CRISTIANI   Nelle mani del Padre

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unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Dal servizio al potere

Ultimo Aggiornamento: 25/01/2009 08:52
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25/01/2009 08:49
 
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ORGANIZZAZIONE E AUTORITÀ NELLA CHIESA PRIMITIVA

Democrazia teocratica originale

Bisogna spiegare il perché del titolo di questo paragrafo. Troppo spesso si sente affermare la necessità di una democrazia della chiesa in contrapposizione ad atteggiamenti ritenuti troppo autoritari e illegittimi. Vi sono invece altri che affermano la natura teocratica del governo della chiesa, difendendo una struttura gerarchica che esclude i membri dal governo effettivo della comunità. In realtà, nessuna di queste due prospettive è evangelica. La chiesa non può essere «democratica» nel senso comune del termine; la verità proclamata dalla chiesa, la sua struttura, la sua missione, non sono il frutto di una decisione assembleare della chiesa: le ha ricevute da Dio ed è chiamata a sottomettervisi. In questo senso la chiesa è una teocrazia. E, tuttavia, un governo teocratico della chiesa che si esprimesse attraverso una gerarchia autonoma dal resto della comunità dei credenti, non sarebbe ugualmente cristiano. Cristo affida ad alcuni dei ministri direttivi il compito di guidare la comunità, ma lo fa attraverso la stessa comunità dei credenti, alla quale appartiene l'autorità fondamentale. I credenti, inoltre, non solo esercitano la loro autorità scegliendo i ministri, ma partecipano essi stessi alla guida dell'insieme. In tal modo gli elementi teocratici del governo divino si coniugano con la partecipazione democratica dell'intera comunità.

Autorità elettiva e collegiale

Non tutte le funzioni direttivi sono di tipo democratico.

Gli apostoli e i profeti sono tali, ad esempio, per una chiamata diretta da Dio senza passare attraverso il consenso della chiesa. Ciò avviene perché essi rappresentano il fondamento stesso della chiesa (Efesini 2:20). Nel caso degli apostoli, tuttavia, sussiste un criterio di collegialità che ha una sua notevole importanza: essi sono dodici e lavorano di comune accordo senza prescindere, nonostante la straordinaria origine della loro chiamata e l'importanza della loro funzione, dalla consultazione con il resto della comunità come si verificava durante il primo Concilio della chiesa svoltosi a Gerusalemme (Atti 15: 6).

Quando la chiesa di Gerusalemme dovette fronteggiare il problema dell'aiuto ai poveri, gli apostoli chiesero alla comunità di scegliere tra di loro alcuni uomini capaci per incaricarli dell'amministrazione della beneficenza (Atti 6: 3). Anche se era stato Cristo a chiamare personalmente Paolo, tuttavia, siccome questa chiamata non era stata pubblica e la chiesa non poteva esserne certa, Dio chiama degli uomini della comunità a ratificare la sua vocazione (Atti 9: 10-19; 13: 1-3). Gli stessi vescovi, detti anche anziani (Atti 20: 1,28), sono anch’essi nominati dalla comunità: Paolo e Barnaba, «fatti eleggere per ciascuna chiesa degli anziani, dopo aver pregato e digiunato, raccomandarono i fratelli al Signore» Atti 14:23. (2)

L’autorità dei ministeri neotestamentari viene da Dio ma passando attraverso il canale della chiesa. Non sarà così per molto tempo. Ben presto sarebbe sorta una concezione del governo della chiesa di tipo monarchico che ne avrebbe eliminato non solo la democraticità ma anche la collegialità.

NASCITA E SVILUPPO DEL POTERE MONARCHICO

Clemente Romano

La situazione evangelica di «democrazia teocratica» non .viene però conservata a lungo. Ben presto sorgerà nella chiesa un potere di tipo monarchico. La prima lettera di Clemente ai Corinzi (97-98) comincia così: «La Chiesa di Dio peregrinante in Roma alla Chiesa di Dio peregrinante in Corinto»(3). Il fatto che non rechi come mittente e destinatario un personaggio specifico, può essere indizio del fatto che anche la chiesa di Roma era retta da un collegio di anziani e non da un singolo vescovo (4). Tuttavia, questo documento comincia già a presentare i primi segni di cambiamento:

  1. Si rimproverano i Corinzi di avere deposto i loro presbiteri (anziani, in questo documento sempre al plurale), testimoniando così che questa chiesa riteneva di averne l'autorità. E' però un' autorità che comincia a essere contestata dalla chiesa di Roma.
  2. Si afferma il principio secondo cui l'elezione di un presbitero dovesse essere a vita cominciando il percorso che avrebbe portato alla creazione di una gerarchia inamovibile.
  3. Non si distingue ancora tra vescovi e presbiteri come avverrà successivamente, quando questi due termini cominceranno ad assumere l'attuale connotazione di vescovi e preti, ma già la distinzione si delinea tra laici e clero.

Ignazio d'Antiochia

La distinzione tra vescovi e presbiteri si trova invece in Ignazio di Antiochia (verso il 110) in rapporto alle chiese orientali. Il vescovo diventa qui, forse per il pericolo delle eresie che cominciavano a manifestarsi, come un centro attorno al quale deve ruotare tutta la vita della chiesa. «Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli; venerate i diaconi come la legge di Dio. Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l'eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa Cattolica (universale). Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l'agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro» (8. Agli Smirnesi).

A Roma deve invece continuare a esistere una direzione collegiale.

«Mentre nelle altre lettere Ignazio conosce e designa personalmente i nomi dei vescovi delle diverse città, non designa il nome del vescovo di Roma ... Impossibile, se la chiesa di Roma avesse avuto un vescovo, che il nome di lui fosse ignoto ad Ignazio, e impossibile che Ignazio non lo nominasse proprio nel principio della lettera» (5).
Ma anche a Roma la situazione cambiò rapidamente. Quando Marcione, verso il 140, presentò la sua dottrina eretica lo fece davanti ai presbiteri. Quattordici anni dopo, verso il 154, Policarpo dovette discutere la controversia pasquale solo con il vescovo Aniceto.

Pedro

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