura avea prodotto in me più male che bene. Meditando su tale sconcio, mi determinai a leggere la Bibbia con preghiera, con ordine, con riflessione, come si conviene ad un libro che è Parola di Dio. Allo spuntare del giorno mi levai, ed incominciai con fervorosa preghiera, domandando a Dio che mi guidasse per il suo Santo Spirito in quella lettura.

Ti ho detto che la Bibbia che mi fu data era la Volgata latina, era un’ edizione in 4° di Venezia, stampata nel 1733 per Niccolò Pezzana. Apro quella Bibbia per leggere la prefazione, e vi trovo riportata la prefazione dell’ edizione romana che lessi con attenzione, e vi trovai queste parole che valgono più di qualunque controversia per dimostrare che la Volgata è falsificata. Ti traduco letteralmente dal latino quelle parole: "In questa volgatissima lezione,

siccome alcune cose sono state a bello studio cambiate; così ancora molte altre che doveano esser cambiate, sono state a bello studio lasciate come erano (Nota 1 - La Volgata). Questa prefazione romana è stata fatta da Papa Clemente VIII autore della Volgata." Quel Papa stesso dichiara che quella versione è l’unica autentica, l’unica che debba fare autorità, e frattanto dichiara che quella versione è piena di errori volontari. Questa scoperta mi maravigliò immensamente: io non credeva a me stesso, non poteva comprendere come un Papa facesse una tale confessione, e come, dopo tale confessione di un Papa, i preti fossero così audaci di sostenere che la loro Bibbia è la vera e che i protestanti calunniano quando la dicono falsificata.

Vedendo che nella lettura delle prefazioni trovava dello cose interessanti, continuai a leggere tutte le diverse prefazioni che erano nella Bibbia, e trovai, nella prefazione di S. Girolamo, delle cose interessantissime, specialmente per quello che riguarda i libri apocrifi dal Concilio di Trento dichiarati canonici. Sono riportate le prefazioni che S. Girolamo premette a tutti i libri che traduceva: per esempio, nella prefazione al libro di Tobia, S. Girolamo niega la canonicità di esso. Toglie dai libri canonici il libro di Giuditta, nella prefazione che fa alla traduzione di quel libro: nella prefazione alla profezia di Geremia dice di non aver tradotto il libro di Baruc, perché è apocrifo: nella prefazione al libro di Daniele, dice che l’istoria di Susanna, l’inno de’ tre Fanciulli, e le favole di Belo e del Dragone, che il Concilio di Trento ha dichiarate canoniche, sono apocrife. Nella prefazione ai libri di Salomone, dichiara che i libri della Sapienza e dell’ Ecclesiastico sono apocrifi.

La lettura di queste prefazioni mi fece conoscere che S. Girolamo, il quale è chiamato dalla Chiesa romana il massimo fra i dottori, credeva quello che credono i Protestanti intorno ai libri canonici ed apocrifi, e contraddiceva al decreto del Concilio di Trento.

Fra queste prefazioni, trovo il decreto della sessione IV del Concilio di Trento che mette fra i libri canonici tutti quei libri che S. Girolamo ha dichiarati apocrifi. Il decreto finisce con un solenne anatema fulminato contro tutti coloro i quali dicessero che quei libri non sono canonici. Ed ecco che nelle stesse prefazioni non solo vi troviamo una flagrante contraddizione, ma vi troviamo S. Girolamo scomunicato da quella Chiesa stessa che lo dichiara il più grande dei suoi dottori (Nota 2 - Libri apocrifi).

Quello che poi mi colpì più di ogni altra cosa fu di trovare nella mia Bibbia, dopo tutte le prefazioni, una raccolta di diciotto passi biblici che ordinano al popolo la lettura della Parola di Dio (Nota 3 - Lettura della Bibbia). Questo mi fece conoscere quanto la Chiesa romana è in contraddizione con Dio e con sè stessa, quando vieta la lettura della Bibbia.

Lette tutte le prefazioni, mi posi a riflettere come mai la Chiesa romana potesse cadere in così patente contraddizione; come mai i dotti teologi, che pur ve ne sono in quella Chiesa, fossero così sciocchi di non vedere quelle contraddizioni, e così di mala fede nel negarle. Tai questioni imbarazzavano la mia mente, e, mentre stava così pensando, apro come a caso la mia Bibbia, e mi capita sotto gli occhi il versetto 10 del cap. II della II ai Tessalonicesi: "Poichè non han ricevuto l' amor della verità per essere salvati; perciò Iddio manderà loro efficacia di errore, per credere alla menzogna." Questa parola dello Spirito Santo rispose a tutte le mie questioni, e compresi tutto: il sig. Pasquali non avrebbe fatto in un anno quello che fece su di me in un momento la Parola di Dio. Fui convinto che per giusto giudizio di Dio la Chiesa romana era stata colpita di efficacia di errore per credere alla menzogna, conobbi chiaramente che era impossibile cercare in essa la verità: preso dunque Dio a mia guida, mi gettai genuflesso a pregare, e ripeteva la preghiera di Saulo di Tarso: "Signore, cosa vuoi tu che io faccia?" mi levo dalla preghiera ed incomincio a leggere nella mia Bibbia la lettera di S. Paolo ai Romani.

Giunto al versetto 16 del primo capitolo, mi arrestai per la profonda impressione che quelle parole fecero su di me. "Il Vangelo è la potenza di Dio in salute ad ogni credente" (Nota 4 - Cosa è il vangelo). La fede dunque, diceva a me stesso, è l’ unica condizione che Dio ha posta alla mia salvezza (Nota 5 - Fede ed opere); se io credo solamente, avrò in me per il Vangelo tutta la potenza di Dio.

Seguo la lettura di quella lettera, e trovo sempre più confermata questa verità, che l' unico mezzo di salute è la fede, che niuna carne sarà giustificata dinanzi a Dio per l’opere della legge; che Abramo credette a Dio, e ciò gli fu imputato a giustizia: e così lessi tante e tante altre dichiarazioni che sono in quell’ epistola, e che tu ben conosci, le quali stabiliscono perentoriamente la giustificazione dell’ uomo essere opera di Dio, e non dell’ uomo, ma che l' uomo riceve per mezzo della fede.

Pensai allora di scrivere i passi più importanti della Bibbia sulle dottrine essenziali, per averli poi sempre dinanzi agli occhi, quando la Bibbia mi sarebbe stata tolta; e siccome non potea disporre dei pochi fogli di carta, così parte di quei passi li scriveva sul rovescio della mia tavola con la penna, altri ne scriveva sulla parete con la punta di un piccolo chiodo che a gran fatica avea tirato dalle mie scarpe


continua

Pedro

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Il giorno dopo, decisi di voler leggere per ordine tutto il Nuovo Testamento. Per non dilungarmi di molto, non ti starò a raccontare tutte le impressioni che ricevei in quella lettura benedetta da Dio: ti dirò soltanto che la dottrina della rigenerazione, descritta da Gesù Cristo stesso nel capo III dell’ Evangelo di S. Giovanni, mi fece una tale impressione, mi aprì gli occhi in modo, che allora soltanto capii cosa era il Cristianesimo. Io mi era fatta un’ idea che il Cristianesimo consistesse in una professione di fede pura e secondo la Bibbia, in un culto spirituale ed in una morale sana; ma dalla lettura di quel capitolo conobbi che queste cose non bastano, per essere veramente Cristiano, ma che vi bisogna la nuova nascita, la morte dell' uomo vecchio, e la nascita dell' uomo nuovo creato secondo Dio in giustizia e santità; e posso dirti con sincerità, che fin da quel momento, Dio mi fece la grazia di farmi sentire che quel cambiamento era stato operato in me, e che Gesù Cristo era stato innestato nel mio cuore per la fede. Fino allora era convinto che la Chiesa romana è nell' errore, ma allora sentiva che Cristo, Via, Verità e Vita, era nel mio cuore. Le discussioni del Sig. Pasquali avevano aperta la mia mente, le scoperte che avea fatte nella mia Bibbia avevano illuminato il mio intelletto, ma il mio cuore era ancora nell’ angustia: allora compresi perfettamente che si può conoscere tutta quanta la verità senza però essere veramente convertito, e che la conversione accade quando si opera in noi la nuova nascita. Allora sentii la pace nel mio cuore, non sentiva più che leggermente il peso delle privazioni: la mia delizia era la preghiera, la mia prigione non era più per me un tormento, perchè aveva in me il mio Salvatore, per il nome del quale soffriva.

Così passarono dieci giorni, nei quali lessi quasi tutt’ intiera la Bibbia: vi feci sopra molte riflessioni, e la mia conversione fu compiuta.

Il decimo giorno, tornò il Padre N. e mi domandò se ero convinto dei miei errori, ovvero se avessi ancora delle difficoltà. E qui debbo confessarti una mia azione che non fu secondo la semplicità che si addice ai veri discepoli di Cristo: io volli usare un gesuitismo per ingannare, se mi fosse stato possibile, i Gesuiti. Risposi al Padre N. che non mi rimaneva più alcuna difficoltà, che Iddio avea operata in me la completa mia conversione, e che desiderava ardentemente fare una pubblica abiura dei miei errori.

Io credeva con questo mezzo di ottenere di essere condotto in pubblico, per esempio in una chiesa, per fare la mia abiura, ed allora mia intenzione era di abiurare pubblicamente gli errori della Chiesa romana, e dichiararmi Cristiano Evangelico, ne avvenisse quello che poteva avvenirne. Ma il Padre N. mi disse che non era quello il modo di fare la pubblica abiura a voce, ma che la pratica del S. Tribunale porta che l’ abiura si fa per scritto, si legge stando inginocchiati dinanzi al Padre Inquisitore, si firma, e poi, se si vuole, si pubblica in qualche giornale religioso. Il Padre N. aggiunse che egli, prevedendo la mia docilità, avea portata con sè la formula della mia abiura, che io non avea che a firmarla e il giorno dopo sarebbe stata letta solennemente innanzi l’ Inquisitore.

Mi presentò allora un foglio acciò lo leggessi e lo firmassi.

Io, senza leggerlo, lo stracciai e lo gettai in terra, e dissi chiaramente, che l’ abiura che io intendeva di fare in pubblico, era l’ abiura degli errori di Roma.

Quel pover’ uomo restò annientato, per alcuni minuti si restò in silenzio, poi mi disse: "Figliuol mio, voi siete perduto, Satana vi ha acciecato;" io allora aprii la Bibbia, e posi sotto gli occhi del Padre N. queste parole del cap. VI della lettera agli Ebrei: ‘‘È impossibile che coloro che sono stati illuminati, e che hanno gustato il dono celeste, e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo... se caggiono, sieno da capo rinnovati a penitenza; perciocchè di nuovo crocifiggono a sè stessi il Figliuolo di Dio e lo espongono all’infamia."

Lessi queste parole in tuono posato e solenne, poscia, fissando gli occhi sopra di lui, gli dissi: "Sapete voi di chi parla in questo luogo lo Spirito Santo? Sapete voi sopra chi è pronunciata una così terribile sentenza?" Il suo viso divenne rosso livido, i suoi occhi si abbassarono in terra, e non rispose alla mia interrogazione: onde io continuai con gran forza, e dissi: "Lo Spirito Santo parla di coloro che dopo aver conosciuta la verità tal quale essa si trova nel Vangelo, vi hanno rinunziato; parla di me, se fossi talmente vile ed iniquo per rinnegare la verità che ho conosciuta; parla di voi, Padre N., che dopo aver conosciuta la verità l’avete abbandonata per abbracciare l’errore. La vostra sentenza è pronunciata, ed invece d’ occuparvi a pervertire gli altri, occupatevi a provvedere alla vostra coscienza."

