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CRISTIANI

Genesi 1-4: creazione, peccato e redenzione.

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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:06

    Genesi 1-4: creazione, peccato e redenzione. Meditazioni della prof.ssa Bruna Costacurta

    Il testo che mettiamo a disposizione on-line è una sbobinatura delle meditazioni che la prof.ssa Bruna Costacurta ha tenuto nei giorni 13-15 ottobre 2006, presso il monastero di santa Scolastica delle benedettine di Civitella San Paolo. Non è stato da lei rivisto e mantiene le caratteristiche del linguaggio parlato, proprio degli incontri di quei giorni. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di rendere più facile la lettura on-line.

    http://www.gliscritti.it/approf/2007/conferenze/costacurta01.htm




    Il Centro culturale Gli scritti (25.01.2007)


    Indice

    • Una introduzione
    • Genesi 1
    • Genesi 2
    • Genesi 3
    • Genesi 4
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:07

    Una introduzione

    Durante questi giorni noi leggeremo i primi capitoli della Bibbia. Siamo davanti a dei testi che sono diversi da qualunque altro testo scritto, siamo davanti alle Scritture Sante. La Bibbia è Parola di Dio in parole degli uomini. La Parola di Dio, che è una parola eterna, assoluta, non relativizzabile, unica, immutabile, si fa parole umane. Che non sono eterne affatto, che non sono uniche perché ne esistono molteplici, che sono condizionate. Dunque nella Scrittura c’è come una sorta di incarnazione della Parola di Dio nelle parole umane. Utilizzo il termine incarnazione ovviamente in senso analogico, non parlo di incarnazione in senso tecnico, però avviene qui qualcosa di analogo a quello che è avvenuto con l’incarnazione.
    Peraltro, questo l’ha detto in modo molto esplicito la Dei Verbum, il documento conciliare, che dice:
    Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini (DV13).
    Quindi vedete, il rapporto è evidente. C’è questo farsi carne, se volete, farsi parole umane della Parola analogamente a come il Verbo si è fatto carne facendosi simile agli uomini. Se è così voi capite che queste due dimensioni, Parola di Dio e parole di uomini, non si possono più staccare, sono ormai assolutamente inscindibili in questo testo. Possiamo continuare l’analogia: nel Signore Gesù è Dio e l’uomo, e non si può separare una realtà dall’altra, nel senso che c’è una vera fusione per cui, come si dice nella teologia, la persona è una. Le nature sono due, ma la persona è una.

    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:07
    C’è qualcosa di analogo nel nostro testo. Noi abbiamo un testo che è uno, dove
    però le parole sono contemporaneamente di Dio e degli uomini. Il compito di chi
    vuole capire questi testi, di chi vuole leggerli, di chi vuole pregarli, è
    tenere insieme queste due realtà, obbedendo alle due dimensioni, dunque in una
    prospettiva di fede che è assolutamente irrinunciabile. Non si può leggere il
    testo biblico, in quanto biblico, senza questa prospettiva di fede. Sempre la
    Dei Verbum esplicitò a suo tempo, quarant’anni fa, qualcosa di assolutamente
    importante, che ha rappresentato una svolta anche nella ricerca e nello studio
    dei testi biblici: il prendere sul serio la nozione dei generi
    letterari
    .

    Se ne è molto discusso prima del Concilio e poi la DV dice
    esplicitamente che bisogna tenere conto, leggendo la Bibbia, anche dei generi
    letterari. Questo adesso a noi sembra ovvio, a quei tempi non lo era. E’ chiaro
    che se io leggo un salmo, che è una preghiera in forma poetica, dunque una
    poesia ed una preghiera, istintivamente avrò un atteggiamento, un modo di
    leggerlo e di capirlo, diverso da quello che avrò nel leggere una pagina del
    Libro dei Re dove si racconta la storia di un re di Israele. Perché nel Libro
    dei Re si vuole raccontare una storia, mentre nel salmo non si vuole raccontare
    una storia, si vuole pregare in forma poetica
    . Un conto è leggere una
    lettera di S.Paolo, un conto leggere i primi capitoli del Libro della Genesi,
    inevitabilmente.

    Questo, che è così ovvio, andrebbe, in modo altrettanto
    ovvio, applicato alla Scrittura nella sua globalità. Nel senso che dentro la
    Scrittura ci sono tanti generi letterari, ma la Scrittura Santa è, se non un
    particolare genere letterario, perché quella di genere letterario è una nozione
    tecnica, un particolare genere di letteratura
    . Che è appunto questa cosa
    unica e particolare in cui abbiamo insieme la Parola di Dio e le parole degli
    uomini. Questo fa di questo libro un libro che è un genere a sé.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:08
    Allora, come noi rispettiamo i generi letterari, per cui un conto è leggere un
    Salmo, un conto è leggere il Libro dei Re, allo stesso modo, un conto è
    leggere la Bibbia, un conto leggere Omero
    . Un conto è leggere il testo
    biblico, un conto leggere un testo di letteratura, per quanto bello esso sia.
    Questo di solito è qualche cosa di ovvio che addirittura noi facciamo, quando
    siamo davanti ad un testo, in modo istintivo. Faccio sempre un esempio per farmi
    capire. Se io qui comincio a dire: “C’era una volta una bambina che aveva
    un bel vestitino con un cappuccio rosso, e la mamma le disse – vai a trovare la
    nonna nel bosco!”. Voi mi sentite raccontare o leggete una cosa del genere e
    capite immediatamente che è una favola (c’era una volta…), in particolare la
    favola di Cappuccetto rosso e quindi immediatamente vi mettete nella condizione
    di spirito e nell’atteggiamento conoscitivo di chi è davanti ad una favola, da
    cui ci si aspetta un insegnamento, una morale, non altre cose.

