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È evidente, quindi, che non è la legge il fondamento della vita del peccatore e nemmeno la regola della vita per il cristiano. Cristo è l’una e l’altra. È la nostra vita e la nostra regola di vita. La legge non può che maledire e uccidere. Cristo è la nostra vita e la nostra giustizia; è stato fatto maledizione per noi essendo appeso al legno. Discese nel luogo dove il peccatore giaceva, nella morte e nel giudizio; e, con la sua morte, ci ha liberati da tutto ciò che è contro di noi o poteva esserlo, divenendo, in risurrezione, la sorgente della vita e il fondamento della giustizia per quelli che credono nel suo nome.

Possedendo così la vita e la giustizia in Lui, siamo chiamati a camminare non solo come ordina la legge ma «nel mondo ch’Egli camminò» (1 Giovanni 2:6). È quindi superfluo affermare che uccidere, commettere adulterio, rubare, sono atti direttamente opposti alla morale cristiana. Ma se un cristiano regolasse la propria vita in base a quei comandamenti o a tutto il decalogo, come potrebbe produrre quei preziosi e delicati frutti di cui ci parla l’epistola agli Efesini? I dieci comandamenti indurrebbero forse un ladro a non rubare più ma a lavorare per averne da dare agli altri? Trasformerebbero il ladro in un uomo laborioso e onorevole? Certamente no. La legge dice: «Non rubare» ma non dice: Va, da’ a chi è nel bisogno; da’ da mangiare al tuo nemico, dagli da vestirsi, benedicilo. Rallegra con la tua benevolenza e coi tuoi atti di bontà il cuore di chi ha sempre cercato di farti del male. Eppure, se io fossi sotto la legge come regola, essa non potrebbe fare altro che maledire e uccidermi. Come si può spiegare questo se la santità cristiana è così di tanto più elevata? Perché io sono debole e la legge non mi dà nessuna forza, non mi dimostra nessuna misericordia. Essa esige forza da chi non ne ha e maledice chi non può mostrarne. L’Evangelo dà forza a chi non ne ha e benedice, nella manifestazione di questa forza. La legge presenta la vita come il risultato dell’obbedienza; l’Evangelo dà la vita come solo vero fondamento dell’obbedienza.

Ma, per non stancare il lettore con tutte queste argomentazioni, vorrei chiedergli se in qualche parte del Nuovo Testamento ha trovato la legge presentata come regola di vita. L’apostolo non aveva certo quest’idea quando scriveva: «Poiché tanto la circoncisione che l’incirconcisione non sono nulla; quel che importa è l’essere una nuova creatura. E su quanti cammineranno secondo questa regola siano pace e misericordia, e così siano sull’Israele di Dio» (Galati 6:15-16). Quale regola? La legge? No, ma la nuova creazione. Ora, nel capitolo 20 dell’Esodo, non è mai parlato di «nuova creazione», anzi questo capitolo si rivolge all’uomo nel suo stato naturale che è della vecchia creazione e lo mette alla prova per sapere ciò che è veramente in grado di fare. Se dunque fosse la legge la regola secondo la quale i credenti devono camminare, come mai l’apostolo pronuncia una benedizione su coloro che camminano secondo una regola completamente diversa? Perché non dice: E a quanti cammineranno secondo la regola dei dieci comandamenti? È evidente che la Chiesa di Dio ha una regola ben più elevata in base alla quale deve camminare. Benché i dieci comandamenti facciano incontestabilmente parte dei libri ispirati, non possono mai essere la regola di vita per colui che, per infinita grazia, è stato introdotto in una nuova creazione e ha ricevuto una nuova vita in Cristo.