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La riflessione che facciamo in questa sede non consiste quindi nell' analizzare le diverse relazioni che la storia umana ci ha lasciato dell'esperienza di Dio e delle costruzioni dottrinali che ne sono risultate, ma nello sforzarci, basandoci su queste testimonianze, di rifare lo stesso percorso per scoprire il contenuto esistenziale di questa relazione tra Lui e ognuno di noi, al fine di dare un contenuto vivo all'incontro con l'Unico.
Esistono momenti privilegiati in cui lo spirito dell'uomo si trova in presenza di Colui che ha come unica determinazione quella di Essere. Questo incontro dell'intelletto umano con l'Essere che è solo Essere può essere paragonata alla visione della luce da parte degli occhi del corpo, che risulta immediata; l'intelletto vi si adatta nello stesso modo in cui gli occhi sono predisposti per percepire la luce. Quindi, in presenza dell'Essere nel suo assoluto, l'intelletto riceve una percezione di grandissima intensità, che supera ogni formulazione e ogni concetto comune, ma che comporta un' evidenza che si impone. Una visione di questo tipo è puramente intellettuale, non è collegata ad alcun dogma religioso ed è stata vissuta e testimoniata da molti filosofi.
È importante mettere in evidenza che, in un incontro di questo tipo, l'Essere assoluto percepito dall'intelletto è privo di ogni dimensione relazionale con l'uomo. Di fronte all'assoluto dell'Essere, l'esistenza umana diventa un granello di sabbia. È impensabile che possa esistere una qualunque relazione tra queste due realtà così diverse. È quindi necessario dissociare la relazione vissuta dai fedeli appartenenti alla discendenza di Abramo da questo Unico, oggetto del loro amore, che è radicalmente opposto all'Unico percepito dall'intelletto, nei confronti del quale non sembra possibile nessun legame. Nel caso della fede abramica, «Colui che è al di là di tutto» è unico nella relazione d'amore. Nel caso della visione intellettuale, Egli è unico in una percezione razionale.
Esistono anche situazioni, suscitate questa volta dall'azione di coloro che ci circondano, in cui ci sentiamo invasi dal sentimento di una presenza, invisibile ma molto reale. Situazioni in cui ci troviamo di fronte a un Essere totalmente diverso da noi. Questo tipo di percezione aggiunge alla precedente la dimensione di persona a Colui che si è manifestato in questo modo. Quando, trascinato dalla comunità con cui prega, il fedele diventa cosciente di trovarsi, lui e quelli che lo circondano, davanti a una Persona che non ha nulla in comune con quello che possiamo conoscere e che supera tutto ciò che l'uomo è capace di percepire, allora nasce il sentimento fortissimo della scoperta di Qualcuno che non si può commisurare con il nostro universo.
L'invocazione musulmana «Allahu akbar» esprime abbastanza bene questo sentimento che il fedele può vivere naturalmente nelle moschee. In una percezione di questo tipo, però, Colui che viene scoperto come un Essere totalmente diverso da noi non sembra dimostrare alcun interesse per il fedele prostrato ai suoi piedi. È unico, ma questa unicità è quella di un Essere totalmente diverso da noi, e nei suoi confronti il solo atteggiamento possibile è l'adorazione e la venerazione assoluta. Davanti a Lui, la nostra persona umana scompare, in quanto l'Essere dell'Uno è incommensurabile rispetto alla fragilità dell' esistenza umana. Ciò che viene allora vissuto dal credente può essere percepito in questi due versetti del Corano: «Dì: "Egli, Dio, è uno, Dio, l'Eterno"» (Corano CXII, 1-2).
Tuttavia è infine possibile un incontro con Lui, l'Essere assoluto unico, ma che è anche Colui che si rivolge a me in un dialogo che mi fa esistere in una dimensione totalmente nuova, quella del suo amore. Ecco cosa scrive Agostino, futuro vescovo di Ippona, dopo aver vissuto questo incontro: