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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro dell’ESODO

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2011 19:55
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21/04/2011 19:51
 
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CAPITOLO 16
Capitolo 16
«E tutta la raunanza dei figliuoli di Israele partì da Elim e giunse al deserto di Sin, che è fra Elim e Sinai, il quindicesimo giorno del secondo mese dopo la loro partenza dal paese d’Egitto» (v. 1).

Israele è qui in una posizione degna di nota: è nel deserto, certamente, ma in un punto importante e significativo, cioè tra Elim e Sinai. Il primo di questi luoghi era quello in cui Israele aveva da poco gustato le fresche acque del ministero divino; l’ultimo era quello in cui avrebbero lasciato il terreno della grazia gratuita e sovrana per mettersi sotto un patto di opere. I figliuoli di Israele appaiono qui come oggetti della grazia che li aveva fatti uscire dal paese di Egitto; per questo Dio risponde ai loro mormorii con un soccorso immediato. Quando Dio agisce manifestando la sua grazia, non c’è nessun ostacolo per lui: le benedizioni che hanno in lui la sorgente sgorgano senza interruzione. Solo quando l’uomo si pone sotto la legge perde tutto, poiché allora bisogna che Dio gli lasci fare l’esperienza del punto cui può arrivare grazie alle sue opere.

Quando Dio visitò e riscattò il suo popolo e lo trasse fuori d’Egitto non lo fece di certo per farlo morire nel deserto di fame e di sete. I figliuoli di Israele avrebbero dovuto saperlo: avrebbero dovuto confidare in Dio e camminare nella stretta comunione con questo amore che li aveva così gloriosamente liberati dagli orrori della schiavitù in Egitto. Avrebbero dovuto ricordarsi che era molto meglio trovarsi nel deserto con Dio che con Faraone nelle fornaci dei mattoni. Eppure il cuore umano fa molta fatica a credere all’amore puro e perfetto di Dio; ha più fiducia in Satana che in Dio (Genesi 3:1-6). Considerate un momento tutte le sofferenze, la miseria, la degradazione dell’uomo, per aver ascoltato la voce di Satana: tuttavia non lo sentite mai lamentarsi di lui né esprimere il desiderio di sottrarsi alla sua mano. L’uomo non è scontento di Satana, né stanco di servirlo. Tutti i giorni raccoglie i frutti amari di questo campo che Satana ha aperto davanti a lui e tutti i giorni di nuovo semina la stessa semenza e si sottomette agli stessi lavori.

Ma, nei confronti di Dio, l’uomo agisce molto diversamente. Quando abbiamo incominciato a camminare nelle sue vie, siamo pronti, al primo apparire di prove o di tribolazioni, a mormorare e a rivoltarci; e questo impedisce di coltivare in noi uno spirito di riconoscenza e di fiducia. Dimentichiamo diecimila doni per la più piccola privazione. Abbiamo ricevuto il perdono gratuito dei nostri peccati (Efesini 1:7; Colossesi 1:14), ci è stata largita grazia nell’amato suo (Efesini 1:6), siamo stati fatti eredi di Dio e coeredi di Cristo (Efesini 1:11; Romani 8:17; Galati 4:7); aspettiamo la gloria eterna (Romani 8:18-25; 2 Corinzi 4:15; 5:5; Filippesi 3:20-21; Galati 5:5; Tito 2:13; 1 Giovanni 3:2); inoltre il nostro cammino attraverso il deserto è seminato di innumerevoli favori (Romani 8:28); ma nonostante questo, basta che una nube, grande come il palmo di una mano, appaia all’orizzonte, nuvola che, dopo tutto, non farà che sciogliersi in benedizioni sulle nostre teste e subito dimentichiamo le molteplici grazie che ci sono state accordate.

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Questo pensiero dovrebbe umiliarci profondamente alla presenza di Dio. Come è stato diverso, sotto ogni aspetto, il nostro amato Modello! Contempliamolo, vero Israele nel deserto, circondato dalle fiere e a digiuno per quaranta giorni. Ha forse mormorato? Si è lagnato della sua parte? Ha manifestato il desiderio di circostanze diverse? No. Dio era la porzione della sua eredità e il suo calice (Salmo 16). Per questo, quando il tentatore gli si avvicina e gli offre le cose necessarie alla vita, le sue glorie, le sue distinzioni, i suoi onori, egli rifiuta tutto e rimane fermo nella posizione di assoluta dipendenza da Dio e di obbedienza implicita alla sua Parola. Non voleva ricevere pane se non da Dio e da lui, egualmente, la gloria.

