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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro dell’ESODO

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2011 20:32
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CAPITOLI 33 E 34
Capitoli 33 e 34
L’Eterno rifiuta di accompagnare Israele nel paese della promessa. «Io non salirò in mezzo a te perché sei un popolo di collo duro, ond’io non abbia a sterminarti per via» (v. 3). Al principio di questo libro, aveva detto: «Ho veduto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi angariatori; poiché conosco i suoi affanni» (cap. 3:7); ma ora dice: «Voi siete un popolo di collo duro». Un popolo afflitto è un oggetto di grazia, ma un popolo di collo duro deve essere umiliato. Il grido di Israele oppresso aveva avuto, come risposta, una manifestazione della grazia; ma bisogna che il canto dell’Israele idolatra incontri una voce di severo rimprovero.

«Voi siete un popolo di collo duro; se io salissi per un momento solo in mezzo a te io ti consumerei! Or dunque, togliti i tuoi ornamenti, e vedrò com’io ti debba trattare» (v. 5). Solo quando siamo veramente spogli di tutti gli ornamenti della natura umana, Dio può intervenire in nostro favore. Un peccatore nudo può essere rivestito; ma un peccatore coperto di ornamenti deve esserne spogliato, prima di poter essere rivestito di ciò che appartiene a Dio.

«E i figliuoli di Israele si spogliarono dei loro ornamenti dalla partenza dal monte Horeb in poi» (v. 6). Erano ai piedi di quel memorabile monte. Le loro feste e i loro canti avevano ceduto il posto ad amari lamenti; erano spogli dei loro ornamenti; le tavole della legge in frantumi. Era la loro condizione e Mosè, immediatamente, agisce in conseguenza. Non poteva più riconoscere il popolo come un corpo. L’assemblea si era interamente contaminata, facendosi un idolo di proprio fabbricazione al posto di Dio; un vitello al posto dell’Eterno. «E Mosè prese la tenda e la piantò per sé fuori del campo, a una certa distanza dal campo e la chiamò tenda di convegno». Il campo, dunque, non è più riconosciuto come il luogo della presenza di Dio. Dio non era più là, e non poteva più trovarsi là perché era stato sostituito da un’invenzione umana. Di conseguenza venne formato un nuovo centro di radunamento. «E chiunque cercava l’Eterno usciva verso la tenda di convegno» (v. 7).

Questo racchiude una verità preziosa. Il posto che Cristo occupa ora è fuori del campo (Ebrei 13:13). Ci vuole una grande sottomissione alla parola di Dio per sapere esattamente cosa è «il campo» e molta energia spirituale per uscirne e più ancora per potere, quando ce ne siamo allontanati, agire verso quelli che sono nel campo nella potenza combinata della santità e della grazia; santità che separa dalla contaminazione del campo e grazia che ci rende capaci di agire in favore di coloro che rimangono dentro il campo.

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«Or l’Eterno parlava con Mosè faccia a faccia come un uomo parla col proprio amico; poi Mosè tornava al campo; ma Giosuè, figlio di Nun, suo giovane ministro, non si dipartiva dalla tenda» (v. 11). Mosè dimostra di avere, rispetto a Giosuè, un livello più elevato di energia spirituale. È più facile separarsi che agire, come bisogna, verso quelli che sono nel campo. «E Mosè disse all’Eterno: Vedi, tu mi dici: Fa’ salire questo popolo! e non mi fai conoscere chi manderai meco; eppure hai detto: Io ti conosco personalmente ed anche hai trovato grazia agli occhi miei» (v. 12). Mosè supplica che la faccia di Dio lo accompagni come prova dell’aver trovato grazia ai suoi occhi. Se si fosse trattato solo di giustizia, l’Eterno non avrebbe potuto fare altro che consumare il popolo poiché è un popolo di «collo duro». Ma, poiché si tratta di grazia, in rapporto col mediatore il fatto stesso che sia un popolo di collo duro diviene un motivo di intercessione per chiedere la presenza dell’Eterno. «Deh, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo di collo duro; perdona la nostra iniquità e il nostro peccato e prendici come tuo possesso» (cap. 34:9). Tutto ciò è d’una bellezza commovente. «Un popolo di collo duro» aveva bisogno di una grazia illimitata e della inesauribile pazienza di Dio. Egli solo poteva sopportarlo.

«E l’Eterno disse: La mia presenza andrà teco e io ti darò riposo» (cap. 33:14). Che parte preziosa! Che benedetta speranza! La presenza di Dio con noi nella traversata del deserto e il riposo eterno alla fine! La grazia che risponde ai nostri bisogni presenti e la gloria quale nostra parte futura! I nostri cuori possono esclamare: «Ci basta, Signore!».

Nel cap. 34 Dio dà le seconde tavole, non perché fossero rotte come le prime ma perché fossero nascoste nell’arca sulla quale doveva stabilirsi l’Eterno come Signore di tutta la terra in governo morale. «Mosè dunque tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò la mattina di buon’ora e salì sul monte Sinai, come l’Eterno gli aveva comandato, e prese in mano le due tavole di pietra. E l’Eterno discese nella nuvola, si fermò quivi con lui e proclamò il nome dell’Eterno. E l’Eterno passò davanti a lui e gridò: L’Eterno! L’Eterno! L’Iddio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che conserva la sua benignità fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione, il peccato ma non terrà il colpevole per innocente, e che punisce l’iniquità dei padri sopra i figliuoli e sopra i figliuoli dei figliuoli, fino alla terza e alla quarta generazione» (v. 4-7). Qui, dobbiamo ricordarlo, Dio è visto nel suo governo del mondo e non come si manifesta alla croce, come appare nella faccia di Gesù Cristo, come è proclamato nell’Evangelo della sua grazia. Dio, nel Vangelo, è dipinto con queste parole: «E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ha dato a noi il ministerio della riconciliazione. In quanto che Dio era in Cristo, riconciliando il mondo con sé, non imputando agli uomini i loro falli, ed ha posto in noi la parola della riconciliazione» (2 Corinzi 5:18-19). Le due espressioni «non tenere per innocente» e «non imputare» presentano due idee di Dio totalmente diverse; «punire le iniquità» e «toglierle» non è la stessa cosa. Nella prima è Dio che agisce nel suo governo; nella seconda è Dio che agisce nell’Evangelo. Nel capitolo 3 della seconda epistola ai Corinzi, l’apostolo mette in contrapposizione il ministero del capitolo 34 dell’Esodo, col «ministero» dell’Evangelo. Vale la pena di studiare questo capitolo con cura; chi considera il carattere di Dio, come fu rivelato a Mosè sul monte Horeb, come l’espressione del carattere che Dio riveste nel Vangelo, non può farsi che delle idee incomplete e inesatte. Nella creazione, come nel governo morale, non si potranno mai scoprire i profondi segreti del Padre. Il figliuolo prodigo avrebbe forse potuto trovar posto nelle braccia di Colui che si rivelò sul monte Sinai? Certamente no. Ma Dio si è rivelato, lui stesso, nella faccia di Gesù Cristo; ha rivelato tutti i suoi attributi, con una divina armonia nell’opera della croce. Là «la benignità e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate» (Salmo 85:10). Il peccato è completamente tolto e il peccatore che crede perfettamente giustificato «mediante il sangue della croce» (Colossesi 1:20).

Quando possiamo vedere Dio così rivelato, non abbiamo altro da fare che inchinarci fino a terra e adorare, come ha fatto Mosè (vers. 8); è l’attitudine di un peccatore perdonato e ricevuto alla presenza di Dio.

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