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Col concetto di predestinazione il pentimento è impossibile: chi sbaglia paga per sempre. Il pentimento serve per rendersi conto che non ci sono alternative, non per poter cambiare vita. Anche se la sentenza di un tribunale condannasse un colpevole a un periodo determinato di carcere, la coscienza morale degli uomini lo condannerebbe in eterno.
Chi tradisce la propria vocazione, non merita neppure di vivere. Moralmente infatti è già morto, benché fisicamente continui a vivere. Chi pecca contro dio non può essere perdonato.

E per il calvinista “dio” coincide con l'ordine costituito. Dio è la coincidenza di essere e dover essere. Chi non si adegua è perduto, perché vuole porsi contro l’ordine naturale (e sovrannaturale) delle cose.
Il calvinismo ha tolto all’uomo il libero arbitrio e ha trasformato la libertà nella necessità di obbedire a una realtà precostituita.
Probabilmente questo modo di ragionare è stato usato anche per difendere il cattolicesimo-romano del tardo Medioevo, che non voleva neanche sentir parlare di mutamenti sociali: di qui la nascita del capitalismo, nei confronti del quale il protestantesimo ha usato lo stesso ragionamento.

Il calvinismo è andato a innestarsi in una pratica sociale che spontaneamente e progressivamente si stava allontanando dall’esperienza del collettivismo cristiano (che nell’ambito del cattolicesimo-romano era fortemente contraddetta dell’autoritarismo politico del papato).
Questa pratica spontanea aveva bisogno di darsi una legittimazione teorica che le permettesse di svilupparsi e diffondersi velocemente e in maniera consapevole. Senza il calvinismo il capitalismo non sarebbe mai nato come sistema produttivo, ma si sarebbe fermato allo stadio “commerciale” (mercantile), come avvenne nell’Italia cattolica.