CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

💝

 

 
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Carlo Carretto - Riflessioni

Ultimo Aggiornamento: 20/01/2009 18:13
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Pensieri giornalieri 04
1 Aprile: Segni della sua presenza

Molto tempo prima che Gesù ci raccontasse le sue parabole per aiutarci a capire le cose, Dio Padre ce ne aveva raccontata una di dimensioni cosmiche e di profondità abissali: la parabola della vita.

Tale parabola comprendeva tutto il visibile e l'invisibile e, invece di essere espressa con delle parole, era espressa con la realtà, con le cose che sono.

Colui che l'ascoltava era immerso nella parabola senza la possibilità di sfuggire all'ascolto, perché le parole erano fatte con le cose stesse e non potevano essere negate in alcun modo.

«Chi potrà dire: "il sole è falso!" ?», dice la meridiana indi­cando l'ora che transita visibile nel suo quadrante.

Come sfuggire alla «presenza assente» di un segreto, dise­gnatore di una volontà realizzatrice, di un'unità indiscussa di cui ti senti parte?

Chiamato Architetto del mondo, chiamalo Essere, chiamalo Motore immobile, chiamalo come vuoi, ma non puoi vivere a lungo senza sentire il bisogno di fare i conti con Lui, senza pen­sare a Lui, senza innamorarti di Lui prima ancora di conoscerlo per benino.

E fatale.

Semmai il dubbio su di Lui è sul suo modo di procedere, sul perché fa le cose così e più di tutto perché è così silenzioso e ha una presenza così misteriosa e oscura, anche se tutto non fa che parlare di Lui.

Sì. Tutto.

Sì, non posso dubitare: tutto è espressione della sua visibi­lità e della sua presenza sempre presente.

Anche se c'è un velo sulla sua nudità, ed è come un mistero che lo avvolge, tale velo non ha il potere di nascondere le sue forme stupende e straordinariamente trasparenti.


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2 Aprile: Scoperta della persona

Un'accettazione continua della presenza di Dio nelle cose intorno a noi è soltanto un inizio. Bisogna fare un'altra scoperta e questa è nella fede.

E una scoperta della persona di Dio. Quando io mi lascio baciare dal sole, quando io tocco la terra e canto con san Francesco: «Laudato Sii mi Signore... Laudato sii mi Signore Per frate fuoco», io sono soltanto sulla porta della contemplazione. E il cuore tuo fresco e bello che si esprime, ma non è ancora la vera contemplazione, perché la contemplazione è passiva.

E per giungervi bisogna passare attraverso la scoperta della persona.

Quando Abramo si trovò nel deserto e udì la voce di Dio:

«Lascia il tuo paese, .. dammi tuo figlio!» passò da una fede generale in un Dio presente in tutto il deserto al Dio persona che è davanti a lui. Quando Mosè vide il roveto che bruciava non si volse a destra o a sinistra ma guardò davanti.

E la personalizzazione di Dio. La scoperta della persona coincide con il mistero della nostra persona. Io persona sento davanti a me l'altro. Tutta la vita diventa una parola: Padre. Tutta la luce diventa una parola: Gesù. Tutto l'amore diventa una per­sona: Spirito Santo.

E sarebbe una tristezza rimanere così, è come se l'unità fosse rotta: e una sofferenza. Ma la rivelazione dello Spirito Santo che è l'amore mi ridà il senso dell'unità di Dio.

E come per Abramo, che vede tre uomini davanti a lui e dice: «Signore mio Dio» al singolare (cf. Gn 18, 1-33).

La scoperta dell'unità di Dio, attraverso la trinità delle per­sone, è la sostanza stessa della contemplazione e quando uno la tocca con la sua esperienza prova una gioia che non ha paragone su questa terra: è il Regno.


