CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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LIVELLI DELLA FEDE IN DIO

Ultimo Aggiornamento: 05/07/2009 16:45
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 LIVELLI DELLA FEDE IN DIO

In questo ritiro, che è il primo ritiro di questo nuovo anno pastorale vogliamo iniziare un discorso spirituale che porteremo avanti mensilmente con gli altri giorni di ritiro che abbiamo già programmato qui a S. Vittorino fino al prossimo giugno, ogni seconda domenica del mese.

Il tema con il quale vogliamo iniziare questa serie di ritiri è la FEDE in Dio.

Cerchiamo di capire cosa significhi e cosa implichi aver “fede” in Dio, credere in Dio. Vediamo subito che questa parola “fede” ha bisogno di essere precisata meglio. Moltissime persone infatti affermano di essere credenti, persone di fede, ma poi vediamo come questa affermazione trovi in ciascuno una realtà di vissuto diversa.

I LIVELLI DELLA FEDE

Il primo livello della fede è credere che esista Dio, credere che Dio c’è veramente. Ma come fa la persona umana a giungere a credere, a dire cioè “io credo che Dio c’è veramente”? Ecco essenzialmente abbiamo due modalità per giungere a fare questa affermazione, possiamo giungerci per ragionamento e possiamo giungerci per fede, per fede cioè non tanto perché ci ragioniamo su, quanto perché aderiamo con la nostra volontà alla nostra religione.

Bene, chiediamoci dunque quali sono dunque quei ragionamenti che mi portano ad affermare l’esistenza di Dio? Il libri sapienziali della Bibbia ci danno un aiuto con questi testi:

Sap 13 [1]Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio. e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere. [2]Ma o il fuoco o il vento o l'aria sottile o la volta stellata o l'acqua impetuosa o i luminari del cielo considerarono come dei, reggitori del mondo. [3]Se, stupiti per la loro bellezza, li hanno presi per dei, pensino quanto è superiore il loro Signore, perché li ha creati lo stesso autore della bellezza. [4]Se sono colpiti dalla loro potenza e attività, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati. [5]Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l'autore. [6]Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero, perché essi forse s'ingannano nella loro ricerca di Dio e nel volere trovarlo. [7]Occupandosi delle sue opere, compiono indagini, ma si lasciano sedurre dall'apparenza, perché le cosa vedute sono tanto belle. [8]Neppure costoro però sono scusabili, [9]perché se tanto poterono sapere da scrutare l'universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?

Sal 19 [2]I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento. [3]Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. [4]Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono. [5]Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola. [6]Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via. [7]Egli sorge da un estremo del cielo e la sua corsa raggiunge l'altro estremo: nulla si sottrae al suo calore

Una prima via quindi è quella dalle creature al Creatore. In questa prima via possiamo inserire anche altre considerazioni che mi portano poi ad affermare l’esistenza di Dio, quali ad esempio la contemplazione dell’ordine dell’universo e la contemplazione della bellezza delle creature.

La considerazione di come tutto l’universo si muove mirabilmente secondo un ordine, uno schema, una legge. Gli scienziati riescono appunto a capire come funzionano le cose perché esse seguono un ordine, una legge interna, ora non si dà un ordinamento senza un Ordinatore, non si dà una legge senza un Legislatore. Ecco allora Dio che viene colto come l’Architetto dell’universo.

La contemplazione della bellezza, dell’armonia del creato, tanto splendore, tanta bellezza, tanta armoniosa melodia richiama la persona ad una Bellezza, un’Armonia, uno Splendore eterno e perfetto da cui deriva ogni bellezza, armonia e splendore terreno.

Una seconda via per cogliere l’esistenza di Dio è quella della considerazione delle ingiustizie nel mondo, quante ingiustizie nel mondo, quanta gente che soffre e altra che gode, gente che è vittima di profonde ingiustizie e altri che sfruttano queste situazioni, se Dio non esistesse non ci sarebbe possibilità rendere giustizia a coloro che sono vittime di ingiustizie e di rendere giustizia a coloro che commettono ingiustizie.