Gli occhi di quell’ uomo scintillavano per la rabbia, non mi rispose nulla; ma uscì immediatamente dalla mia prigione, borbottando non so quali parole in inglese. Alcuni minuti dopo venne il carceriere facendosi segni di croce, mi tolse la Bibbia, la carta ed il calamaio; ma non potè togliermi la pace del cuore che avea trovata nel mio Salvatore.

Da quel momento in poi non sono stato più esaminato, non ho veduto altro viso che il viso truce del carceriere, non ho inteso da lui altra parola se non che questa: "Ritrattazione o morte."

Intanto che io passava nella prigione il mio tempo felicemente, il rovescio della mia tavola tutto pieno di passi di Bibbia mi forniva la materia alle più dolci meditazioni; la preghiera occupava un’altra porzione del mio tempo. Ma quello che è rimarchevole si è che io vedeva nella mia prigione verificata a puntino quella parola di Dio che dice, che coloro che sono rigenerati non han bisogno che nessuno gli insegni, imperciocchè l’ unzione dello Spirito Santo insegna loro ogni cosa (S. Giov. II, 27). Io vedeva in me evidentemente l’opera del Signore; richiamava alla mia memoria le dottrine della teologia romana per esaminarle, ed immediatamente si presentava alla mia mente un qualche passo della Bibbia che m’ insegnava l’ opposta dottrina evangelica. Per esempio, esaminava la dottrina del Concilio di Trento, la quale dice che la Bibbia non contiene tutto quello che è necessario a salvezza, ed immediatamente mi si faceva innanzi il passo di S. Paolo (2 Tim. III, 15): "Le sacre lettere ti possono rendere savio a salute, per la fede che è in Gesù Cristo." Se veniva alla mia mente la dottrina dell’ oscurità della Bibbia, mi ricordava quel passo di S. Paolo (2 Cor. IV, 3): "Se il nostro Evangelio ancora è coperto, egli è coperto tra quei che periscono, fra i quali l’iddio di questo secolo ha accecato le menti degl’ increduli, acciocchè la luce dell’Evangelo della gloria di Cristo non risplenda loro." Qualche volta si affacciava alla mia mente lo scrupolo di avere abbandonata la Chiesa romana, e questo scrupolo qualche volta mi agitava alquanto, però mi pareva sentirmi risuonare all’ orecchio quella voce celeste che dice:

"Uscite di essa, o popol mio, acciocchè non siate partecipi dei suoi peccati e non riceviate delle sue piaghe." In una parola, ad ogni difficoltà che mi si faceva innanzi, sentiva venirmi alla mente un passo della Parola di Dio: quindi venti mesi di meditazione e di preghiera nella prigione mi han servito, io credo, assai meglio per l’intelligenza della Bibbia, che se fossi stato venti anni in una scuola di teologia.

Eccoti, mio caro Eugenio, in poche parole, l' istoria della mia conversione. Ma non sono stato io solo che abbia ricevuto da Dio un sì gran beneficio: il signor Manson anch' egli ha lasciato il Puseismo, ed è divenuto un Cristiano evangelico; il Sig. Sweeteman è divenuto un giovane zelantissimo e serio; il Sig. Pasquali è stato l’ istrumento della loro conversione. Sono pochi momenti che ho riabbracciati questi tre cari fratelli che sono ritornati da un viaggio d’ Oriente. Nella prossima lettera, ti parlerò dell’ imprigionamento e della liberazione del buon Pasquali: anch’ egli ha dovuto molto soffrire; ma Dio è stato sempre con lui e lo ha liberato. Credimi

Il tuo affezionatissimo
Enrico.
Pedro

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La Volgata

Nota 1. alla lettera diciottesima di Roma Papale 1882

È pregiudizio comune che S. Girolamo sia l' autore della traduzione della Bibbia della Chiesa romana, chiamata la Volgata; ma ciò non è vero. S. Girolamo stesso dice, nella sua prefazione al libro di Giosuè, che fra i Latini erano moltissimi i codici e moltissimi gli esemplari della Bibbia tradotti in lingua volgare (ne' suoi tempi la lingua volgare de' Latini era la latina); la quale testimonianza del santo dottore prova ancora che la lettura della Bibbia in lingua volgare era comunissima ai tempi di S. Girolamo: non fu dunque egli l' autore di quella traduzione. Ma cosa fece egli dunque? Egli lavorò moltissimo sull'antica versione volgare, e, collezionandola cogli originali ebraici e greci, la ridusse a miglior lezione.

La versione Volgata è tenuta in tanto pregio nella Chiesa romana, che il Concilio di Trento nella quarta sessione ha decretato, che fra tutte quante le versioni essa sola deve essere tenuta per autentica.

I teologi romani non si sono accontentati di questa dichiarazione o decreto del Concilio, ma sono andati molto più in là nell' esaltare la Volgata: essi han detto, che tutte le altre versioni sono false, ed hanno portata la versione Volgata anco al disopra degli originali. Basta non essere teologo romano per comprendere che trattandosi di una traduzione, quella sarà la migliore, la quale è più conforme al suo originale; che nel caso di differenza fra la traduzione e l' originale, questo deve essere preferito alla traduzione. Ma i teologi romani hanno il privilegio di ragionare diversamente: essi sanno che la Volgata è fra tutte le versioni quella che più si allontana dall'originale, eppure la proclamano la migliore; e, nelle differenze che spesso s' incontrano fra essa e l' originale, sostengono che debba starsi alla versione piuttosto che al testo.

Il padre Pereira, celebre teologo gesuita, nel lib. XIII sulla Genesi disp. 5, dice così: "È cosa fuori d'ogni questione, che quando il testo ebraico si trova contrario alla traduzione latina e riesce impossibile la conciliazione, in tal caso bisogna tenerci piuttosto al latino che all' ebraico; imperciocchè il Concilio di Trento ha così grandemente raccomandata ed appoggiata della sua autorità la versione latina." Quest' asserzione del teologo gesuita, a noi pare, che ferisca il senso comune, e sia empia: essa ferisce il senso comune, in quanto che preferisce la traduzione all' originale; è empia, in quanto che preferisce l' autorità del Concilio a quella di Dio.

Gregorio da Valenza, nel suo Commentario teologico (tom. I disp. 5 quest. 13), dice così: "Siccome per l'autorità del Concilio di Trento noi siamo più certi dell' autorità della Volgata che di qualunque altra versione; così quando questa versione non sarà d'accordo col testo originale, è chiaro che si dovrà correggere il testo originale sulla Volgata, e non la Volgata sul testo." Pare dunque chiaro che i teologi romani dànno maggiore autorità alla Volgata che al testo.

Il cardinale Bellarmino nel lib. II della Parola di Dio sostiene che gli originali sono corrotti, e che perciò bisogna attenersi alla Volgata.

Il famoso cardinale Ximenes pubblicò la magnifica Poliglotta di Alcalà, e pose in essa la versione Volgata in mezzo ai testi ebraico e greco. In una prefazione posta in testa a quell' edizione, il cardinale spiega il perché ha messo la Volgata nel posto di onore, e dice che i testi ebraico e greco li ha posti ai due lati della Volgata, ed essa nel mezzo, per indicare che la Volgata è come Cristo in mezzo ai due ladri.

A noi sembra che se non vi fossero altri fatti, questi soli basterebbero per conchiudere che la Bibbia della Chiesa romana è falsificata, ed è falsificata appositamente. Se così non fosse, se gli errori della Volgata fossero errori involontari, i teologi romani direbbero quello che altra volta dicevano i SS. Padri, cioè: "Ricorriamo agli originali, e sopra di essi correggiamo le traduzioni;" così dicono i Protestanti quando gli è indicato qualche errore delle loro versioni. Ma i teologi romani dicono invece: " Emendiamo gli originali sulla nostra traduzione." Che direste di un uomo il quale vedendo una copia del celebre gruppo greco di Laocoonte mancante di un braccio, per esempio, dicesse: "Rompiamo un braccio all' originale, affinché sia simile alla copia?" Tale è il discorso dei teologi romani riguardo alla Bibbia.

Però la Volgata stessa, tanto encomiata dal Concilio di Trento, non fu così favorevolmente giudicata dagli antichi. Viveva ancora S. Girolamo, e da ogni parte si moveano lamenti contro la sua versione, o corruzione. Ruffino prete di Aquileia, uomo dottissimo, scrisse appositamente un libro per rimproverare al suo contemporaneo Girolamo tutti gli errori che avea lasciati correre nella sua Volgata. S. Agostino contemporaneo anch'esso di S. Girolamo, nella sua lettera X, dice chiaramente a Girolamo, che la sua Versione in molte cose si allontana dal vero; che gli Ebrei stessi la condannano come falsa: e nella lettera XIX dice, ch' è per queste ragioni che egli non volle adottare la versione di Girolamo, nè volle permettere che si leggesse nella sua Chiesa.

Difatti pochissime furono le Chiese che l'adottarono: essa fu generalmente adottata nel medio evo quando la ignoranza dominava.

Fu dunque un decreto per lo meno imprudente quello dei cinquantaquattro vescovi riuniti a Trento, i quali dichiararono la Volgata autentica. La imprudenza era così evidente che saltò ben presto sugli occhi a tutti. I vescovi tridentini stessi si avvidero dello sbaglio; ma si erano dichiarati infallibili, e lo sbaglio non poteva essere corretto; si avvidero che la Volgata da essi infallibilmente dichiarata autentica era piena di errori; come dunque porgere rimedio a quel male? dichiarare che essi avevano errato era negare la loro propria infallibilità; lasciar correre quel decreto non era possibile, perché gli errori della Volgata saltavano agli occhi di chiunque avea una piccola conoscenza dell' originale. Il papa cercò il rimedio, e pensò averlo trovato, adoperando la sua infallibilità per correggere l' errore del Concilio infallibile. Sisto V pubblicò una magnifica edizione della Volgata coi tipi Vaticani, pose tutta la sua cura e tutta la sua infallibilità nel correggerne gli errori: poi con una bolla dichiarò, che la Bibbia Volgata dichiarata autentica dal Concilio di Trento, era quella che egli pubblicava. Secondo questo decreto, il concilio di Trento avrebbe dichiarata autentica una versione che al suo tempo non esisteva.

Ma questa infallibilità papale aggiunta all'infallibilità del Concilio non fu più felice della prima; tali e tanti furono gli errori sostanziali che si trovarono nella famosa Bibbia di Sisto V, che il di lui successore Clemente VIII fu obbligato a ritirarne tutte le copie; fece una nuova correzione, dichiarò sbagliata la correzione che il suo predecessore avea infallibilmente dichiarata giusta, e fece una nuova edizione della Volgata corretta, che è quella che ora ha la Chiesa romana.

Non meno di duemila errori sono stati trovati dai dotti nella Bibbia Volgata corretta e dichiarata scevra di errori dall' infallibile Clemente VIII. Per provare questa verità, non ci serviremo di testimonianze di Protestanti, ma di quelle dei più famosi teologi della stessa Chiesa romana; così i preti saranno giudicati dalle stesse loro confessioni. Il dottissimo Sisto da Siena, nel libro VII della sua Biblioteca Santa, sostiene che nella Volgata moltissime cose differiscono totalmente dal testo originale. Sante Pagnino ed Arria Montano, dottissimi nelle lingue orientali e zelanti Cattolici, per riparare al male che viene alla Chiesa per una falsa traduzione della Bibbia, l' hanno tradotta di nuovo sui testi originali, e la loro versione è riuscita in tutto e per tutto conforme alle versioni dei Protestanti; ma la loro versione non ha avuto buon successo presso i Cattolici, e giace polverosa nelle biblioteche, conosciuta soltanto da qualche rarissimo dotto del clero. Ma quello che vi è da osservare è che codesti due autori Domenicani erano avversi quanto possa mai dirsi al protestantesimo ed ai Protestanti: eppure la loro versione è in tutto e per tutto conforme alla versione protestante. Essi dunque con la loro versione dànno una perentoria risposta a quei preti ignoranti che, non sapendo una parola nè di ebraico, nè di greco, ardiscono asserire che la versione dei Protestanti è falsa, che la versione Volgata è la vera.