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3 aprile: Dov'è il cielo

Il cielo è il luogo «celato», che significa nascosto, dove vive il mio Creatore e dove vivo io creato, dove c'è Lui che è Padre e ci sono io suo figlio, dove c'è Lui che è sorgente e io l'assetato, dove c'è Lui creatività e ispirazione e io capacità di divenire creatività e ispirazione. Cielo è ovunque perché Dio è ovunque, e si chiama cielo perché è mistero nascosto ed è giusto che sia così per il rispetto della mia immaturità in divenire, capacità di socchiudere gli occhi, cammino verso la pienezza del Tutto, scoperta progres­siva della Persona di Dio. E perché questo avvenga, la luce ha bisogno di tenebra, la vita deve toccare la non vita, l'amore gratui­to deve scoprire la realtà dell'egoismo, la verità deve farsi strada nella menzogna e la virtù deve battersi col peccato.

Sì, è vero, il positivo di Dio lo scopro nel suo negativo che sono io, che è l'universo, e so che per fare una bella fotografia occorrono entrambi.

Questa è l'esperienza di Dio.

Dio si fa uomo perché l'uomo divenga Dio, la tristezza diventi gioia, il Nulla diventi il Tutto.

E l'incontro.

E lo stare insieme.

E la generazione.

E la maturazione del figlio vicino al Padre.

E il Regno dell'amore.

E l'Eterno.

È il paradiso.

Quando ero bimbo cercavo Dio puntando gli occhi nella luce che veniva dall'alto.

Quando ero giovane lo cercavo nei fratelli che mi circonda­vano.

Quando fui uomo lo cercai camminando sulle piste del deserto.

Ora, che sono al termine, mi basta chiudere gli occhi e lo

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4 aprile: Chi cerca trova

Qualche anno fa è uscito un libro di Augusto Guerriero (Ricciardetto) dal titolo: «Ho cercato e non ho trovato».

Il motivo della ricerca era Dio stesso.

Ho cercato Dio e non l'ho trovato!

E possibile ciò?

A me sembrò un assurdo. A parte che veniva contraddetta la parola di Gesù in cui credo fino in fondo: «Chi cerca trova», mi chiedevo: Ma allora, che cos'è questo Dio che non si lascia trovare?

Gioca a rimpiattino?

Si nasconde proprio a chi lo cerca onestamente?

E allora mi venne la voglia di scrivere a Ricciardetto così:

«Caro fratello, ho visto il titolo del tuo libro.

Sai che cosa ho pensato? Sei andato al mare, ti sei spogliato, hai attraversato la spiaggia, hai messo i piedi nell'acqua, hai pro­seguito nella marcia mentre l'acqua ti saliva al petto, poi al collo. Ti sei messo a nuotare. Sei tornato a riva, ti sei rimesso gli abiti e hai detto a chi ti era vicino: Non ho visto l'acqua.

So che c'è un detto ebraico che suona così: "L'ultima cosa che vede un pesce è l'acqua...

Anche l'uccello non vede l'aria in cui vive. Però ... prova a togliergliela...

Non sai, fratello, che siamo come i pesci e gli uccelli, per tanta parte della nostra vita, e che anche noi avvertiamo l'acqua e l'aria solo quando ce le tolgono?

Forse è il modo più drastico di rivelarsi di Dio per rispetta­re la nostra immaturità. Si fa vedere in negativo. Non siamo pronti a vedere il suo Positivo.

Ci vuol tempo.

Difatti non ci accorgiamo della sua Presenza quando tutto va bene, ma rabbrividiamo quando ci manca o quando tace».

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5 Aprile: Dio ti guarda

Fissa le cose, leggi nelle cose: non temere di perdere tempo a passeggiare lungo il mare o a guardare in un microscopio la struttura armoniosa dell'infinitamente piccolo.

L’intuizione di Dio, la fede in Dio nasce proprio là in quel segno che ti è davanti e non per nulla, non per caso ti sta guar­dando.

Non pensare solo che stai vedendo le cose, sforzati di crede­re che le cose guardano te: Dio ti guarda attraverso tutte le luci della città in cui cammini la sera e da tutte le nubi che come gregge in marcia transitano sulla tua testa.

Dio ti abbraccia servendosi del vento che ti scompiglia i capelli e ti bacia col primo sole nel mattino.