Una terza via è quella dell’introspezione. La persona umana scendendo in se stessa trova una  sete infinita di vita, di gioia, di amore, di pace, di realizzazione di sé che nessuna cosa o creatura o essere umano può saziare. La persona si sente fondamentalmente orientata verso una pienezza che non trova in niente e in nessuno e che coglie solo nella presenza trascendente di Dio. L’esistenza di Dio viene quindi postulata dalla pienezza di senso che la persona umana cerca in sé, senza Dio non ha senso nessuna vita umana o no. L’ateismo, il non credere in Dio è l’affermazione del non senso della vita ed è quindi una scelta incanalata verso la morte.

Conseguenze che sono implicate in questo primo livello di fede in cui la persona crede veramente che Dio esiste.

La prima conseguenza implicata nell’affermazione dell’esistenza di Dio è che noi non lo siamo, non siamo “Dio”. Ma cosa significa riconoscere che non siamo Dio? Significa ammettere che la nostra esistenza è dipendente da Lui, subordinata, riferita, vincolata a Lui e non siamo quindi noi padroni della nostra vita, la nostra vita non è nostra è sua. E quindi che c’è un progetto, un disegno, un desiderio di Dio sulla persona umana.

Allora vedete bene che essere persone veramente di fede significa essere persone che vivono senza dimenticarsi che la propria vita non è propria ma di Lui, senza dimenticarsi che Dio ha un progetto, un disegno, un desiderio su di lui. E quindi la persona di fede è una persona che cerca, in continua ricerca di scoprire questo progetto, questo desiderio. Dire di credere nell’esistenza di Dio e poi vivere senza cercare di scoprire i suoi desideri, il suo progetto, il suo disegno è vivere nella più profonde delle contraddizioni.

Costruire la propria esistenza solamente sui propri desideri, pulsioni e programmi significa in pratica ritenersi il dio della propria vita, un dio piccolo, però, molto piccolo con la “d” minuscola.

La persona umana non può sfuggire a quella domanda che Dio – quello con la “D” maiuscola – ha iscritto nel proprio cuore: “Cosa devo fare della mia vita?”. Dio è venuto in aiuto alla sua creatura che  dopo il peccato ha difficoltà a cogliere nella mente la volontà di Dio e ha regalato agli uomini la possibilità di conoscere tutti ciò che devono fare, questo dono è la sua LEGGE data a Mosè.

Ogni uomo, ogni donna può anche giungere a conoscere questa legge leggendo il proprio cuore, perché lì c’è scritto da quando siamo stati pensati da Dio, c’è scritto di amarLo, ringraziarLo, lodarLo, di rispettare e onorare i nostri genitori, di non uccidere né fare del male ad alcuno, di non rubare, non fare di nessuna persona umana un qualcosa da sfruttare o un oggetto di piacere, di non mentire, di non bramare ciò che non è proprio, la legge di Dio è lì, basta avere un cuore sincero per scoprirla, ma Dio ha voluto renderci facile il tutto e ce l’ha scritta Lui non solo nelle tavole del nostro cuore, ma anche nelle tavole di pietra che consegnò a Mosè.

Vedete, alle volte Dio non si cerca perché sotto sotto si sa che se lo trovo poi non posso più vivere come se non lo sapessi, non posso più fare quello che faccio, vivere come vivo senza essere in contraddizione con me stesso.

Ecco dunque, se il primo livello della fede è credere che Dio esiste, il secondo livello è quello di cercare di scoprire la sua volontà, di conoscere i suoi pensieri, vivere la sua legge.

Sal 119(118) [1] Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. [2]Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. [3]Non commette ingiustizie, cammina per le sue vie. [4]Tu hai dato i tuoi precetti perché siano osservati fedelmente… [12]Benedetto sei tu, Signore; mostrami il tuo volere. [13]Con le mie labbra ho enumerato tutti i giudizi della tua bocca. [14]Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni altro bene. [15]Voglio meditare i tuoi comandamenti, considerare le tue vie. [16]Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola… [32]Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore… [36]Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti e non verso la sete del guadagno. [37]Distogli i miei occhi dalle cose vane, fammi vivere sulla tua via…[105] Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino.

Il massimo dell’elevatezza spirituale della religione ebraica si avrà quando il popolo capirà che la stessa liturgia del tempio, gli stessi riti sacri a nulla servivano se non si ricercava con amore la volontà di Dio, il Salmo 40(39) esprime questa consapevolezza (tenete presente che le parole “sacrificio”, “offerta”, “olocausto” e “vittima” indicano solenni riti della liturgia ebraica che i sacerdoti svolgevano nel Tempio).

