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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro dell’ESODO

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2011 20:19
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21/04/2011 20:18
 
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CAPITOLO 27
Capitolo 27
Prima di entrare nei particolari dell’altare di rame e del cortile di cui questo capitolo ci occuperà, vorrei richiamare l’attenzione del lettore sull’ordine seguito dallo Spirito Santo in questa parte del libro dell’Esodo. Abbiamo già fatto notare che il passo compreso tra il v. 1 del cap. 25 e il v. 19 del cap. 27 forma una divisione distinta che ci dà la descrizione dell’arca e del propiziatorio, della tavola e del candeliere, delle coperte e dei teli, e, infine, dell’altare di rame e del cortile dove questo era posto. Leggendo il v. 15 del capitolo 35, il v. 25 del capitolo 37 e il v. 26 del capitolo 40, si vede che in ogni passo è fatta menzione dell’altare d’oro del profumo, tra il candeliere e l’altare di rame; mentre quando l’Eterno dà istruzioni a Mosè, l’altare di rame è introdotto subito dopo il candeliere e le coperture del tabernacolo. Ci dev’essere, per questa differenza, un motivo divino che vale la pena ricercare.

Perché quando l’Eterno dà istruzioni sulla sistemazione e gli utensili del «luogo santo» omette l’altare dei profumi per passare immediatamente all’altare di rame che era all’ingresso del tabernacolo? Ecco quale credo sia il pensiero di Dio su questo soggetto. Egli descrive dapprima il modo con cui egli stesso si sarebbe manifestato all’uomo; poi ci insegna in qual modo l’uomo deve avvicinarsi a Lui. Prende posto sul trono, come il «Signore di tutta la terra» (Giosuè 3:11); i raggi della sua gloria erano nascosti dietro la cortina, figura della carne di Cristo (Ebrei 10:20); ma, fuori della cortina, c’era la manifestazione di lui stesso, legato all’umanità nella «tavola e nei pani della presentazione», e con la luce e la potenza dello Spirito Santo, nel candeliere. Viene poi il carattere di Cristo come uomo sceso sulla terra, rappresentato nei teli e nelle coperture del tabernacolo; e infine l’altare di rame, emblema del luogo dove si incontrano un Dio santo e un uomo peccatore. Arriviamo così al punto estremo da dove ritorniamo verso il luogo santo, con Aaronne e i suoi figli che avevano il loro posto abituale come sacerdoti là dov’era l’altare d’oro dei profumi. Un tale ordine è di una grande bellezza e merita la nostra seria attenzione. Non è parlato dell’altare d’oro prima che ci sia un sacerdote per bruciarvi l’incenso, poiché l’Eterno mostra a Mosè le immagini delle cose che sono nei cieli secondo l’ordine nel quale queste cose devono essere afferrate per la fede. D’altro lato, quando Mosè dà ordini alla congregazione (cap. 35), quando racconta i lavori di «Betsaleel e Oholiab» (cap. 37 e 38), e quando erige il tabernacolo (cap. 40), segue semplicemente l’ordine nel quale gli utensili erano realmente posti.

Passiamo ora all’altare di rame. Era il luogo in cui il peccatore s’avvicinava a Dio, nella potenza e in virtù del sangue dell’espiazione. Era posto all’ingresso del tabernacolo e su di esso veniva sparso tutto il sangue dei sacrifici. Era fatto di legno d’acacia e di rame, dello stesso legno usato per l’altare d’oro dei profumi; ma il metallo era differente. La ragione è chiara. L’altare di rame era il luogo in cui Dio aveva a che fare col peccato secondo il giudizio che portava su di esso. L’altare d’oro era il luogo in cui il profumo prezioso di tutto ciò che v’era di eccellente in Cristo saliva fino al trono di Dio. Il legno d’acacia, come figura dell’umanità di Cristo, doveva esservi nell’uno e nell’altro; ma nell’altare di rame Cristo incontra il fuoco della giustizia divina; nell’altare d’oro nutre le affezioni di Dio. Nel primo di questi altari si esaurì il fuoco della collera divina, nel secondo è acceso quello del culto sacerdotale. L’anima gode nel trovare Cristo nell’uno e nell’altro; ma l’altare di rame è quello che risponde ai bisogni d’una coscienza colpevole, la prima cosa di cui ha bisogno un peccatore senza forza, miserabile, convinto di peccato. La coscienza non può godere di una pace stabile e solida prima che l’occhio della fede riposi su Cristo, di cui l’altare di rame è una figura. Bisogna che io veda il mio peccato ridotto in cenere dal fuoco di questo altare prima di poter godere la pace della coscienza alla presenza di Dio. Quando so, per fede alla testimonianza di Dio, ch’Egli stesso ha giudicato in Cristo il mio peccato, all’altare di rame, che ha soddisfatto, egli stesso, a tutte le esigenze della sua gloria, che ha tolto il mio peccato per sempre dalla sua presenza, allora, ma solo allora, posso godere una pace divina ed eterna.

