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D. Quali sono i vostri sentimenti su tali cose?
R. Dei miei sentimenti interni debbo renderne conto a Dio solo: non credo che nessun tribunale abbia il diritto di giudicare i miei pensieri e i miei sentimenti.
Allora il giudice istruttore mi fece osservare che io mi era obbligato con giuramento di rispondere con verità a tutte le interrogazioni, e disse che se io ricusava di rispondere a quella o qualunque altra, sarei reo di spergiuro, ed avrebbe notato nel processo questo mio nuovo delitto, perchè fosse insieme con gli altri punito secondo la legge.
Conobbi allora, ma troppo tardi, l’inganno che mi si era teso col farmi giurare: restai un momento perplesso sulla validità di quel giuramento; poscia finalmente risposi: "Non il timore del gastigo, ma l’amore della verità, e 1’ obbligo che sento di confessarla, mi spingono a rispondere. I miei sentimenti sono di credere tutto quello che insegna la Parola di Dio, non una sillaba di più, non una sillaba di meno." Un sogghigno infernale apparve sulla livida faccia di quel frate, il quale seguitò così ad interrogarmi:
D. Cosa intendete per Parola di Dio?
R. Tutto quello che è scritto nei libri del Vecchio e del Nuovo Testamento.
D. Credete voi che la tradizione non scritta sia Parola di Dio?
R. No; perchè S. Paolo pronuncia 1’ anatema contro chiunque aggiunge alla Parola di Dio, perchè Gesù Cristo dice, che la tradizione annulla il Comandamento di Dio.
D. Ammettete voi come canonici e divinamente ispirati tutti i libri del Vecchio Testamento, che il Concilio di Trento ha dichiarato tali?
R. No; perchè S. Paolo mi dice, che Dio ha confidati i suoi Oracoli alla Sinagoga, non al Concilio di Trento; quindi ritengo come canonici e divini solo quei libri che come tali sono stati sempre ritenuti dalla Sinagoga.
D. Avete manifestati ad alcuno questi vostri sentimenti ?
R. Li ho manifestati al mio confessore.
D. Chi era il vostro confessore?
R. Il Padre M. Gesuita.
D. Cosa vi diceva egli sentendo da voi queste cose?
R. Non mi ricordo precisamente, ma so che le sue risposte non mi persuadevano.
D. Perchè non vi persuadevano?
R. Perchè non erano appoggiate alla Parola di Dio.
D. Il vostro confessore vi dava l’assoluzione?
Questa interrogazione mi fece sospettare, che la mia risposta avrebbe potuto nuocere ad un terzo, onde risposi: "Io ho giurato di dire tutto quello che riguarda me, fosse anche contro me stesso, e manterrò il mio giuramento; ma non risponderò mai alle interrogazioni che riguardano gli altri."
D. Oltre il vostro confessore a quali altre persone avete manifestati questi vostri sentimenti?
R. Ho detto che non ho parlato, che al confessore.
D. Giurate su questo punto (Nota 7 - Ripetizione del giuramento).
R. Non voglio giurare, e non giurerò più.
Il giudice allora mi disse che egli mi ammoniva a titolo di carità a giurare; che se ricusava il giuramento era una prova che io avea mentito, il Santo Tribunale avea in mano delle prove della mia menzogna. Risposi che non volea più giurare per nessun conto, che il giuramento in nessun tribunale può darsi al prevenuto contro sè stesso; che le interrogazioni fattemi erano capziose e suggestive, che non avrei più risposto a tali interrogazioni. Infatti incrociando le braccia sul petto mi rinchiusi nel più stretto silenzio, e più non risposi. "Voi costringerete, mi disse il giudice, il Santo Tribunale a servirsi dei rimedi di diritto (Nota 8 - La tortura) per farvi parlare; ma io protesto innanzi a Dio e innanzi agli uomini di essere innocente di tutto il male che ve ne avverrà: voi lo avete voluto." Così dicendo, si alzò e disse al carceriere: "Questo reo è raccomandato alla vostra carità." Il carceriere mi prese per la mano e mi condusse fuori.