Non vogliamo entrare in una discussione che non sarebbe alla portata di tutti, e che riuscirebbe lunghissima, per dimostrare gli errori che sono nella Volgata, solo citeremo alcune testimonianze oltre le già citate di autori cattolici, i quali confessano che la Volgata, anche dopo la correzione di Clemente VIII, è piena di errori.

Natale Alessandro, celebre teologo Domenicano, fa una ben lunga ed elaborata dissertazione, per dimostrare gli errori della Volgata di Clemente VIII, e per darne un piccolo Saggio cita centotre passi che nella Volgata di Clemente VIII differiscono sostanzialmente dall' originale. Roma fece rispondere alla dissertazione del dotto Domenicano; ma questi in una replica non solamente non ritrattò nulla di quanto avea detto, ma distrusse tutte le ragioni di Roma, e, dottissimo come era nelle lingue orientali, dimostrò fin all' evidenza quegli errori che nella prima dissertazione aveva soltanto accennati. Roma convinta di malafede si servì della sua solita ultima ragione, e mise all' Indice la dissertazione del dotto Domenicano. E i preti romani che sanno cotali cose hanno poi il coraggio di dire e sostenere che la versione dei Protestanti è falsa, e che la loro Volgata è la vera.

Però le anime timorose ed eccessivamente credule si faranno scrupolo di prestare fede ad un autore condannato da Roma. E noi che abbiamo su questo punto testimonianze per tutti i gusti, possiamo dimostrare anche ai devoti che la loro Volgata è falsa, e dimostrarlo con testimonianze alle quali essi stessi debbano fare di berretta. Essi certo non ricuseranno la testimonianza del cardinale Bellarmino: egli era cardinale, era Gesuita, era nemico acerrimo dei Protestanti, per poco non è stato canonizzato, ma forse lo sarà fra breve; egli dunque merita tutta la fede dei devoti: ebbene il cardinale Bellarmino istesso testimonia degli errori della Volgata.

Vi sono nella vita umana alcuni momenti nei quali anche il bugiardo di professione si trova costretto, senza saper come, a dire la verità; in uno di cotesti momenti il Bellarmino non solo confessa tutti gli errori della Volgata, ma asserisce che la Chiesa romana li conosce e ve li lascia appositamente. Scrive egli difatti in una lettera a Luca di Bruges, il quale gli avea mandate alcune osservazioni intorno agli errori della Volgata, e dice che tali errori sono conosciuti; ma che la Chiesa romana ve li lascia appositamente ed ha le sue buone ragioni per agire così. Piaceranno forse ai preti le parole latine del cardinale, eccole: "De libello ad me misso gratias ago. Sed scias velim Biblia Vulgata non esse a nobis accuratissime castigata; multa enim de industria justis de causis pertransivimus, quoe correctione indigere videbantur." Ora noi a nostra volta domandiamo ai preti:

Quali sono le giuste cause che possono autorizzare una Chiesa a falsificare la parola di Dio, ad ingannare un popolo facendogli credere essere Parola di Dio quella che essi sanno di avere falsificata volontariamente? Riflettano a tal cosa i preti, e poi se ne hanno il coraggio continuino dai loro pulpiti, che essi chiamano cattedre di verità, a calunniare i Protestanti, e dire che la loro versione è falsa.

I preti non possono negare la testimonianza di Bellarmino, ma potrebbero dire che Bellarmino ha errato, e che una tale confessione gli sia uscita involontariamente dalla penna. E bene noi abbiamo, per provare la falsificazione della Volgata, una testimonianza che per ogni Cattolico deve essere al disopra di ogni eccezione; è la testimonianza di un papa infallibile che per noi Cristiani Evangelici dimostra, che quando si commettono certi sacrilegi, Dio permette che essi vengano scoperti e confermati per la confessione di coloro stessi che li hanno commessi.

Papa Clemente VIII, che, come abbiam veduto, corresse per I' ultimo e dichiarò autentica la correzione da lui fatta della Volgata, pose in fronte alla sua edizione, della Bibbia, uscita dai tipi del Vaticano, una prefazione, nella quale egli confessa che sono stati lasciati in essa appositamente molti errori. Ecco le parole latine di quella prefazione, che non traduciamo per non togliergli la loro forza: "Et vero quamvis in hac Bibliorum recognitione in codicibus manuscriptis oebroeis groecisquoe fontibus et ipsis veterum patrum commentariis conferendis, non mediocre studium adhibitum fuerit; in hac tamen pervulgata lectione, sicut nonnulla consulto mutata, ita etiam alia quae mutanda videbantur, consulto immutata relicta sunt."

È da sapersi che questo Clemente VIII, mentre facea una simile dichiarazione, dettava una bolla infallibile, nella quale dichiarava che quella sua Volgata era autentica conforme agli originali, ed unica autorità per tutta quanta la Chiesa: Clemente VIII dunque dichiarava vera in una bolla quella stessa Bibbia che in una prefazione dichiarava falsa.

I Protestanti di buona fede non sanno persuadersi della realtà di simili fatti, tanto essi superano la umana credenza; ed è perciò che noi crediamo che tale fatto non è generalmente avvertito. Eppure questo fatto è la risposta la più semplice, la più alla portata di tutti, la più forte, la più perentoria che possa farsi a coloro i quali con faccia di bronzo vengono a calunniare la versione del Diodati, ed esaltare la loro Volgata. Anche monsignore Martini, che ha tradotto la sua Bibbia dalla Volgata, ha notato che nel solo Nuovo Testamento novecentosettantacinque passi non corrispondono al testo greco: e la nota di questi passi è nell' edizione di Le Monnier 1854, approvata e raccomandata dall' arcivescovo di Firenze: e monsignor Martini non li nota tutti.

Ma, per tornare a Clemente VIII, si potrebbe fare una qualche interrogazione ai difensori della Volgata ed alla papale infallibilità: si potrebbe per esempio domandare loro: Quando era infallibile Clemente VIII? quando confessava le volontarie falsificazioni da lui fatte alla Bibbia, o quando dichiarava che quella Bibbia, che confessava avere falsificata, era autentica e conforme all'originale? Un uomo che contradisce sè stesso può essere infallibile? Quando fu egli infallibile? quando bruciò la Bibbia di Sisto V dichiarandola piena di errori, o quando dichiarò la sua autentica, mentre nella prefazione la confessava falsificata?

Ogni uomo ragionevole deve trarre da questo fatto alcune conseguenze. Prima conseguenza, è principio legale non darsi prova maggiore contro all' accusato che la propria confessione: se dunque un papa infallibile confessa di avere egli stesso falsificata la Volgata, nessuno potrà mettere in dubbio quel delitto. Seconda conseguenza quello stesso papa che dichiara corrotta la Volgata, è quello stesso che ne fa la corruzione, che ne cura la edizione e che la dichiara autentica; dunque un papa dichiara autentica e vera quella versione che egli stesso ha dichiarata corrotta e falsa. Terza conseguenza, un papa parlando infallibilmente ex cathedra può definire infallibilmente una cosa che poscia sceso dalla cattedra nega. Quarta conseguenza, se un papa contradice fuori di cattedra le decisioni della sua stessa cattedra, questo papa ci dà l'esempio di contradirlo ancora noi, questo papa non crede a sè stesso, questo papa si confessa mentitore ex cathedra.

Da tutto ciò si rileva evidentemente, senza bisogno di entrare in dettagli e di esaminare tutti i passi falsificati, che la Bibbia della Chiesa romana, dichiarata autentica dal Concilio di Trento, è falsificata.

Pedro

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1° parte


Libri apocrifi

Nota 2. alla lettera diciottesima di Roma Papale 1882

Crediamo pregio dell' opera parlare alquanto, sebbene con tutta la possibile brevità, sui libri canonici ed i libri apocrifi della Bibbia.

Una delle più gravi accuse che i preti fanno ai Protestanti intorno alla Bibbia consiste in questo: essi dicono che i Protestanti hanno tolti dalla Bibbia molti libri che non gli faceva comodo che vi fossero. Una tale accusa è assai grave, e merita di essere esaminata.

Premettiamo che l' accusa cade sopra alcuni libri del Vecchio Testamento: in quanto al Nuovo Testamento, tanto i Cattolici quanto i Protestanti ammettono gli stessi libri.

Nell' Antico Testamento i Cattolici romani, oltre i libri ammessi dai Protestanti, ammettono i libri di Tobia, di Giuditta, della Sapienza, dell' Ecclesiastico, di Baruc, e due libri dei Maccabei. Oltre a ciò, ammettono alcune aggiunte al libro di Ester e alcune aggiunte al libro di Daniele. I Cattolici ammettono questi libri perciò il Concilio di Trento nella sessione quarta li ha dichiarati canonici, ed ha fulminato l' anatema contro chi non li ammettesse come tali.

I Protestanti non possono riconoscere come canonici quei libri dichiarati tali dal Concilio di Trento per varie ragioni: primo, perché essi non credono che il Concilio di Trento avesse potuto dichiarare quei libri canonici; secondo, perché essi credono che la Bibbia si opponga alla canonicità di quei libri; terzo, perché essi sostengono che nella Bibbia del Vecchio Testamento non ci possono essere altri libri canonici che quelli riconosciuti come tali dagli Ebrei; quarto, perché non trovano mai citata nel Nuovo Testamento l' autorità di quei libri; quinto, perché la primitiva Chiesa non li ha mai riconosciuti per canonici; sesto, perché sono pieni di errori. Se queste cose fossero vere, se i Protestanti potessero provarle, certo avrebbero ragione di non ammettere come canonici quei libri, ed avrebbero torto i preti nell' accusarli di aver mutilata la Bibbia; imperocchè se le cose che dicono fossero vere, non sarebbe falsa la Bibbia dei Protestanti per mutilazione, ma sarebbe falsa la Bibbia dei Cattolici per aggiunta. Indicheremo brevemente le ragioni che adducono i Protestanti in prova delle loro asserzioni, lasciando giudicare ai nostri lettori da qual parte stia la ragione.

Essi dicono dunque che il Concilio di Trento non avea diritto di dichiarare canonici quei libri. E qui bisogna osservare che proposizione è generalissima, e che per essa i Protestanti intendono che il Concilio di Trento non avea diritto di imporre neppure ai Cattolici quella credenza.

Difatti la canonicità di un libro è un fatto; libro canonico è quello il quale è stato sempre nel catalogo della S. Scrittura, chiamato con voce greca canone, ossia regola: ora dichiarare un libro canonico significa dichiarare il fatto che quel libro è stato sempre nel canone. La decisione dunque della canonicità di uno o più libri non è una decisione di dogma, ma è la decisione di un fatto.

Ora tutti i teologi romani convengono che il Concilio non è infallibile nella decisione dei fatti, imperocchè essa dipende dell'esame dei testimoni.

E, per venire al nostro fatto particolare, su quali testimonianze il Concilio di Trento ha potuto basare il fatto della canonicità di quei libri? Essi erano stati scritti venti secoli prima di quel Concilio, e per venti secoli gli Ebrei e per quindici secoli i Cristiani aveano testimoniato contro la canonicità di essi; come dunque poteva il Concilio dichiararli canonici con venti secoli di testimonianze contrarie?