Le mani di Dio che ti toccano possono essere gli strumenti del tuo lavoro quotidiano e il suo saluto il fischio del treno che passa nel viadotto vicino a casa tua.

Se vuoi che i segni della creazione che ti circondano non ti distraggano, riempili della presenza di Dio.

Essi ti parleranno di Lui. Se vuoi che le strade che percorri diventino i corridoi del tuo ideale convento, pensali nella luce della sua presenza.

Il lavoro non sarà più un impegno che ti allontana dalla pre­ghiera se tu lo realizzi come atto di obbedienza alla sua parola che ti risuona nelle orecchie:

«Lavorerai col sudore della tua fronte» (Gn 3, 19). La presenza di Dio che viene a te attraverso i segni trasfor­merà l'ambiente in cui vivi in un ideale tempio dove tu potrai «adorare Dio in spirito e venti» (Gv 4, 24).


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6 Aprile: Con un cuore di bimbo

Per afferrare i segni che tu vedi e capirne il significato devi essere piccolo e umile di cuore.

E indispensabile!

Sembra una sciocchezza ma è proprio per questo motivo che molti rimangono fuori dalla verità: «Hanno gli occhi e non vedono, hanno le orecchie e non sentono» (Mt 13,14).

Gesù avrà parole di minaccia tanto vede grave la cosa: «Se non sarete piccoli, non entrerete nel Regno» (cf. Mt 18, 3).

Capito?

Non entrerete!

L'entrare nel Regno significa, tanto per cominciare, capire le cose, avvertire il discorso che «l'Invisibile presente» ti sta facen­do attraverso l'infinità dei segni in cui sei immerso,

come una goccia nell'oceano, come una foglia nel bosco, come una formica su una montagna.

Ma per entrare, per capire è necessario un cuore di bimbo.

Come puoi capire con l'aiuto della sola tua intelligenza?

Il mistero di Dio ha sede nel cuore dell'uomo e anche se incomincia a farsi sentire nel suo cervello trova la risposta solo nell'amore.

E amando che capisci.

Difatti è l'Amore la comunicazione.

Il segno è spiegato, interpretato, capito nell'amore.

Tu vedi la tua casa ed essa nell'amore diventa il segno di un'altra casa che è il Paradiso.

Tu vedi un convito nuziale e questo diventa per il popolo di Dio, che ama, il segno di un altro convito nuziale in cui è annunciata l'intimità tra Dio e l'uomo.

Per chi ama il tempo diventa contrappunto dell'eterno, come lo spazio la prima lettera dell'alfabeto del "non-spazio", il visibile l'ambiente ideale dell'Invisibile e la violenza e la guerra catalizzano nel cuore il sogno della pace universale.

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7 Aprile: Stare in Dio

Chi fa la comunicazione è l'Amore. Difatti è nell'amore che tu esci dalla tua solitudine. Finché non ami resti nella staticità della tua Natura. Quando l'Amore ti investe ti sveglia improvvi­samente e avverti l'Altro.

L'altro in assoluto è Dio e si sostituisce senza eliminarli -anzi armonizzandoli - a tutti gli altri che nella tua esperienza si mettono in cammino verso dite: la materia e lo spirito - il senti­mento e la ragione - la gioia e il dolore - il visibile e l'invisibile -la terra e il cielo - il tempo e l'eterno - la bellezza e la logica - la casa e il Regno - la morte e la resurrezione. Dio è veramente il Tutto, il perché di tutto, la chiave di tutto. Credere in Dio signifi­ca luce, pace, gaudio, esultanza. Non credere significa oscurità, tristezza, staticità, morte. Se pregare significa "stare in Dio", posso dire che prego ovunque perché ovunque è il mio tempio.

Il dire: non posso pregare perché devo lavorare è una scioc­chezza.

E chi ti impedisce di pregare lavorando? O meglio, di cre­dere che lavorando puoi essere in preghiera?

Perché ridurre la preghiera a parola, pensiero, luogo, mo­mento?