Sal 40(39) [7]Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. [8]Allora ho detto: "Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto, [9]che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore".

Os 6 [6]… poiché Io voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.

Se volessimo tradurre in linguaggio attuale questi brani dovremmo tradurli più o meno così: “Ho capito Signore che venire a Messa ogni domenica, recitare tante preghiere e Rosari a nulla serviranno alla mia anima se non mi decido seriamente a cercare la tua volontà e a metterla in pratica con amore”.

Il terzo livello della fede in Dio si vive poi quando la persona, non solo crede in Dio e cerca la sua volontà, ma lo riconosce anche come “Padre del Signore Nostro Gesù Cristo” (Col 1,3) e quindi lo riconosce come “Padre suo e Padre nostro(Gv 20,17). Infatti non è esatto dire che il cristiano crede in Dio Onnipotente e Creatore di tutto, non è esatto, infatti noi non crediamo semplicemente in Dio Onnipotente, noi crediamo in “Dio Padre Onnipotente Creatore del cielo e della terra”.

Questo è il terzo livello della fede: la conoscenza intima di Dio come “Padre” e quindi il relazionarmi con Lui in quanto “figlio nel Figlio”:

Ef 1 [3]Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. [4]In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, [5]predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo…

Gv 1 [9]Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. [10]Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. [11]Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. [12]A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, [13]i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.

Bisogna però stare bene attenti a non fare salti di livelli, perché sono livelli successivi e compenetranti. Non posso essere nel secondo livello di fede senza essere ben fondato nel primo, così come non posso essere pienamente nel terzo livello senza essere fondato nel primo e nel secondo.

Un esempio servirà a comprendermi meglio.

Ecco, l’esempio: una persona che non ha fatto pienamente l’atto di credere in Dio come un “Altro” assoluto ed esistente, come Colui che l’ha creato e Colui dal quale dipende la propria esistenza, al Quale riferire, orientare la propria vita, sul Quale fondare la propria esistenza, non potrà essere pienamente nel secondo livello dove, se si è coerenti, si è pronti a morire, a dare la vita per poter osservare la Legge di Dio! Non avendo un primo livello di fede ben fondato la persona seguirà nella propria vita la Legge di Dio finché essa non sarà scomoda e faticosa, e sarà invece pronta a scriversi lei una legge personale per ovviare alla fatica e pesantezza percepita nella Legge.

Sarà quindi solo la convinzione profonda della persona che riconosce di non essere Dio e quindi neanche padrone della propria esistenza, che riconosce che Dio, in quanto l’ha creata, ne sa più di lei su come funziona la vita umana, sarà questa convinzione profonda a far sì che la persona si metta con tanta umiltà davanti a Dio desiderosa di conoscere e vivere la sua volontà, la sua Legge.

Solo la persona che è ben radicata nel secondo livello della fede può aprirsi bene al terzo livello che è quello al quale il Signore Nostro Gesù Cristo ci invita, è il livello della fiducia, della confidenza e dell’abbandono alla sua provvidenza, già insegnato dai profeti del VT ma proposto in modo pieno e perfetto da Gesù.

Mt 6 [25]Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? [26]Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? [27]E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? [28]E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. [29]Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. [30]Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? [31]Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? [32]Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. [33]Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. [34]Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.

Mt 6 [7]Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. [8]Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. [9]Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; [10]venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. [11]Dacci oggi il nostro pane quotidiano, [12]e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, [13]e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.

DOMANDE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

· Credo veramente in Dio che mi ha creato?

· Quali sono i ragionamenti che più mi spingono a credere in Dio Creatore?

· Cerco la sua volontà, la sua Legge? Quanto impegno metto in questo? C’è in me un forte desiderio di conoscere quanto Dio vuole da me?

· Di fronte alla Legge di Dio, di fronte a ciò che è cosa grave e non si deve fare, sono pronto a morire pur di non commettere un peccato grave?

· Sento la paternità di Dio su di me? Credo nella sua provvidenza?

· Nella mia preghiera come mi relaziono con Dio Padre?

Pedro

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GESÙ CI INSEGNA COME RELAZIONARCI CON I L PADRE

Parlando prima dei vari livelli di profondità della fede abbiamo visto come il terzo e più profondo livello è quello nel quale ci ha introdotto N. S. Gesù Cristo in quanto Rivelatore e Attuatore della paternità di Dio su di noi.

