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La tortura

Nota 8. alla lettera diciassettesima di Roma Papale 1882

La tortura è chiamata nell' Inquisizione un rimedio di diritto. Dal 1815, che fu abolita la tortura nello Stato Pontificio, anche l'Inquisizione ha abolita la tortura materiale, vale a dire la tortura dell' acqua, del fuoco e della corda; ma ha inventata invece un' altra tortura, che chiama morale, e consiste nel digiuno, nella oscurità, nella troppa luce, nel soffocamento. La tortura a cui fu sottoposto il nostro Enrico era la tortura della luce, della fame, del soffocamento per aria mefitica. Altre volte, quando si vuol dare la tortura delle tenebre, la camera della tortura è tutta parata di panni neri, la finestra perfettamente chiusa in guisa che non spiri un raggio di luce. Questa tortura si usa specialmente per le donne e le persone nervose. La persona chiusa in quella camera non sente nulla, non vede nulla se non che di tanto in tanto è spaventata da orribili voci che si fanno giungere nella camera per mezzo di una ciarabottana. Queste torture durano sette o otto giorni continui, e quando il paziente, estenuato e ridotto quasi fuori di sè, è condotto alla camera degli esami, necessariamente dice tutto quello che gli si vuol far dire, parte perchè non è in sè, parte per timore di essere ricondotto nella camera della prova.

Vi è un' altra specie di tortura meno crudele, ma più immorale, ed è questa: si finge di avere compassione del carcerato e si mette in una prigione più grande e più comoda in compagnia di un altro prigioniere, il vitto è migliorato e gli usano delle attenzioni; il prigioniere che gli si dà per compagno non è un prigioniere, ma un carceriere, od altro individuo al servizio dell' inquisizione. Egli si finge carcerato per lo stesso titolo del suo compagno, ed usa tutte le arti per farlo parlare. Naturalmente un infelice prigioniero, che per molti mesi non ha veduto nessuno, non ha parlato con nessuno, apre il suo cuore e dice tutto quello che pensa. Quando ha detto abbastanza, un segno di convenzione fatto dal finto carcerato al carceriere basta per far conoscere che il merlo ha cantato, come si dice in gergo di prigione: allora il vero prigioniero è ricondotto nella sua antica prigione, ed il traditore consegna nel processo tutte le confessioni del compagno, aggiungendovi anche del suo per farsi merito, le convalida col suo giuramento, e così sono ritenute come confessioni fatte dal prevenuto. Bisogna dire che anche l' Inquisizione ha progredito: questi mezzi sono più atti della corda a trarre di bocca le confessioni.

Pedro