Vai oltre.

Se per pregare intendi comunicare con una Presenza e que­sta Presenza è dovunque, puoi essere in preghiera sempre. E amando che preghi perché è l'amore che ti porta alla persona amata e tu puoi amare parlando, piangendo, pensando, cammi­nando, dormendo, sempre ... sempre .. sempre.

Ventiquattr'ore su ventiquattr'ore.


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8 aprile: Tutto è preghiera

Quando un sacerdote dopo aver lavorato si propone di andare a pregare io gli chiedo, che cosa hai fatto finora. Tutto è preghiera.

Se tu riesci a comporre questa unità, tutto diventa preghiera.

Le otto ore che tu passi come infermiera accanto ad un malato o dietro il tavolo di un ufficio possono essere continuate con la stessa intensità, con la stessa intimità mentre ti inginocchi per pensare, direi con più forza al tuo Dio. Ma fin quando senti un contrasto tra il tuo lavoro e la tua preghiera vuol dire che non sei ancora arrivato alla contemplazione. Perché Dio non è detto che si rivela mentre sei in ginocchio, Dio può rivelarsi mentre guidi la macchina, Dio può rivelarsi mentre stai riposando o stai giocando. Come dice l'apostolo Giovanni (c£ Gv 14, 21-23), la rivelazione è promessa dal Cristo nell'amore.

Se tu mi ami e fai quello che ti ho detto io mi rivelerò a te.

Se farete quello che io vi ho detto, il Padre mio vi amerà, noi verremo e faremo dimora presso di voi.

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9 aprile: Poco più di nulla

Dio chiede all'uomo un atto di confidenza in Lui; e questo atto è la vera, l'autentica sottomissione della creatura al Creatore, un atto di umiltà, d'amore.

Questo «confidare in Dio», questo «far credito all'Onnipotente», questo appagare la nostra sete di sapere nel­l'infinito mare della sua paternità, questo accettare il suo misterio­so piano, questo entrare alla scuola per ascoltare la sua Parola, questo «saper attendere» è l'atto di adorazione degno dell'uomo su questa terra.

Ma se per orgoglio non vogliamo metterci sul sentiero della fede e voltiamo le spalle alla realtà divina e chiudiamo gli occhi dinanzi alla testimonianza delle stelle, che cosa risolviamo noi? Aumenta forse la nostra conoscenza del mistero? In fondo che cosa sappiamo noi? Senza giungere a parlare di Dio e della incar­nazione del Verbo e dell'Eucaristia, che cosa sappiamo noi dello stesso mondo fisico che ci circonda? Di ciò che capita dopo la nostra morte? Del dolore degli animali e del destino delle cose? Di ciò che capita su Andromeda e di ciò che avviene alla gazzella che muore? Ciò che sappiamo è poco più di nulla; un senso di sgomento dovrebbe coglierci ad ogni scoperta, che è là per dirci:

«Solo oggi arrivi?».


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10 aprile: Contemplazione delle cose

Stasera, contemplando lo straordinario cielo del deserto, ho visto il corpo celeste più lontano dalla terra e visibile ad occhio nudo: la Nebulosa di Andromeda.

Appariva come pallida luce fluorescente a forma di lenticchia allungata, tra la regolarità geometrica di Cassiopea e l'incompara­bile diamante delle Pleiadi. Quella luce della piccola lenticchia non è di oggi. E di un mllione di anni fa.

Stasera ho visto indietro nel tempo di un milione di anni, ossia di diecimila secoli.

Ma Andromeda è la galassia più vicina alla nostra e gli astronomi sono ormai abituati a calcolare le distanze che ci sepa­rano dalle altre galassie sperdute nell'immenso, a decine di miliardi di anni luce.

Dio è da molto tempo che si è messo in cammino per venire a me, quando non ero nato. E con me non eran nati né il sole né la luna né la terra né la mia storia né i miei problemi.

Io non sono uno studioso, ma gli studiosi dicono che la terra su cui mettiamo i piedi è nata due miliardi di anni fa. Poi si è preparata ad attendere l'uomo nelle varie epoche geologiche in cui la creatività di Dio si è espressa in tutta la sua potenza e dol­cezza.