Ma Gesù non solo ci attua e ci rivela la paternità di Dio sull’umanità, ma anche ci ammaestra, in quanto pienamente uomo come noi, su cosa significhi dire “Padre” a Dio, Lui infatti è il nostro “Maestro” (Mt 23,10 Gv 13,13) e tutto quello che ha fatto l’ha fatto anche perché noi ne seguissimo “le orme” (1Pt 2,21; Gv 13,13-15).

Cerchiamo quindi nella vita e negli insegnamenti di Gesù come Lui si è comportato nei confronti del Padre e cosa ha insegnato su di Lui con il suo Vangelo.

La prima cosa che Gesù ci ha insegnato è che dobbiamo “occuparci delle cose del Padre nostro(Lc 2,49) e ce lo insegna a 12 anni quando spiega questo a sua Madre e Giuseppe che lo cercavano “angosciati” da tre giorni. Maria e Giuseppe “non compresero le sue parole”. Com’è difficile per i genitori capire questo! Che cioè i propri figli non sono propri, ma di Dio e che non possono quindi inscatolarli nei loro programmi e desideri. Il sogno del mio povero papà era quello di avere un figlio maschio e ufficiale di una qualche arma dell’esercito! Che delusione quando questo sogno si infranse sul mio desiderio di farmi prete, eppure lui – che non era certo un uomo di Chiesa – seppe mettersi da parte con tanta umiltà e pagarmi anche la retta del seminario e tornare a lavorare dopo che si era messo a riposo per l’età.

Su questo insegnamento di Gesù penso che debbano tanto riflettere coloro che tra voi vivono la responsabilità di essere genitori, interrogandosi su quanto hanno fatto perché i propri figli si aprano a quel progetto che Lui ha su di loro da sempre, avendoli dapprima pensati e quindi creati attraverso la loro collaborazione.

Poi Gesù ci ha insegnato che non dobbiamo mai pensare che Dio Padre non si interessi di noi, che ci abbia creati e poi abbandonati al nostro destino. Il suo insegnamento su questo punto è come al solito semplice, preciso e alto: “Il Padre vi ama (Gv 16,27)… Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! (Mt 10,29-31)… Il Padre tuo vede nel segreto (Mt 6,4.6.18) [vede la tua vita, le tue sofferenze, le tue preghiere, le tue difficoltà]… cercate la sua giustizia e il suo regno e Lui non vi farà mancare niente (Mt 6,33) infatti chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! (Lc 11,9-13).

Gesù ci ha insegnato che questo Padre non ci ama perché siamo buoni, bravi e obbedienti, ma ci ama perché è nostro Padre e ci ha invitato a comportarci come Lui, appunto perché è nostro Padre:

Mt 5 [43]Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; [44]ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, [45]perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. [46]Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? [47]E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? [48]Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Gesù ci ha insegnato che questo Padre ci invita a ritornare a Lui se con il peccato abbiamo preso la strada della fuga da Lui. È bello vedere come in modo mirabile Gesù riassume nei suoi insegnamenti quanto avevano già detto i profeti a riguardo di questo ritornare a Dio.

Is 31,6 - Ritornate, Israeliti, a colui al quale vi siete profondamente ribellati.

Ger 3,14 - Ritornate, figli traviati - dice il Signore - perché io sono il vostro padrone. Io vi prenderò uno da ogni città e due da ciascuna famiglia e vi condurrò a Sion.

Ger 3,22 - Ritornate, figli traviati, io risanerò le vostre ribellioni.

Ger 6,16 - Così dice il Signore: “Fermatevi nelle strade e guardate,informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre”. Ma essi risposero: “Non la prenderemo!”

Gl 2,12 - Or dunque - parola del Signore - ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti.

Gl 2,13 - Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura.

Ml 3,7 - Fin dai tempi dei vostri padri vi siete allontanati dai miei precetti, non li avete osservati. Ritornate a me e io tornerò a voi, dice il Signore degli eserciti.

Gesù infatti inizia la sua predicazione pubblica con queste parole: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15) e manifestò nella sua Persona l’amore misericordioso e accogliente del Padre del cielo che ha pietà dei suoi figli ricercando le sue “pecorelle smarrite” dicendo chiaramente che Lui “non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”(Lc 5,32),  “è venuto a cercare e trovare chi era perduto”(Lc 19,10).

