CRISTIANI   Nelle mani del Padre

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Un bilancio (personale) del pontificato di papa Wojtila da un punto di vista psicanalitico

Ultimo Aggiornamento: 05/04/2009 22:17
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27/12/2008 00:50
 
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2. La clericalizzazione, sacralizzazione dell’Edipo

Durante il suo pontificato, Giovanni Paolo II ha visto uscire dalla sua Curia, con la firma di otto cardinali, una “Istruzione”, dal titolo e dai toni alquanti intimidatori, volta a stabilire che tra “sacerdozio battesimale”, proprio di tutti i cristiani, e sacerdozio ministeriale, proprio del clero “ordinato”, c’è una differenza di “essenza” e non di “grado”. Tale precisazione risale al Vaticano II: con la differenza che la Curia, non solo non tiene conto degli avanzamenti teologici maturati nei decenni seguenti, ma estende oltre ogni immaginazione il sacro. Nell’Istruzione l’aggettivo sacro è usato quattro volte per l’eucarestia, una volta per i “paramenti”, ben diciannove volte per il sacro ministero del clero (sacri ministri, sacri pastori, sacra potestà, sacra ordinazione).

Premesso che tale terminologia è sconosciuta a Gesù, che annunzia un nuovo tipo di adorazione in “spirito e verità” e la fine del tempio, di cui “non rimarrà pietra su pietra”, resta il fatto che Woityla

ripropone la antica scissione tra chi è omologato al “sacro” (prete-ordinato) e chi lo è al “profano” (laico-non ordinato). I laici, cioè il 99% dei battezzati cattolici, in buona sostanza, sono marchiati da un handicap ontologico, per cui non possono nemmeno “proferire le orazioni o eseguire i gesti riservati al sacerdote”; e se si sentissero chiamati dallo Spirito a tenere l’omelia dovrebbero chiedere niente meno che un esplicito “permesso alla S. Sede”.

Se il pontefice arriva a privare i fedeli di simili possibilità, delimitando le appartenenze al sacro (riservato al clero, suo dipendente in senso giuridico, amministrativo ed economico) e al profano (per i laici, non dipendenti), lo si deve all’esistenza di un nucleo edipico-infantile, che si sente narcisisticamente eccezionale ma, allo stesso tempo, vulnerabile. Di qui l’urgenza di auto-proteggersi ricorrendo ad una auto-sacralizzazione. Onde mantenere una zona di sicurezza da “incontri rav-vicinati”, si ammanta di paramenti, dignità, e potestà “sacri” con cui immagina di godere una superiorità metafisico-ontologica rispetto ai propri “fratelli”, trattati sostanzialmente come fantasmi. Forse non esiste prova migliore della datazione edipica di tale nucleo se si osserva che la sacralizzazione dell’”ordine clericale” si sviluppa in parallelo con la “castrazione” delle potenzialità fecondative dell’intero popolo di Dio. Edipo e castrazione, in sostanza, sono inscindibili.

3. L’ambiguità

Nell’Annuario pontificio il papa si auto definisce da una lato “successore del Principe degli Apostoli”, “Sovrano dello Stato Pontificio”, e dall’altro “Servo dei servi”. Nella logica normale il successore di un principe e il sovrano hanno una dignità e un potere che sono opposti a quelli di un servo. Quando una opinione o un comportamento si prestano a varie interpretazioni, che causano incertezza e confusione, si parla di “ambiguità”. Essa viene percepita solo dall’osservatore, non dal soggetto che vive l’ambiguità, poiché egli non vive né la confusione, né il dubbio.

L’ambiguità dipende da una deficiente differenziazione dei termini contrastanti (sovrano-servo), che coesistono (o si alternano) senza contraddizione o conflitto. In altri termini: l’ambiguità si definisce per un tipo particolare di organizzazione psichica caratterizzata dalla compresenza di nuclei non integrati (nucleo edipico e nucleo maturo), per cui manca la coscienza della contraddizione. Dato che la parte edipico-infantile resta svincolata da quella matura, dottrine ed azioni possono essere interpretate o sentite dall’Altro come confondenti, di natura incerta e finalizzate a mete tanto onorevoli come disonorevoli. Inoltre l’ambiguità impedisce di assumere un progetto e di condurlo in porto. Ritengo che il papato di Woityla sia proprio contrassegnato dalla carenza di elaborazioni programmatiche, di azioni collettivamente partecipate, di pianificazioni pastorali motivate.

