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Nei tre saggi risulta evidente la diversa sensibilità dell'ebreo, del cristiano e del musulmano e la loro diversa concezione della natura stessa di Dio. Ci conforta comunque l'idea che il Dio di ciascuno non è uguale o diverso (vedi il contributo di Daniel Sibony) solo perché l'uomo lo vuole in un modo o nell' altro. li problema riguarda prima di tutto la percezione che l'uomo ha di Dio, non la Sua supposta vera natura (perché non interpretare le diverse manifestazioni, ispiratrici o rivelatrici, di Dio come epifanie di un solo Dio - l'Essere unico assoluto cui accenna Pierre Lambert - ma nello stesso tempo plurale, perché è Egli stesso totalità, nella Sua non finitezza?) .
Pertinente all'edificazione di un dialogo costruttivo anche la riflessione di Dalil Boubakeur (altro grande medico umanista, come il nostro Amos Luzzatto) sulle sue tre condizioni preliminari: laicità, modernità e ripudio del fondamentalismo. Egli ne parla con riferimento all'Islam, ma io credo che certe riflessioni sarebbe opportuno riferirle anche ad altre esperienze religiose! Lo stesso Boubakeur, dopo un accorato appello all'Europa perché abbandoni ogni atteggiamento infantilmente antisemita (egli ci ricorda, a tal proposito, la significativa affermazione di Pio XI: "Spiritualmente, siamo tutti semiti! "), conclude ricordando le belle parole del gran rabbino René Sirat: "non esiste la guerra santa, solo la pace è santa". Parole spesso purtroppo inascoltate, ma che dovrebbero costituire un'importante lezione per tutta l'umanità!

Il problema dell'intangibilità dei testi sacri, anche se apparentemente sembrerebbe costituire un ostacolo insormontabile, si rivela tuttavia un problema superabile con l'uso di due facoltà di cui l'uomo è dotato: l'intelletto e la volontà. La stessa dottrina islamica, che sembrerebbe, a un' analisi superficiale, caratterizzata da un elevato tasso di staticità, consente molte più soluzioni a questioni che ci appaiono irrisolvibili. Per non entrare nel dettaglio, ci limitiamo a ricordare come nello stesso Corano i riferimenti alle prescrizioni che il fedele è tenuto ad osservare siano meno numerosi rispetto a quelli relativi all'uso della ragione! Vi è dunque la possibilità di considerare lo stesso "sforzo interpretativo" (l'igtihad, termine che ha come radice g h d - significante "sforzarsi" -, cioè la stessa radice di gihad)' qualcosa di essenziale per una corretta applicazione della sari'ah, che sia coerente con le esigenze tipiche di una società multiculturale.
Solo un gihad consistente nell'aprirsi all'altro da noi può costituire un obiettivo da perseguire conforme allo spirito dei diversi testi sacri, così come i testi stessi sono cresciuti, anche grazie al contributo di quegli studiosi che hanno speso più energie per analizzarli in profondità, nel comune sentire e quindi in noi stessi. L'ispirazione che anima gli uomini di buona volontà in questa direzione è qualcosa che ha natura divina e che certamente fa parte del grande disegno divino. Legarsi a una lettera, di cui si presume di conoscere il senso, può essere fuorviante e, in certi casi, se vi è mala fede, anche azione malvagia!