È poi un fatto che il Concilio di Trento nella sessione quarta, quando dichiarò canonici quei libri era composto di quarantotto vescovi e cinque cardinali, ed i Protestanti non capiscono come cinquantatre persone potessero rappresentare tutta quanta la Chiesa universale; quindi non ammettono quel decreto: primo, perchè è un decreto riguardante un fatto negato costantemente per venti secoli; secondo, perché, quand' anche la Chiesa universale avesse potuto decidere quel fatto, cinquantatre persone non potevano rappresenta re la Chiesa universale.

La seconda ragione dei Protestanti, per non ammettere quei libri come canonici, è che essi credono che la Bibbia stessa si opponga alla canonicità di quei libri: e per provare questa opposizione citano due prove, una negativa, l' altra positiva.

La prova negativa la deducono dal silenzio di Gesù Cristo e degli Apostoli. È un fatto sul quale non cade il più piccolo dubbio, che ai tempi di Gesù Cristo e degli Apostoli quei libri non erano nel canone degli Ebrei: da ciò si deduce, o che la Sinagoga non li aveva mai riconosciuti come tali, o che, se li aveva riconosciuti per un tempo, allora li avea tolti dal canone; ma nell' uno e nell' altro caso gli Ebrei sarebbero stati rei. Ma Gesù CriSto e gli Apostoli che su tante cose di minore importanza hanno rimproverato i Giudei, perché non li avrebbero rimproverati del gravissimo delitto di non riconoscere in quei libri la Parola di Dio? O quei libri non erano mai stati nel canone, ed allora Gesù Cristo e gli Apostoli, col loro silenzio, han dicharata la non canonicità di essi: o vi erano prima, e i Giudei allora li avean tolti; ed allora come si spiega il silenzio di Gesù Cristo e degli Apostoli su tanto delitto?

La prova positiva che dicono i Protestanti trovarsi nella Bibbia contro la canonicità di quei libri è una dichiarazione dell' apostolo S. Paolo nel cap. III della lettera ai Romani, ove dice che gli Ora coli di Dio sono stati confidati ai Giudei. Ora se gli Oracoli di Dio sono stati confidati ai Giudei, ne segue che saranno Oracoli di Dio soltanto quei libri che sono stati confidati ai Giudei: dunque nessuno di quei libri che i Giudei non riconoscevano come Parola di Dio, sono Oracoli di Dio: ma i libri dichiarati canonici dal Concilio di Trento che i Protestanti non vogliono ammettere come canonici non erano ricevuti dai Giudei come Oracoli di Dio: dunque, dicono i Protestanti, la Bibbia esclude positivamente dal canone quei libri.

Questo ci porta naturalmente ad esporre la terza ragione dei Protestanti per non riconoscere come canonici quei libri, perché cioè gli Ebrei non avevano mai riconosciuti quei libri come tali. Notiamo che la questione cade soltanto sopra alcuni libri dell' Antico Testamento: la testimonianza dunque de' Giudei, ai quali furono confidati gli Oracoli di Dio, è l' unica testimonianza valevole in tale questione; essi soli sono i testimoni competenti di quel fatto. Sentiamo dunque la testimonianza dei Giudei.

Giuseppe, lo storico che fioriva nel primo secolo della Chiesa, nella sua risposta ad Appione lib. I, dice così: "Nulla vi può essere di più certo quanto i libri autorizzati fra noi: essi non possono essere soggetti a contestazione alcuna, imperocchè non sono stati approvati se non che quelli scritti dai profeti da più secoli in qua, secondo la pura verità, per la ispirazione e il movimento dello Spirito di Dio." Continua poscia Giuseppe, e numera tutti i libri che gli Ebrei ritenevano ed avean sempre ritenuti per sacri e canonici, i quali libri sono appunto quelli che tuttora ritengono gli Ebrei ed i Protestanti nelle loro Bibbie. Parla poi Giuseppe di quegli altri libri non canonici, e che il Concilio di Trento ha poi creduto doverli dichiarare canonici; e di quei libri parla così: "È stato anche scritto ciò che è avvenuto da Artaserse fino a noi; ma siccome non vi è stata più come vi era prima la catena de' profeti, così non si è data a quei libri la medesima fede che si è data ai primi di cui ho parlato." La testimonianza di Giuseppe è di un gran peso, ma vi è anche una testimonianza maggiore, una testimonianza vivente, che da più di trenta secoli depone contro la canonicità di quei libri.

La nazione giudaica tutta intiera, alla quale gli Oracoli di Dio sono stati confidati, ha deposto e depone contro la canonicità di quei libri. È un fatto incontestabile che gli Ebrei de' nostri giorni hanno la stessa Bibbia che aveano gli antichi Ebrei, ma nella Bibbia degli Ebrei non vi è neppure un versetto di quei libri dal Concilio di Trento dichiarati canonici. Ora, incominciando dai profeti, o venendo giù a Gesù Cristo, agli Apostoli, e poi dando una scorsa a tutti i secoli della Chiesa, non si trova mai nè un papa, nè un Concilio, nè un solo teologo serio accusare gli Ebrei di aver tolti dal loro canone quei libri: dunque quei libri non sono mai stati nel loro canone, dunque non sono mai stati canonici, dunque il Concilio di Trento ha errato quando li ha dichiarati tali, dunque la Bibbia dei Protestanti non è mutilata, ma piuttosto quella dei Cattolici è interpolata.

Quest' argomento è sembrato di tanta forza non solo ai Protestanti, ma anche al celebre cardinale Gaetano, l' uomo mandato da Leone X suo legato nella Germania, per confutare e convincere Martin Lutero, che nel suo Commentario sulla lettera ai Romani, ne fa un argomento il più forte contro la canonicità di quei libri. Ecco le sue parole che traduciamo letteralmente: "Tutti i Cristiani ricevono un doppio beneficio dall' apostasia e dall' ostinazione degli Ebrei: uno di sapere quali sieno i veri libri dell' Antico Testamento, imperocchè se tutti gli Ebrei si fossero convertiti alla fede di Gesù Cristo, allora il mondo avrebbe sospettato che i Giudei avessero inventate tutte le promesse intorno a Gesù Cristo il Messia; ma i Giudei, persistendo ad essere i nemici di Gesù Cristo, ci rendono testimonianza che non vi sono altri libri canonici fuori di quelli che essi stessi hanno come canonici riconosciuti." I Protestanti non dicono nè più nè meno di quello che dice il cardinale Gaetano su questo punto: ora perchè egli morì cardinale, gode ancora la stima di gran teologo, i suoi libri non sono posti all' Indice; ed i Protestanti che dicono le stesse cose sono condannati, scomunicati!

Lo stesso cardinale, nel suo Commentario sul libro di Ester, parla più chiaramente contro la canonicità di quei libri dichiarati canonici dal Concilio di Trento ecco le sue parole: "Gli altri libri, cioè di Giuditta, di Tobia e dei Maccabei, sono posti da S. Girolamo fuori del canone, e collocati fra gli apocrifi in un col libro della Sapienza e dell' Ecclesiastico, come apparisce dal suo prologo detto Galeato. Nè tu, o lettore poco esperto nella sacra scienza, devi turbarti se in qualche luogo troverai questi libri collocati fra i canonici, o da qualche Concilio, o da qualche teologo; imperocchè tanto le parole di quei Concili, come di quei teologi, debbono essere ridotte al senso di Girolamo, e, secondo il suo sentimento espresso ai vescovi Cromazio ed Eliodoro, tanto questi quanto altri libri somiglianti che si volessero porre nel canone della Bibbia, non sono canonici, cioè regolari, nè idonei a confermare i dogmi della fede. Possono però chiamarsi canonici nel senso che servono di edificazione ai fedeli, e come tali soltanto ricevuti ed autorizzati nel canone della Bibbia. Con tale distinzione potrai ben comprendere quello che dice S. Agostino nel lib. II della Dottrina cristiana, il decreto del Concilio Fiorentino sotto Eugenio IV, gli altri scritti dei Concilii provinciali di Cartagine e di Laodicea, e i decreti dei papi Innocenzio e Gelasio." Gli Anglicani nella loro professione di fede usano le stesse parole del cardinale Gaetano intorno ai libri apocrifi, e la Chiesa romana li chiama eretici.

La quarta ragione dei Protestanti, per escludere dal canone quei libri, è tolta da un fatto, ed che Gesù Cristo e gli Apostoli han citato nel Nuovo Testamento passi presi da tutti quanti i libri canonici del Vecchio Testamento, e non han citato neppure un passo di quei libri che gli Ebrei tenevano per apocrifi, e che il Concilio di Trento ha dichiarati canonici. Conveniamo che questa è una ragione negativa che da sè sola non proverebbe gran cosa ma unita alle altre ha anch' essa il suo valore.

La quinta ragione dei Protestanti è la testimonianza dell' antica Chiesa, la quale non ha mai ammessi come canonici quei libri.

Melitone vescovo di Sardica, scrittore del secondo secolo della Chiesa, è il primo fra gli scrittori ecclesiastici che abbia dato un Catalogo dei libri canonici: ebbene dal catalogo di Melitone si rileva che la Chiesa del secondo secolo non riteneva per canonici che quei libri dell' Attico Testamento che erano nel canone degli Ebrei: il catalogo di Melitone, ossia quello della Chiesa del secondo secolo, è simile al catalogo dei Protestanti, cioè mancano in esso tutti quei libri dichiarati canonici dai cinquantatrè di Trento.

Pedro

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2° parte


Alcuni teologi pretendono trovare nel catalogo di Melitone il libro della Sapienza, che i Protestanti escludono dal canone; ma i Protestanti rispondono che ciò non è punto vero, o che l' asserzione di quei teologi è un appiglio curialesco per ingannare i semplici; difatti citano il catalogo di Melitone come si trova nel lib. VI capo 24 della Storia Ecclesiastica di Eusebio, nel quale si vede che il preteso libro della Sapienza non è altro che il libro de' Proverbi di Salomone. L'equivoco si vuol far nascere da un h che si vuole interpretare per articolo, mentre non è se non che una particella disgiuntiva: ecco le parole di Melitone: SalomonoV paroimia h sofia , parole che il traduttore latino di Eusebio ha rese giustamente così: Salomonis proverbia vel sapientia: i proverbi, ovvero la sapienza di Salomone.
Che la h debba essere tradotta in quel luogo per la particella disgiuntiva ovvero, e non per articolo, apparisce chiaramente dal non avere mai Melitone usato l' articolo per indicare i libri in tutto quel catalogo.

Il Concilio di Laodicea verso la metà del quarto secolo, nel canone 59, che è l' ultimo, tesse il catalogo dei libri canonici del Vecchio Testamento perfettamente eguale al catalogo degli Ebrei e dei Protestanti, non mettendo punto nel canone quei libri che vi ha posti il Concilio di Trento. Gli atti del Concilio di Laodicea furono approvati circa la metà del settimo secolo dal Concilio Costantinopolitano VI generale, quindi bisogna dire o che hanno errato i cinquan tatrè infallibili di Trento, o che ha errato l' infallibile Concilio generale VI.

I Protestanti citano molti antichi SS. Padri che escludono la canonicità di quei libri. Citano per esempio i cataloghi delle Scritture di Origene, di S. Ilario, di S. Gregorio Nazianzeno e di Eusebio, che escludono dal canone quei libri. Ruffino nella esposizione del Simbolo, dopo di avere numerati i libri canonici dell'Antico Testamento come sono nelle Bibbie protestanti, dice così: "È da sapersi che vi sono ancora altri libri, che i nostri maggiori non hanno mai chiamati canonici, ma solo ecclesiastici; siccome la Sapienza, l' Ecclesiastico, Tobia, Giuditta ed i Libri dei Maccabei, quali libri han voluto che si leggessero nella Chiesa, ma non già che si mettessero innanzi per confermare l'autorità della fede." Nello stesso senso parlano S. Atanasio nel suo libro chiamato Synopsis e S. Gregorio Magno nei Commentari sopra Giobbe. Quest' ultimo padre, citando un passo tolto dal libro dei Maccabei, avverte che egli cita "un libro non canonico, ma scritto unicamente per la edificazione."

