CAPITOLO 31
Capitolo 31
Questo breve capitolo si apre col racconto della chiamata divina di Betsaleel e Oholiab, divinamente qualificati per eseguire i lavori del tabernacolo. «L’Eterno parlò ancora a Mosè dicendo: Vedi, io ho chiamato per nome Betsaleel, figliuolo di Uri, figliuolo di Hur, della tribù di Giuda; e l’ho ripieno dello Spirito di Dio, di abilità, di intelligenza e di sapere, per ogni sorta di lavori... Ed ecco, gli ho dato per compagno Oholiab, figlio di Ahisamac della tribù di Dan; e ho messo sapienza nella mente di tutti gli uomini abili, perché possano fare tutto quello che t’ho ordinato» (vv. 1-6). Che si tratti del lavoro del tabernacolo, opera di mani, o, adesso, dell’«opera del ministerio» (Efesini 4:12), bisogna che colui che lavora sia divinamente scelto, divinamente chiamato, divinamente qualificato, divinamente stabilito e ogni cosa deve essere eseguita secondo il comandamento di Dio. Non era dato all’uomo di scegliere, chiamare, qualificare, stabilire operai per fare l’opera del tabernacolo ed è la stessa cosa per l’opera del ministero. Tutto deve venire da Dio solo. Si può correre di propria volontà o essere mandati dai colleghi; ma ricordiamoci che chi corre senza essere mandato da Dio sarà, un giorno o l’altro, coperto di vergogna e di confusione. Ecco la salutare e semplice dottrina che ci è suggerita da quelle parole: «L’ho chiamato, l’ho riempito, gli ho dato, ho messo, ho ordinato». Le parole di Giovanni Battista: «L’uomo non può ricevere cosa alcuna se non gli è data dal cielo» (Giovanni 3:27), saranno sempre vere. Non c’è quindi da vantarsi né da essere gelosi degli altri.
Si può trarre una lezione utile paragonando questo capitolo col cap. 4 della Genesi. «Tubal-cain, artefice di ogni sorta di strumenti di rame e di ferro» (v. 22). I discendenti di Caino erano dotati di intelligenza profana per fare, d’una terra maledetta e piena di sofferenze, un luogo piacevole, lontano dalla presenza di Dio. Betsaleel e Oholiab, invece, erano dotati di intelligenza divina per abbellire un santuario che doveva essere santificato e benedetto dalla presenza e dalla gloria dell’Iddio di Israele.
Lettore, fate questa solenne domanda alla vostra coscienza: «Consacro io la mia intelligenza e la mia energia agli interessi della Chiesa, che è l’abitazione di Dio, oppure le consacro per abbellire un mondo empio, senza Cristo?». Non dite, in cuor vostro, io non sono né divinamente chiamato né divinamente qualificato per l’opera del ministero. Ricordatevi che tutti in Israele potevano servire gli interessi del santuario anche se non tutti erano dei Betsaleel o degli Oholiab. C’era un posto per tutti e anche adesso ognuno ha un posto da occupare, un ministero da compiere, una responsabilità che deve assolvere; e voi ed io lavoriamo in questo momento o per gli interessi della casa di Dio, della Chiesa, corpo di Cristo, oppure per favorire i piani empi di un mondo ancora macchiato del sangue di Cristo e del sangue di tutti i santi martiri. Meditiamo seriamente queste cose di fronte al grande scrutatore dei cuori, alla cui presenza ci troviamo, da cui tutti sono conosciuti e che nessuno può ingannare.
Questo capitolo termina con un’allusione all’istituzione del sabato. È fatta menzione del sabato al cap. 16, in rapporto con la manna; poi è chiaramente ordinato nel cap. 20, quando il popolo è stato esplicitamente posto sotto la legge; lo ritroviamo qui in rapporto con la costruzione del tabernacolo. Tutte le volte che il popolo di Israele è presentato in una posizione speciale o è riconosciuto come popolo posto sotto una speciale responsabilità, ritroviamo il sabato. Consideriamo attentamente il giorno e il modo con cui il sabato doveva essere osservato, e anche lo scopo per cui fu istituito in Israele. «Osserverete dunque il sabato perché è per voi un giorno santo. Chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato d’infra il suo popolo. Si lavorerà sei giorni, ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all’Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno di sabato dovrà esser messo a morte» (vv. 14-15). Ecco, ciò che è esplicito e assoluto nell’istituzione del «settimo giorno» è nella proibizione categorica, pena la morte, di eseguire in quel giorno un lavoro qualsiasi. Non è possibile eludere il significato chiaro e semplice di quelle parole. Non c’è una sola riga in tutta la Scrittura che appoggi l’opinione che il sabato sia stato cambiato o che Dio abbia allentato i severissimi princìpi che regolavano l’osservanza di quel giorno. Quanti che si professano cristiani pretendono di osservare il sabato di Dio nel giorno e nel modo ch’egli ha comandato! Ma dimenticano che la minima infrazione del sabato era punita di morte!