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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro dell’ESODO

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2011 20:01
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21/04/2011 19:59
 
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CAPITOLO 18
Capitolo 18
Siamo così arrivati alla fine di una parte molto conosciuta dell’Esodo. Dio, nell’esercizio della sua grazia perfetta, ha visitato il suo popolo e lo ha riscattato; l’ha fatto uscire dal paese d’Egitto e l’ha liberato prima dalla mano del Faraone, poi da quella di Amalek. Inoltre abbiamo potuto vedere nella manna una figura di Cristo disceso dal cielo; nella roccia una figura di Cristo colpito per il suo popolo; nell’acqua che sgorga, una figura dello Spirito Santo; infine, secondo quest’ordine meraviglioso delle Scritture, troveremo un quadro della gloria futura comprendente tre grandi parti: il Giudeo, il Gentile e la Chiesa di Dio.

Nel periodo del rigettamento da parte dei suoi fratelli, Mosè fu messo da parte e gli fu data una sposa Gentile, compagna del suo rigettamento; il principio di questo libro ci ha fatto vedere quale fosse il carattere della relazione di Mosè con questa sposa. Per lei era uno «sposo di sangue». Cristo è così, per la Chiesa. L’unione della Chiesa con lui è basata sulla morte e sulla risurrezione e la Chiesa è chiamata alla comunione delle sue sofferenze. Sappiamo che la Chiesa è stata formata proprio nel periodo in cui Israele è incredulo e ha rigettato Cristo; «quando sarà completa secondo i consigli divini, quando sarà entrata la pienezza dei Gentili» (Romani 11:25), allora Israele ricomparirà di nuovo sulla scena.

Avvenne così di Sefora e dell’antico Israele. Mosè aveva rimandato Sefora per tutto il tempo della sua missione presso Israele; e quando questo fu manifestato come un popolo completamente liberato, è detto che «Jethro, suocero di Mosè, prese Sefora, moglie di Mosè, che questi aveva rimandata, e i due figliuoli di lei che si chiamavano: l’uno Ghershom, perché Mosè aveva detto: Ho soggiornato in terra straniera; e l’altro Eliezer, perché aveva detto: L’Iddio del padre mio è stato il mio aiuto e mi ha liberato dalla spada di Faraone. Jethro, dunque, suocero di Mosè, venne a Mosè coi figliuoli e la moglie di lui, nel deserto dov’egli era accampato, al monte di Dio; e mandò a dire a Mosè: "Io Jethro, tuo suocero, vengo da te con la tua moglie e i due suoi figliuoli con lei". E Mosè uscì a incontrare suo suocero, gli s’inchinò e lo baciò; s’informarono scambievolmente della loro salute, poi entrarono nella tenda. Allora Mosè raccontò al suo suocero tutto quello che l’Eterno aveva fatto a Faraone e agli Egiziani per amor di Israele, tutte le sofferenze patite durante il viaggio, e come l’Eterno li aveva liberati. E Jethro si rallegrò di tutto il bene che l’Eterno aveva fatto a Israele, liberandolo dalla mano degli Egiziani. E Jethro disse: "Benedetto sia l’Eterno che vi ha liberati dalla mano degli Egiziani e dalla mano di Faraone, e ha liberato il popolo dal giogo degli Egiziani! Ora riconosco che l’Eterno è più grande di tutti gli dei; tale s’è mostrato quando gli Egiziani hanno agito orgogliosamente contro Israele". E Jethro, suocero di Mosè, prese un olocausto e dei sacrifici per offrirli a Dio; e Aaronne e tutti gli anziani di Israele vennero a mangiare col suocero di Mosè in presenza di Dio» (versetti 2-12).

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21/04/2011 20:00
 
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Questa scena è di un profondo interesse. Tutta la congregazione è riunita in trionfo davanti all’Eterno: il Gentile offre un sacrificio e, per completare il quadro, la sposa del liberatore è introdotta con i figli che Dio gli ha donati. Insomma, è una sorprendente rappresentazione del regno futuro. «L’Eterno darà grazia e gloria» (Salmo 84:11). Le pagine che precedono ci hanno mostrato numerose operazioni della grazia. Qui, lo Spirito Santo pone davanti ai nostri occhi un magnifico quadro della gloria e ci presenta in figura le differenti sfere nelle quali questa gloria sarà manifestata. La Scrittura distingue il Giudeo, il Gentile e la Chiesa di Dio (1 Corinzi 10:32) e a non tenerne conto, si capovolge tutto questo ordine perfetto della verità che Dio ha rivelato nella sua Parola. La distinzione che la Scrittura fa così, ha avuto inizio quando il mistero della Chiesa è stato pienamente rivelato dal ministero di Paolo ed esisterà per tutto il periodo millenario. Ogni cristiano spirituale che studia la Parola darà dunque a queste cose il posto che meritano.

