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22/01/2009 04:25 | |
Calvino prende dunque in esame la Bibbia, perché allora l'ideologia dominante era quella cristiana, e, per quanto riguarda il Vecchio Testamento, dice:
1) l'interdizione dell'usura era vietata presso la comunità ebraica, ma non nel rapporto degli ebrei coi pagani (cfr Es 22,25; Lv 25,35ss. e sop
2) gli ebrei erano costretti all'usura nei confronti dei pagani, perché questi la praticavano normalmente; 3) il divieto dell'usura non ha valore di "legge spirituale a carattere universale", in seno alla comunità ebraica, altrimenti non si sarebbero ammesse eccezioni, neppure nei confronti dei pagani. Si trattò dunque di una legge "gius-politica", avente un carattere storico limitato, non estensibile a realtà socio-economiche del tutto differenti.
Nel Nuovo Testamento -dice Calvino- Cristo non si propone di regolare il prestito a interesse; egli non è contrario, in via di principio, a tale pratica (lo dimostra la "parabola dei talenti"), ma solo al fatto che in essa debba essere il povero a rimetterci. Cristo si limita a predicare l'amore universale e non impone delle leggi particolarmente severe ai suoi seguaci.rattutto Dt 23, 19s.);
Il comandamento evangelico "prestate senza sperare di ricevere"(Lc 6,35) non impedisce di esigere un interesse, poiché il suo scopo è soltanto quello di stimolare la spontaneità nel dare. Il consiglio che Cristo diede al giovane ricco: "Vendi tutto ciò che hai"(Mc 10,21), non andava certo interpretato alla lettera.
Calvino, in pratica, fa questo ragionamento (peraltro abbastanza curioso, ma del tutto comprensibile in chiave "borghese"): nel mondo ebraico l'interesse era vietato solo fra ebrei, ma il cristianesimo, ammettendo dei principi universali, è superiore all'ebraismo, quindi l'interesse può essere ammesso!
Egli naturalmente conosceva bene l'esegesi medievale del divieto deuteronomico, secondo cui Mosé aveva concesso agli ebrei il privilegio di praticare l'usura nel rapporto coi pagani, perché temeva che, non concedendolo, gli ebrei l'avrebbero praticata fra loro. Ma, mentre i teologi e canonisti medievali (a parte qualche autorevole eccezione) ne traevano la conclusione che, in virtù del cristianesimo, l'usura andava considerata illecita sempre e comunque (anche nei confronti dei non-cristiani); Calvino, proprio per la medesima ragione, mirava a giustificarla sempre e comunque,
cioè anche all'interno della comunità cristiana! Egli cioè era convinto che la legge cristiana dell'amore avrebbe saputo impedire, in questo campo, ogni abuso; anche perché la vita comunitaria dei fedeli -secondo Calvino- andava in sostanza paragonata al commercio dei mercanti. Come infatti il denaro serve per mettere in comunicazione reciproca persone diverse, così vanno utilizzate le virtù del cristiano: "l'abilità con cui ciascuno esegue il dovere che gli è imposto e segue la sua vocazione, la capacità di fare ciò che è giusto, ecc.".
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