Non è stato così di Israele: non avevano forse nemmeno sentito, ancora, la sofferenza della fame ed eccoli mormorare nel deserto contro Mosè e contro Aaronne. Pare che abbiano dimenticato che era l’Eterno che li aveva liberati, poiché dicono: «Voi ci avete menati in questo deserto» e anche «il popolo mormorò contro Mosè, dicendo: Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per farci morire di sete noi, i nostri figliuoli e il nostro bestiame?» (17:3). È così che, in ogni occasione, essi manifestarono uno spirito di irritazione e di scontentezza e mostrarono di realizzare poco la presenza del loro potente e misericordioso Liberatore, e di non sapersi appoggiare sul suo braccio.

Non c’è niente che disonori di più il Signore dei mormorii di coloro che gli appartengono. L’apostolo Paolo parla di questa tendenza come di un carattere speciale della corruzione dei Gentili, i quali «pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato come Dio, né l’hanno ringraziato» (Romani 1:21); poi ne segnala la conseguenza pratica: «si son dati a vani ragionamenti e l’insensato lor cuore s’è ottenebrato». Chi non nutrisce nel proprio cuore un sentimento di gratitudine verso Dio per la sua bontà, sarà presto riempito di tenebre. Così Israele ha perso il sentimento di essere nelle mani di Dio; e, come c’era da aspettarsi, è stato trascinato nelle tenebre ancora più fitte, poiché li sentiamo dire, in un’epoca molto più tarda della loro storia: «Perché ci mena l’Eterno in questo paese ove cadremo per la spada? Le nostre mogli e i nostri piccini vi saranno preda del nemico» (Numeri 14:3). Questo è il pendio che segue un’anima che ha perduto la comunione con Dio. Incomincia col non avere più coscienza di essere tra le mani di Dio per la sua benedizione e finisce col credersi nelle mani di Dio per la propria sventura. Che triste progresso!

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Tuttavia, trovandosi Israele sotto la grazia, Dio provvede ai suoi bisogni in modo meraviglioso, come vediamo in questo capitolo. «E l’Eterno disse a Mosè: Ecco, io vi farò piovere del pane dal cielo» (v. 4). Quando la gelida nube dell’incredulità li aveva avvolti, avevano detto: «Ah! fossimo pur morti per mano dell’Eterno nel paese d’Egitto quando sedevamo presso le pignatte della carne e mangiavamo del pane a sazietà!», ma ora Dio parla del «pane dal cielo». Che differenza! Che contrasto fra le pignatte di carne, il pane dell’Egitto, e la «manna del cielo», il «pane degli angeli»! I primi appartenevano alla terra, l’ultimo al cielo.

Ma questo nutrimento celeste era una prova per Israele, come è detto: «Ond’io lo metta alla prova per vedere se camminerà o no secondo la mia legge» (v. 4). Ci voleva un cuore sgombro dalle influenze d’Egitto per essere soddisfatti del pane celeste e per goderne. In effetti sappiamo che Israele non fu contento, poiché disprezzò questo pane definendolo «un cibo tanto leggero» (o «miserabile») (Numeri 21:5). Essi dimostrarono così, con la concupiscenza della carne, quanto poco il loro cuore era liberato dall’Egitto, o disposto ad osservare la legge dell’Eterno. Coi loro cuori tornarono in Egitto; in pratica saranno trasportati, più tardi, al di là di Babilonia (Atti 7:39-43). Qui c’è una lezione seria per tutti i credenti. Se coloro che Dio ha liberati dal presente secolo malvagio non camminano con Lui con cuori riconoscenti, soddisfatti di ciò che Dio provvede per i suoi riscattati nel deserto, c’è il pericolo ch’essi cadano nella rete dell’influenza babilonese. Bisogna che le affezioni siano celesti per gustare il pane del cielo. La natura umana non può apprezzare un tale nutrimento: essa tende sempre all’Egitto e perciò bisogna che sia tenuta nell’umiltà e nella soggezione. Noi cristiani che siamo stati con Cristo sepolti nel battesimo, nel quale siamo stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio (Romani 6:3; Colossesi 2:12), abbiamo il privilegio di nutrirci di Cristo come del «vero pane che è disceso dal cielo» (Giovanni 6:51). Il nostro nutrimento nel deserto è Cristo, come ci è presentato dallo Spirito Santo, per mezzo della Parola scritta, mentre la nostra bevanda spirituale è lo Spirito venuto, come l’acqua che sgorga dalla roccia colpita, da Cristo colpito per noi. Questa è la nostra parte eccellente nel deserto di questo mondo.