L’apostolo insegna, nell’epistola agli Efesini, che il mistero della Chiesa non era stato dato a conoscere ai figli degli uomini di altre generazioni, come era stato invece rivelato a lui (Efesini 3; Colossesi 1:25-28). Ma, benché non fosse stato rivelato direttamente, tuttavia vi sono figure che lo rappresentano, in un modo o in un altro; così per esempio nella relazione di Adamo e di Eva, nel matrimonio di Giuseppe con un’Egiziana e in quello di Mosè con una donna cushita. La figura o l’ombra di una verità differisce molto dalla rivelazione diretta e specifica della stessa. Il grande mistero della Chiesa fu manifestato quando Cristo, dalla gloria celeste, lo rivelò a Saulo di Tarso. Così, tutti quelli che cercano la rivelazione completa di questo mistero nella legge, nei profeti o nei salmi, intraprendono una via sbagliata; ma quelli che hanno compreso bene l’insegnamento dell’epistola agli Efesini su questo soggetto possono seguire con interesse e profitto le ombre prefigurate negli scritti dell’Antico Testamento.

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21/04/2011 20:00
 
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Abbiamo dunque, al principio di questo capitolo, una scena millenaria. Tutti i campi della gloria sono aperti davanti ai nostri occhi. Il popolo giudeo si trova sulla terra come il grande testimone dell’unità, della fedeltà, della misericordia e della potenza dell’Eterno (Isaia 43:10-12,21); lo è stato nelle scorse generazioni, lo è ora e lo sarà eternamente. Il Gentile legge il libro delle vie di Dio verso i Giudei; segue la storia meravigliosa di questo popolo scelto e appartato, «nazione potente che calpesta tutto» (Isaia 18:2; Esodo 33:16; Deuteronomio 4:6-8); vede troni e imperi capovolti, nazioni scrollate fino dalle fondamenta; ogni cosa e ogni uomo costretto a cedere, perché la supremazia di questo popolo nel quale l’Eterno ha messo la sua affezione, sia stabilita. «Ora riconosco — dice il Gentile — che l’Eterno è più grande di tutti gli dei; tale s’è mostrato, quando gli Egiziani hanno agito orgogliosamente» (v. 11); questa è la confessione del Gentile quando le pagine meravigliose della storia del popolo giudeo sono sfogliate dinanzi a lui.

Infine la Chiesa di Dio, rappresentata nel suo insieme da Sefora e, individualmente, nei membri che la compongono, dai figli di Sefora, appare unita nella relazione più intima col Liberatore. Se si domanda la prova di tutto questo, l’apostolo risponde: «Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi quello che dico» (1 Corinzi 10:15). Non si può fondare una dottrina su una figura; però, quando la dottrina è rivelata, si può con esattezza discernere la figura e studiarla con profitto. In ogni modo ci vuole del discernimento spirituale sia per capire la dottrina che per discernere il «tipo». «Or l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio perché gli sono pazzia; e non le può conoscere perché le si giudicano spiritualmente» (1 Corinzi 2:14).

Dal v. 13 alla fine, la Scrittura ci parla della nomina dei capi che dovevano assistere Mosè nell’amministrazione delle questioni della raunanza. Questo avvenne dietro consiglio di Jethro che temeva che Mosè si esaurisse per questo incarico così gravoso, ed è utile fare un parallelo fra questo episodio e l’elezione dei settanta uomini, menzionati nei Numeri, quando vediamo Mosè sopraffatto dal peso della responsabilità e che esprime l’angoscia della sua anima dicendo all’Eterno: «Perché hai trattato così male il tuo servo? perché non ho io trovato grazia agli occhi tuoi, che tu m’abbia messo addosso il carico di tutto questo popolo? L’ho forse concepito io tutto questo popolo? o l’ho forse dato alla luce io, che tu mi dica: Portalo sul tuo seno, come il ballo che porta il bimbo lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? Donde avrei io della carne da dare a tutto questo popolo? Poiché piagnucola dietro a me, dicendo: Dacci da mangiare della carne! Io non posso, da me solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me. E se mi vuoi trattare così, uccidimi, ti prego; uccidimi se ho trovato grazia agli occhi tuoi; e ch’io non vegga la mia sventura» (Numeri 11:11-15).

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È evidente che Mosè, qui, si ritira da un posto d’onore. Se Dio trovava buono fare di lui l’unico strumento per governare il suo popolo, non significava forse ricolmarlo di onore e di favore? È vero, la responsabilità era immensa, ma la fede avrebbe dovuto riconoscere che Dio era sufficiente a ogni cosa. Ma Mosè perde coraggio (per quanto fosse un grande servitore) e dice: «Io non posso, da me solo, portare tutto questo popolo. È un peso troppo grave per me». Per Dio non era troppo grave, ed era Lui a portarlo; Mosè era solo uno strumento. Poteva egli dire che fosse il suo bastone a portare il popolo? Ebbene, lui nelle mani di Dio, era come il bastone nelle sue mani. In questo i servitori di Dio cadono continuamente e in un modo tanto più funesto in quanto riveste un’apparenza di umiltà. Indietreggiare di fronte a una grande responsabilità sembra sfiducia di se stesso e umiltà di spirito. Ma una sola cosa dobbiamo sapere: è Dio che ci ha posti sotto questa responsabilità? Se è così, Dio certamente sarà con noi per aiutarci a portarla; e, con lui, possiamo sopportare ogni cosa. Con lui il peso di una montagna non è nulla; ma, senza di lui, il peso di una piuma ci schiaccia. Se un uomo, nella vanità dei suoi pensieri, si fa avanti, prende su di sé un carico che Dio non gli ha dato e intraprende un’opera per la quale Dio non lo ha qualificato, possiamo aspettarci di vederlo soccombere sotto un tale peso; ma se è Dio che pone un fardello su un uomo, Dio stesso lo fortificherà e lo renderà capace di portarlo.