    Diverso
    è se voi invece aprite un testo di anatomia, di fisiologia
    . E’ chiaro che si
    tratta di un’altra cosa, non ti devono dire una morale, ti devono dire come è
    fatto lo stomaco di un cavallo. Istintivamente si assume un altro atteggiamento.
    Se io racconto la storia di Cappuccetto Rosso e qualcuno di voi alza la mano,
    dopo aver riflettuto, dopo aver molto pensato, e mi dice: “Devo fare una
    domanda; quando arriva il cacciatore, apre la pancia del lupo e Cappuccetto
    Rosso esce viva. Ma allora i lupi nello stomaco non hanno i succhi gastrici come
    gli altri animali, quindi le vittime non vengono decomposte? Hanno un sistema
    gastro-intestinale diverso?” Uno sente una domanda del genere e dice: forse
    pensare fa male, ci si ammala a pensare troppo! Vai al mare, fai un bagno e
    dimentichiamo tutto. Perché è chiaro che non c’entra niente.

    Se però io,
    invece, vi faccio una lezione di anatomia e vi spiego come sono fatti i canidi e
    quindi vi racconto come è fatto l’apparato gastrico di un cane, è chiaro che voi
    capite subito che io non ho nessuna morale da insegnare e a nessuno di voi viene
    in mente di alzare la mano e chiedere: “Allora forse nei tempi antichi i lupi
    avevano uno stomaco diverso, perché Cappuccetto Rosso esce viva! Forse durante
    la glaciazione si sono gelati anche i succhi gastrici dei lupi?”. Capite che non
    funziona?
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:08
    E’ come quando uno racconta una barzelletta. Se gli altri non capiscono che sta
    raccontando una barzelletta e lo prendono sul serio, quello si spara! Insomma,
    bisogna rispettare i generi letterari. Questo vuol dire che quando noi siamo
    davanti alla Bibbia dobbiamo rispettare questo suo genere di letteratura
    assolutamente particolare e non possiamo né assumere questo testo solo come
    libro di letteratura e studiarlo come studieremmo Omero, né possiamo leggerlo
    come se fosse solo Parola di Dio per cui tutto quello che c’è scritto è
    assolutamente vero, è successo tutto proprio come è scritto
    . Dio disse: “Sia
    la luce”, ed era di domenica quando è successo. No! Né l’una né l’altra, ma
    tutte e due insieme. Questo è il punto.

    Vuol dire che bisogna avere la
    pazienza di studiare questo testo come un’opera di letteratura. Dunque avere la
    pazienza di imparare la lingua o almeno di capire come funziona, stare attenti
    alle particolarità del testo - ci sono problemi di lessico, di sintassi,
    problemi testuali, particolarità stilistiche, tecniche di composizione
    particolari, che bisogna studiare e delle quali tenere conto. Bisogna sapere che
    questi testi, siccome sono testi di letteratura, nascono in determinati contesti
    storici e culturali e dunque sono condizionati da quei momenti storici e da quei
    contesti culturali. E dobbiamo sapere che sono contesti storici e culturali
    diversi dai nostri, e quindi non è vero che i nostri concetti corrispondono
    sempre a quelli.

    Quando la Bibbia parla di giustizia non parla della
    giustizia come la intendiamo noi. Bisogna avere la pazienza e il coraggio di
    capire come ne parla la Scrittura e quindi di cambiare il nostro modo di
    pensare. Sono inoltre testi che hanno subito un travaglio di formazione molto
    complicato e molto lungo, non sono stati scritti di getto. Hanno avuto prima una
    tradizione orale, poi sono stati messi per iscritto in modi diversi, poi sono
    stati raccolti, poi li hanno risistemati, hanno fatto delle aggiunte e bisogna
    tenere conto di tutto questo. Solo che questo non basta e fare solo questo
    vorrebbe dire trattare la Bibbia alla stregua di uno che leggendo Cappuccetto
    Rosso si pone il problema dei succhi gastrici. No! Perché questa mentre è parola
    di uomo è anche Parola di Dio.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:09
    E se è Parola di Dio vuol dire che questo è un libro che è nato dalla fede, che
    è stato scritto nella fede e che è stato donato e tramandato per la fede del
    popolo di Dio. Quindi non si può leggere la Bibbia in quanto Bibbia se non in
    una prospettiva di fede
    . Allora bisogna tenere conto della lingua, dei vari
    strati, delle formazioni compositive, ma per arrivare al messaggio religioso,
    alla comprensione spirituale, per lasciarsi istruire nella fede e dunque farsi
    domande che non siano sui succhi gastrici, ma che tocchino direttamente la
    dimensione della fede e quindi la nostra personale vita di fede. Solo così noi
    leggiamo la Bibbia come Bibbia, altrimenti la leggiamo come un’altra cosa.
    Romano Guardini ha espresso così il principio epistemologico della
    conoscenza: nessun oggetto di ricerca può essere ben compreso se non da un
    modo di conoscere adeguato al suo oggetto.