«E fu sera... e fu mattina» (Gn 1, 5).

Ma tra un mattino e l'altro, fra una sera e l'altra... quanto tempo!

A me piace guardare il cielo e la terra. Non mi sembra tempo perduto.

Quando vengo per pregare nel deserto, preparo la mia pre­ghiera con la contemplazione delle cose. Penso proprio che il Signore le abbia messe li per questo.

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11 aprile: La misura dell'amore

Per me, quel tratto di deserto tra Tit e Silet rimane il luogo del mio purgatorio, l'ambiente dove si raccoglie volentieri la mia anima a meditare le cose di Dio e dove... probabilmente chiederò d'andare, dopo morte, a continuare la mia espiazione, se non sarò stato capace in vita di compiere un atto d'amore perfetto.

Ecco la grande pietra sotto il sole accecante del Sahara, la lama d'ombra sulla sabbia calda, la distesa fino all'orizzonte dell'ored solcato dalle tracce dei camion e delle jeep dei petrolie­ri e dei geologi.

«Sarete giudicati sull'amore» mi ripete sulla mia immobilità questo luogo; e i miei occhi bruciati dal sole guardano lontano il cielo senza nubi. Non mi voglio più ingannare; non mi posso più ingannare: la realtà è che non sono stato capace di dare la mia coperta a Kadà per paura della notte fredda; il che significa che io amo più la mia pelle di quella del mio fratello, mentre il comandamento di Dio mi dice: «Ama la vita degli altri come la tua». E ciò appartiene ancora al Vecchio Testamento, alla prima rivelazione di Dio all'uomo: «Ama Dio sopra ogni cosa» (Dt 6, 5) e «ama il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19, 18>.

Che se veniamo al Nuovo e alla Rivelazione di Gesù, le cose si complicano. «Amatevi tra di voi come Io vi ho amato!» (Cv 13, 34).

Come io! cioè non solo la coperta, ma la vita stessa. In realtà l'atto d'amore perfetto consiste nell'essere disposto a fare ciò che fece Gesù: cioè morire per Kadà, per me, per tutti. Sotto questa visuale, il Cielo è quel luogo dove ciascuno dei presenti dev'essere talmente «maturo all'amore», da offrire la sua vita per tutti gli altri. E l'amore perfetto, universale, radicale, senza ombra d'avversione, d'antipatia, di limite, colati in esso come nel fuoco.

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12 aprile: La legge della salvezza

Gesù ha vinto il male superando la tentazione di farlo, ha distrutto la morte iniettando nella morte l'amore.

In poche parole, davanti al male Gesù combatte e lo vince in se stesso, davanti alla morte l'accetta e la trasforma in martirio.

Gesù morendo d'amore ridà all'umanità la pace e ristabili­sce l'armonia nell'universo intero.

Sembrerebbe quasi un nulla ma è tutto, soprattutto è il principio della salvezza che è stabilito dal suo modo di agire.

Dopo di lui gli uomini continueranno a fare il male, i popoli a morire, ma è stabilita la legge della salvezza.

Uomo, questa è la tua salvezza.

Distruggi il male dentro di te, matura il tuo martirio.

Sarà lungo il cammino ma ti sarà dato tutto il tempo per realizzarlo.

Se non ti basterà la terra ci sarà il tuo Purgatorio, il tuo deserto, ma ci arriverai.

Devi fare lo stesso cammino di Gesù.

Addio idoli falsi, addio potenza inutile, addio ricchezza, addio supremazia sui fratelli, addio opere di morte.

Intanto stùdiati a memoria questo bellissimo canto tratto dal Vangelo:

Avete udito che fu detto amerai il tuo prossimo, odierai il tuo nemico. Ma io vi dico amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano. Pregate per i vostri persecutori, ben edite quelli che vi calunniano (cf. Mt, 43ss e Lc 6, 27-35).

