«E mangiatelo in questa maniera: coi vostri fianchi cinti, coi vostri calzari ai piedi e col vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua dell’Eterno» (v. 11). Gli Israeliti dovevano mangiare la Pasqua come un popolo sul punto di lasciare dietro a sé il paese della morte e delle tenebre, della collera e del giudizio, per camminare verso il paese della promessa, verso l’eredità che gli era destinata. Il sangue che li aveva preservati dalla sorte toccata ai primogeniti Egiziani, era il fondamento della loro liberazione dalla servitù d’Egitto; ed ora dovevano mettersi in cammino e camminare con Dio verso il paese stillante latte e miele. Non avevano ancora passato il mar Rosso, è vero; non avevano ancora fatto il tragitto «di tre giorni»; tuttavia, in principio, era un popolo riscattato, un popolo separato e pellegrino, un popolo in attesa e dipendente; bisognava che il loro abbigliamento fosse in armonia con la loro posizione attuale e il loro destino futuro. «I fianchi cinti» di Israele denunciavano una separazione rigorosa da tutto ciò che lo circondava e mostravano che era pronto per il servizio. «I calzari ai piedi» dimostravano che Israele era pronto a lasciare la scena presente; «il bastone in mano» era l’emblema di un popolo viaggiatore che si appoggiava a qualcosa che era al di fuori di se stesso. Piacesse a Dio che questi preziosi caratteri apparissero di più in ogni membro della famiglia dei riscattati!
Caro lettore cristiano, occupiamoci di queste cose (1 Timoteo 4:15). Abbiamo provato, per grazia, l’efficacia purificatrice del sangue di Cristo e abbiamo di conseguenza il privilegio di nutrirci della sua persona adorabile e di godere delle sue insondabili ricchezze (Filippesi 3:10). Mostriamoci, dunque, con il pane senza lievito e le erbe amare, con i reni cinti, i calzari ai piedi, il bastone in mano. Che gli altri ci vedano coi caratteri di un popolo santo, di un popolo crocifisso, vigilante e attivo, che cammina apertamente incontro a Dio, verso la gloria, essendo destinato al regno.
Che Dio ci accordi di penetrare nella profondità e nella potenza di queste cose; che esse non siano solo teorie o questioni di conoscenza e di interpretazioni scritturali, ma realtà viventi, divine, conosciute per esperienza e manifestate nella nostra vita, alla gloria di Dio.