Per godere di questa parte bisogna che il nostro cuore sia separato da tutto ciò che è di questo secolo malvagio e che si offre a noi in quanto uomini naturali, come uomini vivi nella carne. Un cuore mondano, carnale, non può trovare Cristo nella Scrittura né godere di lui, se lo trova. La manna era così pura, così delicata, che non sopportava il contatto con la terra; scendeva sulla rugiada (v. 13-15; Numeri 11:9) e doveva essere raccolta al mattino, prima del calore del giorno (v. 21). Tutti dovevano alzarsi di buonora per cercare il nutrimento quotidiano. Ora, egualmente, bisogna che il popolo di Dio raccolga tutte le mattine, fresca, la manna celeste; la manna di ieri non serve a nulla per oggi né quella di oggi per domani. Bisogna che ci nutriamo di Cristo ogni giorno, con una nuova energia dello Spirito, senza la quale cesseremo di crescere. Inoltre, bisogna che facciamo di Cristo il nostro primo oggetto. Bisogna che lo cerchiamo di buonora, prima che altre cose abbiano tempo di impossessarsi dei nostri deboli cuori. Molti fra noi, ahimè!, mancano a questo riguardo. Diamo a Cristo un posto secondario e, di conseguenza, restiamo deboli e sterili; il Nemico, sempre vigilante, approfitta della nostra indolenza spirituale per privarci della benedizione e della forza che si hanno nutrendosi dì Cristo. La vita nuova, nel credente, non può essere alimentata e mantenuta se non per mezzo di Cristo. «Come il vivente Padre mi ha mandato e io vivo a cagione del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a cagione di me» (Giovanni 6:57).

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21/04/2011 19:52
 
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La grazia del Signore Gesù Cristo, che è disceso dal cielo per essere il nutrimento del suo popolo, è per l’anima rinnovata di un prezzo inestimabile; ma per godere così di Cristo è necessario che realizziamo di essere nel deserto, a parte per Dio, nella potenza di una redenzione compiuta. Se cammino con Dio nel deserto, sarò soddisfatto del nutrimento che mi dà, cioè di Cristo, sceso dal cielo. «Il grano del paese», «i frutti del paese di Canaan» (Giosuè 5:11-12), sono una figura di Cristo salito in alto e seduto in gloria. Come tale è il nutrimento di quelli che sanno, per fede, di essere risuscitati con lui e con lui seduti nei luoghi celesti.

Ma la manna, cioè Cristo sceso dal cielo, è per il popolo di Dio, nella vita e nelle esperienze del deserto. Come popolo straniero quaggiù, abbiamo bisogno di un Cristo che è stato straniero sulla terra. Come popolo seduto in alto, nel cielo, in Spirito, abbiamo un Cristo seduto nel cielo. Questo potrà spiegare la differenza che c’è fra la manna e il grano del paese. Non si tratta qui della redenzione: questa l’abbiamo nel sangue della croce, e là soltanto. Si tratta solamente di ciò che Dio ha provveduto per il suo popolo, in rapporto alle differenti posizioni nelle quali si trova quaggiù, sia che lotti nel deserto, sia che, in Spirito, prenda possesso dell’eredità celeste.

Che immagine sorprendente ci offre Israele nel deserto! Aveva dietro a sé l’Egitto, davanti Canaan, attorno la sabbia del deserto; e lui doveva riguardare al cielo per il nutrimento di ogni giorno. Il deserto non aveva un filo d’erba né una goccia d’acqua da offrire all’Israele di Dio; nell’Eterno soltanto c’era la parte dei riscattati. I cristiani non hanno nulla quaggiù: la loro vita è celeste e deve essere mantenuta con cose celesti. Benché nel mondo, non sono del mondo, poiché Cristo li ha scelti dal mondo. Essi sono in cammino verso la patria, come popolo celeste, e sono sostenuti dal nutrimento che ne ricevono; camminano verso il cielo, in avanti. La gloria orienta dalla sua parte, soltanto. «Volsero gli occhi verso il deserto; ed ecco che la gloria dell’Eterno apparve nella nuvola» (v. 10). L’Eterno era nel deserto e là pure dovevano essere tutti quelli che desideravano avere comunione con lui; se c’erano, la manna celeste doveva essere il loro nutrimento e niente altro.