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13 aprile: Da dove il coraggio

Come faccio a vivere come Gesù?

Come faccio ad avere il coraggio di soffrire e di morire d'amore come Cristo stesso?

Io così falso, così ingiusto, così avaro, così pauroso, così egoista, così orgoglioso?

Ora capisco perché Paolo ebbe tanta forza di espressione quando giunse al punto esatto del problema spiegandosi con i

Corinzi:

«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità sono come un bronzo che risuona o un cem­balo che tintinna.

E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da traspor­tare la montagne, ma non avessi la carità, sono un nulla» (1 Cor 13, 1-2).

Ecco dove sta il vero problema: io corro il pericolo di essere un nulla perché non so amare.

Non chiedetevi più se credete o non credete in Dio, chiede­tevi se amate o non amate.

E se amate, non pensate ad altro, amate.

E amate sempre di più fino alla follia, quella vera e che porta alla beatitudine: la follia della Croce, che è cosciente dono di sé e che possiede la più esplosiva forza di liberazione dell'uomo.

Che questa follia d'amore passi attraverso la scoperta della propria povertà, quella vera, quella di non saper amare, è un fatto. Ma è anche un fatto che quando giungiamo a questo limite invalicabile dell'uomo, interviene tutta la potenza creativa di Dio che non solo ci dice:

«Io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5), ma aggiunge:

«Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36, 26).

Ed è per questo che quando amiamo sperimentiamo Dio, conosciamo Dio e il dubbio sparisce come nebbia al sole.

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14 aprile: Colomba e agnello

Quando Dio volle scegliere delle immagini per rappresen­tarsi davanti alla nostra sensibilità e alla nostra fantasia, ne scelse due e sono le uniche: la colomba e l'agnello.

La colomba indica la vivacità, la dolcezza, la mobilità dello Spirito, e l'agnello rappresenta la mitezza, la piccolezza, l'umiltà della vittima divina, il Cristo. Uomo che si crede più astuto sceglie di preferenza il leone o un animale che gli somigli, pensando nella sua idiozia che con la forza e il sopruso farà più in fretta a conquistare la terra. E da tante migliaia di anni che si sforza di conquistarla e ancora non c e riuscito. Si è che a leoni o a tigri o a serpenti ricamati su bandiere all'attacco si oppongono altri leoni, altre tigri, altri serpenti che hanno la stessa intenzione e che fatalmente vengono a cozzare con i primi.

La sera del combattimento le opposte schiere della violenza riposano in un lago di sangue, tra montagne di rovine e mali incalcolabili. Ci si riposa un po', ci si fascia le ferite più grosse, si dimentica un tantino la grande paura, si torna a ricamare il leone sulle bandiere con una grinta più feroce e si comincia da capo pensando che questa sarà la volta buona e che poi sulla nostra vittoria ci sarà la pace vera, perpetua, la nostra pace. Dite se il gioco non è un triste gioco da giustificarsi solo con una parola:

siete pazzi, tutti pazzi.

Se Gesù mi ha detto: «beati i miti perché possederanno la terra», io devo possedere la terra con la mitezza.

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15 aprile: Nella casa del Padre

Se volessi riassumere in un'immagine semplice ma appro­priata tutta l'opera di Dio la paragonerei alla costruzione e alla vita di una casa di campagna.

Un colle, una vigna, un uliveto, dei campi, qualche prato, una siepe.

Sul colle una vecchia casa di campagna, semplice e vasta, ariosa e profumata di pane. La casa del Padre, la casa del pane.

Ed è in quella casa ch'io sono stato chiamato a vivere la vita di figlio.

La legge di tutta la casa? L'amore, la semplicità, la fede nel Padre, il lavoro, l'amore dei fratelli, la pace, soprattutto la pace, tanta pace. Nulla mi manca di ciò che dà la vita: il pane, il vino, l'olio. Ma al di sopra di tutto, l'amore di mio Padre.

Com'è completo questo amore, com'è il più riassuntivo, il più umano, il più libero, il più gradito.

