CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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I DIECI COMANDAMENTI

Ultimo Aggiornamento: 23/04/2011 18:19
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23/04/2011 18:13
 
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Quinto comandamento

NON UCCIDERE

Il comandamento sembra il più ovvio di tutti. Invece è un comandamento difficile, che ha fatto, anche all’interno della Sacra Scrittura, un lungo cammino e che ancora oggi ci lascia grandi interrogativi e ci interpella.

NELLA BIBBIA

Il senso originario di questo comandamento e: non assassinare”, cioè “non farti giustizia da solo”. La vita è di Dio, chi uccide profana la dignità del prossimo protetta da Dio, del prossimo che è immagine di Dio. E si arriva all’estremo di dire: chi uccide in questo modo sarà ucciso (Gen. 9,6). Inizialmente in Israele la vendetta di sangue era tollerata. in caso di omicidio, per esempio, i parenti dell’ucciso sono autorizzati a vendicare l’assassinio (cf. Nm. 27,10s; Gdc. 8,18-21; 2Sam. 14,7—11). Ma per impedire le esagerazioni, la vendetta del sangue venne limitata col principio successivamente spesso frainteso: “Occhio per occhio, dente per dente”(Es. 21 ,24; cf. nel Nuovo Testamento Mt. 5,38-42)e niente di più! Queste parole bibliche, che oggi vengono volentieri citate come segno d’una particolare sete di vendetta, sono in realtà, secondo la loro vera intenzione, un’arma protettiva molto efficace contro una escalation degli atti di vendetta.

Variazioni successive

Con il passar del tempo, in Israele venne limitato lo spazio lasciato alla vendetta di sangue, e, dopo la formazione di un ordinamento giuridico, esso venne sottoposto al controllo dell’autorità (cf. Es. 21,18—25; Dt. 19,15—21). Si riconobbe all’assassino la possibilità di rifugiarsi presso l’altare (Es. 21,14) o in città asilo (Nm. 35,25). Un altro passo in avanti è rappresentato dalla prescrizione (Dt. 24,16), secondo la quale la vendetta di sangue può colpire solo il colpevole e non anche i membri della sua famiglia. Più avanti ancora leggiamo: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” (Lv. 19,18). “Mia sarà la vendetta” (Dt. 32,35 cf. Rm. 12,19; Eb. 10,30). Il principio che fin dall'inizio regola tutto questo può essere così formulato: “Siccome Dio è il creatore di ogni vita, ogni vita ha diritto alla protezione da parte della comunità del popolo”. Per i profeti l’uccisione, oltre al suo significato originario, può anche avere questi sensi: sfruttare economicamente un individuo in maniera grave, opprimerlo socialmente e giuridicamente, tarparne le possibilità. I profeti definiscono continuamente un simile comportamento con il vocabolo duro e accusatorio di “assassinio” (Os. 4,2; Is. 1,15.17 ecc.). Michea descrive questo tipo di uccisione in maniera particolarmente drastica, tacciando i ricchi, che sfruttano i poveri, di cannibalismo: “Divorano la carne del mio popolo e gli strappano la pelle di dosso, ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi come carne in una pentola” (Mi. 3,3; cf. tutto il capitolo 3). Infine il Nuovo Testamento approfondisce ancora una volta il quinto comandamento. Gesù osserva che la manifestazione esterna di ostilità molto spesso è solo l’ultima esplosione di un odio a lungo covato: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: Chiunque si adira col proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt. 5,22). Pure la tradizione ecclesiastica ha continuato ad approfondirlo, come testimoniano numerose affermazioni dei Padri. Lo stesso Lutero si inscrive in questa linea, quando dice: “Se lasci andare via un nudo, che potresti vestire, lo hai fatto morire di freddo”; se non dai da mangiare a un affamato, lo uccidi.

