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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro dell’ESODO

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2011 20:10
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21/04/2011 20:09
 
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CAPITOLI DA 21 A 23
Capitoli da 21 a 23
Lo studio di questa parte del libro dell’Esodo riempie il cuore d’ammirazione di fronte all’insondabile saggezza e alla bontà infinita di Dio. Siamo resi capaci di farci un’idea di un regno diretto da leggi stabilite da Dio e, nello stesso tempo, impariamo a vedere la meravigliosa condiscendenza di colui che, pur essendo il grande Dio del cielo e della terra, può tuttavia abbassarsi fino a giudicare tra uomo e uomo perfino il caso della morte di un bue (22:10), del prestito di un vestito (v. 26) o della perdita d’un dente di un servo (21:27). Chi è pari all’Eterno, Iddio nostro, che si abbassa per guardare dai cieli sulla terra? Egli governa l’universo e si occupa del vestito di una delle sue creature; guida il volo dell’aquila e si interessa di un piccolo verme che striscia; si abbassa per regolare i movimenti degli innumerevoli astri che ruotano nello spazio e per registrare la caduta di un passero!

Il carattere dei giudizi presentati nel cap. 21 racchiude per noi un doppio insegnamento. Questi giudizi e questi ordinamenti recano una doppia testimonianza, portano un doppio messaggio, presentano ai nostri occhi un quadro a due facce. Ci parlano di Dio e dell’uomo.

Dapprima, quanto all’uomo, lo vediamo decretare leggi di stretta, imparziale, perfetta giustizia. «Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione» (vers. 24-25). Era quello il carattere delle leggi, degli statuti e dei giudizi coi quali Dio governava Israele, suo regno terrestre. Aveva provveduto a tutto; a ciascuno, in ogni cosa, faceva giustizia; non c’era parzialità né preferenza per uno piuttosto che per un altro, nessuna distinzione tra ricco e povero. La bilancia con la quale erano pesati i diritti di ogni uomo era regolata con esattezza divina, di modo che nessuno poteva lamentarsi della sua decisione se non a torto. Il vestito immacolato della giustizia non poteva essere sporcato da seduzione, corruzione, parzialità. L’occhio e la mano del divino Legislatore si occupavano di tutto e l’Esecutore divino trattava ogni colpevole con inflessibile rigore. L’arma della giustizia colpiva il capo del colpevole mentre ogni anima obbediente era mantenuta nel godimento di tutti i suoi diritti e di tutti i suoi privilegi.

Per quanto concerne l’uomo è impossibile considerare queste leggi senza essere colpiti dalla rivelazione indiretta, ma reale, che esse racchiudono circa la terribile depravazione della sua natura. Il fatto che l’Eterno abbia dovuto promulgare leggi contro certi delitti e certi peccati dimostra che l’uomo era capace di commetterli; se queste non fossero state possibili e la tendenza verso questi crimini non fosse esistita nell’uomo, le leggi non sarebbero state necessarie. C’è un gran numero di persone che, all’udire grossolane abominazioni proibite in questi capitoli, sarebbero indotte a dire come Hazael: «Ma che cos’è mai il tuo servo, questo cane, per fare delle cose sì grandi?» (2 Re 8:13). Ma chi parla così non è ancora sceso negli abissi profondi del proprio cuore; poiché, sebbene alcuni crimini, proibiti qui, sembrino porre l’uomo, quanto alle sue abitudini e alle sue inclinazioni, al di sotto del livello di un cane, gli stessi statuti comprovano in modo incontestabile che l’uomo, anche il più colto, porta con sé il germe delle più tenebrose e spaventevoli abominazioni. Per chi furono date queste leggi? Per l’uomo. Erano necessarie? Indubbiamente. Sarebbero state superflue se l’uomo fosse incapace a commettere i peccati ai quali si riferiscono. Ma l’uomo è capace di tutte queste cose; così vediamo che è caduto in basso, che la sua natura si è totalmente corrotta che, dalla testa alla pianta dei piedi, non c’è nulla di retto in lui (Isaia 1; Romani 3:9-18).