Gesù è così impegnato in questa ricerca delle “pecorelle smarrite” che i suoi nemici lo chiameranno con disprezzo “ mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Lc 7,34). Ma così facendo Egli manifesta quella bontà paterna di Dio che era già stata preannunziata dai profeti, bontà e compassione di Dio che è Pastore buono del suo popolo:

“Perché dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d'Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia”. - Ez 34,11-16

Gesù parlando palesemente di se stesso come il “Buon Pastore”che “conosce e ama le sue pecore”  (Gv 10)  e che va in cerca di quella smarrita (cf Lc 15,4-7) ci rivela l’amore paterno del Padre su ciascuno di noi, ma in particolare Egli ci fa conoscere questo commovente e divino amore attraverso la “parabola del padre buono”, più conosciuta come “parabola del figliol prodigo”(Lc 15,11-32) che riassume e sintetizza la storia di ogni persona umana che in seguito al peccato si è allontanata da Lui.

Qui volevo aprire una piccola parentesi. Se noi andiamo a rileggere la nostra storia e andiamo a vedere quei momenti o forse quegli anni in cui ci siamo allontanati da Lui e cercheremo di capirne il perché, forse troveremo diversi motivi apparenti: il parroco ne combinava di tutti i colori, l’ambiente della parrocchia era molto chiuso o altri motivi simili, ma se andiamo a scavare sotto sotto, il vero motivo per cui una persona si allontana da Dio e dalla “Casa di Dio che è la Chiesa del Dio vivente”(1Tm 3,15) ha un nome molto semplice che dice tutto: “il peccato”, se noi ci allontaniamo o ci siamo allontanati da Dio è solo perché il peccato ci ha sedotto e abbiamo visto come “piacevole e desiderabile” (Gen 3,6) ciò che in verità tale non è perché ogni volta che lo gustiamo ci ritroviamo “nudi” (Gen 3,7).

Gesù poi ci ha insegnato, consapevoli di questo amore del Padre, a cercare e fare sempre la sua volontà, Gesù è stato il Figlio sempre ubbidiente, di ubbidienza amorosa:

“Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre. - Mt 21,28-31

Gesù è il terzo figlio che la parabola dei “due figli” nasconde il “cui cibo era la volontà del Padre e compiere la sua opera”(Gv 4,34) e già quando venne a questo mondo con l’incarnazione disse:

Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà.-  Eb 10,5-7; Sal 40,7-9.

Gesù è così affascinato, preso, attirato dalla volontà del Padre ed è così lieto, felice, compiaciuto di vedere le persone che si impegnano con amore a farla, che si sente fratello e figlio di chiunque la fa:

“Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”. – Mc 3,33-35.

Gesù poi ci ha ancora insegnato a pregare il Padre non con una moltitudine di parole, ma con l’affetto del cuore e il desiderio di vivere fino in fondo nella sua volontà e ci ha lasciato nella preghiera del “Padre nostro” un piccolo compendio di cosa implichi essere figli di questo Padre e vivere da tali:

“Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”. – Mt 6,7-15

Essere figli di questo Padre buono significa quindi riconoscersi come fratelli e sorelle e perdonarsi, insegnamento semplice, preciso, profondo che ha voluto fosse ben impresso nei nostri cuori morendo perdonando chi lo aveva messo in croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Gesù ci ha insegnato – infine – la fedeltà al Padre, l’ubbidienza amorosa al Padre anche quando essa ci costa. Ci ha invitato a fidarci del Padre anche quando ci porta nella “valle oscura”(Sal 23,4) della prova, quella dura che ti fa “sudare sangue” (Lc 22,44) e ad alzarci ed andare fermi incontro alla croce anche quando l’“anima è turbata”(Gv 12,27) e “triste fino alla morte”  (Mt 26,38) e allora che il Figlio si affida totalmente al Padre in un gesto di assoluta consegna di sé all’amore

"Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io,
ma come vuoi tu!" –
Mt 26,39

"… non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu" - Mc 14,36

"… non sia fatta la mia, ma la tua volontà" - Lc 22,42

Questo gesto troverà la sua pienezza di espressione sulla croce quando Lui, il Figlio di Dio, griderà: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mc 15,34).

In quell’abbandono del Padre Gesù esperimenta,

1.       in quanto Dio, l’amore più grande che Dio possa mai dare all’uomo;

2.       in quanto Uomo, l’amore più grande che un uomo possa mai dare a Dio.

L’AMORE PIÙ GRANDE CHE DIO POSSA MAI DARE ALL’UOMO.

In quanto Gesù è il Figlio Dio, Dio stesso nell’Unica e Indivisa e SSma Trinità, morendo, Lui che, essendo la “Vita” (Gv 14,6) non poteva morire (cf Gv 10,18), ci mostra l’infinitudine meravigliosa dell’amore di Dio per noi che si fa uomo come noi per poter morire per noi consegnandosi a noi come vittima d’amore del Padre: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna(Gv 3,16).

L’AMORE PIÙ GRANDE CHE UN UOMO POSSA MAI DARE A DIO

Infatti in quanto Lui è uomo come noi, dà al Padre il massimo dell’amore possibile morendo in croce abbandonato e desolato, senza nessuna consolazione, abbandonandosi completamente alla sua volontà: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30), cioè: “Padre, ho fatto tutto quello che Tu volevi, mi  sono lasciato metter in croce in questo mare di dolore, come tu mi hai detto di fare, ecco, ho fatto tutto quello che Tu volevi e ora ritorno a Te”.

Morendo dicendo “Tutto è compiuto” e “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23,47), Gesù ci fa comprendere pienamente che il suo grido precedente - “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” – non era un grido di disperazione, esso infatti è una citazione dell’inizio del Salmo 22 che si conclude nella certezza di un “io vivrò per Lui” (Sal 22,30) che vince l’ineluttabilità della morte e già prospetta la risurrezione vittoriosa del Crocifisso.

Gesù Crocifisso esperimenta lì sulla croce l’abbandono psicologico del Padre, non ha nessuna consolazione psichica e umana della presenza del Padre, ma Lui è il Figlio che sa di essere “una cosa sola” (Gv 10,30) con il Padre e si abbandona totalmente nelle sue mani che non vede né sente.

Con questo grido Gesù entra nell’intimo del cuore di ogni persona umana che esperimenta l’angoscia del fallimento, della solitudine, della morte e illumina questa terribile esperienza con la luce e la forza di chi, essendo il Figlio, sa che il Padre è sempre con Lui anche in quell’ora tremenda dove sembra essere assente (cf Gv 10,30; 14,11; Lc 15,31).

Il suo gridare“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” non è un gridare da disperato, ma da Figlio che fa suo il grido dell’umanità crocifissa che non trova un “perché”, un senso al proprio soffrire e morire per mostrare ad essa, in Lui stesso, nel suo essere il Figlio che il Padre ha abbandonato sulla croce, il senso profondo di ogni vita umana crocifissa. Per questo tutti i crocifissi delle vicissitudini della vita, crocifissi dalle sciagure, dalle malattie, dal lutto, dalla solitudine, dalla miseria, dalle ingiustizie e dalle guerre potranno trovare in Lui, in Gesù crocifisso e abbandonato sulla croce dal Padre, un perché e un senso all’apparente insignificanza, all’apparente inutilità e all’apparente fallimento della propria vita crocifissa e trasformare in amore quanto prima si subiva con frustrazione o al massimo con rassegnazione, attraverso la consegna di sé nelle mani del Padre, vivendo così nella propria carne la passione di Gesù.

È solo Lui, Gesù Crocifisso, che può rivelarci il mistero racchiuso nel non-senso della sofferenza e del fallimento di una persona umana, mistero espresso da due parole AMORE e REDENZIONE.

·         L’AMORE esprime il significato primario in quanto dolore e vita che si consegna al Padre nell’abbandonarsi a Lui che si sa presente anche senza vederLo né sentirLo.

·         La REDENZIONE esprime l’amore per i fratelli a pro dei quali si attua la consegna di sé al Padre.

Amore e Redenzione rappresentano quindi i due bracci di ogni croce che inchiodandoci ci innalza al Padre e ci fa spalancare le braccia ai fratelli.

È in questa consegna amorosa che il Figlio di Dio, Gesù, attua morendo in croce che ci viene mostrato il significato profondo della vita dell’uomo, Gesù sulla croce attua la consegna piena, totale, assoluta: consegna di sé nelle mani del Padre e nelle mani degli uomini, morendo in croce mandato dal Padre a salvare l’umanità!