Forse l’unico progetto che i commentatori attribuiscono a Giovanni Paolo II è il contributo dato per la caduta del comunismo russo, ma in tal caso la strategia vaticana è rimasta occulta, frutto di accordi segreti con Reagan e la Cia, non certo esplicitata e progettatta con il miliardo di cattolici.

Nel bilancio di papa Woityla sono molteplici i gesti e i pronunciamenti che il mondo ha avvertito come coerenti, tanto nel campo pastorale come sociale, ecumenico e politico internazionale. Ma sono anche rilevanti le prese di posizione “ambigue”, segnate da contraddizioni che non sono riconosciute dall’autore, ma solo dall’utente-fedele-suddito-ascoltatore.

Propongo tre esempi

A. Sono innumerevoli gli apprezzamenti che il papa fa della “donna”, la cui dignità è straordinaria, perché in essa nasce il Figlio di Dio, fatto che la rende “rappresentante e archetipo di tutto il genere umano” (Mulieris dignitatem). Ma allo stesso tempo la donna non può rappresentare, a partire dalla sua umanità, il divino che la abita, per cui non può “essere ordinata” al sacerdozio, tanto meno all’episcopato. Per il papa queste due posizioni non sono contraddittorie, ma per la donna cattolica sono fonte di una confusione che la fanno oscillare tra idealizzazione e svilimento. Che la donna sia un oggetto degradato nella Chiesa sembra un fatto accertato.

B. In campo ecumenico sono ragguardevoli i tentativi fatti dal papa per giungere ad un riavvicinamento e ad un maggiore rispetto e comprensione tra le religioni, fino alla richiesta esplicita e ripetuta di perdono per le violenze perpetrate dai cattolici nei secoli. Accanto a tale nucleo adulto coesiste quello edipico-grandioso, che in vari documenti ufficiali tratta le Chiese cristiane (e le religioni non cristiane) come oggetti declassati, privi della perfezione che caratterizzerebbe quella cattolica. Ancora una volta la contraddizione non appare tale al papa, ma solo alle Chiese “sorelle”, che reagiscono con forza a una arbitraria e supponente superiorità,vera “pietra d’inciampo” nel processo di riconciliazione.

Parlando di papato è impossibile evitare di accennare ai messaggi e ai gesti “politici”. Chiunque abbia visto come è ricevuto e trattato il papa nei suoi viaggi non può che restare confuso e incerto circa l’interpretazione da assegnare ai ruoli che egli assume: poiché da un lato si dichiara “pellegrino”, o padre spirituale che conferma nella fede i fratelli, mentre le immagini lo colgono quasi invariabilmente salutato con gli “onori militari” come si addice ad unCapo di Stato, o accanto a re, governanti e persino dittatori golpisti. Una cosa analoga si potrebbe dire per i problemi sociali: anche in questo caso i pronunciamenti a favore dei poveri e della giustizia, potrebbero riempire le biblioteche: ma la realtà vista dalla parte dei poveri è che durante il pontificato di Woityla questi ultimi hanno visto aumentare la loro miseria, mentre i ricchi moltiplicavano le loro fortune finanziarie e proprietarie.

A chiusura di queste annotazioni, certamente sommarie, mi preme dar atto a Giovanni Paolo II di aver riconosciuto che il papato deve subire cambiamenti. Nell’enciclica Ut unum sint (1995) egli si propone di ascoltare “la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”. Ma che altro è la “situazione nuova” se non il lutto dell’onnipotenza e la gioiosa rivoluzione di tutte quelle credenze ed illusioni che caratterizzano l’Io edipico-infantile?


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