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"Accertatevi bene in primo luogo se avete a fare con un Puseita. Veramente il colloquio ch'egli ha tenuto oggi con voi non lascia quasi luogo a dubbio alcuno; ma la precauzione non è mai troppa: bisogna accertarsene meglio. A tale scopo voi incomincerete a parlare della Chiesa e de' suoi ministri; ma limitatevi a parlare de' Vescovi, preti e diaconi, senza far parola degli altri ordini: direte con bel garbo, e senza tuono di discussione, che là è la vera Chiesa dove si trova la successione apostolica: se egli è puseita, dovrà convenire senza restrizione alcuna su questa dottrina. Allora voi, per meglio accertarvi, parlate dell'episcopato come di cosa di divina istituzione nella chiesa, e toccate con buona grazia la dottrina della superiorità de' Vescovi sopra i preti per diritto divino; parlate della potestà delle chiavi, e del potere di assolvere i peccati, lasciato da Gesù Cristo ai ministri della sua Chiesa; potere che nella Chiesa si conserva per la successione apostolica, e si trasmette per la regolare ordinazione: entrate poscia a parlare della confessione auricolare; ma su questo punto non citate passi della Bibbia; limitatevi a dire che l'uso di essa rimonta ai primi secoli della chiesa, e dite che il nostro P. Marchi ha scoperto i confessionali nelle catacombe, e vedrete che questa scoperta lo interesserà moltissimo.

"I Puseiti, figliuol mio, non bisogna prenderli con la Bibbia: essi ammettono l'autorità della Bibbia, ma la ammettono, come noi, per autorità suprema, non unica: essi ammettono altresì l'autorità della tradizione, l'autorità della Chiesa, la interpretazione de' Padri; e sopratutto si occupano delle antichità ecclesiastiche: essi ripudiano il principio protestante del libero esame: per cui vedete bene che essi sono molto vicini a noi. Avvertite bene però, ve lo ripeto, di non prendere con esso il tuono di discussione, nè di dimostrare troppo zelo. Accertatevi s'egli conviene in queste dottrine: se ci conviene, è puseita; ed allora io vi consiglio di non innoltrare più la vostra conversazione, senza prima consultarmi."

"Perdonate, Padre mio, interruppi allora, i puseiti ammettono veramente cotali dottrine?"
"Ammettono queste, riprese egli, e molte altre ancora. Ammettono, per esempio, la adorazione della eucaristia, sebbene non vogliano ammettere la transustanziazione; ammettono, sebbene con qualche restrizione, il culto della croce e delle immagini; ammettono le preghiere pe' morti: della giustificazione ne parlano quasi negli stessi termini del Concilio di Trento: lodano i voti monastici ed il celibato dei preti: desiderano il ristabilimento de' conventi, e ne hanno fondati (Nota 6 -
Monache puseite): si servono di corone, di crocifissi, di medaglie; accendono le candele sui loro altari, e li adornano con fiori; lodano generalmente tutti quegli usi della nostra Chiesa che possono giustificarsi coll'antichità, e desiderano riunirsi alla Chiesa romana (mediante una qualche transazione), dalla quale i loro padri si sono imprudentemente separati. E notate bene che i puseiti non sono come quegli ostinati Metodisti (Nota 7 - Metodisti), i quali si attaccano alla Bibbia, e forti lì; non vogliono accordar nulla che non sia nella Bibbia. È cosa terribile dover combattere con quella gente; ma i Puseiti sono molto più ragionevoli: essi ammettono l'autorità della Chiesa, e tutto quello che può provarsi con le antichità ecclesiastiche."

"E perchè, Padre mio, non si cerca allora di farli divenire cattolici? Mi sembra che, ammettendo essi tali principii, sarebbe cosa facilissima convertirli alla nostra santa religione."

"Non vi è nulla di più facile, figliuol mio, che la conversione di un Puseita: se egli vuol essere logico, bisogna che sia cattolico. Ammettendo, per esempio, che la sola Chiesa vera è quella che ha la successione apostolica ne' suoi ministri, successione che si trasmette per la imposizione delle mani de' Vescovi; quale ne è la conseguenza? Non può essere che questa: la Chiesa romana è la vera Chiesa, perchè essa ha cotale successione. Ammettendo essi che la regola di fede non è nella sola Bibbia, ma che essa si trova anche nella tradizione, e nella autorità della Chiesa; ne viene per conseguenza che tutte le Chiese protestanti, le quali non ammettono altra regola di fede che la Bibbia (Nota 8 -
Unità protestante), sono nell'errore, e la sola Chiesa romana è nella verità. Quindi voi vedete bene che un poco di logica basterebbe per rendere cattolici tutti i Puseiti che volessero ragionare in buona fede.