Citano poi i Protestanti S. Girolamo, il quale, specialmente nel suo Prologo galeato, esclude dal canone tutti i libri dichiarati canonici dal Concilio di Trento. Non citiamo i passi di S. Girolamo, perchè parte sono citati nel testo, gli altri sono alla portata di tutti, essendo il Prologo galeato stampato in tutte le buone Bibbie della Chiesa romana. Dalle quali cose i Protestanti conchiudono, che essi intorno alla canonicità di quei libri sono d'accordo con gli Ebrei, con la Bibbia, con la Chiesa antica e coi padri, e che quindi è falsa e calunniosa l'accusa che si dà loro di avere mutilata la Bibbia.

Finalmente la sesta ragione che i Protestanti adducono per non ammettere la canonicità di quei libri consiste negli errori e nella falsità di cui essi son pieni. Noi non faremo che indicarne alcuni pochi, rimandando coloro che desiderassero vederli tutti al dottissimo libro delle dispute teologiche di Federico Spanheim.

I Protestanti ritengono per canonico il libro di Ester, come lo ritengono gli Ebrei, cioè fino ai vers. 3 del capo X. I Cattolici romani, in grazia del decreto dei cinquantatrè di Trento, ritengono per canoniche le aggiunte che sono state fatte a quel libro fino a tutto il capo XVI. Ma la Bibbia romana, che noi abbiamo sott' occhio, dopo il versetto 3 del capo X, ove finisce il libro canonico, ha un avvertimento in corsivo, che in una nota marginale impariamo essere di S. Girolamo, nel quale dice che tutto quel che segue fino alla fine del libro non si trova nei codici ebrei. Questa confessione basterebbe per dichiarare apocrife quelle aggiunte. Ma notiamo alcuni orrori dei più madornali che sono in esse.

Nel capo XVI, secondo la Volgata, si ricorda una lettera di Assuero, chiamato Artaserse, diretta alle centoventisette provincie del suo regno; al versetto 10, si legge come Amanno fosse Macedone per discendenza e generazione, e che perciò voleva trasferire la monarchia Persiana ai Macedoni. Ora quest' asserzione è un' evidente falsità. A convincerci di ciò usiamo l' argomento chiamato dagli antichi dialettici ab absurdo, vale a dire concediamo il fatto per vedere le assurdità che ne verrebbero. Se fosse vero che Amanno pensava di trasferire la vastissima monarchia Persiana, composta di centoventisette provincie, alla monarchia Macedone, bisognerebbe ammettere che in quei tempi la potenza dei Macedoni fosse stata tale da potere assorbire il vasto impero Persiano. Amanno era un grande politico, un uomo di Stato, il primo ministro della monarchia Persiana; ma che diremmo se ci si volesse far credere che un ministro dell'impero Francese, per esempio, ci si dicesse che cospira per fare assorbire la monarchia Francese dal Belgio? Chi non è affatto digiuno di storia sa che i Macedoni furono un popolo oscurissimo e miserabile fino al regno di Filippo padre di Alessandro, anzi solo nell' anno 21 del regno di Filippo la potenza dei Macedoni incominciò ad ingrandire (V. Giustin. Hist. lib. VI e Diod. Sicul. lib. XVI). Ma l' anno 21 di Filippo era l' anno 23 di Artaserse Ochio (Euseb. Cron.), cioè sul declinare dell' impero Persiano; quindi se si dovesse ammettere la canonicità del capo XVI, bisognerebbe ammettere che l'istoria di Ester è accaduta dopo l'anno 23 di Artaserse Ochio, e che l' Assuero di Ester chiamato Artaserse sarebbe stato Artaserse Ochio. Ma questo è in contradizione col vers. 7 del cap. III del libro di Ester, ove è detto che la storia di Ester avvenne precisamente nel primo mese dell' anno duodecimo di Assuero; dunque il cap. XVI aggiunto è in contradizione col cap. III canonico.

Ma ciò non basta. Ammettiamo come canonico il cap. XVI, e bisognerà che si convenga che il fatto di Ester accadde sul finire della monarchia Persiana; ed allora troveremo delle contradizioni insolubili fra i capitoli dichiarati canonici dai cinquantatrè di Trento e i capitoli anteriori. Noi leggiamo difatti nel versetto 6 del cap. II, che Mardocheo "era stato menato in cattività da Gerusalemme fra i prigioni che furono menati in cattività, con Jeconia re di Giuda che Nebucadnesar re di Babilonia aveva menati in cattività." L' autore dei capitoli aggiunti dice la stessa cosa nel vers. 4 del cap. XI; dal principio della cattività di Babilonia fino a Ciro trascorsero 70 anni, da Ciro alla fine del regno di Artaserse Ochio, quando i Macedoni cominciavano ad ingrandirsi, passarono 220 anni. Supponiamo che Mardocheo fosse stato condotto in cattività nella tenera età di dieci anni, pure avrebbe avuto quando accadde il fatto di Ester 300 anni. Ed Ester? essa era figlia dello zio di Mardocheo; ma supponiamo che codesto zio non fosse stato più vecchio del nipote, e che avesse avuta quella figlia nella decrepita età di ottanta anni; quando accadde la storia, secondo l' autore dei capitoli apocrifi, essa avrebbe avuto 220 anni, ed in quell' età avrebbe innamorato di sè il più possente monarca della terra. Ma i cinquantatrè di Trento, sicuri della loro infallibilità, non ragionavano, non riflettevano, non guardavano a queste enormi contradizioni.

È tale la forza di questo raziocinio, che i teologi romani, per di fendere il decreto dei cinquantatrè, non si vergognano di far mentire Iddio nei capitoli di quel libro riconosciuti da tutti per canonici. Difatti essi, non potendo negare che Mardocheo fosse stato condotto in schiavitù con Jeconia, e non potendo diminuire il calcolo degli anni, ricorrono ad un sotterfugio, e dicono che quando la Parola di Dio dice che Mardocheo era stato menato in schiavitù con Jeconia, non si deve intendere in persona, ma nei suoi antenati; ciò vorrebbe dire che Mardocheo sarebbe andato in Babilonia, e sarebbe stato schiavo molti anni prima della sua esistenza. Con simile logica si potrebbe dire che i Romani attuali sono padroni di tutto il mondo, perchè i loro antenati lo furono un tempo.

Nel cap. v canonico è detto come Ester si presentasse al re, che il re appena la vide stese il suo scettro, ed Ester avvicinandosi lo baciò, che il re con molto amore le disse: "Domanda ciò che vuoi fosse la metà del mio regno;" ma nel cap. XV, dichiarato autentico dai cinquantatrè, questo medesimo fatto è riportato in un modo tutto affatto contrario, è detto che il re appena la vide arse di sdegno, che Ester ne fu talmente spaventata che cadde priva di sensi. Se questi due capitoli sono ambedue canonici, Dio si contradirebbe nella sua Parola.

Passiamo ora ad esaminare di volo le aggiunte al libro di Daniele dichiarate canoniche dai cinquantatrè. Nel cap. III di Daniele, dopo il vers. 23, sono stati nelle Bibbie romane aggiunti 68 versetti che i cinquantatrè dichiararono canonici. Nella Bibbia romana che abbiamo sott' occhio, dopo il versetto 23, vi è un' annotazione di S. Girolamo, in corsivo, che dice quei 68 versetti non trovarsi nell' originale ebraico, ma che sono nell'edizione di Teodozione. Origene osserva che codesto Teodozione da Cristiano era divenuto Giudeo, e che nella traduzione che avea fatta della Bibbia avea tolto ed aggiunto a suo piacere.

Dalla stessa edizione di Teodozione sono presi i capitoli XIII e XIV di Daniele che mancano nell'originale ebraico. S. Girolamo nella sua prefazione sopra Daniele, dopo aver confessato che nei codici ebraici non si trova nè il cantico dei tre Fanciulli, nè l' istoria di Susanna, dichiara poi assolutamente essere favole le istorie di Belo e del Dragone, che i cinquantatrè dichiarano essere parola di Dio.

Due soli errori noteremo come per saggio nei capitoli aggiunti di Daniele: il primo è un anacronismo, il secondo una favola senza verisimiglianza. Si dice nel vers. 45 del cap. XIII che Daniele era giovanissimo, puer jounior, quando accadde la storia di Susanna; ma nel cap. VI è detto che Daniele era non solo uno dei tre principi costituiti da Dario sopra i 120 satrapi, ma che era il maggiore di essi: se dunque nel cap. VI era già uomo maturo, come nel cap. XIII torna a diventare giovanissimo?

Il cardinale Bellarmino per sciogliere una tale difficoltà dice che il libro di Daniele non è scritto per ordine cronologico, e perciò può benissimo accadere che nel cap. XIII si racconti un fatto avvenuto nella giovinezza di Daniele. I Protestanti domandano al cardinale Bellarmino su quali dati egli possa asserire tal cosa. Ma posto che ciò fosse, la menzogna di quel fatto è scoperta dall' autore stesso del cap. XIII. L'autore di quel capitolo dice che la istoria di Susanna accadde poco prima della morte del re Astiage. Ad Astiage successe immediatamente Ciro, il quale fece cessare nel primo anno del suo regno la schiavitù degli Ebrei che era durata settanta anni. Daniele era stato da fanciullo trasportato con gli altri da Gerusalemme in Babilonia; alla morte di Astiage dunque doveva avere ottant' anni, come dunque era un fanciullo giovanissimo?

L' altro errore è una favola senza verosimiglianza, anzi un ammasso di favole, così malamente combinate da far disonore all' infimo fra gli scrittori. Come difatti si può credere che un pugno di schiavi nella possente monarchia Babilonese avesse nella stessa capitale dell' impero tribunali e giudici propri che giudicassero senza appello fino alla sentenza di morte inclusivamente, e che tale giudizio si facesse in pubblico, ed in pubblico si eseguisse? chi potrà credere che quei vecchi venerandi costituiti dal popolo giudici, mentre siedevano sul tribunale circondati dal rispetto del popolo, si lasciassero interrogare da un fanciullo il quale non aveva da far nulla in quell'affare? Ma non basta ancora, il popolo avrebbe lasciato insultare impunemente da un fanciullo i suoi giudici perfino sullo stesso loro tribunale, i giudici avrebbero chiamato il fanciullo in mezzo di loro e si sarebbero da esso lasciati condannare alla morte, il popolo avrebbe eseguita la sentenza del fanciullo, ed avrebbe ucciso i suoi giudici. Se i cinquantatrè voglion credere tali cose, buon prò loro faccia, ma nessun uomo ragionevole potrà crederle.

Due sole osservazioni presenteremo sul libro di Tobia dichiarato canonico dai cinquantatrè di Trento. Nel cap. III vers. 7, si dice che Sara abitava in Rages di Media, ove ancora abitava Gabelo debitore di Tobia: ma l' autore di quel libro, dimenticando quello che avea detto nel cap. III, dice nel cap. IX che Tobia il giovine giunto a Rages presso di Sara pregò l' Angelo che andasse fino a Rages in cerca di Gabelo.

Pedro

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ultima parte


L' altra osservazione su questo libro è una solennissima bugia che l' autore di quel libro fa dire all' Angelo. L' angelo Raffaele richiesto quale fosse il suo nome e la sua prosapia, risponde: "Io sono Azaria, figliuolo del grande Anania." Ora domandiamo ai cinquantatrè di Trento: Sta egli bene dichiarare canonico un libro nel quale mentiscono perfino gli Angeli?