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Farò qui una nota sul significato dell’oro e del rame negli utensili del tabernacolo. L’oro è il simbolo della giustizia divina o della natura divina «nell’uomo Cristo Gesù». Il rame è il simbolo della giustizia che richiede il giudizio del peccato, come nell’altare di rame; o il giudizio dell’impurità come nella conca di rame (cap. 30:18). Questo spiega perché dentro la tenda del tabernacolo tutto era d’oro: l’arca, il propiziatorio, la tavola, il candeliere, l’altare dei profumi; quelle cose erano il simbolo della natura divina, dell’eccellenza personale inerente al Signore Gesù. Dall’altro lato, fuori della tenda del tabernacolo, tutto era di rame, l’altare e i suoi utensili, la conca e il suo basamento. Bisogna che le esigenze della giustizia, riguardo il peccato e la contaminazione, siano divinamente soddisfatte prima che si possa godere, in qualche modo, dei preziosi misteri della persona di Cristo, come ci sono rivelati nell’interno del santuario di Dio. Quando vedo ogni impurità e ogni peccato perfettamente giudicati e lavati, posso, come sacerdote, avvicinarmi e adorare nel luogo santo e godere della piena manifestazione della bellezza e della perfezione del Dio-uomo, Gesù Cristo.

Ne avrà profitto il lettore che applicherà questa linea di pensiero a tutti i dettagli, non solo nello studio del tabernacolo e del tempio, ma anche nello studio di molti altri passi della Parola. Così, per esempio, nel cap. 1 dell’Apocalisse, Cristo appare con una cintura d’oro al petto e coi piedi simili a rame terso, arroventato in una fornace. La «cintura d’oro» è il simbolo della giustizia intrinseca; i piedi come «terso rame» esprimono il giudizio inflessibile del male: Dio non può tollerare il male, deve schiacciarlo sotto i suoi piedi.

Tale è il Cristo col quale abbiamo a che fare. Egli giudica il peccato ma salva il peccatore. La fede vede il peccato ridotto in cenere all’altare di rame; vede ogni impurità lavata alla conca di rame; infine gode di Cristo così com’è rivelato, nel segreto della presenza divina, per mezzo della luce e della potenza dello Spirito Santo. Lo trova all’altare d’oro, in tutto il valore della sua intercessione; si nutre di lui alla tavola d’oro; lo riconosce nell’arca e nel propiziatorio come colui che risponde a tutte le esigenze della giustizia e, nello stesso tempo, a tutti i bisogni dell’uomo; lo contempla nel velo e nella tenda con tutte le loro figure mistiche. Legge ovunque il suo nome glorioso. Come i nostri cuori dovrebbero apprezzare e lodare un Cristo così prezioso e incomparabile!

Nulla ha un’importanza tanto vitale quanto la chiara comprensione della dottrina di cui l’altare di rame è la tipica espressione. La mancanza di una chiara visione a questo riguardo fa sì che molte anime passino la loro vita nella tristezza. La questione della loro colpevolezza non è, per esse, mai stata chiaramente regolata all’altare di rame; non hanno mai realizzato, per fede, che Dio stesso ha risolto alla croce tutto il problema dei loro peccati. Cercano la pace per la loro coscienza turbata, nella rigenerazione e nel manifestarsi di questa rigenerazione, nei frutti dello Spirito, nelle loro disposizioni, nei loro sentimenti, nelle loro esperienze; cose in se stesse eccellenti e preziose, ma che non sono il fondamento della pace. Ciò che riempie l’anima di una perfetta pace è la conoscenza di ciò che Dio ha fatto all’altare di rame. Le ceneri sull’altare mi insegnano la buona novella che «tutto è compito». I peccati del credente sono stati tutti cancellati dalla mano dell’amore redentore. «Colui che non ha conosciuto peccato, Dio l’ha fatto esser peccato per noi affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui» (2 Corinzi 5:21). Ogni peccato deve essere giudicato, ma il peccato del credente è già stato giudicato alla croce per cui egli è perfettamente giustificato. Immaginare che possa esservi ancora qualcosa contro al credente, al più debole credente, è negare tutta l’opera della croce. I suoi peccati e le sue iniquità sono stati tolti da Dio stesso; per questo sono completamente cancellati, sono scomparsi nel sangue versato dell’Agnello di Dio.

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Cari fratelli in Cristo, sia il vostro cuore perfettamente fermo nella pace che Gesù ha fatto «mediante il sangue della croce d’esso» (Colossesi 1:20).

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