"Ma credete voi che sarebbe agire per la maggior gloria di Dio, cercando convertire al Cattolicismo i puseiti? No, figlio mio, il movimento puseita non bisogna distruggerlo, ma bisogna conservarlo ed alimentarlo: esso ha già trovata buona accoglienza nell'aristocrazia inglese, nel clero anglicano, nel parlamento, e forse anche più in alto: nudriamolo abilmente, anzichè distruggerlo, e produrrà infallantemente i suoi frutti.

Questo è cercare la maggior gloria di Dio! Ma supponete che tutti i Puseiti divenissero cattolici, ciò sarebbe un piccolo bene, ma un grandissimo male: i Protestanti si allarmerebbero, e le nostre speranze, e le nostre fatiche per fare che con questo mezzo la nazione inglese torni nel seno della nostra santa madre Chiesa, sarebbero svanite: e tutto il nostro guadagno si ridurrebbe a far dichiarare cattolici un qualche migliaio d'individui che già lo sono nel cuore senza averne fatta esplicita dichiarazione. Di tanto in tanto è bene che un qualche dottore puseita si dichiari cattolico, acciò sotto le nostre istruzioni possa condurre meglio il movimento; ma non è bene che vi vengano molti. Il Puseismo è un testimonio vivente in mezzo ai nostri nemici, della necessità del Cattolicismo; è un tarlo che, abilmente conservato, come noi ci sforziamo di fare, roderà il vecchio Protestantesimo fino a distruggerlo. L'Inghilterra deve espiare il gran peccato della sua separazione da Roma, e lo espierà, siatene certo: so quello che dico, ma non posso dirvi di più."

"Ma intanto, Padre mio tutti i nostri buoni amici puseiti che muoiono, vanno dannati, morendo fuori del grembo della santa Chiesa nostra madre: e questo a me pare un gran male."

"Non vi date pena per ciò, figlio mio: i nostri buoni Padri che sono in Inghilterra provvedono a questo inconveniente, se può chiamarsi tale. Essi sono muniti di tutte le facoltà dal nostro santo Padre, per ricevere le abiure de' moribondi, quando ciò si può fare con prudenza e senza strepito; quando poi non si può, pazienza: la loro dannazione non ci può essere imputata. Voi lo sapete bene, il fine giustifica i mezzi: il nostro fine è santissimo, ed è la conversione della Inghilterra; ed il mezzo più acconcio per conseguire un tal fine è il Puseismo (Nota 9 -
Il Puseismo conduce a Roma). Voi che ora uscite dai santi esercizi, sapete che il nostro santo padre Ignazio insegna, che tutti i mezzi sono buoni quando conducono al fine. La prudenza, che è la prima delle virtù cardinali (Nota 10 - Virtù teologali e cardinali), c'insegna che si deve alle volte permettere un male minore, acciò ne venga un bene maggiore: così l'infermo permette che gli sia amputata la gamba, per salvare il resto del corpo; nello stesso modo bisogna che noi ci rassegnamo a vedere la dannazione di un qualche centinaio di Puseiti, acciò la Inghilterra un giorno sia convertita. Quindi seguite il mio consiglio: non vi date tanta pena per convertire quest'uomo; conducetelo qui da noi: il P. Marchi lo condurrà alle catacombe, e gli farà conoscere que' monumenti dell'antichità cristiana che sempre più lo confermeranno nelle sue opinioni, ed egli potrà fare molto più per la nostra santa Chiesa in Inghilterra come Puseita, che come Cattolico."

Ti confesso, caro Eugenio, che io non restai molto persuaso de' ragionamenti del mio maestro: e sebbene vedessi in essi una prudenza profonda ed al disopra della mia inesperienza, pure sentiva nel mio cuore un nonsochè, che mi impediva di seguire que' consigli alla lettera, come avrei dovuto. Vi pensai sopra buona parte della notte, e mi decisi di servirmi di quei consigli solo in quanto mi potevano condurre alla conversione del mio Inglese, alla quale non mi sentiva disposto di rinunziare.