    Quindi nessun oggetto
    può essere capito se non si usa un percorso di comprensione o un modo di
    conoscere che non sia adeguato all’oggetto che si vuole capire. Se si usa un
    modo inadeguato all’oggetto non si capisce. Se questo oggetto non è solo parole
    di uomini e non è solo Parola di Dio, ma è Parola di Dio in parole di uomini,
    noi dobbiamo conoscerlo in un modo che sia adeguato a ciò che questo nostro
    oggetto di conoscenza è. Dunque indagare la dimensione storico-letteraria,
    studiare le particolarità lessicali, le ambientazioni culturali, ma sempre e
    inevitabilmente all’interno di un orizzonte di fede, un orizzonte credente e
    necessariamente in un atteggiamento orante
    . Da qui la necessità del
    silenzio, di un tempo di riflessione e di preghiera. Perché l’esegesi biblica,
    per essere davvero tale, deve essere accompagnata nella fede dalla preghiera e
    dall’obbedienza a questa parola che si studia. Dal desiderio orante di capire,
    ma di capire perché si è consapevoli che lì c’è in gioco il senso della nostra
    vita. E questo è vero per chi prende in mano la Bibbia per pregarla, ma è vero
    anche per chi prende in mano la Bibbia per studiarla. E se la studia senza
    pregarla, sta studiando un’altra cosa.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:09
    Parecchi anni fa venne presentato un documento della Pontificia Commissione
    Biblica, proprio sul modo di interpretare la Bibbia. E quando venne presentato
    questo documento il Papa fece un discorso molto bello. Disse tra
    l'altro:

    E’ necessario che lo stesso esegeta percepisca nei testi la
    parola divina e questo non gli è possibile se non nel caso in cui il suo lavoro
    intellettuale viene sostenuto da uno slancio di vita spirituale. In mancanza di
    questo sostegno la ricerca esegetica resta incompleta. Essa perde di vista la
    sua finalità principale e si confina in compiti
    secondari.


    Giovanni Paolo II qui non parla del credente che prende
    in mano la Bibbia in un giorno di ritiro, ma dell’esegeta
    . E’ una frase
    fortissima, ma è indubbiamente vera. Se serve un atto tecnico dell’analisi del
    testo, e serve perché se no non si capisce cosa il testo sta dicendo, questo
    atto tecnico però bisogna che in qualche modo cambi e assuma uno statuto diverso
    da quello che solitamente determina lo studio di altre realtà testuali.
    L’investigazione linguistica, storica, letteraria, tutto il lavorio
    dell’investigazione scientifica, che bisogna fare, e di cui io qui cercherò di
    dare i risultati, che è necessaria perché altrimenti non si capisce cosa c’è
    scritto nel testo, deve necessariamente aprirsi a delle valenze che la
    trascendono. Deve essere sostenuta da un atteggiamento di fede e di fede
    obbediente, deve diventare ricerca appassionata di Dio.
    Questo è quello che
    io spero possa succedere in questi giorni ed è l’ambito nel quale io mi muovo
    per leggere questi testi.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:10
    La Bibbia deve essere letta in una prospettiva esplicitamente di fede. Perché si
    può anche aprire la Bibbia dicendo: “Io la studio. Poi dopo farò anche le mie
    cose spirituali, ma ora voglio studiare la Bibbia dal punto di vista
    scientifico, e la fede non c’entra niente, perché la fede, per sua natura, non è
    scientifica”. Un discorso di questo tipo è assolutamente non scientifico. Perché
    cosa è scientifico? Studiare un testo rispettando ciò che è. E’ scientifico
    studiare Cappuccetto Rosso in modo diverso da come studio scientificamente un
    trattato di fisiologia dell’apparato digerente. Leggere o studiare la Bibbia
    mettendo da parte la fede, almeno momentaneamente, senza implicare
    esplicitamente la fede, questo non è scientifico
    . Perché se manca la fede tu
    non stai rispettando l’oggetto che studi e quindi non sei scientifico. Sembra un
    paradosso perché uno pensa che non sia scientifico nominare Dio, ma è proprio il
    contrario.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:11