Voglio vivere nella tua casa, o Padre, come figlio, mangiare del tuo pane, bere il tuo vino, gustare la tua pace. Nel figlio, quando è vero figlio, tutte le beatitudini diventano reali: povertà, mitezza, pace, pianto, giustizia, sete di soffrire per il Padre.

Padre, fammi figlio; Figlio, fammi figlio; Spirito Santo, fammi figlio.


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16 aprile: Pane per me

«Disse loro Gesù: "Io sono il pane della vita"» (Cv 6, 35). Dio s'è fatto presente in Adamo come creazione, è diventa­to voce in Mosè, coscienza in Abramo, esperienza in Elia, intimità in Giacobbe.

Come se non bastasse, è diventato Presenza «visibile e toccabile» in Gesù, Padre nella sua rivelazione più profonda, Spirito Santo nella pienezza del dono di sé.

Potrebbe bastare!

All'uomo in cerca del suo Dio non mancano ora gli appuntamenti e i luoghi di incontro; basta volerlo trovare.

Ebbene, l'inventività di Dio, la creatività di Dio ha trovato ancora un modo per concretizzare, attualizzare la sua Presenza tra di noi, vicino a noi, davanti a noi, a due passi, dentro di noi.

Si è trasformato in un pezzo di pane.

Forse molti di noi ne sanno la storia.

«La notte in cui fu tradito, Gesù prese il pane, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà dato per voi

Allo stesso modo prese il calice, rese le grazie e lo diede ai suoi dicendo: "Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue che sarà sparso per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me"» (1 Cor 11, 23-25).

E difficile credere a parole così tremende e sconvolgenti di Cristo. Ma è anche difficile liberarsi da esse.

Io non ci riesco più e se lo facessi peccherei contro lo Spirito.

E per questo che dico: io credo a ciò che Gesù ha detto, io credo che questo pane di vita è Cristo vicino a me, è Cristo diventato pane per me, è Cristo divenuto Presenza a me.

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17 aprile: Il Servo sofferente

Quanto erano lontani gli uomini dalla rivelazione che Gesù stava facendo sul reale, sulla vita, su Dio!

Soprattutto su Dio.

Dio era rimasto nelle loro mani come il castigamatti di turno, geloso delle sue prerogative e desideroso di vedere un mondo regolato e tranquillo come un collegio di educande.

L'uomo meschino si forgiava un Dio meschino, incapace di novità e di salvezza.

Quanto era lontano il pensiero di Gesù dalle preoccupazio­ni moralistiche del Tempio!

E com'era limitata la visione umana sulle cose vere di Dio!

E Dio, in Gesù, stava rivelando la sua identità.

Sulla terra stava esplodendo il cielo!

La luce era tale da obbligare tutti a chiudere gli occhi.

Perfino Satana fu preso in giro dal fulgore di quel lampo e non si riprese più dalla sorpresa.

Quale fu la rivelazione?

Fu la rivelazione di un Dio povero, sofferente, sconfitto.

L'uomo, abituato ai tuoni del cielo e al chiasso dei castighi, si trovò di fronte a Gesù morto sulla croce.

Tra tutti i volti pensati dall'uomo in preghiera sul Messia il volto più indovinato era stato quello intraveduto da Isaia: il volto del Servo sofferente.

Era l'Amore che si vestiva di povertà e di dolore per salvare l'uomo caduto nella povertà e nel dolore.

Era l'Amore che si faceva solidale con l'amato: l'uomo, e non dubitava di scendere fino nel fondo del suo peccato per sal­varlo.


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18 aprile: Eccomi

Quando Papa Giovanni si sentì vicino al «transito», alla morte, e udì la folla in san Pietro che pregava per lui, disse:

«Ecco il mio letto: è l'altare, saliamo a celebrare la Messa e a compiere il sacrificio».

Papa Giovanni in quell'istante dava alla morte il suo vero significato: una liturgia.

Noi morendo celebriamo la nostra Messa più matura.

