CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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I DIECI COMANDAMENTI

Ultimo Aggiornamento: 23/04/2011 18:19
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23/04/2011 18:12
 
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Quarto comandamento

ONORA TUO PADRE E TUA MADRE

Bisogna anzitutto situare questo comandamento all’interno del decalogo: esso apre la serie dei comandamenti che fondati sull’amore di Dio regolano i nostri rapporti con il prossimo: e il nostro primo prossimo è proprio la famiglia. Il vero destinatario di questo comandamento (come di tutti gli altri) è l’israelita adulto e libero. A lui viene ricordato il dovere di provvedere ai genitori anziani, di provvedere cioè alla generazione non più capace di lavorare. Il comandamento non è quindi diretto in primo luogo ai più deboli, affinché obbediscano ai potenti, ma è diretto piuttosto ai potenti, affinché non mettano da parte i genitori anziani e malfermi. Esso non mira all’obbedienza verso i genitori, ma al rispetto dei genitori, esige che si abbia fiducia in loro, ma non chiede affatto di rilasciare ai portatori dell’ordinamento tradizionale un assegno in bianco di sottomissione ai loro voleri. Anche testi successivi dell’Antico Testamento sottolineano in questo senso il dovere dei figli e delle figlie adulte verso i genitori. Così leggiamo, per esempio, nel libro del Siracide: “Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore” (Sir. 3,12 5; cf. 3,1—16; Pr. 16,20). Pure Gesù, quando parla del quarto comandamento, ha chiaramente davanti agli occhi il comportamento di figli adulti verso i loro genitori (cf. Mt. 15,4—6).

VARIAZIONI SUCCESSIVE

Nel corso della storia della Chiesa il quarto comandamento fu continuamente utilizzato scostandosi dal suo significato originario per sostenere le autorità costituite, oltre che i genitori. Lo si riferì tranquillamente a ogni governante e padrone, al sovrano del paese come al capo ufficio nella vita professionale. I manuali di teologia morale e catechismi trattarono nella cornice di questo comandamento perfino questioni del giusto salario e del contratto di lavoro, perché il datore di lavoro è appunto il padrone e l’autorità che bisogna rispettare e a cui si deve obbedire. In tal modo il quarto comandamento contribuì in misura essenziale al consolidamento d’un modello sociale patriarcale e favorì non pochi abusi di potere. Al riguardo bisogna dire: la tendenza a garantire mediante il quarto comandamento tutte le autorità esistenti è contraddetta dalla preoccupazione, chiaramente visibile nella Bibbia, di ostacolare a fondo il culto delle persone di qualsiasi specie. La Bibbia oppone a tutte le autorità, che pretendono di essere autonome, queste parole critiche :E “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At.5,29) Ma la Bibbia di per sé non sostiene la famiglia patriarcale. L’unica cosa che possiamo giustamente desumere dal quarto comandamento in un senso ampio, che va al di là del rapporto con i genitori, è un chiaro apprezzamento delle tradizioni collaudate. Chi le respinge e le considera solo un ostacolo alla propria auto realizzazione, respinge delle esperienze che sono indispensabili per una più profonda comprensione di se stessi. La nostra società moderna ha superato quella patriarcale, tuttavia sembra che oggi il IV comandamento sia diventato più urgente di prima. Non si tratta in fondo di un aut—aut: chi ha la preminenza, la giovinezza o la vecchiaia? Non si tratta neppure di salvare o, in caso di necessità, di restaurare un “sistema patriarcale” di società. E neppure ci dimentichiamo che Gesù può benissimo immaginarsi situazioni in cui il quarto comandamento non può più avere la preminenza. Là dove, ad esempio, i genitori influenzano i loro figli nei confronti suoi e del Regno di Dio, egli proclama: “Sono venuto a mettere divisione: l’uomo contro suo padre e la figlia contro sua madre.. (Mt. 10,35). Di che si tratta allora? Da parte dei giovani come degli anziani, questo comandamento come atto di fede. Soltanto la fede può vedere nel prossimo in generale e nei genitori in particolare il segno e la testimonianza dei doni di Dio. Non illudiamoci: chi non parte dalla fede può anche non apprezzare la propria vita e quindi trovare difficoltà ad essere riconoscente. Essere riconoscenti verso i genitori, “onorare” i più anziani e le persone sperimentate nella vita, “considerarli importanti”, come dice letteralmente il testo antico, è possibile soltanto se prima si considera la vita e la realtà come qualcosa di buono, e cioè vi si riconosce la presenza del Dio, che, attraverso il padre e la madre, ci fa dono di questa vita buona, ci concede la possibilità di dispiegarla in questo mondo e in mezzo agli altri uomini, ponendola così sulla via del suo inimmaginabile compimento.

COME VIVERE QUESTO COMANDAMENTO?