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Come potrà, un uomo simile, rimanere senza paura nella luce del trono di Dio? Come potrà sussistere nei luoghi santi o restare in piedi sul mare di cristallo? Come potrà entrare nella santa Gerusalemme per le porte di perle e camminare sulla strada d’oro puro? (Apocalisse 4:6; 21:21). La risposta a queste domande rivela le meraviglie dell’amore che ci ha salvati e la potenza eterna del sangue dell’Agnello. Per grande che sia la caduta dell’uomo, l’amore di Dio lo è ancora di più; per nero che sia il suo crimine, il sangue di Gesù Cristo può completamente cancellarlo; per quanto largo sia l’abisso che separa l’uomo da Dio, la croce vi ha tracciato un sentiero. Dio è sceso fino al peccatore per elevarlo a un favore infinito, in un’unione eterna col proprio Figlio. Possiamo ben esclamare: «Vedete di quale amore ci è stato largo il Padre dandoci d’esser chiamati figliuoli di Dio» (1 Giovanni 3:1). Solo l’amore di Dio poteva sondare la miseria dell’uomo e solo il sangue di Cristo poteva sorpassare la sua colpevolezza. Ma ora, la profondità stessa della rovina dell’uomo magnifica l’amore che l’ha sondata e l’immensità del crimine commesso celebra la potenza del sangue che può cancellarlo. Il più vile peccatore che crede in Gesù può rallegrarsi nella certezza che Dio lo vede e lo dichiara «tutto quanto netto» (Giovanni 13:10).

Questo è dunque il duplice insegnamento che si può trarre da quelle leggi e ordinamenti quando sono considerati nel loro insieme; e più li esamineremo nei particolari, più ne apprezzeremo la perfezione e la bellezza. Prendiamo per esempio la prima di queste ordinanze, quella che si riferisce al servo ebreo: «Se compri un servo ebreo, egli ti servirà per sei anni; ma il settimo se ne andrà libero senza pagar nulla. Se è venuto solo se ne andrà solo; se aveva moglie, la moglie se ne andrà con lui. Se il suo padrone gli dà moglie e questa gli partorisce figliuoli e figliuole, la moglie e i figliuoli di lei saranno del padrone, ed egli se ne andrà solo. Ma se il servo fa questa dichiarazione: Io amo il mio padrone, mia moglie e i miei figliuoli; io non voglio andarmene libero, allora il suo padrone lo farà comparire davanti a Dio e lo farà accostare alla porta e allo stipite, e il suo padrone gli forerà l’orecchio con una lesina, ed egli lo servirà per sempre» (cap. 21:2-6). Il servo era perfettamente libero, per quanto lo concerneva personalmente. Aveva fatto tutto ciò che si poteva esigere da lui; poteva dunque andarsene dove gli pareva bene, in una libertà incontestata; ma per affetto per il suo padrone, la sua moglie o i suoi figliuoli, poteva sottomettersi volontariamente a una schiavitù perpetua; non solo, ma poteva, se lo voleva, portare nel suo corpo i segni di questa schiavitù.

Il lettore intelligente capirà subito che tutto ciò si riferisce al Signore Gesù. In lui vediamo Colui che era nel seno del Padre, prima che i mondi fossero, oggetto eterno delle sue delizie, e che avrebbe potuto, per sempre, occupare questo posto che era il suo, personale, e che nulla lo costringeva a lasciare, se non quest’obbligo creato e ispirato da un amore ineffabile. Ma era tale il suo amore per il Padre (ed erano in gioco i suoi disegni e la sua gloria) e tale il suo amore per la Chiesa e per i membri d’essa ch’Egli voleva salvare, che discese volontariamente in terra, annientando se stesso fino a prendere la forma di uno schiavo e i segni di una perpetua schiavitù, abbassando se stesso e facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte della croce. Il salmo 40:6 ci presenta Cristo in questa posizione di obbedienza: «Tu m’hai forato le orecchie», parole interpretate in Ebrei 10:5 con questa espressione: «M’hai preparato un corpo». Il salmo 40 è l’espressione della devozione di Cristo a Dio per fare la sua volontà: «Allora ho detto: Eccomi, vengo! Sta scritto di me nel rotolo del libro. Dio mio, io prendo piacere a far la tua volontà e la tua legge è dentro al mio cuore» (vv. 7 e 8). È venuto per fare la volontà di Dio, qualunque essa fosse. Non ha fatto mai la propria volontà, nemmeno quando chiamava a sé e salvava i peccatori, sebbene in quest’opera gloriosa il suo cuore e tutte le sue affezioni fossero in piena attività Tuttavia, se riceve e salva, lo fa come servo dei consigli del Padre: «Tutto quello che il Padre mi dà verrà a me; e colui che viene a me io non lo caccerò fuori; perché son disceso dal cielo per fare non la mia volontà ma la volontà di Colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di Colui che mi ha mandato, ch’io non perda nulla di tutto quello ch’Egli m’ha dato ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Giovanni 6:37-39; Matteo 20:23).

