CAPITOLO 30
Capitolo 30
Vista l’istituzione del sacerdozio nei due precedenti capitoli, passiamo ora a ciò che riguarda il culto e la comunione sacerdotale. L’ordine dell’insegnamento è notevole e istruttivo, e, inoltre, corrisponde esattamente con l’ordine che esiste nell’esperienza del credente. All’altare di rame il credente vede i suoi peccati ridotti in cenere; poi si vede unito a Colui che, personalmente puro e senza macchia tanto da poter essere unto senza il sangue, ci ha tuttavia associati a sé nella sua vita, nella sua giustizia e nel favore ch’egli ha presso Dio; si vede poi, nell’altare di rame, il valore di Cristo come la sostanza di cui si nutrono le affezioni divine.
È sempre così: bisogna che vi sia un altare di rame e un sacerdote, prima che vi possa essere un altare d’oro e dell’incenso. Molti figli di Dio non hanno mai superato l’altare di rame; non sono mai entrati, in ispirito, nella potenza e nella realtà del vero culto dei sacerdoti. Non si rallegrano nel perfetto sentimento e nella divina intelligenza del perdono e della giustizia; non sono mai pervenuti all’altare d’oro. Sperano d’arrivarvi quando moriranno, mentre il loro privilegio è di essere già là ora. L’opera della croce ha tolto tutto ciò che poteva chiudere loro il cammino, per rendere a Dio un culto libero e intelligente. La posizione attuale di tutti i veri credenti è l’altare d’oro del profumo.
La presenza dinanzi a questo altare offre, in figura, una posizione di grande benedizione. È là che si gode della realtà e dell’efficacia dell’intercessione di Cristo. Con l’io e con tutto ciò che gli è connesso l’abbiamo fatta finita; non aspettiamo nulla di buono da quelle cose; siamo chiamati ad occuparci di ciò che Cristo è davanti a Dio. Nell’io non troveremo altro che contaminazione; ogni manifestazione dell’io contamina; esso è stato condannato e messo da parte nel giudizio di Dio, e non ve ne resta, né potrebbe restarvene, alcun atomo nell’incenso puro e nel fuoco puro, sull’altare d’oro puro. «Il sangue di Gesù» ci ha dato accesso al santuario, santuario del servizio e del culto dei sacerdoti, in cui non c’è traccia di peccato. Vediamo così la tavola pura, il candeliere puro e l’altare puro; ma non c’è nulla che ricordi l’io e la sua miseria. Se fosse possibile che l’io, in qualche modo, si presentasse alla nostra vista, ciò non farebbe altro che intralciare il nostro culto, guastare il nostro nutrimento di sacerdoti, oscurare la nostra luce. La natura umana non ha posto nel santuario di Dio: essa è stata consumata e ridotta al nulla, in cenere; e ora le anime nostre sono chiamate a godere del buon odore di Cristo che sale a Dio come un piacevole profumo; in questo Dio si compiace. Tutto ciò che presenta Cristo nell’eccellenza della sua persona è buono e gradevole a Dio. La più debole manifestazione di Cristo nella vita o nel culto di un santo è un profumo di soave odore, del quale Dio si compiace.
Troppo spesso, ahimè, dobbiamo occuparci delle nostre infermità. Se permettiamo al peccato che è in noi di fare il suo corso, abbiamo a che fare con Dio, perché Dio non può tollerare il male. Egli può perdonare e purificarci; può ristorare le anime nostre col ministero del nostro grande e misericordioso Sommo Sacerdote ma non può associarsi con un solo pensiero colpevole. Un pensiero leggero come una concupiscenza o un pensiero impuro bastano per turbare la nostra comunione e interrompere il nostro culto. Se sorge in noi uno di questi pensieri, bisogna che sia confessato e giudicato prima che possiamo godere di nuovo delle gioie sante del santuario. Un cuore nel quale la concupiscenza agisce, non gode di ciò che si trova nel santuario. Quando siamo nella nostra vera condizione di sacerdoti, la natura umana è come se non esistesse e possiamo nutrirci di Cristo; possiamo gustare la divina gioia d’essere liberati di noi stessi e interamente assorbiti da Cristo.