    Genesi 1

    Genesi è un testo molto ricco dal punto di vista spirituale, teologico, antropologico, quindi non ci sarà il tempo per commentarlo versetto per versetto, ma vi darò alcune indicazioni che poi possono servire per la riflessione personale. Va subito chiarito quello che tutti sappiamo: ci troviamo, all’inizio della Bibbia, con due racconti di Creazione. Gen 1 con il racconto dei sette giorni, e Gen 2 con il giardino e l’uomo fatto dalla terra. Sono due racconti molto diversi. Il primo ha un andamento innico, molto solenne. Il secondo è più fabulistico, più condizionato anche da elementi mitologici che si ritrovano pure nelle culture circonvicine ad Israele, per esempio in Mesopotamia.
    Si potrebbe persino dire che sono due generi diversi. Gen 1 è piuttosto un racconto di creazione, mentre Gen 2 è un racconto di origine, perché è lì che si dà particolare rilievo alla creazione dell’uomo. Sta di fatto però che sia Gen 1 che Gen 2 raccontano, dicono, proclamano Dio come Creatore e dicono che tutto ciò che esiste è stato creato da Dio e che l’uomo, creatura ultima, definitiva, culmine di tutta la Creazione, è creato da Dio e posto in una relazione di dominio nei confronti del mondo. Vedremo che questo è il senso fondamentale che si ripete nei due racconti. In modo diverso i due testi dicono la stessa cosa: Dio è Creatore, il mondo è creato da Dio, il mondo creato da Dio è buono. L’uomo è creato da Dio, deve dominare la terra e anche l’uomo è buono.
    E’ significativo che gli autori, per dire questo, lo dicano due volte. E’significativo perché se loro, per dire la stessa realtà di Creazione, (insistendo soprattutto sulla dipendenza da Dio, perché è Lui il Signore e Creatore) la raccontano due volte, secondo due modalità completamente diverse, è evidentissimo che non intendevano dire che il modo con cui loro raccontano la Creazione è il modo con cui di fatto essa è avvenuta. Se loro avessero voluto intendere che uno, leggendo Gen 1, deve pensare che la Creazione è proprio avvenuta così, in sette giorni, non avrebbero messo subito dopo Gen 2, in cui invece si racconta che i sette giorni non c’entrano niente. E’ chiaro dunque che ci vogliono dire che non è la modalità della Creazione che a loro interessa, e non è quella da prendere come il modo con cui veramente è avvenuta. A loro non interessa nulla di dire il modo in cui è avvenuto, tanto è vero che raccontano due modi diversi.

    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:11
    Quello che interessa all’autore sacro, non è ricostruire i fatti della
    Creazione, non è fare una cronaca della Creazione, nel suo svolgersi temporale,
    ma indicare qual è il senso del Creato e dell’uomo e il senso quindi
    dell’essere dell’uomo in relazione con Dio che è il Creatore
    . Quindi noi
    leggiamo questi testi per andare a cercare il senso del mondo e dell’uomo in
    relazione con Dio. In Gen 1 a questo proposito è interessante vedere che
    modalità concettuali vengono utilizzate per parlare di Dio come Creatore e del
    mondo come Creato.

    Una prima modalità concettuale che utilizza il
    testo sacro è in riferimento al fatto che Dio come Creatore è qualcuno che
    fa, agisce, opera
    . Si dice che Dio fa il firmamento, che
    fa le due luci grandi, che fa le bestie selvatiche, che fa
    l’uomo, ecc. Si continua a dire che Dio fa. Si dice che Dio crea
    (un altro modo di agire). Crea il cielo e la terra, crea i mostri
    marini ecc. Si dice che Dio pone. Pone gli astri in cielo. Dio
    l’erba come cibo agli uomini e agli animali. Gen 1 presenta il creare
    di Dio come un fare da parte di Dio. Ora questi testi, siccome non ci
    vogliono dire come davvero è successo, ci vogliono piuttosto indicare il senso;
    questo è significativo.

    Tutta la Rivelazione biblica e l’esperienza che
    l’uomo fa all’interno del proprio esistere ci mostrano una fondamentale
    tendenza degli uomini a fare, con il rischio continuo di pensare di
    essere loro, coloro che veramente fanno. Dunque Gen 1 che insiste così tanto sul
    fare di Dio ha una forte intenzionalità anti-idolatrica, perché mette in guardia
    invece da quel fare dell’uomo che diventa idolatrico, perché uno crede di essere
    lui a fare, a costruire la propria esistenza, le sue cose ecc
    .
    Pedro
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    pedrodiaz
    Post: 5.293
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    00 02/09/2012 16:11
    Mette in guardia da questa tentazione idolatrica del fare, che non è solo
    quella di pensare di essere io che faccio, ma che addirittura si esplicita nel
    farsi poi gli idoli
    . E quindi nell’essere noi uomini che facciamo il nostro
    Dio, costruendo l’idolo, o facciamo, di noi stessi, Dio. E questo fare l’idolo -
    che attraversa tutta la Scrittura - è il problema fondamentale dell’uomo che
    continuamente si fa degli idoli. E non dobbiamo necessariamente pensare agli
    idoli intagliati nel legno o nella pietra, alle statuine, ma a certe concezioni
    del vivere, a certe dimensioni del vivere: il successo, la salute, la bellezza
    fisica, i soldi. Ma ancor più quel costruirci mentalmente il nostro Dio fatto
    a nostra immagine e somiglianza, per cui noi non solo facciamo del denaro o del
    successo un idolo, ma ci costruiamo una nostra immagine di Dio e in questo modo
    trasformiamo Dio in idolo
    .