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21/04/2011 19:53
 
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Questa manna era, è vero, uno strano alimento; un alimento che un Egiziano non avrebbe potuto né capire, né apprezzare, né nutrirsene; ma coloro che erano stati «battezzati nella nuvola e nel mare» (1 Corinzi 10:2) potevano, se camminavano in modo coerente, con la posizione nella quale questo battesimo li aveva introdotti, godere di questa manna ed esserne nutriti. È la stessa cosa ora per il vero credente. L’uomo del mondo non capisce come vive il vero credente. La sua vita e l’alimento che lo sostiene sono inaccessibili all’occhio naturale più penetrante. Cristo è la vita del cristiano; egli vive di Cristo. Si nutre, per fede, delle potenti grazie di Colui che è «sopra tutte le cose Dio benedetto in Eterno» (Romani 9:5) e prese «forma di servo, divenendo simile agli uomini» (Filippesi 2:7); lo segue dal seno del Padre alla croce, e dalla croce alla gloria; e trova in Lui, in ogni periodo della vita, in ogni fase del suo cammino, un alimento prezioso per il nuovo uomo. Tutto quello che circonda il cristiano, pur essendo Egitto, è per lui un deserto arido e desolato che allo spirito rinnovato non ha niente da offrire; e se, disgraziatamente, l’anima vi trova un cibo, i suoi progressi nella vita spirituale sono ostacolati. L’unica cosa che Dio ci dà è la manna e il vero credente deve nutrirsene ogni giorno (Levitico 7:11-36).

Com’è deplorevole vedere dei cristiani che ricercano le cose del mondo! Questo mostra chiaramente che sono «nauseati» della manna celeste che stimano un cibo spregevole. Così, servono ciò che, invece, dovrebbero mortificare. L’attività della nuova vita è sempre collegata allo spogliamento «dell’uomo vecchio coi suoi atti» (Colossesi 3:9), e più questo avverrà, più si avrà il desiderio di nutrirsi del «pane che sostenta il cuore dei mortali» (Salmo 104:15).

Come per il fisico più si fa esercizio e più aumenta l’appetito, così nella vita spirituale, più le nostre rinnovate facoltà sono esercitate, più proviamo il bisogno di nutrirci di Cristo, ogni giorno. Una cosa è sapere d’avere la vita in Cristo, unita a un pieno perdono e ad una completa accettazione davanti a Dio, un’altra, completamente differente, è l’essere abitualmente in comunione con Lui, nutrirsi di Lui per la fede, facendo di Lui l’alimento esclusivo delle nostre anime. Molte persone professano d’aver trovato in Gesù pace e perdono ma, in realtà, si nutrono di un’infinità di cose che non sono Cristo: pasciono il loro spirito con la lettura di giornali e di romanzi frivoli e insipidi; troveranno esse Cristo? È con tali mezzi che lo Spirito Santo nutre l’anima di Cristo? Sono quelle cose la pura rugiada sulla quale scende la manna celeste per alimentare i riscattati di Dio nel deserto? Ahimè! no! Quelli sono cibi grossolani nei quali si compiace lo spirito carnale. Lo Spirito di Dio ci dice che nel cristiano ci sono due nature; quale delle due si nutre delle notizie e della letteratura del mondo? La vecchia o la nuova? La risposta non è difficile. Quale, dunque, delle due vogliamo soddisfare? La nostra condotta sarà certamente la risposta più fedele a questa domanda. Se desidero sinceramente crescere nella vita divina, se il mio scopo principale è d’essere reso simile a Cristo e d’essergli devoto, se aspiro seriamente a un progresso del regno di Dio dentro di me, cercherò sempre, senza dubbio, il nutrimento che Dio m’ha preparato per il mio accrescimento spirituale. È semplicissimo. Le azioni di un uomo sono sempre l’indice più sicuro dei suoi desideri e delle sue intenzioni. Così, se incontro qualcuno che facendo professione di essere cristiano, trascura la Bibbia trovando però tempo sufficiente per leggere i giornali o libri futili e spesso dannosi, non sarà difficile fare un giudizio sulla vera condizione della sua anima; sono certo che un tale cristiano non è spirituale, non si nutre di Cristo e non può vivere per lui e rendergli testimonianza.

