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Stando così le cose, padre Borrmans si chiede: "Possono i cristiani sentirsi a loro agio ed essere liberamente sereni in paesi nei quali, poco per volta, lo Stato intende favorire e realizzare l’ideale islamico? E i musulmani possono accontentarsi di vivere il loro Islam come religione personale in una società pluralistica, di ispirazione laica, dove lo Stato lascia ai cittadini la responsabilità della loro pratica religiosa e della loro organizzazione comunitaria? Tali domande non possono essere ignorate quando cristiani e musulmani, in un determinato contesto sociale, devono sviluppare l’insegnamento e la cultura, organizzare il lavoro e la giustizia e dare una struttura allo Stato e ai suoi servizi" (54).

Quanto alla tipologia dei musulmani di fronte al rapporto religione-Stato, lo stesso padre Borrmans distingue — ma si tratta di una segmentazione molto diffusa — musulmani di ambiente popolare, musulmani di cultura religiosa, dal canto loro tradizionalisti o riformisti, musulmani modernisti di doppia cultura, islamica e occidentale, e — infine — musulmani fondamentalisti e integralisti (55).

4. Scholion sul "fondamentalismo" 

La comparsa degli aggettivi "fondamentalista" — peraltro già evocato — e "integralista" mi costringe, per non aggiungere equivoco a equivoco, a introdurre un’annotazione, qualcosa di più di una nota, cioè uno scholion, uno "scolio".

Dunque, come osserva correttamente un altro missionario d’Africa, padre Robert Caspar, "fondamentalismo" è termine proveniente dal mondo protestantico e "integralismo" da quello cattolico (56). E si tratta di termini — aggiungo io — che non vengono però utilizzati solo, eventualmente, con intenti polemici nei confronti dell’islam, ma anzitutto, proprio per la loro origine, per far intendere all’uomo di cultura occidentale e cristiana qualcosa di più relativamente a una realtà a lui esterna con l’aiuto di elementi che di tale realtà favoriscano la comprensione per analogia. L’aggettivazione dell’islam come fondamentalista o integralista e degl’islamici come fondamentalisti o integralisti si "compatta", con l’applicazione del suffisso "ismo", nei termini "islamismo" e "islamisti"; e si tratta di un’espressione sintetica accreditata dall’uso che, nella loro versione francese — islamisme e islamistes —, di tali termini fanno gl’islamici radicali francofoni, in qualche modo testimoniando la capacità, per esempio, di "islamisti" di esprimere la specificità del neologismo al-islâmiyyûn, gl’"islamici radicali" — forse anche, i "musulmani impegnati" —, nei confronti dei semplici credenti musulmani, i muslimûn (57).

L’uso rilevato di fondamentalismo e d’integralismo non sta a significare assolutamente un’equipollenza fra fondamentalisti protestanti e integralisti cattolici da una parte e fondamentalisti e integralisti islamici dall’altra, come neppure — sia detto di passaggio — fra le prime due categorie.

Relativamente ai cattolici, illumina un’osservazione di Marie-Thérèse Urvoy, docente d’Islamologia a l’Institut Catholique e all’Institut Supérieur de Théologie des Religions di Tolosa, secondo cui "il fondamentalismo si può trovare ovunque. Ma un fondamentalista cristiano potrà far riferimento solamente a fatti di tradizione; potrà irrigidirsi su certe pratiche religiose o entusiasmarsi per l’"ordine cristiano medioevale", ma non potrà richiamarsi a un testo fondatore. Al contrario, un ebreo o un musulmano hanno nei loro stessi testi sacri un insieme di prescrizioni che danno la sensazione di disporre materialmente di un "manuale che basta applicare". Con "applicare" intendo la messa in pratica dei precetti concreti e immediati, dati letteralmente; non è il caso del Vangelo" (58).

Ad altri sentenziare senza appello, sempre limitatamente al caso del musulmano, se si tratti di una "sensazione", come tale dettata dalla "sensibilità" inevitabilmente soggettiva, o della percezione di una realtà, nel qual caso appunto ogni musulmano sarebbe più o meno "fondamentalista", "islamista", e quest’ultimo termine quindi atto solamente a esprimere un grado di particolare densità dell’essere islamico, ma non a indicare una fuoriuscita dall’islam per eccesso, fuoriuscita che, peraltro, nell’islam stesso nessuno è in grado di denunciare, dal momento che non esiste nessuna autorità carismatica musulmana. Infatti, "[...] ad un osservatore occidentale verrebbe naturalmente alla mente il concetto di eresia — afferma Lewis —. Tale termine è però fuori luogo. L’eresia non è un concetto islamico, e l’Islam non possiede un termine che gli corrisponda. L’eresia è un vocabolo cristiano che indica una deviazione, ufficialmente definita come tale, da un’ortodossia altrettanto ufficialmente definita. E poiché l’Islam non possiede concili né chiese né gerarchie, non esiste un’ortodossia ufficiale e di conseguenza non può esistere una deviazione ufficialmente definita e condannata dall’ortodossia" (59).

Tentando una definizione, il sociologo Renzo Guolo scrive: "L’islamismo è un movimento che attraversa da mezzo secolo il mondo musulmano e vive l’islam, oltre che come religione, anche come ideologia politica. Questo movimento mira a reislamizzare le società musulmane, che considera ormai "empie". L’islamismo è percorso da due correnti, quella neotradizionalista e quella radicale. La prima cerca di ricostituire una comunità "autentica" della fede, separata dalla società "pagana" circostante, a partire "dal basso". L’islamizzazione avviene qui a partire dal quotidiano. Quando tutti gli individui risponderanno alla da‘wa, l’appello all’"autentico" islam, la conquista del potere politico sarà matura.