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Nella legge Dio dichiara ciò che l’uomo dovrebbe essere e, se non è tale, lo maledice. Quando l’uomo si esamina alla luce della legge, s’accorge di essere proprio ciò che la legge condanna. Come dunque potrebbe ottenere la vita per mezzo di essa? La legge propone la vita e la giustizia come fini a chi la osserva; ma fin dal primo momento, ci mostra che siamo in uno stato di morte e di iniquità e che, fin dal principio, abbiamo bisogno delle cose che la legge ci propone di raggiungere. Cosa fare? Per compire la legge, devo avere la vita; e per essere quello che la legge vuole che io sia, devo possedere la giustizia; e se non ce l’ho tutte e due, sono «maledetto»; infatti, io non possedo né l’una né l’altra. Ma cosa fare? Ecco la domanda! Rispondano quelli che vogliono essere «dottori della legge» (1 Timoteo 1:7); rispondano in modo da soddisfare una coscienza retta, curva sotto il duplice sentimento della spiritualità e dell’inflessibilità della legge, e dell’impossibilità a correggere la propria natura carnale.

La verità, come ce l’insegna l’apostolo, è che «la legge è intervenuta affinché il fallo abbondasse» (Romani 5:20): è questo il vero scopo della legge. Essa è venuta per dimostrare che il peccatore è estremamente peccatore (Romani 7:13). In un certo senso la legge era come uno specchio perfetto, mandato sulla terra dal cielo per rivelare all’uomo il suo decadimento morale. Se mi metto davanti a uno specchio con un vestito in disordine, lo specchio mi fa vedere il disordine ma non lo rimedia. Se lascio cadere un piombo lungo il tronco tortuoso di un albero esso mi mostra le deviazioni dell’albero ma non lo raddrizza. Se esco in una notte oscura con una lampada, la luce mi fa vedere gli ostacoli e le difficoltà che si trovano sulla mia via, ma non li toglie. Né lo specchio, né il piombo, né la lampada producono i mali che evidenziano; né li producono né li tolgono: non fanno altro che manifestarli. Così è della legge; essa non produce il male nel cuore dell’uomo e nemmeno lo toglie; non fa altro che metterlo a nudo con un’esattezza infallibile.

«Che diremo dunque? La legge è essa peccato? Così non sia; anzi, io non avrei conosciuto il peccato, se non per mezzo della legge; poiché io non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire» (Romani 7:7). L’apostolo non dice che l’uomo non avrebbe avuto la concupiscenza, ma che non avrebbe avuto coscienza della concupiscenza. La concupiscenza era in lui, ma la ignorava finché la lampada dell’Onnipotente (Giobbe 29:3), rischiarando gli anfratti tenebrosi del suo cuore, non manifestò il male che vi si trovava. Così un uomo in una camera oscura può essere circondato da polvere e da disordine senza rendersene conto; ma se entra un raggio di sole subito distinguerà ogni cosa. Non è certamente il raggio di sole a creare la polvere; esso non fa altro che scoprirla e manifestarla. È questo l’effetto che la legge produce. Essa giudica il carattere e la condizione dell’uomo, dimostra che è un peccatore e lo rinchiude sotto la maledizione; giudica ciò che l’uomo è, e lo maledice se non è com’essa dice che dev’essere.