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Lo scoraggiamento oppure l'accettazione semicosciente della mediocrità vengono adottati quando siamo noi stessi a decidere fin dove è ragionevole arrivare. Ma in tal modo siamo già, almeno in qualche misura, fuori dalla vocazione e ci stiamo inventando qualche surrogato umano che sembra darci una ragione di vita, cercando di "installarci" e poi di comporre il tutto un po' contraddittoriamente, con il nostro più vero cammino. Talvolta, e sarebbe molto grave, potremmo poi riprendere la nostra vita sacerdotale sotto apparenze intatte; qualche altra volta potremmo coltivare una certa osservanza onesta dei nostri impegni, il che è certamente positivo, e però senza più coinvolgere le profondità del nostro cuore.
«Ciò che è ancora più sconcertante - aggiunge Voillaume, mostrando di essere un grande conoscitore della
vita spirituale - è il fatto che più saremo stati generosi e fedeli alla grazia, e più questo cammino ci apparirà impossibile!». (43) Ricordando le esemplificazioni elencate poco sopra, a proposito delle esigenze intrinseche alla nostra vocazione e al nostro ministero, aggiunge che «il veder aprirsi davanti a sé un orizzonte sempre più infinito è una grazia inestimabile, poiché è la prova che Gesù è presente con la sua luce». (44) Ma «in questo cammino, divenuto ora così austero, come non essere scoraggiati dall'immensità della distanza che ci separa dalla meta? (...) Tutto infatti avviene come se avessimo indietreggiato, e ci pare di aver fallito. Inoltre abbiamo scoperto i difetti, le imperfezioni dei religiosi e dei sacerdoti che ci circondano e sentiamo chiaramente che molti di loro sono a quello stesso punto. Che serve tentare l'impossibile? (...) E tuttavia, se sapessimo ciò che Gesù aspetta da noi in questo momento critico (...), se sapessimo ciò ch'Egli attende da una tappa che non è un regresso come noi immaginiamo ma una messa in atto delle condizioni per una nuova partenza, per la scoperta di una vita secondo lo Spinto e la fede, con la convinzione, che dobbiamo, acquisire, che una tale vita è allora possibile con Gesù!». (45)
Questa è la vera e unica via d'uscita. Come si vede, non
conduce verso il basso, ma verso l'alto. Ed è attesa e grazia del Signore sulla nostra vita. «Dovremo smettere di guardarci e saper riscoprire Gesù, che non ha mai cessato di essere presente, ma la cui presenza è ora molto diversa da quella di prima». (46)
In questa terza tappa potremmo avere, a volte, la percezione che tutta la nostra vita sia «sospesa ad un filo che non riusciamo a vedere abbastanza per poterne constatare la
solidità. Come un filo di nylon esso ci sembra talmente sottile e trasparente da farci perdere il senso di sicurezza (. . .). Come l'alpinista preso da vertigine, non abbiamo più il diritto di guardare verso il basso, di seguire con lo sguardo la parete a cui siamo aggrappati, sotto pena di staccarcene e di non poter più avanzare: siamo condannati a guardare solo in alto, oppure a non arrivare alla meta. Per rendere possibile questa terza tappa ciò che ci resta da scoprire e da vivere è il credere che Gesù ha detto la verità quando ha affermato che "questo è possibile a Dio"». (47)
Certo, nella sua bellezza, questa tappa chiede una spogliazione interiore, domanda che si lascino cadere infondate ambizioni, sospinge a essere umili, suggerisce di implorare da Gesù che i sentimenti del suo cuore diventino i nostri, porta ad accettare di non essere nulla per noi stessi e tutto per il Signore e per gli altri, apre a sperare contro ogni speranza, conduce a riscoprire una preghiera perseverante, a ripartire in una nuova prospettiva, verso un nuovo modo di essere preti, di vivere il celibato, di camminare nella comunione e nell'obbedienza, di praticare la carità.
Quando ciò avviene, «l'adolescenza della nostra vita spi
rituale sta finendo», (48) si sta entrando nell'età adulta e nella piena maturità della nostra vita umana e spirituale.