Il declinare del capo dei viventi, l'appassire del fiore, la fine di una stagione, il giungere della sera, l'uccisione di un animale, la morte dell'uomo, sono tutti aspetti di una solenne Messa cele­brata dall'um verso davanti al Creatore.

E un dire con amore a Colui che ha fatto ogni cosa e tutto sostiene e guida verso la perfezione: «Eccomi, prendimi così».

Ogni oscurità nella vita è preparazione a quella Messa.

Ogni dolore è scuola per quella Messa.

Ogni aridità nella preghiera è anticipo di quella Messa.

Ogni morte è il vivere quella Messa.

Gesù l'ha fatta sua fino in fondo, e il fondo era la bocca del pesce che ingoiava Giona per tre giorni.

In Gesù, il Vivente, la Messa celebrata così sul Calvario sarà la testimonianza più autentica al contenuto del suo messaggio d'amore e la Chiesa la farà sua ponendola al centro della liturgia pasquale.

Ma questo atteggiamento, questo morire d'amore era stato già scritto in tutto il creato ed era il tema dell'universo intero.

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20/01/2009 18:10
 
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19 aprile: A vita nuova

«Rimetto la mia anima nelle tue mani».

Questa espressione della preghiera di abbandono del padre de Foucauld riassume bene questo radicale atteggiamento inse­gnatoci da Gesù e propostoci all'atto del nostro battesimo.

Sì, il battesimo predicato da Cristo è il gesto determinante dell'uomo davanti alla richiesta di Dio: «immergiti nelle acque della morte e risorgi con Cristo a vita nuova».

Per liberarsi bisogna morire a noi stessi, e questa è la Pasqua.

«Questa è la Pasqua in cui viene immolato l'Agnello.

Questa è la notte in cui hai liberato i nostri padri dalla schiavitù dell'Egitto.

Questa è la notte che ci salva dall'oscurità del male e in cui hai vinto le tenebre del peccato.

Questa è la notte in cui Cristo ha distrutto la morte e dagli inferi risorge vittorioso.

O notte veramente beata, notte che sconfigge il male, lava le colpe

riconduce l'uomo al suo Dio.

O inestimabile tenerezza del suo amore. Per riscattare Io schiavo

ha sacrificato il Figlio.

Felice colpa, che meritasti tanto redentore.

Senza il peccato d'Adamo Cristo non ci avrebbe redenti. Felice colpa, che meritasti tanto redentore».

(Dalla liturgia della veglia pasquale).

Ed io aggiungerei:

«Felice nostra povertà che hai il potere di attirare a te

il nostro Dio».

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20 aprile: Senso e vita

«Io sono la porta».

La porta è un di qua e un di là.

La terra, il visibile, il sensibile, il tempo, lo spazio è di qua; il cielo, l'invisibile, l'eterno, l'infinito è al di là.

Ma tutto è unito, conseguente, logico, vero.

La porta che è il Cristo domina nello stesso tempo di qua e di là col suo amore che al di qua è crocifisso e al di là è glorioso.

Per divenire immortali ed entrare nella gloria del Cristo Risorto ogni uomo deve passare quella porta e chi apre e chiude èil Signore, come dice l'Apocalisse: «Se io apro nessuno chiude».

Il passaggio si chiama Pasqua e il primo a passare è stato il Cristo Signore.

Difatti si dice: «Questa è la Pasqua del Signore».

Tutto il di qua della porta ha un significato, lo puoi capire solo in funzione e nello sviluppo dell'al di là.

Senza questo rapporto, questa continuità non puoi afferrare il reale, consumi la tua vita senza vedere.

Le cose che sono nel tempo senza un riferimento all'eterno non acquistano significato: sono come il nulla, foglie che seccano.

Gesù ha detto: «Che vale accumulare ricchezze che i ladri rubano e la tignola consuma?».

Ed ha aggiunto: «Accumulate tesori nel cielo dove ladro non giunge né tignola consuma» (c£ Mt 6, l9ss).

La risurrezione di Cristo dà significato e vita ad ogni creatu­ra creata dal Padre e realizzata in vista di Lui e per Lui.

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