E’ chiaro che il primo dovere che scaturisce dal quarto comandamento è quello di provvedere ai genitori e alle persone anziane in generale. Ora, nei nostri Stati moderni, normalmente ciò avviene in maniera quasi automatica”, quanto con le tasse il datore di lavoro trattiene anche i contributi sociali da versare all’assicurazione, con quali viene provveduto ai nostri pensionati. Ciononostante di come noi dobbiamo provvedere ai nostri genitori non si rivela superfluo. Evidentemente la sicurezza finanziaria da sola non è tutto. Un metro che dovrebbe guidarci nel “come” trattare gli anziani potrebbe essere la domanda: “Come vorrei io essere trattato dai miei figli quando sarò vecchio?”.

AIUTO E CONTATTO

Un campo importante dell’ “onore” riservato ai genitori è costituito dall’aiuto pratico quotidiano. Esso deve essere naturale là dove ci troviamo di fronte a degli anziani abbandonati, indifesi. Un esempio è costituito dal rapporto E con le autorità, che spesso trovano difficile persino le persone ancora attive nella produzione. Ci sono molti anziani che subiscono passivamente tutti gli interventi delle autorità amministrative le cui stesse lettere, con il loro linguaggio tecnico rappresentano una difficoltà non piccola solo perché non hanno più la forza di sopportargli strapazzi di una discussione con la pignoleria burocratica. Qui devono farsi avanti i giovani per preservare gli anziani dall’impressione che li si tratti senza riguardo e ingiustamente. Un aiuto prestato con tatto è anche il contatto. Se comprendiamo che la cosa più dolorosa, quando si invecchia è costituita dal vedersi strappare una dopo l’altra, persone con le quali si è vissuti: i genitori, i fratelli, il coniuge, le buone antiche conoscenze; se si può intuire come nella crescente solitudine proietti la sua ombra l’essere soli di fronte alla morte, allora si comprende anche E che gli stessi regali più generosi sono ben poca cosa in confronto al tempo che noi dedichiamo al colloquio con gli anziani. Con ciò si intende sia il contatto attraverso il dialogo che intratteniamo con essi, sia i contatti con persone della loro età, che noi ci preoccupiamo di procurare loro, magari con qualche astuzia. In realtà, può essere osservanza del quarto comandamento se, una volta all’anno, il figlio e la nuora insieme ai nipotini si recano in auto alla casa di riposo per fare una visita d’obbligo al padre o alla madre, portano un grande mazzo di fiori o un regalo, raccontano le ultime imprese dei bambini e, dopo un quarto d’ora, guardano l’orologio e dicono: “Mamma, a (papà), oggi abbiamo molta fretta, purtroppo dobbiamo andarcene”?

OBBEDIENZA O NO? COME?

Un problema particolare nel rapporto dei figli con i genitori è naturalmente rappresentato dall’ “obbedienza” Al riguardo svilupperemo, brevissimamente, un paio di principi molto semplici. I figli adulti non sono in alcun caso tenuti a “obbedire” ai loro genitori. I genitori non hanno alcun motivo e alcun diritto di lamentarsi della “disobbedienza” dei figli 0quando questi desiderano percorrere la loro strada in piena responsabilità e non hanno piacere che i loro genitori si immischino soprattutto nelle questioni più delicate (scelta del coniuge, scelta della professione, ecc.). I figli minorenni sono naturalmente tenuti a obbedire ai loro genitori. Ma anche qui i genitori dovranno ben guardarsi da un’applicazione schematica di “comando” ”obbedienza”. Le acquisizioni della psicologia infantile e giovanile, cui abbiamo già accennato, ci insegnano chiaramente che l’esigenza del bambino ad una propria vita automaticamente responsabile non sta, per così dire, fino ai diciotto anni sotto riserva. Si sa che oggi un giovane al più tardi a dodici anni incomincia a sviluppare una propria coscienza e un proprio rapporto peculiare con le esigenze della vita, per cui non può più limitarsi alla semplice imitazione di quello che i genitori fanno davanti a lui. Se quindi i genitori, invece di promuovere e aiutare prudentemente questa evoluzione (spesso per essi molto dolorosa), la reprimono con violenza, è possibile che sul momento essi ottengano un successo esterno, insieme però rischiano che il loro figlio diventi una persona che negli anni decisivi non ha imparato ad assumersi la responsabilità della vita. Rischiano inoltre che, più tardi, il figlio, segretamente o apertamente, odi i propri genitori. Questi ultimi perciò dovrebbero presentare la loro richiesta di obbedienza ai figli che è cosa assolutamente necessaria in modo che nel bambino non si inculchi l’impressione che la sua volontà venga sistematicamente violata dai genitori. Essi dovrebbe piuttosto tenere presente che il bambino obbedisce ai genitori perché li ama (e non perché ha paura di essi), e che il bambino cresciuto e, infine, il giovane obbedisce ai genitori in seguito a una sempre più profonda ponderazione della cosa o anche semplicemente per riguardo ai ragionevoli diritti e alle comprensibili preoccupazioni dei genitori, anche quando queste non siano condivise.

