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22/01/2009 04:29 | |
Per realizzare un sistema capitalistico vero e proprio occorre che venga rivoluzionato il modo di produzione, non è sufficiente l’espansione dei commerci. Nel basso Medioevo l’Italia fu una grande potenza commerciale, ma questo non le fu sufficiente per trasformarsi in nazione capitalistica:
il primato produttivo spettò sempre all’agricoltura. Il capitalismo commerciale fu tollerato dal potere costituito (clerico-nobiliare) appunto perché sul piano produttivo dominava l’agricoltura feudale.
Quando i commerci si furono sviluppati al punto da rendere quasi inevitabile una Riforma protestante, la chiesa passò al contrattacco, sferrando un colpo demolitore con la Controriforma, che fece ripiombare improvvisamente l’Italia nel buio del peggior integralismo politico-religioso.
In Italia ci fu la Controriforma prima ancora di qualunque Riforma. Ci furono, è vero, correnti ereticali, movimenti culturali laici, progressi tecnico-scientifici, filosofie più o meno agnostiche...,
tutto ciò non riuscì a coagularsi attorno a un progetto politico rivoluzionario anti-feudale (almeno sino alla metà del XIX secolo). Ecco perché la chiesa poté avere la meglio sulla nazione più sviluppata d’Europa.
Gli intellettuali più progressisti non seppero organizzare una Riforma religiosa popolare semplicemente perché avevano sopravvalutato le forze del loro sviluppo culturale e sottovalutato le forze retrive della chiesa romana.
In virtù di questa sconfitta oggi sappiamo che per rivoluzionare il modo di produzione di una qualunque società occorre una rivoluzione culturale che rompa progressivamente i ponti col passato e una politica che ad un certo punto li rompa drasticamente, per superare le inevitabili resistenze di chi sta al potere. Di qui la grande importanza della Riforma protestante.
Il primato dunque spetta sempre alla politica, perché se è vero che l’innovazione teorico-culturale può precedere l’impegno politico, è anche vero che senza una battaglia politica radicale è impossibile trasformare qualitativamente la società. Non bastano neppure le progressive trasformazioni quantitative che avvengono sul terreno socio-economico. Tali trasformazioni, infatti, ad un certo punto si scontrano con dei poteri politici regressivi, che devono essere assolutamente sconfitti se si vuole che quelle trasformazioni abbiano maggior respiro.
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