Presa questa decisione, nella mattina seguente, andai a trovare il mio Inglese, il quale mi accolse con somma gentilezza, come se fossi stato un suo vecchio amico. Incominciammo la nostra conversazione intorno alla religione. Non ti starò a dettagliare questa conversazione, la quale si raggirò intorno a tutti que' punti indicatimi dal mio maestro, ne' quali il mio Inglese convenne quasi senza restrizione: allora volli andare più innanzi. Egli ammetteva che la sola vera Chiesa di Gesù Cristo è "quella società visibile, stabilita il giorno della Pentecoste, che ha per fondatori gli Apostoli, per capi i loro successori, e per membra tutti coloro che professano il Cristianesimo". Da questo principio, ammesso dal mio intelocutore, io ne traeva delle conseguenze contro di lui; che, cioè, se la vera Chiesa è una società visibile, un corpo visibile, deve necessariamente avere anche un capo visibile.
Se, come egli ammetteva, i capi della Chiesa sono i successori degli Apostoli, cioè i Vescovi; vi debbe altresì fra di loro essere un ordine; quindi un capo de' Vescovi, ed in conseguenza della Chiesa, e questi non può essere che quello fra i Vescovi il quale è successore di S. Pietro.

Il signor Manson, che tale è il nome del mio Inglese, restò alquanto imbarazzato; ed io gongolava di gioia, e mi compiaceva di non avere obbedito al mio maestro. Il signor Manson vedeva che non poteva annullare le conseguenze che io aveva tirate da' suoi principii; che non si poteva logicamente restare puseita, senza ammettere il primato del Papa, e tutte le sue prerogative come capo della Chiesa. Cercò di schermirsi alla meglio dicendo, che la Chiesa romana aveva degenerato in molti punti dalla bella e pura dottrina cattolica dell'antichità.
Io gli feci osservare, che quand'anche ciò fosse (lo che non ammetto), non perciò sarebbe men vera e men giusta la mia conclusione; imperciocchè posto che quella sola sia la vera Chiesa di Gesù Cristo, nella quale si conserva la succesione apostolica, non essendovi dubbio alcuno sulla successione apostolica della Chiesa romana, ne siegue che la Chiesa romana è la sola vera: e siccome fuori della vera Chiesa di Gesù Cristo non vi è salute; così o bisogna appartenere alla Chiesa cattolica romana, o andar dannato.

Io non voleva e non poteva ammettere che la Chiesa romana avesse degenerato dalla dottrina dell'antichità; e ripeteva con piacere questo termine di antichità; perchè, a dirti il vero, le controversie co' protestanti sono un poco fastidiose per noi quando si deve discutere solo con la Bibbia: non ammettendo voi Protestanti nè l'autorità della tradizione, nè la interpretazione della Chiesa infallibile, noi ci troviamo sopra un cattivo terreno con voi. Ma quando, oltre alla Bibbia, ci si ammette la tradizione, l'autorità della Chiesa, e si ricorre all'antichità ecclesiastica per provare le dottrine e giustificare gli usi; allora il vantaggio è tutto per noi, e la nostra vittoria è certa. Domandai dunque al signor Manson quali fossero quelle dottrine, nelle quali la Chiesa romana aveva, secondo il suo parere, degenerato dalla veneranda antichità.

Allora egli mi sembrò alquanto imbarazzato: disse molte cose piuttosto sconnesse; ma dal suo discorso compresi che egli parlava del culto in lingua latina, e della comunione sotto una sola specie: cose, egli diceva, che la Chiesa romana ha adottate; ma che non si possono sostenere con l'antichità.

Io mi accingeva a dimostrargli co' suoi stessi principii che tali usi, benchè si potessero dire moderni, pure non dimostravano che la Chiesa romana, avendoli adottati, fosse in errore: imperciocchè tali cose non sono di quelle appartenenti al domma, ma alla disciplina; ed avendo, come egli stesso ammetteva, la Chiesa, cioè i Vescovi insiem raunati, autorità suprema sulle cose disciplinari della Chiesa, avevano avuto il diritto di cambiare quella disciplina. Per dire che que' cangiamenti erano errori, bisognava provare, o che la Chiesa non ha autorità sulle cose di disciplina, o che quelle cose appartengono al domma, ovvero che le abbia cambiate senza avere delle buone ragioni.

Era a questo punto del mio ragionamento, e già mi teneva certo della vittoria, quando il servo entrò per annunziare due visitatori. Ci levammo per riceverli, ed entrarono due signori: uno de' quali era un giovine inglese, l'altro era il suo aio, italiano, uomo di circa cinquanta anni. Presi allora congedo con grandissimo mio dispiacere. Il signor Manson mi domandò il mio indirizzo, e mi promise che sarebbe venuto a vedermi per continuare il nostro colloquio che lo interessava molto e così ci lasciammo.

Non vedo il momento, caro Eugenio, di condurre alla fine questo affare; la conversione di quest'uomo è certa. Quando egli sarà venuto, ed avremo continuata la discussione, ti scriverò subito.
Ama il tuo affezionatissimo
Enrico.