COMANDAMENTO PER I GENITORI

Certamente il quarto comandamento si rivolge anzitutto ai bambini e ai giovani. Ma non devono anche i genitori e le persone più anziane rendersi conto della parte di responsabilità che spetta loro nell’adempimento di questo comandamento? Non devono preoccuparsi pure essi affinché il rispetto dei genitori da parte dei figli non finisca per diventare una cosa impossibile? Se i figli si comportano E in maniera fredda o addirittura ostile nei confronti dei genitori, spesso ciò non è che la risposta al comportamento sbagliato e persino, privo di affetto dei genitori nei confronti dei loro figli. Il peggiore delitto di cui i genitori possono macchiarsi a riguardo del quarto comandamento è di non permettere ai figli di vivere la loro propria vita. Ciò non significa affatto che i figli debbano crescere selvaticamente, senza alcuna direzione e assistenza ragionevole, senza E il consiglio dell’esperienza dei loro genitori. Ciò non è possibile già per il fatto che il peso di doversela cavare da soli nella vita, contando soltanto sulla propria esperienza, dovrebbe schiacciare qualsiasi uomo, ma soprattutto un giovane. Tuttavia il fine dell’educazione non può mai essere quello di formare i bambini a immagine e somiglianza dei genitori, ma piuttosto quello di lasciare che essi trovino e percorrano la loro propria strada, aiutandoli se è il caso, ma disinteressatamente anche se questa strada non dovesse corrispondere alle aspettative dei genitori.

“Superiori” e “sudditi”

Fin dai tempi della nostra istruzione per la confessione siamo abituati a interrogarci, a proposito del quarto comandamento, anche sul nostro comportamento verso i “superiori”. Evidentemente si tratta di un rapporto del tutto diverso da quello con i genitori naturali. Nessun “superiore” è legato alla nostra vita come lo sono nostro padre e nostra madre. E ciò vale anche per i superiori ecclesiastici, anche se a volte il linguaggio liturgico chiama la Chiesa nostra “madre” e le autorità ecclesiastiche (papa, vescovo, sacerdote) “padre”. Da nessuno di essi noi abbiamo ricevuto la vita che ci ha fatto venire al mondo, e nessuno di essi ci è preposto direttamente “dalla grazia di Dio”. Piuttosto la loro posizione nei nostri confronti è indiretta, fondata su una autorità umana, e noi stessi, direttamente o quanto meno indirettamente, abbiamo scelto questa autorità. Ciononostante il quarto comandamento ha a che fare con il nostro rapporto con i superiori e di questi con noi. Ma dove convivono degli uomini deve regnare l’ordine che questa parola oggi piaccia o non piaccia. E l’ordine nella convivenza richiede regole e leggi e persone il cui compito consiste nel pensare, promulgare e far osservare queste regole e leggi. E tutto ciò esse fanno non per se stesse ma per noi, in altre parole: i superiori, e anche le autorità ecclesiastiche, esistono per noi, e non viceversa. La loro responsabilità, nonché la loro legittima “autorità”, e un servizio, e non l’esercizio di un potere a proprio piacimento. Noi li “onoriamo” e ne eseguiamo le giuste disposizioni. Ma i superiori si guarderanno bene dall’attendersi dai loro sudditi un tipo diverso di osservanza delle loro disposizioni, e in nessun caso abuseranno del loro potere all’unico fine di imporsi. Ma se, in cose piccole o grandi, i superiori commettono ogni sorta di soprusi? In questo caso cessa radicalmente il dovere di lealtà sul quarto comandamento. E il cristiano può in tutta libertà d’animo quindi con libertà e coraggio dichiarare ai suoi superiori che egli non intende farsi privare della “libertà dei figli di Dio”; che non è disposto a ‘obbedire” soltanto per permettere ai superiori il piacere del comando; ma al contrario farà tutto il possibile per amareggiare loro questo piacere.

UN SIMPATICO RACCONTINO

Una mamma dimostra il suo amore al figlio

Un bambino, di nome Valentino, una mattina si recò a scuola, tenendo il pugno della mano sinistra sempre chiuso. Quando veniva interrogato teneva il pugno sinistro chiuso; se scriveva teneva il pugno chiuso. La maestra, anche per soddisfare la curiosità dei compagni, domandò a Valentino il perché. Subito il ragazzo si schermiva, ma poi si decise a svelare il segreto. Il motivo per cui tengo chiuso il pugno della mano sinistra è molto semplice. Questa mattina, quando partiti da casa per venire a scuola, mia madre mi stampò sulla palma della mano sinistra un forte bacio, mi chiuse la mano con molta dolcezza e mi disse: “Valentino, figlio mio, tieni sempre ben chiuso nella tua mano il profumo del bacio di tua madre!”. “Ecco perché io tengo la mano chiusa con il suo prezioso tesoro”


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