    Perché quello non è più il Dio che crea
    l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma il Dio che l’uomo crea a propria
    immagine e somiglianza e dentro questa immagine cerca di ficcarci a forza Dio.
    Ma quello che può essere racchiuso dentro dei limiti, dei concetti, delle
    immagini, ovviamente non è più Dio, ma l’idolo. Gen 1 comincia subito a spazzare
    via questo e a dire: attenti, il vero fare è quello di Dio. E quando l’uomo,
    invece di fare in obbedienza a Dio e riconoscendo che chi davvero fa è Dio, si
    mette a fare lui, allora guardate che quello che succede è l’idolatria, il
    totale non senso
    .

    Sapete che esistono nella Bibbia due stesure, due
    tradizioni che raccontano del decalogo, una in Es 20, l’altra in Dt 5. Sono due
    testi assolutamente uguali, con delle piccole differenze. Una differenza è la
    motivazione del comando del sabato:

    Osserverai il sabato e quindi nel
    giorno di sabato non farai nessun lavoro, né te, né tuo figlio, né tua figlia,
    neppure il tuo schiavo e neppure i tuoi animali”.


    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:12
    Dt 5 dà questa motivazione: perché così tu ti ricordi che sei stato schiavo in
    Egitto. Dt dice che il sabato serve a fare memoria della liberazione dalla
    schiavitù che Dio ha operato nella tua vita. Tu, che sei stato liberato, devi
    diventare il liberatore
    . Tu, che sei stato liberato dalla schiavitù, nel
    giorno di sabato devi porre questo gesto simbolico fondamentale che è quello di
    liberare il tuo schiavo non facendolo lavorare il giorno di sabato. Pensate alle
    conseguenze se venisse applicato seriamente non semplicemente al sabato, ma come
    struttura di vita e di rapporti con gli altri.


    In Es 20 invece la
    motivazione è: perché per sei giorni Dio ha creato e il settimo giorno si è
    riposato. Dunque si fa riferimento proprio a Gen 1
    . Questo è particolarmente
    significativo a proposito della concezione del fare come prospettiva
    anti-idolatrica, perché connesso con il comando del sabato ci si dice: guarda
    che quello che davvero fa è Dio. Però tu anche sei chiamato a fare, quindi tu
    per sei giorni devi lavorare, ma il settimo giorno devi, attraverso quel
    non-fare, proclamare e testimoniare che l’unico che davvero fa è Dio, e non solo
    nel giorno di sabato quando tu non fai, ma anche negli altri giorni in cui tu
    fai
    . Ma il tuo fare, il tuo lavorare, il tuo creare (perché noi di fatto,
    interagendo con il mondo creiamo cose nuove, trasformiamo un albero in un
    tavolo) è un collaborare alla creazione di Dio, in obbedienza a Dio, in
    dipendenza da Dio, e nell’assoluta consapevolezza che chi davvero crea è Lui.
    Noi possiamo creare nella misura in cui creiamo insieme a Lui, e dunque
    secondo i suoi criteri, secondo il suo modo di pensare, in obbedienza a Lui.
    Abbiamo allora questo primo elemento; quando Dio crea, fa.
    Pedro
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    pedrodiaz
    Post: 5.293
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    00 02/09/2012 16:13
    Seconda modalità concettuale che viene utilizzata per dire che Dio è il
    Creatore: si dice che quando crea il mondo Dio separa le cose.
    Separa la luce dalle tenebre. Separa le acque che sono sopra il
    firmamento dalle acque che sono sotto il firmamento. Fa emergere la terra
    dal mare (quindi li separa). Poi si dice che ogni specie vegetale fa il seme
    secondo la sua specie. Quindi è tutto distinto, tutto separato. Anche gli
    animali generano ognuno secondo la sua specie. In altre parole si dice
    che la creazione è l’uscita dalla confusione, che infatti è il caos
    primordiale
    , quell’acqua su cui c’è il grande vento, o, se volete, lo
    Spirito che aleggia. Il caos, ciò che è informe, l’acqua in cui tutto è
    mescolato, la confusione.

    La creazione, dice Gen 1 è uscita dalla
    confusione. Perché Dio distingue e separa
    . Se questo è ovvio, ha però delle
    conseguenze serie a livello antropologico. E’ ovvio perché, per esempio, un
    foglio di carta per esistere deve essere distinto da un altro foglio. Non dico
    solo che un orologio deve essere distinto da un tavolo, ma che due orologi
    identici, per esistere, devono essere diversi, separati, perché sennò non ce ne
    sono due, ma uno solo. Un foglio di carta deve essere distinto da un altro,
    perché altrimenti uno dei due non c’è più. Questo è talmente ovvio che noi ce lo
    dimentichiamo, ma è assolutamente determinante dal punto di vista
    antropologico, perché vuol dire, e Gen 1 ci aiuta in questo, che l’uomo deve
    prendere coscienza che per esistere, deve accettare di essere diverso dagli
    altri e perciò deve accettare che gli altri siano diversi da
    .

