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Gli anglicani

La Riforma protestante in Inghilterra non fu il frutto di un movimento religioso popolare, ma ebbe origini politico-istituzionali. La causa scatenante va ricollegata al fatto che Enrico VIII non riuscì ad ottenere dal Vaticano lo scioglimento del suo matrimonio, che era stato richiesto perché non aveva avuto un figlio maschio cui lasciare il trono. Il re, approfittando del malcontento che serpeggiava nelle file del clero e del laicato cattolico inglese contro Roma, si rivolse all'arcivescovo Cranmer di Canterbury

e riuscì ad ottenere il divorzio da Caterina d'Aragona. Subito dopo la scomunica fece approvare dal Parlamento (1533) una serie di leggi che rompevano i legami con Roma e sottomettevano interamente il clero inglese alla corona (ad es. impedì che si pagassero le "annate" al papato, cancellò la sua giurisdizione, sciolse i monasteri, confiscò i beni della chiesa, stroncando ogni resistenza interna). Non solo, ma egli stesso si autoproclamò "capo della chiesa inglese" con l'Atto di supremazia.


Naturalmente il divorzio fu solo un pretesto: la causa profonda va vista nel generale processo di rivendicazione della sovranità regia contro ogni interferenza, soprattutto se proveniente dall'esterno. Il sorgere dei rapporti capitalistici nell'Inghilterra del XVI sec. aveva reso urgente la costituzione di una monarchia assoluta, che accelerasse la disgregazione del regime feudale. Un importante mezzo di centralizzazione dei poteri fu appunto la riforma della chiesa, con la quale il re riuscì a secolarizzare circa 1/3 di tutta la proprietà terriera inglese.


Da notare che in genere i papi non opponevano alcun veto ai principi e ai re che volevano separarsi dalle loro consorti. In questo caso però il rifiuto fu determinato dal timore di scontentare il parente più importante di Caterina d'Aragona, l'imperatore Carlo V, che rappresentava in quel momento un valido baluardo contro la diffusione del luteranesimo.

Lo scisma anglicano non incontrò in Inghilterra alcuna forte resistenza da parte ecclesiastica (fanno eccezione alcuni religiosi francescani e certosini, nonché il vescovo Fisher). La vittima più illustre fu il Gran cancelliere del re,

Thomas More, che pur essendo disposto a firmare l'Atto per la successione della discendenza di Anna Bolena (la seconda moglie), rifiutava il modo in cui Enrico VIII si era proclamato "capo della chiesa" (e gli opponeva la convocazione di un concilio nazionale).

Non vi fu resistenza semplicemente perché i torti di una sede pontificia esosa, corrotta e retriva quanto mai, apparivano ai sudditi inglesi sufficienti a legittimare la costituzione di una monarchia assolutistica e scismatica. Peraltro Enrico VIII aveva garantito al clero e a tutti i fedeli che nulla del tradizionale cattolicesimo sarebbe stato modificato, a livello sia dogmatico che sacramentale e rituale. In precedenza, lo stesso re aveva scritto, in collaborazione con Moro, alcuni pamphlet antiluterani.