Lasciare un posto assegnatoci da Dio non è mai frutto di umiltà; anzi, l’umiltà più profonda si mostrerà restando in questo posto in una semplice dipendenza da Dio. È una prova evidente che siamo occupati di noi stessi quando indietreggiamo davanti al servizio col pretesto di essere incapaci. Dio non ci chiama a servire sul fondamento della nostra capacità, ma della sua; di conseguenza, a meno ch’io sia occupato esclusivamente di me o pieno di sfiducia verso Dio, non devo abbandonare una posizione di servizio o di testimonianza a causa della responsabilità che s’accompagna. Ogni potere appartiene a Dio e, sia che questa potenza operi per mezzo di uno o di settanta agenti, poco importa; essa non cambia. Ma se l’agente rifiuta l’incarico che gli è affidato, se ne troverà male. Dio non vuole costringere nessuno a occupare un posto d’onore, se non si è capaci a confidare in Lui per essere sostenuti. La via ci è sempre aperta per abbandonare la nostra alta posizione e prendere quella che una misera incredulità vorrebbe darci.

È ciò che avvenne a Mosè: si lamentò del carico che doveva portare e immediatamente gli fu tolto; ma, col carico, perse l’insigne onore di portarlo. «E l’Eterno disse a Mosè: Radunami settanta uomini degli anziani di Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come aventi autorità sovr’esso; conducili alla tenda di convegno e vi si presentino con te. Io scenderò e parlerò quivi teco; prenderò dello spirito che è su te e lo metterò su loro perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo» (Numeri 11:16-17). Non è introdotta alcuna potenza nuova; in un solo uomo come in settanta c’era il medesimo Spirito. Settanta uomini non avevano più valore d’uno solo, né più merito. «È lo Spirito quel che vivifica; la carne non giova nulla» (Giovanni 6:63). Questo atto di Mosè non gli fece guadagnare niente in potenza; gli fece perdere invece molto in gloria.

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21/04/2011 20:01
 
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Nell’ultima parte di questo capitolo dei Numeri, Mosè proferisce parole di incredulità che gli attirano un severo rimprovero da parte dell’Eterno. «La mano dell’Eterno è forse raccorciata? Ora vedrai se la parola che t’ho detta s’adempia o no» (v. 23). Se si fa un confronto tra i versetti 11 a 15 e 22 a 23 si nota un evidente e solenne rapporto. Colui che indietreggia per debolezza, davanti alla responsabilità, corre il pericolo di mettere in dubbio la pienezza e la sufficienza delle risorse di Dio.

Tutta questa scena è un prezioso insegnamento per il servitore di Dio che sarebbe tentato di sentirsi solo e sovraccarico di lavoro. Si ricordi che, dove è un solo Spirito a operare, uno strumento solo è tanto efficace quanto settanta; e che dove Dio non opera, settanta non valgono più d’uno solo. Tutto dipende dalla energia dello Spirito Santo. Con Lui un solo uomo può fare lutto, sopportare tutto; senza Lui settanta uomini non possono fare niente. Se lo ricordi il servitore isolato, per la consolazione e l’incoraggiamento del suo cuore afflitto; se con lui c’è la presenza e la potenza dello Spirito Santo, non ha da lamentarsi del suo lavoro né da desiderare d’esserne alleggerito. Se Dio onora un uomo dandogli molto da fare, che quest’uomo si rallegri e non si lamenti; se si lamenta può perdere subito quell’onore. Non è un imbarazzo per Dio il trovare degli strumenti. Avrebbe potuto, dalle pietre, far nascere dei figliuoli d’Abrahamo, e, dalle stesse pietre, può suscitare gli agenti necessari per compiere la Sua opera gloriosa.

Ah! Come il nostro cuore è poco disposto a servirlo! Quanto poco siamo pazienti, umili, devoti, sgombri di noi stessi! Un cuore pronto a servirlo con altri, e pronto a servirlo da solo; quanto poco il nostro cuore è ripieno d’amore per Cristo, da trovare la propria gioia, la più vera, nel servire Dio in qualsiasi sfera e qualunque sia il carattere di questo servizio! È di questo, certo, che abbiamo bisogno particolarmente nei giorni in cui viviamo. Che lo Spirito Santo ravvivi nei nostri cuori un sentimento più profondo dell’eccellenza e del valore del nome di Gesù, e ci dia di poter rispondere in modo più completo e più potente all’immutabile amore del suo cuore!

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