COME ATTUALIZZARE OGGI IL 5° COMANDAMENTO

L’attualizzazione di questo comandamento ha riferimento a situazioni e problemi quanto mai vari come tortura, pena di morte, guerra, obiezione di coscienza, suicidio, aborto, eutanasia, energia atomica, inquinamento dell’ambiente, danni alla salute procurati da droga, dall’alcool, dal fumo, conflitti Nord-Sud, concorrenza spietata, salvaguardia del buon nome... Certamente non si possono trattare con delle risposte decisive ed esaustive tutti questi argomenti.

Pena di morte

Che cosa si deve pensare della pena di morte che viene invocata ogni volta che ci si trova di fronte a un delitto particolarmente efferato? La lettera del quinto comandamento non la vieta. Non la permettono invece il motivo e il senso del comandamento. Su questo punto noi possiamo e dobbiamo andare oltre la mentalità dell’antico Israele. E precisamente per lo stesso motivo per il quale la si prescriveva in Israele per i casi di omicidio: perché l’uomo è immagine di Dio. E ciò non vale soltanto per l’assassinato, ma anche per l’assassino persino per il terrorista che uccide a sangue freddo. Lo Stato li deve impedire nelle loro azioni e deve difendere da essi la comunità. Ma nessun uomo può leggere nella coscienza di tali persone e giudicare come esse stiano davanti a Dio. Perciò soltanto a Dio deve essere riservato il giudizio definitivo; gli uomini non possono irrogare loro delle pene che non sia più possibile ritrattare. Perciò noi non possiamo giustiziare neppure nel nostro pensiero o sfogare contro di esse i nostri sentimenti di vendetta, Infatti, noi, cui grazie a Dio non viene in mente di compiere tali tremende azioni, sappiamo quali fatali malattie psichiche o quale inconscia disperazione hanno spinto l’assassino?

Aborto

Il cristiano non potrà mai ammettere l’interruzione della gravidanza (aborto) eccetto nel caso limite in cui in seguito a complicazioni mediche, si deve interrompere la gravidanza per salvare la vita della madre. Per poter ammettere l’illiceità dell’aborto il cristiano non ha nem­meno bisogno di rispondere prima all'interrogativo, cui probabilmente non si potrà mai dare una risposta: se cioè il feto nel seno materno sia già “un uomo”, in modo che l’aborto diventerebbe addirittura “omicidio”. Basta sapere che il divenire del bambino nel seno materno è un processo ordinato fin dall’inizio a una vita umana, il quale raggiunge per natura il suo scopo, se non viene turbato. Se l’uomo non può disporre arbitrariamente della vita umana, egli non può neppure intervenire in questo processo orientato alla vita. Però si può non tener conto di tutta una serie di problemi. psicologici della madre che ad esempio non accetta la sua maternità, che è stata violentata materialmente o moralmente da essa? Si può non tener conto della vita materiale o morale a cui andranno incontro certi bambini? E se da un esame medico risulta che un bambino verrà al E mondo con gravi malformazioni fisiche o con gravi lesioni cerebrali? Bisogna rappresentarsi con molta chiarezza questa situazione: Una donna, una coppia sa mesi prima che il. suo bambino non potrà mai condurre una vita realmente umana. Chi potrebbe rimanere insensibile alla disperazione di questi genitori? E se essi decidono di interrompere la gravidanza chi potrebbe gettare la prima pietra? Eppure le obiettive ragioni contrarie sono chiare, e pesano di più: Se un tale figlio non posso ucciderlo dopo la sua nascita, perché dovrei poterlo fare prima, qualora rimangano validi i principi menzionati sopra? Chi inoltre stabilisce quali siano le malformazioni e le lesioni cerebrali gravi? Chi ci garantisce che alla fine non sia ancor allo Stato a decidere quale sia la vita degna di vivere e quale no? Possiamo inoltre essere interamente sicuri che in una tale decisione non si inseriscano anche non dichiarati motivi personali e la durezza di cuore della società, desiderosa di scrollarsi di dosso il “peso” di tali persone bisognose di assistenza durante l’intera loro vita? Possiamo noi, come cristiani, dire che una vita potrebbe non divenire “umana” quando sappiamo che Dio ha chiamato ogni uomo per nome e lo ama come suo figlio, indipendentemente dalle sue capacità? Migliaia di cristiani e non cristiani non ci mostrano ogni giorno, pieni di fede e senza lamentarsi contro Dio, come si accettano tali figli con amore e li si accompagna nella loro difficile vita?