Le ultime parole di Gesù Crocifisso sono espressione di questa realtà così immensamente ricca di significato: - Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò. – Gesù muore insegnandoci a vivere nella consegna continua della nostra vita al Padre nell’amore dei fratelli per i quali Lui muore crocifisso.

È proprio in questa “consegna” il segreto del senso, del significato, del valore dell’esistenza umana anche quella più immersa nel mistero del non-senso della sofferenza, del fallimento e della solitudine, è lì in questa “consegna” che la persona umana trova un senso nei suoi non-sensi che attanagliano la propria esistenza, è lì in questa “consegna” che trova una risposta quel grido che Gesù ha fatto suo, proprio lì mentre moriva abbandonato dal Padre: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”.

È proprio nell’esperienza della morte vissuta come “consegna” della propria vita nelle mani del Padre senza esperimentare il suo soccorso ben sapendo che “dopo il mio intimo tormento vedrò la luce…perché ho consegnato me stesso alla morte” (Is 53,11-12), è proprio in questa “consegna” di sé nelle mani di un Padre che non si vede né si sente, ma che ci guarda con amore, che gli uomini esperimentano la salvezza e la meravigliosa realtà di essere figli di Lui che ha “consegnato” loro il suo Figlio Unigenito perché imparassero da Lui a “consegnarsi” come Lui nelle sue mani ben sapendo che il soccorso verrà: “Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima, anche il mio corpo riposa al sicuro, perché Tu non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16,9-11).

Consegnandosi alla morte di croce, Gesù ci insegna ad assumere tutte le nostre situazioni di morte per immetterci il senso profondo di un amore grande e potente che vince anche la morte. Ogni nostra piccola o grande situazione di morte diventa quindi un’occasione posta nelle nostre mani dal Padre per essere trasformata in amore attraverso la nostra “consegna” nelle sue mani sull’esempio del nostro Maestro e Signore, Gesù Cristo.

Così facendo, assumendo tutte le situazioni di morte della nostra vita e trasformandole in amore che si consegna e si dona al Padre e ai fratelli, noi partecipiamo alla morte redentrice di Gesù e completiamo “quello che manca alla sua passione a pro del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).

Attenzione, non si tratta solamente di imitare gli atteggiamenti di Gesù Crocifisso che si consegna al Padre, in realtà non si tratta di due passioni, due crocifissioni distinte, la nostra e la Sua, ma è la Sua crocifissione che continua nella nostra, perché ognuno di noi e come un prolungamento della Sua incarnazione e quindi noi, con la nostra crocifissione, portiamo a completamento la Sua passione a pro della redenzione dell’umanità (cfr. Col 1,24). In altre parole la passione Cristo continua lì dove c’è un altro povero crocifisso o un’altra povera crocifissa che consegna la sua sofferenza al Padre.

Ecco, carissimi fratelli e sorelle, concludiamo questa nostra piccola carrellata su quello che di più importante il Signore Gesù, nostro Maestro e Signore, ci ha insegnato su Dio, “Padre suo e Padre nostro(Gv 20,17) innanzi tutto con l’esempio della sua vita donata, “consegnata a suo Padre e ai suoi fratelli”.

Amen.

DOMANDE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE E COMUNE

1.       Ho mai riflettuto seriamente sul progetto che Dio Padre ha su di me, sui miei cari, sui miei figli?

2.       Il mondo insegna il “dare per avere”, il Padre invece ci ama senza alcun motivo di tornaconto, ci ama non perché siamo buoni, bravi e belli, ma ci ama semplicemente perché è Padre. Questo suo stile d’amore, questa sua modalità d’amarci è anche il modo come io amo i fratelli? Cioè senza altro motivo che sono miei fratelli?
Esperimento nella mia quotidianità la gratuità del mio amore verso gli altri o pretendo amore e riconoscenza per l’amore che do?

3.       Cosa vuol dire nella mia vita personale, cosa vuol dire per il mio cuore la parola “Conversione”?

4.       La “legge del perdono” è stata assimilata bene dalla mia persona e ha determinato il mio stile di vita e di relazionarmi con gli altri?

5.       Come leggo la sofferenza, la morte e tutto ciò che rende amara e triste l’esistenza umana? So guardarle con la “sapienza della croce di Gesù”?

Pedro

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