00 20/01/2009 13:10
E se, incuriosito, continua a chiedermi: «Quali sono i documenti che porti per affermare una così grande verità?», io conchiudo: «Te ne porto uno solo: credo in Dio perché lo conosco». Sperimento la sua presenza in me ventiquattro ore su ventiquattro; conosco e amo la sua Parola senza mai metterla in dubbio. Avverto i suoi gusti, il suo modo di parlare, soprattutto la sua volontà. Ma è proprio qui, nel conoscere la sua yolontà, che tutto torna difficile.
Quando io penso che la sua volontà è il Cristo stesso e il suo modo di vivere è morire d'amore, lo vedo allontanarsi all'infinito da me.
Dio torna lontano, lontano, lontano come inaccessibile.
Come faccio a vivere come è vissuto Gesù? Come faccio ad avere il coraggio di soffrire e morire d'amore come il Cristo stesso?


Io così falso, così ingiusto, così avaro, così pauroso, così egoista, così orgoglioso?
Sono chiacchiere le nostre di credere o non credere in Dio!
E' pura speculazione, il più delle volte inutile.
Ciò che conta è amare e noi non sappiamo o non vogliamo amare.
Ora capisco perché Paolo ebbe tanta forza di espressione quando giunse al punto esatto del problema spiegandosi con i Corinzi: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, sono un nulla" (1 Cor, 13, 1-2). Ecco dove sta il vero problema: io corro il pericolo di essere un nulla perché non so amare. Non chiedetevi più se credete o non credete in Dio, chiedetevi se amate o non amate.