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21/04/2011 19:53
 
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Se un Israelita avesse trascurato di raccogliere, al primo albeggiare, la sua porzione di pane che la grazia di Dio aveva preparato per lui, gli sarebbero presto venute meno le forze per proseguire nel viaggio. Egualmente noi dobbiamo fare di Cristo l’oggetto sovrano dell’anima nostra, se no la nostra vita spirituale declinerà rapidamente. Sentimenti ed esperienze concernenti Cristo, non possono nemmeno costituire il nostro nutrimento spirituale poiché sono soggetti a mille variazioni e fluttuazioni. Il pane della vita ieri era Cristo e bisogna che sia Cristo oggi pure e eternamente. Neppure basta nutrirsi metà di Cristo e metà di altri oggetti. Poiché Cristo solo è la vita, così vivere non può essere che Cristo e lui solo; e come non possiamo mescolare niente con ciò che comunica la vita, così non possiamo mescolare niente con ciò che la conserva.

È perfettamente vero che, come Israele ha mangiato del «grano del paese» (Giosuè 5), così noi, in Spirito e per fede, possiamo già fin d’ora, nutrirci di un Cristo risuscitato e glorificato, salito in cielo in virtù di una redenzione compiuta. Non solo, ma sappiamo che quando i riscattati di Dio saranno entrati nel paese della gloria, del riposo e dell’immortalità, che si trova al di là del Giordano, col nutrimento del deserto non avranno più niente a che fare; ma avranno ancora Cristo e il ricordo di ciò che egli è stato, come alimento, nel deserto.

Dio voleva che Israele, fra il latte e il miele della terra di Canaan, non dimenticasse mai ciò che l’aveva sostenuto per i quaranta anni di soggiorno nel deserto. «Questo è quello che l’Eterno ha ordinato: riempi un omer di manna perché sia conservato per i vostri discendenti, onde veggano il pane col quale vi ho nutriti nel deserto... Secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato a Mosè, Aaronne lo depose dinanzi alla Testimonianza» (v. 32-34).

Prezioso monumento della fedeltà di Dio! Dio non li lasciò morire di fame come avevano pensato i loro cuori insensati e increduli: fece piovere pane dal cielo per loro, li nutrì col pane degli angeli, vegliò su di loro con la tenerezza di una madre, usò pazienza, li portò come su ali di aquile; e, se avessero perseverato nella grazia, Dio avrebbe dato loro tutte le cose promesse ai padri. Il vaso della manna, con la porzione d’una giornata, poiché conteneva un omer, è messo davanti all’Eterno e rappresenta per noi qualcosa di molto interessante. In questo vaso non c’era nessuna corruzione; era il memoriale della fedeltà di Dio nel provvedere ai bisogni di coloro che egli stesso aveva liberato dalle mani del nemico.

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21/04/2011 19:54
 
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Ma quando era l’uomo ad accumulare la manna, le cose non andavano così; ben presto si manifestavano i sintomi della corruzione. Se comprendessimo la verità e la realtà della nostra posizione, non penseremmo mai a fare provviste; è nostro privilegio nutrirci giorno per giorno di Cristo come di colui che è sceso dal cielo per dare la vita al mondo. Ma se qualcuno, dimenticando la sua posizione, vuol fare provviste per il domani, cioè farsi delle «riserve» di verità, al di fuori del bisogno attuale, giornaliero, che si ha di essa per il rinnovo delle proprie forze, questa verità si corromperà certamente. Imparare la verità è qualcosa di molto serio: non c’è un solo principio che noi professiamo di conoscere che non debba essere manifestato, praticamente nella nostra vita. Dio non vuole che siamo dei teorici. Tremiamo, spesso, nel sentire certe persone che, in preghiera o in altre maniere, fanno ardente professione di devozione; e si teme che, quando venga l’ora della prova, queste persone non abbiano l’energia spirituale necessaria per realizzare ciò che hanno professato con le labbra.