Io credeva ritornare nella mia prigione, ma il carceriere mi fece salire una lunghissima scaletta a chiocciola, e mi condusse in una cameruccia nel più alto del palazzo. Quella prigione si chiamava la camera della prova, ed era stata sostituita all’ antica tortura. Era una piccolissima camera situata immediatamente sotto il tetto: un abbaino rotondo fatto a lanterna era nel centro più alto della prigione, e dava ad essa una forte luce aumentata dalla splendida bianchezza delle mura e del pavimento imbiancato a calcina; non vi era in essa camera che un sacco di paglia ed un vaso da notte; non sedie, non sgabello, non tavola; delle barre di ferro impedivano d’avvicinarsi all’ abbaino, sia per respirare, sia per aprire le vetrate. Negli eccessivi calori dell’ estate di Roma, quella prigione era insopportabile: sembrava di essere in un forno. Quando il sole avea tramontato e che si potea sperare un poco di riposo non essendo più tormentato da quell’ eccessiva luce, allora subentrava un nuovo tormento: il calorico rinchiuso in quel piccolo spazio mi sembrava insopportabile: allora io sentiva tutto l’ orrore di quell’ aria mefitica e corrotta per l’eccessivo calore, e per le esalazioni del vaso immondo che il carceriere avea ordine di vuotare ogni terzo giorno. A tutto questo aggiungi che io non poteva, come nell’ altra mia prigione, avere l’acqua a discrezione, ma mi si portava una volta al giorno una piccola tazza di acqua, che trangugiava tutta di un fiato e che bastava a non farmi morire dalla sete. Per tutto cibo non avea che un tozzo di pane nero quanto potesse bastare a trattenermi in vita. Avrei amato meglio soffrire la tortura della corda piuttostochè soffrire quella così orribile e così prolungata tortura della fame, della sete, del calore, dell’ aria pestilenziale, della solitudine. I sentimenti di rabbia e di odio contro i miei persecutori si suscitarono potenti nel mio animo: tutti i sentimenti religiosi sparirono: non sentiva in me che rabbia e disperazione. Mi venne perfino l’idea di fracassarmi il cranio contro quelle pareti, ma Dio mi preservò da questo eccesso. Io non pregava più, non credeva più. L’afflizione avea superate tutte le mie forze, ed al quarto giorno di questo tormento era ridotto in uno stato tale di atonia, che le mura della prigione pareva girassero continuamente attorno di me, e mi pareva essere trasportato come da un turbine.

Mentre era in questo stato, fui condotto di nuovo nella camera dell’ esame, ed in quello stato fui esaminato. Comprenderai bene che io non ho la più piccola memoria nè di quello che mi fu domandato, nè di quello che io rispondessi. Ma sembra che il mio esame piacesse ai reverendi Padri, perchè dopo l’esame fui ricondotto nella mia antica prigione che mi parve una reggia, mi furono dati subito dei cordiali, e, prima di essere rimesso all’antico vitto, mi fu dato per otto giorni il vitto dei convalescenti, cioè brodo, carne, vino, e pane bianco.

Dopo alcuni giorni, quando già avea riprese le mie forze, mi fu annunziata un’ altra visita misteriosa (Nota 9 - I convertitori). Era il Padre N. dell’Oratorio di S. Filippo Neri, che da protestante si era fatto cattolico, e passava per uomo dottissimo ed uno dei migliori teologi di Roma. Egli incominciò a mettere fuori i soliti argomenti in favore della Chiesa cattolica. Io lo lasciai parlare quanto volle senza mai interromperlo: ma mentre egli parlava mi venne in pensiero di usare uno strattagemma per avere da lui quello che tanto desiderava, cioè una Bibbia. Gli dissi che le sue ragioni potevano avere del vero, che io sarei entrato volentieri con lui in discussione; ma che avrei domandato in grazia di avere una Bibbia per potere studiar bene sopra essa que’ passi che mi parevano controvertibili, e sui quali avrei a lui domandate spiegazioni.

Il Padre N. parve contento e mi disse che ne avrebbe parlato al padre Commissario: difatti poco tempo dopo venne il carceriere, mi portò una Bibbia latina, quattro fogli di carta, un calamaio ed una penna: mi disse che della carta ne avrei dovuto rendere conto, e che badassi bene a non distruggerne nemmeno un bocconcino.

A gran pena mi contenni da non saltare dall’allegrezza in presenza del carceriere, per vedermi possessore della tanto desiderata Bibbia, e ciò sotto il tetto dell’ Inquisizione. Appena uscito il carceriere, apro avidamente la Bibbia, e si presentano sotto i miei occhi queste parole: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciocchè il Signore mi ha unto per annunziare le buone novelle ai mansueti; mi ha mandato per fasciar quelli che hanno il cuor rotto, per bandir libertà a quelli che sono in cattività, ed apritura di carceri ai prigioni" (Isaia LXI, 1); appena lette queste parole, mi parve di riconoscere la mano di Dio che verificasse sopra me quelle cose, mi parea sentire Gesù Cristo al mio fianco, la prigione non mi era più spaventevole, non sentiva più quella solitudine che tanto mi avea afflitto, perchè sentiva che Dio era con me. Mi prostrai per ringraziare il mio Dio; piansi, pregai, e mi sentii consolato.

Da quel momento posso dire che datasse la mia rigenerazione, mi pareva essere nato a nuova vita, non sentiva più i patimenti, Dio era con me, ed io non temeva più nulla dagli uomini. Domani ti scriverò quello che mi accadde con la mia Bibbia. Intanto credimi

Il tuo affezionatissimo
Enrico
Pedro