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Non è mai troppa l’attenzione che si mette nel me­ditare un soggetto tanto serio e importante. Di due punti bisogna che ci ricordiamo sempre: primo, che non c’era unione possibile con Cristo al di fuori della risurrezione; secondo, che Cristo ha sofferto per i pec­cati solo sulla croce. Non dobbiamo credere che Cristo ci abbia uniti a sé per mezzo dell’incarnazione; sarebbe stato impossibile. Come potrebbe la nostra carne di peccato essere unita in questo modo? Bisognava che il corpo di peccato fosse distrutto con la morte; biso­gnava che il peccato fosse tolto — lo esigeva la gloria di Dio — e che tutta la potenza del nemico fosse abo­lita. Come avrebbe potuto verificarsi tutto questo se non con la sottomissione dell’Agnello di Dio, prezioso e senza macchia, alla morte della croce? «Per condurre molti figliuoli alla gloria, ben s’ad­diceva a Colui per cagion del quale son tutte le cose e per mezzo del quale son tutte le cose, di rendere perfetto(*), per via di sofferenze, il duce della loro salvezza» (Ebrei 2:10). «Ecco, io caccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani e il terzo giorno giungo al mio termine(*)» (Luca 13:32). Queste espressioni non si riferiscono a Cristo nella sua persona, in modo astratto, poiché egli era perfetto da ogni eternità come Figlio di Dio e quanto alla sua umanità, ugualmente, assolutamente perfetto. Ma, come «duce di salvezza» e «per portare molti figliuoli alla gloria» e per «portare molto frutto» associandosi un popolo riscattato, ha dovuto arrivare al terzo giorno per essere consumato. Egli discese solo nella «fossa di perdizione, nel pantano fangoso»; ma subito dopo posò «i suoi piedi sulla roccia» della risurrezione e as­sociò a sé molti figliuoli (Salmo 40:1-3). Egli lottò da solo nel combattimento; ma, vincitore, distribuisce a quelli che lo circondano il ricco bottino, frutto della sua vittoria, affinché lo raccogliamo e ne godiamo per sempre.

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(*) In ambedue i casi, il termine greco, tradotto letteralmente, signi­fica «consumare» e «consumato».