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La posizione di servo che il Signore Gesù prende ci è qui presentata in modo molto interessante. In una grazia perfetta, egli si considera responsabile di ricevere tutti coloro che entrano nei consigli di Dio; e non solo li riceve, ma li guarda e li conserva fra le difficoltà del pellegrinaggio quaggiù e fra tutte le prove, anche al momento della morte, se deve venire per essi; e nell’ultimo giorno li risuscita. In quale perfetta sicurezza si trova il più debole membro della Chiesa di Dio! Esso è l’oggetto dei consigli eterni di Dio e Gesù è il garante del loro compimento. Gesù ama il Padre, e l’intensità di questo amore è la misura della sicurezza di ogni membro della famiglia dei riscattati. La salvezza del peccatore che crede nel nome del Figlio di Dio è, in un certo senso, l’espressione dell’amore di Cristo per il Padre. Se uno solo di coloro che credono nel nome del Figlio di Dio potesse perire, per un motivo qualsiasi, ciò significherebbe che il Signore Gesù è stato incapace di compiere la volontà di Dio, il che sarebbe una bestemmia contro il suo santo nome, al quale sia onore e maestà nei secoli dei secoli.

Abbiamo dunque, nel servo ebreo, una figura di Cristo nella sua perfetta devozione al Padre. Ma c’è di più: «Io amo mia moglie e i miei figliuoli». «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, affin di santificarla, dopo averla purificata col lavacro dell’acqua mediante la Parola, affin di far egli stesso comparire dinanzi a sé questa Chiesa, gloriosa, senza macchia, senza ruga o cosa alcuna simile, ma santa ed irreprensibile» (Efesini 5:25-27). Vi sono molti altri passi nella Scrittura che ci presentano Cristo come antitipo del servo ebreo, nel suo amore per la Chiesa come corpo e per ogni credente individualmente. Il lettore troverà uno speciale insegnamento su questo argomento nel cap. 13 di Matteo, nei cap. 10 e 13 di Giovanni e nel cap. 2 dell’epistola agli Ebrei.

La conoscenza di questo amore di Gesù non può far altro che produrre nei nostri cuori una devozione ardente per Lui, che ha potuto manifestare un amore così puro, così perfetto, così disinteressato. Come avrebbero potuto, la moglie e i figli del servo ebreo, non amare colui che, per non lasciarli, rinunciava volontariamente e per sempre alla sua libertà? Eppure cos’è l’amore di questa figura in confronto a quello che brilla nell’antitipo? «Amore che sorpassa ogni conoscenza» (Efesini 3:19). L’amore spinse Cristo a pensare a noi prima che i mondi fossero, a visitarci quando i tempi furono compiuti, a mettersi di sua propria volontà contro lo stipite della porta, a soffrire sulla croce per poterci elevare fino a sé per fare di noi i suoi compagni nel suo regno e nella sua gloria eterna.

Il voler fare qui una completa esposizione degli altri statuti contenuti in questi capitoli mi porterebbe troppo lontano (*). Dirò solo, terminando, che è impossibile leggere questi passi senza che il cuore sia riempito di adorazione davanti a questa profonda saggezza, questa perfetta giustizia, questi teneri sguardi che si mostrano ovunque; essi lasciano nell’anima la convinzione profonda che, chi ha parlato in questi capitoli, è il «solo vero Dio», l’Iddio «sol savio» e infinitamente misericordioso.

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(*) Voglio precisare che lo studio delle feste trattate al cap. 23:14-19 e delle offerte del cap. 29, verrà fatto quando mediteremo il libro del Levitico.
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Possano le nostre meditazioni sulla sua eterna Parola avere l’effetto di indurre le nostre anime ad adorare Colui le cui perfette vie e i cui gloriosi attributi brillano, in questa Parola, con tutto il loro splendore, per la gioia e l’edificazione del suo popolo riscattato!

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