Dal libro di Tobia passiamo a quello di Giuditta. In primo luogo tutto il libro non è che l' elogio della immoralità e del tradimento. Ma per ammettere come canonico e divino quel libro, bisognerebbe rovesciare tutte le nozioni le più certe di storia o di cronologia. La storia di Giuditta si dice accaduta poco dopo il ritorno della schiavitù di Babilonia (cap. V, vers. 22 e 23); ma nel cap. V di quel libro si dice che Nebucadnesar re degli Assiri, l' anno avanti quella spedizione contro Betulia, avea debellato Arfaxat re dei Medi, il quale avea edificato Ecbatana. Ora questi fatti sono in aperta contradizione fra loro. Ognuno che non sia affatto novizio nella storia sa che, quando il popolo Ebreo ritornò dalla schiavitù di Babilonia, la monarchia degli Assiri era stata distrutta e riunita a quella dei Persiani, e Ciro non già Nebucadnesar era il re dei Persiani Medi ed Assiri riuniti in una sola monarchia. Questo libro dunque contiene falsità manifeste.

Per sciogliere queste difficoltà, i teologi romani si dànno molta pena. Il Lirano e Giovanni Driedo dicono che la storia di Giuditta accadde invero dopo il ritorno della schiavitù, ma quello che è chiamato Nebucadnesar non era che Cambise. Ma quei reverendi non hanno riflettuto che ai tempi di Cambise il tempio non esisteva, e nel cap. IV del libro di Giuditta è detto che gli Ebrei tremavano per la paura che Oloferne distruggesse il tempio del Signore. Inoltre nello stesso cap. IV è detto che gli Ebrei fecero circondare in quell'occasione di forti mura tutte le città e tutti i villaggi della Samaria fino a Gerico. Ma, oltre la inverosimiglianza che gli Ebrei tornati allora miserabili dalla schiavitù avessero potuto fare una spesa così colossale e sotto gli occhi di un potentissimo esercito avessero potuto in pochissimo tempo fare un lavoro così gigantesco, quei teologi potranno trovare una smentita alla loro asserzione in un libro canonico. Nel cap. IV del libro di Esdra, è detto che ai tempi di Cambise, la Samaria era ancora pacificamente abitata dai Gentili; dunque non era in potere degli Ebrei, dunque non potevano circondarla di mura. Di più quell'Arfaxat che pugnò con Nebucadnesar, che si vuole essere stato Cambise, era quello che avea edificato Ecbatana; ma Erodoto ci assicura che Ecbatana fu edificata da Diocle V re de' Medi, che visse molto tempo prima di Cambise; dunque quel Nebucadnesar non era Cambise. Arrogi che il nome di Nebucadnesar non si è mai dato ai re di Persia, ma solo ai monarchi Babilonesi. Finalmente il Nebucadnesar del libro di Giuditta regnava in Ninive, e Ninive ai tempi di Cambise era da lungo tempo distrutta.

Altri teologi han detto che la storia di Giuditta accadde prima della schiavitù ai tempi di Sedicia o di Giosia. Ma nel cap. V del libro di Giuditta vers. 23, si dice chiaramente che gli Ebrei erano ritornati dalla schiavitù, e che possedevano di nuovo Gerusalemme ed il tempio. Impossibile dunque con tutte le risposte dei teologi romani conciliare le risposte di quel libro.

Pochissime cose diremo sui libri dei Maccabei. I cinquantatrè dichiarando quei libri canonici, li hanno dichiarati divini: or ecco cosa dice l'autore di quei libri alla fine di essi: "Anch' io finirò qui il mio ragionamento; e se pure ho scritto bene e dicevolmente alla storia, tale certo è stato il mio desiderio; ma se ho fatto scarsamente e mediocremente, questo è quanto ho potuto, e mi si può ben perdonare. Perciocchè siccome il bere vin da parte ed acqua da parte è cosa spiacevole, ma il vino temperato con acqua fa la grazia del bere soave; così anche lo stile temperato dà diletto agli orecchi di quelli che si avvengono a leggere la storia." I Protestanti domandano se Iddio può parlare a questo modo, se Egli può domandare perdono agli uomini dei suoi errori?

L' autore di questi libri si mostra molto ignorante nella storia così sacra come profana. Circa la storia sacra, egli dice nel libro II cap. II che il profeta Geremia nascose l' Arca in una spelonca insieme con l' altare dall' incenso, e disse che si sarebbe ritrovata quando il popolo sarebbe tornato dalla schiavitù; ma questo fatto è contradetto dalla storia e dallo stesso profeta Geremia, il quale nel cap. III della sua profezia dice che l' Arca del Signore non sarebbe stata nemmeno più cercata.

Nel libro primo dei Maccabei, al cap. XII è riportata una lettera scritta, dal sommo sacerdote Gionata agli Spartani, in risposta ad una lettera del re di Sparta ai Giudei; il re di Sparta che scrive quella lettera si chiama Ario, il sommo sacerdote a cui è scritta si chiama Onia; ora, confrontando le storie greche con la storia giudaica, troviamo che Ario era re di Sparta ottant' anni prima che Onia fosse sommo sacerdote dei Giudei. Ma sono tali e tanti gli errori di cui sono pieni quei libri che sembra impossibile che essi sieno stati scritti da un uomo ragionevole. La morte di Giuda, a cagion d'esempio è raccontata al vers. 19 del cap. IX del primo libro: egli fu ucciso sul campo di battaglia nel primo mese dell' anno 152, ma nel cap. I del libro secondo lo stesso Giuda morto nel 152; scrive una lettera agli Ebrei che dimoravano in Egitto nell' anno 188, cioè trentasei anni dopo che era morto.

Secondo l'autore di quei libri, Antioco è morto tre volte in tre diversi luoghi e di tre diverse morti. Muore la prima volta in Persia e muore di tristezza nel suo letto, e questa sua prima morte è descritta minutamente nel primo libro dei Maccabei al cap. VI. Muore la seconda volta in Perside nel tempio di Nanea e muore lapidato e fatto in pezzi dai sacerdoti di quel tempio, e questa sua seconda morte è descritta nel libro secondo cap. I. Finalmente muore la terza volta nelle montagne di Ecbatana e muore mangiato dai vermi, e questa terza morte è descritta minutamente nel libro secondo cap. IX.

Ecco in breve il perché i Protestanti non vogliono ammettere la canonicità di quei libri; hanno essi ragione? hanno essi torto? Il pubblico ne giudichi. Sembra però chiaro che i preti han torto evidente quando dicono che i Protestanti hanno mutilato la Bibbia, perché non vogliono ricevere quei libri. Sembra che i Protestanti abbian ragione quando dicono che i preti, aggiungendo quei libri alla Bibbia e dichiarandoli Parola di Dio, han date le armi in mano ai filosofi onde burlarsi della Bibbia. Quando si fa Dio autore di tali errori, si oltraggia la religione e il buon senso.

Pedro

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1/parte


Lettura della Bibbia

Nota 3. alla lettera diciottesima di Roma Papale 1882

Non si comprende perché la Chiesa romana dopo aver proibita la lettura della Bibbia, metta in fronte delle sue Bibbie la raccolta dei passi biblici nei quali Dio ne ordina la lettura. Una cotal maniera di agire sembra un insulto alla Divinità, un far pompa di ribellione agli ordini di Dio. Ma è realmente per questo motivo che la Chiesa romana agisce così? No. Essa agisce in cotal guisa per ingannare i semplici, e per far credere che i Protestanti la calunniano quando dicono che essa proibisce la lettura della Bibbia. I preti difatti nei loro scritti e nelle loro prediche dicono sempre esser falso che la Chiesa romana proibisca la Bibbia; e vi sono dei Cattolici di tanta buona fede che credono alle asserzioni dei preti anche su questo punto. Importa dunque conoscere bene questo fatto, se cioè sia vero o no che la Chiesa romana proibisca la lettura della Bibbia.

Noi abbiamo sott' occhio un libro assai raro di 352 pagine in quarto, stampato in Parigi nel 1661 per ordine del clero gallicano, nel quale sono riportati i sentimenti dei più celebri teologi e canonisti, i decreti della Sorbona, i decreti dei papi e dei Concili che vietano la lettura della Bibbia in lingua volgare. Basterebbe quel libro per confondere coloro che negassero una tale proibizione; ma siccome si potrebbe dire che quelle proibizioni sono antiche, e che oggi sono state ritirate o almeno cadute in disuso, così daremo un colpo d' occhio brevissimo sulla storia di questa proibizione scendendo fino ai nostri giorni.

Nei primi secoli della Chiesa, incominciando dagli Apostoli, tutti i vescovi, tutti i padri non facevano altro che raccomandare al popolo la lettura della Bibbia in lingua volgare, e facevano più che raccomandarla; si leggeva in tutte le Chiese, ed appena un paese riceveva il Cristianesimo, subito si faceva la traduzione della Bibbia nella lingua di quel quel paese, e Cristiani ricchi e zelanti non badavano a spese, affinchè le copie della Bibbia fossero moltiplicate, vendute a basso prezzo e regalate ancora per soddisfare ai bisogni religiosi del popolo.

Ma quando la Chiesa romana si corruppe, accadde su questo punto una vera rivoluzione. La Bibbia, la cui lettura non solo era permessa, ma inculcata e favorita, fu proibita, e la lettura di essa fu condannata come un peccato quasi imperdonabile.

Nessuna rivoluzione, sia politica sia religiosa, si compie tutta di un colpo senza esser preparata da avvenimenti anteriori. Ecco come si operò questa rivoluzione nella Chiesa romana. La lingua latina era la lingua dell' Occidente, tutti i popoli conquistati aveano dovuto adottare la lingua dei conquistatori Latini; quindi la Bibbia in latino era la Bibbia in volgare dell' Occidente, e così si chiamava. Distrutto l' impero Occidentale, per la invasione dei barbari, i popoli si mescolarono, e sulla tomba del latino nacquero le lingue moderne. Per la stessa invasione venne il medio evo con la sua ignoranza. L' unità religiosa minacciava rovinare anch' essa, e trarre nelle sue rovine tutta la influenza, la grandezza, il potere del vescovo di Roma. Gregorio I, detto il Grande, per mantenere la sua vacillante supremazia, fece tutti i suoi sforzi onde si conservasse nella Chiesa occidentale la unità di linguaggio, e l' uso della lingua latina. Spedì missionari da per tutto, ma con ordine espresso di non usare nella liturgia che la lingua latina; quindi la religione divenne un vano formalismo ed un ammasso di cerimonie, e la preghiera un cicaleccio senza senso, come lo è tuttora nelle chiese cattoliche.

Carlo Magno fece ogni sforzo per opporsi alla superstizione, e per rendere accessibile al popolo la Bibbia ne fece fare una traduzione che rivide egli stesso, ed ordinò al clero d' istruire il popolo nelle S. Scritture (Capit. reg. Franc. ad anno 788). Gli sforzi di quel principe non ebbero successo, i preti li avversavano, e dopo la sua morte le cose tornarono allo stato di prima; il clero alzò di molto le sue pretensioni, il popolo non conosceva più la Bibbia, e Roma papale ingrandiva.

Due missionari greci, Metodio e Cirillo, nel IX secolo portarono il Vangelo fra gli Slavi, inventarono l' alfabeto slavo, tradussero in quella lingua la Bibbia, e celebravano la liturgia nella lingua del paese. Papa Niccolò I, nell' anno 867, citò a Roma i due missionari, per render conto di questo loro delitto. Essi si difesero adducendo ottime ragioni, alle quali il papa non rispose che con una proibizione formale di usare nelle chiese tanto nella lettura della Bibbia quanto nella liturgia la lingua volgare. I santi uomini tornati alla loro missione, non fecero alcun conto dell'ordine del papa. Nell' 879 papa Giovanni VIII rinnovò la proibizione del suo predecessore. Ma, essendosi i Bulgari sottratti alla obbedienza del vescovo di Roma e dati al patriarca di Costantinopoli, il papa temè che gli altri Slavi imitassero i Bulgari, e si levassero dalla sua obbedienza se egli insisteva nella proibizione; perciò, in una lettera a Swatopluk duca di Moravia, riconobbe come giusto e lodevole l'uso di leggere la Bibbia e di celebrare la liturgia in lingua volgare.