    Perché se io non accetto la diversità dell’altro, io non esisto
    più, perché sono l’altro o l’altro è me. Ma perché io e l’altro possiamo
    esistere, e si possa entrare in dialogo e in comunione, bisogna necessariamente
    che siamo separati, diversi, e che questa diversità venga accettata e
    riconosciuta. Altrimenti è annullamento, plagio, non esistenza
    . Questo è
    vero nei confronti degli altri uomini con tutto ciò che questo comporta di
    accettazione della diversità, del non voler a tutti i costi che l’altro sia come
    vuoi tu e come decidi tu. Vuol dire nei rapporti di tipo genitoriale, sia
    secondo la carne che secondo lo spirito, accettare che tuo figlio sia diverso e
    quindi non pretendere che diventi ciò che tu avresti voluto essere, l’immagine
    che tu hai di te o che a tutti i costi vuoi avere di lui, perché lui è lui e tu
    sei tu.
    Pedro
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    pedrodiaz
    Post: 5.293
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    00 02/09/2012 16:13
    Vuol dire dunque capire che non c’è comunione possibile se non c’è anche
    assunzione di una qualche dimensione di solitudine. Perché dire che siamo
    diversi vuole anche dire che in qualche modo siamo soli
    . E che io solo posso
    fare certe esperienze. Se io mi ammalo, solo io sto male e quando muoio posso
    morire solo io. Se sono contenta sono io ad essere contenta. Certe cose si
    possono condividere, altre no, ma puoi condividere nella misura in cui sei
    soggetto e quindi in cui accetti anche una certa dimensione di solitudine. Che è
    ciò che permette la comunione. Perché se io non accetto di essere io e quindi
    non accetto anche la mia identità e la mia solitudine, non posso essere in
    comunione.

    Ma questo, che è vero nelle relazioni con gli uomini, è
    ancora più vero nella relazione con Dio
    . Gen 1, facendo il discorso della
    separazione, ci dice: attenti, non solo dovete accettare di essere diversi, ma
    dovete accogliere questa fondamentale, assoluta diversità fra voi e Dio. Bisogna
    che l’uomo accetti di essere diverso da Dio, di non essere Dio e che Dio è
    diverso dall’uomo e che quindi non è come tu vorresti che fosse. E c’è qui tutto
    il cammino della conversione che è un cammino immenso. E tutte le volte che
    noi usciamo da questa distinzione, tutte le volte che noi non accettiamo la
    nostra diversità e soprattutto la diversità di Dio, la Creazione ripiomba nella
    confusione, nel caos
    .

    E questo è assolutamente tipico del racconto di
    Genesi per il fatto che qui, in Gen 1, si dice che Dio separa, separa le acque
    di sopra da quelle di sotto. E quando invece il peccato - che è
    confusione
    , che è non accettare la diversità di Dio, l’obbedienza a Dio, la
    dipendenza, che è il voler fare come ti pare, il diventare tu Dio - raggiunge
    il culmine, che cosa succede? Le acque di sopra non rimangono più separate dalle
    acque di sotto: è il diluvio, il caos, la de-creazione
    . Il peccato fa
    ripiombare il mondo nel caos distruggendo la Creazione. Solo che Dio è più
    grande anche di questo e su quelle acque che ormai sono confuse, su quel grande
    caos che è il diluvio fa galleggiare l’arca di Noè. La vita continua, la fedeltà
    di Dio continua. Dio perdona.

    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:14
    Terza modalità concettuale importante che troviamo in Gen 1: il creare
    di Dio è fatto attraverso la parola. Non solo fare, non solo
    separare, ma anche parlare. Dio dice e le cose sono
    . “E
    Dio disse: Sia la luce! E la luce fu”. Per dieci volte in Gen 1 si
    dice: E Dio disse. E dieci è un numero significativo. Perché se queste
    sono le dieci parole della Creazione, immediatamente a chi legge vengono in
    mente le dieci parole del Decalogo
    . E il rapporto c’è. Perché come è
    attraverso le dieci parole di Dio che il mondo esiste, così è attraverso
    l’obbedienza alle dieci parole del decalogo che l’uomo può davvero esistere come
    uomo.

    Dio dice e le cose sono, poi Dio le chiama - altro parlare!
    E voi sapete che dare il nome alle cose è segno di potere, di signoria,
    di dominio sulle cose. Perché il nome, nella mentalità biblica, non è
    semplicemente un modo convenzionale con cui si indica una realtà, ma rivela il
    senso profondo di quella realtà. Per cui chiamare qualche cosa vuol dire che tu
    conosci il segreto di quella cosa
    , lo possiedi e dunque nel momento in cui
    tu dici come si chiama tu stai esercitando il tuo potere, perché tu sai come è e
    sei tu che gli dici come è.

    Per Dio questo è ancora più vero, perché
    il suo parlare fa, perché il suo è un parlare efficace
    . Non si tratta solo
    di nominare, di dire: “Questo è un bicchiere”. Nel momento in cui io dico:
    “questo è un bicchiere”, riconosco che questo è un bicchiere, ma se lo dice Dio,
    egli crea questo bicchiere dicendo come si chiama.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:14
    Dio dice, Dio chiama le cose e dà il nome. E Dio benedice. Ecco
    la grande parola definitiva della creazione di Dio, la benedizione, che compare
    solo negli ultimi tre giorni della creazione, cioè solo quando compare la
    vita
    . Compaiono i pesci, gli uccelli, gli animali e l’uomo. Quando comincia
    la vita lì allora c’è anche la benedizione. L’idea che loro avevano era che i
    vegetali non fossero vivi. Il vivente è per definizione uno che respira e che si
    muove. La vita comincia con gli animali e dunque è con l’inizio del quinto
    giorno che comincia anche la benedizione.

