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Come prima conseguenza di questa protesta contro le indulgenze, Lutero arrivò ad affermare che le opere, le azioni, i meriti personali non sono sufficienti per salvarsi: la mancanza di fede in Dio, o di coscienza personale del proprio limite, non può essere sostituita dall'attivismo con cui si vuole dimostrare a tutti i costi d'essere santi, buoni e perfetti. Ecco perché -dice Lutero- le indulgenze, così come i pellegrinaggi, i digiuni, i voti di santità povertà obbedienza, non servono a giustificare. Per salvarsi occorrono due cose: la volontà di Dio e la fede dell'uomo. L'uomo si giustifica per fede e per grazia. Può fare delle "buone azioni", ma a titolo personale e non perché obbligato da qualche legge o consuetudine.

La seconda conseguenza del ragionamento di Lutero è che se le opere non servono a niente in quanto basta la fede nella grazia di Dio, allora per conoscere questa grazia è sufficiente leggersi la Bibbia (da lui tutta tradotta in tedesco). I sacramenti, la tradizione della chiesa, il magistero non hanno un valore salvifico, ma solo simbolico (i sacramenti), orientativo (la tradizione), pratico (il magistero). Non c'è nulla che possa avere un potere vincolante per la coscienza del credente. Il credente è solo davanti a Dio, incerto sul suo destino. Se si salverà è perché era predestinato.


Protestantesimo e coscienza del peccato

Una delle più grossolane ingenuità del luteranesimo è stata quella di aver accentuato la "coscienza del peccato" nella convinzione che in tal modo il credente protestante si comportasse meglio, sul piano morale e della condotta personale, rispetto al credente cattolico (la cui moralità dipende anzitutto -oggi come allora- dall'obbedienza alla gerarchia).

Il risultato della teoria sulla "coscienza del peccato" è stato opposto a quello voluto: il protestante cioè, convinto di non avere in sé la forza sufficiente per compiere il bene (in quanto irrimediabilmente impedito dal "peccato d'origine" che grava, come una condanna, sulla coscienza di ogni uomo, e quindi sulla stessa capacità di compiere il bene, e che si esprime, a livello fenomenico, nell'egoismo sociale della società divisa in classi), affida interamente alla "grazia di dio" il compito di salvarlo, riservando a se stesso quello di costruire una morale positiva sulla base della volontà soggettiva. Di qui l'inevitabile individualismo del protestante, unito a una sorta di fatalismo "etico" (che poi lo porterà a credere ciecamente nelle istituzioni).