C’è un pericolo grande quando l’intelligenza sorpassa le affezioni e la coscienza. Ecco perché molti sembrano fare, a tuttaprima, rapidi progressi, finché sono arrivati a un certo punto; poi si fermano di colpo e pare indietreggino. Assomigliano all’Israelita che raccoglieva più manna di quanta gli serviva per quel giorno: poteva sembrare più furbo degli altri; però, ogni granello raccolto in più, non solo era inutile ma produceva dei vermi e marciva. Il cristiano, dunque, deve saper far uso di ciò che ha; deve nutrirsi di Cristo, in quanto l’anima sua ha bisogno di lui, e il bisogno nasce da un servizio attuale. È soltanto alla fede e ai bisogni presenti dell’anima che i caratteri e le vie di Dio, l’eccellenza e la bellezza di Cristo, le vive e profonde realtà della Scrittura, sono rivelate. Più sapremo fare buon uso di ciò che abbiamo, più ci sarà dato. La vita del credente deve essere pratica: ecco dove molti fra noi mancano. Capita spesso che quelli che progrediscono rapidamente nella teoria, sono i più lenti a progredire nella pratica e nell’esperienza, perché il lavoro che si è operato in loro è più d’intelletto che di coscienza e di cuore. Non dovremmo mai dimenticare che il cristianesimo non è un insieme di opinioni o di modi di vedere, e neppure un sistema di dogmi; esso è, soprattutto, una realtà divina, qualcosa di personale, di pratico, di potente, che si manifesta in tutte le circostanze della vita giornaliera e sparge la sua influenza santificante nel carattere e nel cammino, recando le sue disposizioni celesti in tutte le relazioni nelle quali si può essere posti davanti a Dio. In poche parole, esso è ciò che deriva dal fatto che siamo uniti a Cristo e occupati di lui.

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21/04/2011 19:54
 
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Tale è il cristianesimo! Si possono avere delle vedute chiare, delle idee corrette, dei principi sani, senza alcuna comunione con Gesù; e una professione di fede senza Cristo, per quanto ortodossa, sarà sempre, messa alla prova, qualcosa di freddo, sterile, morto.

Lettore cristiano, pensateci seriamente; voi non siete soltanto salvati da Cristo, voi vivete di lui. Cercatelo al mattino di buon’ora; cercate lui e lui solo. Quando qualcosa attira la vostra attenzione, domandatevi se presenta Cristo al vostro cuore, se vi insegna qualcosa di lui o vi avvicina di più alla sua Persona. Se la risposta è negativa, respingete quella cosa, decisamente; sì, rigettatela senza esitare, quand’anche fosse presentata nel modo più piacevole, valorizzata dalla più rispettabile autorità.

Se il vostro scopo è realmente di progredire nella vita divina, di fare progressi spirituali, di conoscere Cristo personalmente, allora rientrate seriamente in voi stessi, a questo riguardo. Fate di Cristo il vostro nutrimento giornaliero e abituale. Andate, raccogliete la manna che cade sulla rugiada, nutritevene con una fame mantenuta e stimolata da un cammino vigilante con Dio nel deserto. Che la ricca grazia di Dio vi fortifichi abbondantemente in ogni cosa, per mezzo dello Spirito Santo (*).

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(*) Il lettore trarrà profitto dalla meditazione del cap. 6 del vangelo di Giovanni in rapporto col soggetto della manna. La Pasqua era vicina: Gesù, saziata la folla, si ritira sul monte, solo. Di là viene in soccorso ai suoi nella distretta, sballottati dalle onde. Poi rivela la dottrina della sua Persona e della sua opera e dichiara che darà la sua carne per la vita del mondo e che nessuno potrà avere la vita se non mangia la sua carne e beve il suo sangue. Poi dice che sarebbe tornato là dove era prima; e infine parla della potenza vivificante dello Spirito Santo.
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Ma in questo capitolo c’è un altro argomento importante: l’istituzione del Sabato in rapporto alla manna e alla posizione di Israele, come ci è presentata qui. Dal cap. 2 della Genesi al cap. 16 dell’Esodo non è più parlato di questa istituzione. Questo è degno di nota. Il sacrificio di Abele, il cammino di Enoc con Dio, la predicazione di Noè, la chiamata di Abrahamo, la storia di Isacco, Giacobbe e Giuseppe, tutto ci è raccontato dettagliatamente; ma non è fatto alcuna allusione al sabato fino al momento in cui Israele è riconosciuto come popolo in relazione con l’Eterno e sotto la responsabilità legata a questa relazione. Il sabato è stato interrotto in Eden e lo vediamo di nuovo ristabilito per Israele nel deserto. Ahimè, all’uomo non piace il riposo di Dio. «Or nel settimo giorno avvenne che alcuni del popolo uscirono per raccoglierne, e non ne trovarono. E l’Eterno disse a Mosè: Fino a quando rifiuterete di osservare i miei comandamenti e le mie leggi? Riflettete che l’Eterno vi ha dato il sabato: per questo, nel sesto giorno, Egli vi dà del pane per due giorni» (vv. 27 a 29). Dio voleva che il suo popolo godesse d’un dolce riposo con lui: voleva dargli riposo, nutrirlo, dissetarlo, anche nel deserto; ma il cuore dell’uomo non è disposto a riposare con Dio.