    Ed è una benedizione che
    dice che la vita in quanto vita e in quanto vita benedetta è vita straripante,
    vita che si espande, che si moltiplica: “Crescete e moltiplicatevi”.
    Anche
    questa dimensione del creare, secondo Gen 1, è assolutamente determinante per la
    vita dell’uomo e del credente in particolare, se voi pensate che tutto il nostro
    rapporto con Dio passa attraverso la mediazione del rapporto con la parola. Con
    la parola di Dio e poi con quell’ultimo definitivo mediatore che è addirittura
    il Figlio stesso di Dio, il Logos che si fa uomo.

    Tutto questo, dice Gen
    1, avviene in sette giorni. Per sei giorni Dio crea e il settimo giorno smette
    di creare e si riposa. Questo anche è significativo perché sottolinea la
    dimensione di assoluta libertà e di assoluta gratuità da parte di Dio nell’opera
    di creazione. In altre parole Dio non è necessitato a creare, perché infatti
    comincia e poi smette. Smette quando l’opera è compiuta, però smette
    . Il che
    vuol dire che Dio non deve necessariamente creare, per cui potrebbe continuare a
    creare indefinitamente perché è costretto a farlo. Lui liberamente e
    gratuitamente decide di creare e smette quando la sua opera è giunta a
    compimento.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:15
    E nel momento in cui smette, ecco il sabato, c’è quel riposo di Dio che è il
    godimento davanti a tutto ciò che ha fatto
    . Alla fine di ogni giorno di
    creazione il testo biblico dice: Dio vide che - di solito noi traduciamo così -
    era “cosa buona”. In ebraico dice: ki tob. Tob vuol dire “buono”, ma anche
    “bello”. Ed è questa l’idea: “E vide che (era) buono e bello, ciò che aveva
    fatto”.
    C’è proprio il godimento, il compiacersi di Dio per ciò che ha
    fatto.

    Ma alla fine di tutto il testo biblico cambia la formula e invece
    di dire solo che era buono e bello, dice che era molto buono e
    bello
    . E questo è il senso del sabato. L’esplosione della bellezza e
    della bontà della creazione di Dio
    , di cui Dio stesso gode, e di cui Dio fa
    dono all’uomo perché anche l’uomo ne goda entrando anche lui nel sabato.
    Allora l’uomo è l’ultima opera di creazione, fatto nel sesto giorno, ma per
    poter entrare nel settimo, per poter entrare in quella dimensione di godimento
    del creato che è molto buono
    . A questo serve l’osservanza del sabato, per
    poter celebrare questo Dio della creazione come Dio buono che fa le cose buone,
    delle quali si può godere senza paura perché: “Tutto è vostro! Ma voi siete di
    Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 3,22-23).

    In questo senso, se si accetta
    il creato dalle mani di Dio, riconoscendo Dio come Creatore, quindi facendo il
    sabato, allora davvero tutto è nostro. Perché il mondo che il sabato celebra è
    il mondo bello e buono del Dio bello e buono.

    All’interno però di questa
    scansione settenaria, di questa settimana di Creazione, voi avrete notato che
    c’è una apparente anomalia
    . Perché si dice che il primo giorno Dio disse:
    “Sia la luce! E la luce fu, e vide che la luce era cosa buona e separò la luce
    dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu
    mattina. Primo giorno”. Dopo, però, è solo al quarto giorno che Dio disse: “Ci
    siano luci nel firmamento del cielo per distinguere il giorno dalla notte e fece
    le due luci grandi, il sole e la luna e poi anche le stelle e le pose nel
    firmamento”.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:15
    Uno allora può pensare: “Non mi tornano i conti, perché se ha creato la luce il
    primo giorno, deve necessariamente aver creato il sole e la luna il primo
    giorno, perché sennò come fa ad esserci la luce? E allora che succede al quarto
    giorno?” - fermo restando che gli autori sacri qui non vogliono ricostruire
    quello che è cronologicamente avvenuto
    , quindi l’incongruenza a loro non
    interessa, perché non sono minimamente interessati ad una congruenza temporale,
    ma ad indicare il senso, quando mettono il sole e la luna a metà
    settimana.

    Perché il quarto giorno è il mercoledì, partendo dalla
    domenica. Il giorno degli astri è a metà della settimana. Se lo mettono lì è
    perché vogliono indicare qualche cosa degli astri, che è diverso dal semplice
    illuminare il giorno come fa il sole così che ci siano il giorno e la notte.
    In altre parole, quando Dio il primo giorno crea la luce, crea il tempo
    cosmico, questo tempo indefinito e indistinto che è un semplice alternarsi di
    giorno e notte e basta. Non c’è alcuna possibilità di stabilire delle cesure, di
    mettere delle differenze
    . Tra l’altro guardate che anche Israele capiva che
    la luce veniva dal sole e di giorno c’era la luce per questo. Ma non c’erano i
    fanali e di notte c’era comunque tanta luce. La luna e le stelle fanno luce.
    Senza luce elettrica, in una notte di luna piena tu puoi leggere un libro,
    perché la luce c’è
    .