L' ignoranza sempre più dominante la religione ridotta soltanto a forme esteriori, i preti divenuti dominatori della società, la confusione delle lingue che erano in stato di formazione in quasi tutta Europa, resero per alcun tempo superflua una formale proibizione di leggere la Bibbia in lingua volgare: ma essa divenne necessaria per la Chiesa romana più tardi; e Gregorio VII, il gran despota politico e religioso, si assunse il triste onore di proclamarla il primo. Egli vietò in una lettera scritta a Vratislao re di Boemia la celebrazione dei divini uffici in lingua slava, che Giovanni VIII prima avea negate, poi avea permessa.

Però nella Francia e nell' Italia specialmente si levarono a migliaia dei Cristiani coraggiosi conosciuti in seguito sotto il nome di Cattari (puri), Albigesi, Valdesi ecc.; i quali non potendo soffrire un dispotismo così illogico e così anticristiano, tradussero la Bibbia nella loro lingua e tanto più s' istruivano in essa, quanto più i preti la proibivano. I preti inventarono allora la Inquisizione, e rispondevano col rogo alle ragioni di quei coraggiosi Cristiani.

Rotta una volta la guerra fra Roma e la Bibbia, non vi è stata più pace fra loro. Gregorio IX nel 1229 fece nel Concilio di Tolosa stabilire definitivamente la Inquisizione, e proibire assolutamente la lettura della Bibbia. Ecco il decreto di quel Concilio: Prohibemus etiam ne libros veteris et novi Testamenti laicis permittantur habere, nisi fortis psalterium aut breviarium pro Divinis Offici, ac horas Beatoe Virginis, aliquis ex devotione habere velit, sed ne proemissos libros habeant in vulgari traslatos.
Eccone la traduzione letterale: "Vietiamo eziandio che si permetta ai laici di avere i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, ammeno che non voglia qualcuno per sua devozione avere il salterio o il breviario per i divini Uffici e le ore della Beata Vergine; però non gli sia permesso avere tali libri in lingua volgare." In questo decreto non solo si proibisce di leggere la Bibbia, ma si proibisce anche di possederne una, si proibiscono anche quei libri di divozione che contenessero una qualche porzione della Bibbia in lingua volgare.

L' Inquisizione e l'ignoranza non resero per qualche tempo necessari nuovi decreti; ma non appena Erasmo e Lutero cercarono di scuotere la ignoranza religiosa richiamando i popoli alla lettura della Parola di Dio, e pubblicando la Bibbia in lingua volgare, nonostante il decreto del Concilio di Tolosa, si levò un formicaio di teologi a sostenere le proibizioni di Roma. Primi a dare il funesto esempio furono i teologi francesi, come apparisce dai registri della Sorbona del 1525. Già il celebre Gersone nel secolo XV avea scritto contro la lettura della Bibbia. Ma dopo il decreto della Sorbona, teologi romani di ogni nazione, proclamarono la crociata contro la lettura della Bibbia. Fra questi primeggiano Spirito Rotero Domenicano ed inquisitore, Iacopo Ledesma Gesuita, Maurizio Poncet Benedettino, Alfonso de Castro Francescano, Ambrogio Cattarino e Pietro Soto Domenicani, Roberto Bellarmino e Gio. Batta. Scorza Gesuiti; ma sopra tutti si distinse lo Spagnuolo cardinale Stanislao Osio, uno dei presidenti del Concilio di Trento, il quale giunse fino a dire che "permettere ai laici la lettura della Bibbia, è dare le cose sante ai cani, e gettare le perle ai porci."

Il Concilio di Trento nella sessione XVIII ordinò che si facesse un catalogo de' libri la cui lettura fosse vietata. Al finire del Concilio il catalogo non era fatto, per cui fu dal Concilio incaricato il papa di farlo, ed approvarlo. Fu pubblicato il 24 marzo 1564, con una bolla di papa Pio IV, e fu dato ad esso catalogo il nome di Indice.

L' Indice approvato dal papa è preceduto da dieci regole, parimente approvato da lui. La quarta di queste regole vieta la lettura della Bibbia in lingua volgare; e chiunque osasse leggere o ritenere una Bibbia volgare senza il permesso del vescovo o dell' inquisitore non solo pecca mortalmente, ma, secondo quella regola, non può essere assoluto dal confessore. Questa regola, sebbene severissima, lasciava almeno la possibilità di leggere la Bibbia; era possibile che un vescovo od un inquisitore avessero in qualche raro caso accordato il permesso; ma questa possibilità doveva esser tolta, ed il libro di Dio doveva essere assolutamente proibito, e lo fu da papa clemente VIII, il quale pubblicò altre leggi sull' Indice in forma di osservazioni alle dieci regole di Pio IV. Nell'osservazione alla quarta regola, Clemente VIII proibisce ai vescovi ed agli inquisitori di accordare licenze per leggere o ritenere la Bibbia in lingua volgare; e non solo la Bibbia, ma vieta la lettura degli estratti, sommarii, compendi storici della Bibbia stessa.

I preti, i parroci, i vescovi, gl' inquisitori, siccome per la quarta regola di Pio IV potevano dare ad altri il permesso di leggere la Bibbia, si credevano esclusi dalla dichiarazione di Clemente VIII, e pensavano che essi almeno potessero leggerla. Ma Gregorio XV nel 1622 tolse loro ogni illusione, e dichiarò revocate tutte le licenze date in qualunque modo e per qualunque motivo dai papi suoi predecessori. Urbano VIII nel 1631 completò l' ordine di Gregorio XV, comandando ai vescovi ed agl' inquisitori di bruciare immediatamente tutti i libri proibiti che sarebbero stati loro consegnati, fra i quali la Bibbia non era esclusa.

I papa seguenti non cessarono mai di fulminare scomuniche contro coloro che avessero letta la Bibbia, e dichiararono eresia la dottrina che insegnava la Bibbia potersi leggere da tutti. Taccio per brevità le bolle di Alessandro VII e di Innocenzio XI, e mi limito a citare qualche passo della celebre bolla Unigenitus di Clemente XI nel 1713. Ognuno sa che quella bolla è una bolla dogmatica che fa autorità in tutta quanta la Chiesa romana; ebbene in quella bolla sono condannate le seguenti proposizioni riguardo alla lettura della Bibbia. La proposizione 79, che dice la lettura della Bibbia essere utile e necessaria a tutti; la proposizione 80, che dice la lettura della Bibbia essere per tutti; la proposizione 81, che dice la santa oscurità della divina Parola, non essere una ragione ai laici, per dispensarsi di leggerla; la proposizione 82, che dice, che nella domenica i laici dovrebbero occuparsi della lettura della Bibbia; la proposizione 83, che dice anche le donne dovere essere istruite nella religione con la Bibbia, e che non è la semplicità delle donne, bensì la superbia dei dotti che fa nascere l' eresie; la proposizione 84, che dice che togliere dalle mani del popolo il Vangelo, o darglielo chiuso cioè in una lingua che non intende è chiudere la bocca a Gesù Cristo; la proposizione 85, che dice vietare ai Cristiani la lettura della Sacra Scrittura, è vietare ai figli della luce l' uso della luce, ed è gettarli in una specie di scomunica. Queste proposizioni sono solennemente condannate dal papa come false ed eretiche, in una bolla dogmatica accettata solennemente da tutta la Chiesa romana.

Prima che fosse pubblicata la famosa bolla Unigenitus, cioè nel 1704, fu pubblicato in Roma per ordine di papa Innocenzo XI un Indice dei libri proibiti: ecco fra gli altri libri proibiti quali libri sono notati:

Pagina 30 Le Bibbie stampate per cura degli Eretici sono assolutamente proibite.

" " Le Bibbie scritte in lingua volgare qualunque.

" 94 Le narrazioni evangeliche, i Sermoni del Vangelo.

" 177 Passi tolti da quasi tutti i capitoli del Vangelo.

" " Passi tolti dai due Testamenti.

" 258 Le frasi della Scrittura Santa.

" " Tutto quello che tratta della eccellenza, della dignità, dell’ autorità ec., della Scrittura Santa.

" " Gli estratti delle Scritture.

" 269 La somma di tutta la Scrittura.

" " I sommari della Bibbia.

" 272 Le tavole dei due Testamenti.

" 273 Il riassunto del Vecchio Testamento.

" " Cantici scelti dell’ Antico e del Nuovo Testamento.

" " Le frasi dell’ Antico e del Nuovo Testamento.

" " Le citazioni dei due Testamenti.

Sembra impossibile ma pure è un fatto che i preti, a fronte di tali documenti irrecusabili, si ostinino a voler far credere al popolo, che non conosce tali documenti, che la Chiesa romana non proibisce assolutamente la lettura della Bibbia.

Pedro

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Ma tutto ciò non basta ancora, vi sono documenti più recenti, e forse ancora più perentori per dimostrare la spudorata menzogna dei preti, quando asseriscono che Roma non proibisce la lettura della Bibbia. Il 28 agosto 1794 papa Pio VI pubblicò in Roma una bolla dogmatica che incomincia: Auctorem Fidei, nella quale condannò le dottrine del vescovo Ricci, e del suo Sinodo di Pistoia. Quel Sinodo aveva ordinata una cauta Riforma cattolica, e fra le altre cose voleva che il popolo leggesse la Bibbia, e che le pubbliche preghiere fossero fatte in lingua volgare, affinché il popolo sapesse quello che diceva quando pregava. Pio VI condanna, come temeraria, offensiva alle pie orecchie, e contumeliosa alla Chiesa, quella dottrina del Sinodo, la quale voleva che la liturgia fosse più semplice ed in lingua volgare. Colla stessa censura è condannata in quella bolla la dottrina del Sinodo che dice, non esservi che l' impotenza che possa scusare dal leggere le S. Scritture.

I papi Clemente VIII e Gregorio XIII avevano approvata una versione della Bibbia in lingua polacca, fatta dal padre Wuick Gesuita sotto la direzione dell'arcivescovo Karnkowski. Una versione fatta da un Gesuita, approvata da due papi, pareva che dovesse essere sicura dalle censure di Roma; non fu così. Al principio di questo secolo, l' arcivescovo di Niesen permetteva che il popolo leggesse quella Bibbia, anzi ne incoraggiava la lettura: papa Pio VII, il 29 giugno 1816, in un breve a quell' arcivescovo, lo rimproverava aspramente per tal sua condotta, e parlando della versione della Bibbia in lingua volgare dice che essa è "la più maligna delle invenzioni, una peste, la distruzione della fede, il più gran pericolo per le anime… un nuovo genere di zizzania seminata dal nemico, un' empia cospirazione dei novatori, la rovina di nostra santa religione."

Il 23 settembre dello stesso anno 1816, Pio VII scrisse un breve all' arcivescovo di Mohilew. Quell' arcivescovo si era permesso di far buona accoglienza alla Società Biblica, e lasciar che essa vendesse le Bibbie nella sua diocesi. Il papa gli scrive così: "Siamo stati grandemente e profondamente addolorati, nell' avere conosciuto il funesto progetto, fino ad ora incognito, di spargere da per tutto la Bibbia nelle lingue volgari... ma la nostra afflizione è stata infinitamente maggiore, nel vedere alcune lettere scritte a nome della tua Fraternità, nelle quali esorti i popoli affidati alla tua cura, a comperare codeste Bibbie, ad accettarle volentieri se offerte gratuitamente, ed a studiarle con attenzione ed assiduità. Nulla al certo poteva accaderci di più doloroso che di vederti divenuto una pietra d'inciampo, tu che avresti dovuto domandare la grazia di mostrare ad altri la via della giustizia."