Gli Israeliti potevano ricordarsi il tempo in cui erano seduti presso le pignatte di carne nel paese di Egitto, ma non potevano apprezzare la benedizione di essere seduti, ciascuno nella propria tenda, per godere con Dio il riposo del santo sabato e nutrirsi della manna del cielo.

E notate che qui il sabato è presentato come un dono. «L’Eterno vi ha dato (*) il sabato» (v. 29). Più avanti, nel medesimo libro, lo troviamo sotto forma di legge, seguita da una maledizione e un giudizio, in caso di trasgressione. Ma sia che l’uomo decaduto riceva un privilegio o una legge, una benedizione o una maledizione, la sua natura è malvagia: non può né riposarsi con Dio, né lavorare per Dio. Se Dio lavora e gli prepara un riposo, egli vuole serbarlo; se Dio gli dice di lavorare, non vuole fare le opere che Dio gli propone. L’uomo è così. Non ama Dio. Si servirà della parola sabato per esaltarsi, o come d’una testimonianza di pietà personale; ma il cap. 16 dell’Esodo ci fa vedere ch’egli non può considerare un dono il sabato di Dio, e al cap. 15 dei Numeri v. 32-36 vediamo che non lo può rispettare come una legge.

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(*) Dato, cioè donato, regalato, non ordinato, come alcuni riportano.

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21/04/2011 19:55
 
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Il sabato, così come la manna, è una «figura». In se stesso, era una benedizione, un favore dalla parte di un Iddio d’amore e di grazia che voleva, dando, su sette giorni, un giorno di riposo, raddolcire il lavoro e la pena su una terra maledetta a causa del peccato. In qualunque maniera la consideriamo, l’istituzione del sabato la vediamo sempre feconda di grazie eccellenti, nei suoi rapporti con l’uomo o con la creazione animale. E se i cristiani osservano il primo giorno della settimana, il giorno del Signore, in base ai principi che lo caratterizzano, si può discernere in questo giorno la stessa provvidenza divina piena di grazia. «Il sabato è stato fatto per l’uomo» (Marco 2:27); e benché l’uomo non l’abbia mai osservato secondo i pensieri di Dio, la grazia che risplende nella istituzione d’esso non è per nulla sminuita, né questo giorno perde d’importanza come figura del riposo eterno che rimane per il popolo di Dio o come ombra di questa realtà di cui la fede gode ora nella persona e nell’opera di Cristo risuscitato.

Non creda il lettore che io voglia, in qualche modo, svalutare il giorno misericordiosamente messo a parte per il riposo dell’uomo e della creazione; o che voglia sminuire il posto particolare che nel Nuovo Testamento occupa il giorno del Signore: non c’è nulla che sia più estraneo ai miei pensieri. Come uomo apprezzo troppo il sabato e, come cristiano, godo troppo della domenica per dire o scrivere una sola parola che possa togliere qualcosa all’uno o all’altra. Prego il lettore di valutare con imparzialità la questione, di pesare con la bilancia delle Sacre Scritture i pensieri qui enunciati. Se il Signore lo permette, torneremo su questo soggetto. Impariamo ad apprezzare di più il riposo che il nostro Dio ci ha preparato in Cristo e, pur godendo di Lui come nostro riposo, nutriamoci di Lui come della «manna nascosta» (Apocalisse 2:17), conservata nei luoghi santi, nella potenza della risurrezione; il memoriale di ciò che Dio ha compiuto in nostro favore, scendendo quaggiù nella sua infinita grazia, perché potessimo stare davanti a Lui, secondo la perfezione di Cristo, e nutrirci per sempre delle sue incomparabili ricchezze.

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