    Quindi quando si parla di luce e tenebre non
    necessariamente ci si riferisce al sole e alla luna, che vengono dopo, a metà
    settimana, per indicare che hanno una funzione diversa, non semplicemente
    l’alternanza cosmica indefinita, ma, come dice il testo: “Servano da segni
    per le stagioni e per i giorni e gli anni”
    . Il sole e la luna non sono più
    il tempo cosmico indistinto, ma l’inizio e quindi la trasformazione del tempo
    cosmico in tempo storico
    .
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:16
    Con il sole e con la luna si possono contare i mesi, gli anni, si possono
    distinguere le stagioni. Guardando la luna tu sai quando è il tempo di seminare
    o di mietere e, soprattutto, guardando la luna tu sai quando è il momento di
    celebrare le feste
    . Gli astri al quarto giorno sono l’inizio del tempo umano
    e di quel tempo sommamente umano che è il tempo liturgico, perché è il tempo
    che mette in relazione l’uomo con Dio attraverso le feste
    . E’ per questo,
    credo, che è solo dopo la creazione degli astri, quindi solo dopo che il tempo è
    diventato umano, che ci sono i giorni della creazione della vita e quindi poi
    dell’uomo come culmine degli esseri viventi. Si comincia prima con i pesci e gli
    uccelli, poi gli animali della terra e poi l’uomo.

    Notate però una cosa
    assolutamente paradossale: l’uomo viene creato come culmine, l’ultima creazione,
    la più importante, l’ultimo evento creativo di questa sequenza di creazioni dei
    viventi. Ma l’uomo nonostante questo e nonostante sia portatore di questo
    assoluto mistero che è il fatto di essere fatto ad immagine e somiglianza di
    Dio, non ha un giorno di creazione per sé. Viene creato il sesto giorno
    insieme agli animali della terra. I pesci e gli uccelli hanno un giorno per
    loro, l’uomo no.


    Questo è paradossale: l’uomo, immagine di Dio,
    condivide lo stesso giorno di creazione con gli animali e condivide con gli
    animali lo stesso cibo, perché si dice che Dio dà da mangiare, sia all’uomo che
    agli animali, l’erba verde. Quindi l’uomo è come Dio, è simile a Dio, perché
    è a sua immagine, ma è come gli animali, è simile agli animali, perché è fatto
    nello stesso giorno, mangia lo stesso cibo e, badate, ha la stessa benedizione
    degli animali: “Crescete e moltiplicatevi”.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 02/09/2012 16:16
    Poi per l’uomo la benedizione cambia. Si aggiunge: “E dominerai la
    terra”
    . Perché l’uomo è diverso dagli animali, ma è uguale agli animali.
    Questo è il paradosso che noi ci portiamo dentro e in qualche modo rende così
    complicato vivere, perché noi siamo chiamati a vivere secondo questa doppia
    dimensione senza mai dimenticarne una. Esseri animali e insieme esseri
    divini
    . Ed è estremamente complicato tenere insieme queste due cose, per cui
    la tentazione continua è quella di semplificarle dicendo o: “L’uomo è animale.
    Nasce e muore ed è finita là. Tutto si esaurisce in questi giorni che ci vengono
    dati, cerchiamo di fare del nostro meglio, ma non ci facciamo illusioni, siamo
    come gli animali. Pur capaci di gestire il mondo, di costruirci le nostre
    esistenze, persino capaci di far nascere i bambini in provetta. Però anche quel
    bambino che abbiamo fatto nascere in provetta muore, è un animale pure lui.”
    L’altra tentazione è quella di dire: “Noi siamo come Dio”. Poi si fa prestissimo
    a togliere quel come e la frase diventa: “Noi siamo Dio. Infatti noi creiamo
    l’uomo, facciamo nascere la vita, creiamo le cose, possediamo la nostra vita,
    siamo i signori della nostra vita. Noi siamo Dio.”

    Tutte e due queste
    affermazioni sono false. E’ vero che siamo animali, ma non solo animali. E’ vero
    che siamo come Dio, ma non solo divini e quindi non siamo Dio
    . Il nostro
    compito è quello di tenere insieme questa duplice realtà, vivendo fino in fondo
    la nostra vocazione divina, ma senza mai dimenticarci che siamo stati fatti
    nello stesso giorno degli animali e quindi senza mai dimenticarci che non siamo
    Dio, ma solo fatti ad immagine di Dio.

    E che quindi anche tutto il
    nostro potere
    , che pure fa parte della benedizione che riceviamo: “Dominate
    la terra”, è però un comando che riceviamo, è un compito, non una nostra
    prerogativa che noi possiamo gestire come ci pare. E’ vero, noi siamo i signori
    del mondo, ma solo se riconosciamo che il vero signore è Dio
    . Eccolo il
    comando del sabato. Ecco cosa vuol dire entrare nel sabato. Dove è vero che noi
    dominiamo la terra, ma possiamo dominarla solo se noi capiamo che questo essere
    signori della terra va vissuto ed esplicato in obbedienza a quell’unico Signore
    che ci dona e ci comanda di essere signori della terra.
    Pedro
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