Dopo Pio VII, è venuta la moda che ogni papa nella sua prima Enciclica grida contro la Società Biblica, e richiama in vigore la quarta regola dell' Indice nella quale se ne proibisce la lettura. Così han fatto Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, e Pio IX; e così faranno i papi avvenire, se ve ne saranno. Dopo tali fatti, vi vuole una sfacciataggine incomprensibile per dire quello che dicono i preti che, cioè, non è vero che la Chiesa romana proibisce la lettura della Bibbia.

I preti però per imporre agl' ignoranti dicono che la Chiesa romana proibisce non la lettura della Bibbia vera, ma la lettura della Bibbia falsa, cioè di quelle Bibbie tradotte dai Protestanti.

I documenti che abbiamo addotti dimostrano evidentemente la falsità di questa asserzione pretina. Il Concilio di Tolosa proibisce la lettura della Bibbia trecento anni prima che esistessero i Protestanti, proibisce la lettura delle ore della Beata Vergine che non sono mai state in uso fra i Protestanti. La quarta regola dell' Indice proibisce espressamente le Bibbie anche tradotte da autori cattolici; e tutti i papi nelle loro proibizioni richiamano in vigore la regola quarta dell'indice. La Società Biblica stampa la traduzione cattolica di Sacy, quella spagnuola del vescovo di Segovia, quella italiana di monsignor Martini, e il papa condanna la Società Biblica e tutte le sue traduzioni.

Qui però si presenterà alla mente dei nostri lettori un fatto che sembra contrario alle nostre asserzioni. La Bibbia di Martini si è stampata, e si stampa spesso in Italia; non vi è libraio che non l'abbia, ed i preti non fanno la più piccola opposizione; anzi, nel 1854, l' arcivescovo di Firenze in una sua pastorale raccomandò la lettura della Bibbia del Martini. Come dunque, ci si dirà, questi fatti possono conciliarsi colla proibizione delle versioni cattoliche?

Veramente non apparterrebbe a noi spiegare le contradizioni dei preti; i decreti che noi abbiamo citati sono incontestabili, il fatto della Bibbia del Martini è anche vero; i decreti di proibizione non sono stati tolti: spetta dunque ai preti lo spiegare come la loro Chiesa approva e proibisce la lettura dello stesso libro, come vescovi e papi condannano all' inferno coloro che leggeranno la Bibbia tradotta anche da autori cattolici, ed eccitano poi i Cattolici a leggere quel libro. Potremmo domandare ai preti, che ci favoriscano dire quando dobbiamo crederli.

Ma non è nostro scopo confondere i preti; noi tendiamo ad istruire il popolo, e perciò daremo la spiegazione di questo strano fatto.

Papa Pio VI, il 16 aprile 1778, scrive un breve a Martini sulla sua recente traduzione della Bibbia, e lo loda moltissimo per quell' opera, sebbene confessi non averla ancor letta. Dice in quel breve che i libri divini della S. Scrittura, sono quei fonti ai quali dev' essere a ciascuno facile ed aperto l'accesso. Ma lo stesso papa, pochi anni dopo nella bolla dogmatica che abbiamo di sopra citata, vieta assolutamente ed espressamente la lettura della Bibbia. Nel breve parlava di suo proprio impulso, scriveva una lettera di complimento; ma nella bolla dogmatica parlava come papa, e come papa chiudeva quei fonti che, come particolare, voleva aperti a tutti. Un decreto della Congregazione dell' Indice, del 17 gennaio 1820, condanna una edizione del Nuovo Testamento di Martini fatta a Livorno senza note per renderla meno costosa. Ecco dunque la chiave dell'enigma: Pio VII e Leone XII chiamano le Bibbie senza note una peste, un veleno, un pasolo mortale, e perciò sono proibite. Dunque, secondo i papi, la Parola di Dio è veleno, la parola dell'uomo cioè le note sono il contravveleno. Dio con la sua parola ucciderebbe, se non fosse il prete che neutralizzasse con le sue note il veleno della parola di Dio. Queste sono bestemmie tali, che dovrebbero fare orrore a Satana stesso.

La quarta regola dell' Indice dice che la lettura della Bibbia è proibita, perchè da essa ne viene più male che bene. Anche questa ci sembra un' orribile bestemmia. Dio dunque ci avrebbe dato la sua Parola per perderci, i soli preti ci darebbero la loro per salvarci.

Pedro

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ultima parte

Prima di finire questa nota, vogliamo brevemente osservare, ma senza malignità, il perchè i preti abbian tanto paura della Bibbia da proibirne la lettura ai laici; e, senza andare a cercare le ragioni che ne dànno i controversisti, citiamo quello che ne dicono alcuni preti. Nella biblioteca imperiale di Parigi esiste un prezioso documento (in foglio B. N. 1088, vol. 2 pag. 641-650); esso porta il titolo: Avvisi sopra i mezzi più opportuni a sostenere la Chiesa romana. Il documento è in latino, ma prima di tradurre la parte che riguarda il nostro tema, ne daremo un cenno storico. NeI 1553, papa Giulio III, non sapendo quali ostacoli opporre al progresso della Riforma religiosa, sentiva vacillarsi sul capo il triregno. Allora pensò saviamente a prendere dei provvedimenti. Fece riunire in Bologna i tre più dotti vescovi di quel tempo, col mandato di consultare con tutta serietà, e proporre poi al papa i rimedi che avrebbero giudicati opportuni per salvare la curia romana. I prelati, dopo lunga deliberazione, presentarono al papa uno scritto da loro firmato che conteneva il risultato delle loro deliberazioni. Quel lungo scritto finisce con queste parole: "Finalmente (fra tutti i consigli che noi possiamo dare a V. B., abbiamo lasciato per ultimo il più necessario) in questo debbono bene aprirsi gli occhi, e debbono farsi tutti gli sforzi, acciò per quanto meno si possa si permetta la lettura del Vangelo, specialmente in lingua volgare, in tutti quei paesi che sono sotto la vostra giurisdizione. Basti quel pochissimo che suol leggersi nella messa nè più di quello sia permesso di leggere a chicchessia. Fino che gli uomini si contentarono di quel poco, gl' interessi della Santità Vostra prosperarono, ma quando si volle leggere più oltre, allora incominciarono a decadere. Quel libro insomma è quello che più di ogni altro ha suscitati contro noi quei turbini, e quelle tempeste per le quali è mancato poco che non fossimo interamente perduti. Ed in vero, se qualcuno lo esamina diligentemente, e poi confronta le istruzioni della Bibbia con quello che si fa nelle nostre chiese, si avvedrà tosto della discordanza, e vedrà la nostra dottrina molte volte diversa e più spesso ancora ad essa contraria; la qual cosa se si comprendesse dal popolo, non cesserebbe di reclamare contro di noi, fino a tanto che non sia il tutto divulgato, ed allora diverremmo l'oggetto del dispregio e dell' odio universale. Però bisogna sottrarre la Bibbia alla vista del popolo, ma con grande cautela per non suscitare tumulti.

"Bononioe, 20 Octobris 1553.

VINCENTIUS DE DURANTIBUS, Episc. Thermulorum Brisciensis.

EGIDIUS FALCETA, Episc. Caprulen.

GHERARDUS BUSDRAGUS, Episc. Thessalon."

Questo documento spiega tutto.

Pedro

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Cosa è il Vangelo

Nota 4. alla lettera diciottesima di Roma Papale 1882

Fino a che non si è compresa questa verità che, cioè, l' Evangelo è la potenza di Dio in salute ad ogni credente, non è possibile lusingarsi di una vera conversione. Questo versetto contiene la vera definizione del Vangelo come mezzo di salute. Il Vangelo, a parlare propriamente, non è una dottrina, non è un codice di morale, non è una professione di fede, ma è la Potenza di Dio a salute.

La parola Vangelo significa Buona Novella: esso è stato annunziato da Dio non appena Adamo peccò, quando Dio stesso annunziò Cristo progenie della donna, che avrebbe schiacciato il capo al serpente. Fin da quel momento l'Evangelo divenne la Potenza di Dio a salute, fin da quel momento l'uomo peccatore perduto potè trovare salvezza, accettando, e credendo in questa divina, infallibile promessa. L'uomo per il peccato è perduto, è morto spiritualmente, è impossibile che da se stesso possa risorgere; ci vuole la potenza di Dio, quella stessa potenza che ci ha tratti dal nulla: ebbene questa potenza di Dio a salute è l' Evangelio annunziato al peccatore.

Ma quest' Evangelio, come dicevamo, non consiste nell' annunzio di una dottrina, o di precetti che debbano osservarsi, ma consiste nell' annunzio di Cristo Salvatore. Quando il peccatore si conosce perduto, quando Dio gli presenta Cristo come vittima pei nostri peccati, ed il peccatore crede e riceve questo annunzio di Dio, egli allora riceve l' Evangelo, e per la potenza di Dio è salvato. Finchè dunque l' uomo non riceve l' Evangelio di Cristo a questo modo, egli potrà essere più o meno morale, ma non sarà mai Cristiano, non sarà ancora salvato.

Pedro

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Fede ed opere

Nota 5. alla lettera diciottesima di Roma Papale 1882

L'unico mezzo di salvezza è la fede, la nostra salvezza è Cristo, e Cristo non si riceve per opere, ma solo per la fede. Quando Dio annunziò Cristo ad Adamo, non gli disse:

"Fa le buone opere e lo riceverai." Quando Abramo fu giustificato, fu giustificato perché credè, e non perchè operò: le opere vennero dopo a rendere testimonianza della sua fede. Quando Paolo e Sila annunziarono la salvezza al carceriere di Filippi, non gli dissero:

"Opera bene, e sarai salvato;" ma gli dissero: "Credi nel Signor Gesù Cristo, e sarai salvato." È chiaro dunque qual' è l' ufficio della fede nelle opere della nostra salvezza, essa è il mezzo, ovvero l' istrumento per il quale riceviamo Cristo nostra salvezza.

Da questa dottrina evangelica non iscendono punto quelle conseguenze empie ed immorali, che i preti dicono venirne dalla dottrina della salvezza per grazia. Essi per calunniare i Protestanti dicono, che questi insegnano, che un uomo può esser salvato purchè abbia la fede, sebbene viva immerso in tutti i disordini del peccato. Non sono i Protestanti che insegnano una tale dottrina, ma sono piuttosto i preti, i quali, come abbiamo mostrato in una nota antecedente, insegnano che basta essere devoto di Maria, e si è salvato anche esercitando per tutta la vita il brigantaggio. I Cristiani evangelici insegnano invece, che la nostra salvezza, cioè Cristo, è un dono di Dio, ed in conseguenza non possiamo comperarlo con le nostre buone opere; ma che ricevuto una volta il dono di Dio, le buone opere sono una conseguenza necessaria di esso, sono la testimonianza di esso.

Quando Dio rigenera il peccatore innestando in lui Cristo, crea l'uomo nuovo, in giustizia e santità; la giustizia è completa, la santità è un procedimento che si sviluppa per mezzo delle buone operazioni. Le buone opere testimoniano a noi stessi ed agli altri che noi siamo stati fatti figliuoli di Dio. Se uno si lusinga di esser Cristiano, di essere salvato per una certa fede sentimentale che crede avere, e non fa le buone opere, e non cammina secondo il Vangelo, costui inganna se stesso, la sua fede è morta, ed egli non è nella grazia. Ecco in che senso noi siamo giustificati unicamente per fede, ecco in che senso le buone opere sono necessarie.

Pedro

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lettera 19°

www.sentieriantichi.org/romapapale/19_00_diplomazia.html
Pedro

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