Eutanasia

Se un ammalato grave chiedesse al suo medico di fargli una puntura mortale e di liberarlo dal suo tormento, il cristiano, pur con tutta la comprensione e compassione possibile, non potrebbe che rispondere: questa “eutanasìa” attiva e diretta equivale a disporre della vita di un uomo, quando sappiamo che soltanto Dio è il padrone della vita ed ella morte. Ma a un paziente mortalmente ammalato e pieno di dolori può un medico somministrare dei calmanti anche se sa che così ne accelera un po’ la monte? Lo può certamente, poiché in questo modo egli non “dispone” della vita e della morte, ma al contrario aiuta il paziente a disporsi meglio e più sereno alla morte. Ma il problema principale nella discussione sull’eutanasia è un altro. La ricerca e la tecnica medica hanno fatto nel nostro tempo progressi tali che è divenuto possibile prolungare per un tempo considerevole la vita di un paziente mortalmente ammalato, anche se non ci sono speranze di farlo guarire. Ora può un medico rinunciare all’uso di tali possibilità, e il paziente può richiedere questa rinuncia? Molti medici si sentono qui vincolati dal loro giuramento professionale, che prescrive di mantenere la vita in tutte le circostanze e con tutti i mezzi. E questo atteggiamento non può mai essere abbastanza lodato. Senza dire che il medico può anche temere che i parenti di un deceduto lo citino in tribunale se non avrà fatto tutto il possibile per conservare la vita dell’ammalato. Oggi invece tra i cristiani sta incominciando ad imporsi un nuovo modo di vedere le cose in questo campo. Non esiste, infatti, soltanto il dovere del medico di conservare la vita fisica finché è possibile, ma anche il diritto della persona dell’ammalato grave di morire la sua propria morte. Il morire dell’uomo non è come il crepare dell’animale. Per il cristiano la morte è l’ultimo atto della sua fede, con il quale egli si abbandona interamente tra le braccia di Dio. Se le cose stanno così e la morte E è certa, questo diritto, anzi questo dovere del cristiano di trasformare il suo morire nell’ultimo atto di non può non avere la preminenza rispetto a un prolungamento puramente fisico della vita, che spesso viene vissuto sol tanto in uno stato crepuscolare, quando non addirittura di incoscienza. Ma, questo naturalmente è il pensiero del moralista. Penso, che in ultima analisi sia la coscienza di ogni individuo che si trova in queste situazioni a dover dire l’ultima parola, tenendo conto dei ragionamenti, della natura e soprattutto della misericordia di Dio.

Lesioni corporali

Non dobbiamo certamente discutere a lungo sul fatto che il quinto comandamento vieta anche i danni arrecati all’incolumità e alla sanità, quindi le lesioni fisiche intenzionali, le quali, se anche non uccidono la vita, in ogni caso la diminuiscono e possono spesso accelerare la morte. E sappiamo anche che il quinto comandamento ci invita a porre la massima attenzione a tutto ciò che, conseguenza di un nostro agire o di un nostro non agire, potrebbe causare danni o morte ad altri, come una guida spericolata, una non cura di stabili, una latitanza davanti ai propri doveri che possa causare danni o morte di altri. Più problematiche sono invece alcune forme indirette e preterintenzionali di lesione fisica che, per esser e divenute così frequenti nel nostro tempo, richiedono una più attenta riflessione. E’ lecito, ad esempio, il cosiddetto trapianto di organi, e precisamente non soltanto il trasferimento di un organo ancora sano (ad esempio di un rene) da una persona appena morta ad un ammalato, ma anche il trapianto di organi di una persona sana in un ammalato? Si potrà dire che un trapianto di organi di un vivente è permesso quando non procura la morte del donatore. Si può certamente mettere in pericolo la propria vita per salvarne un’altra, ma non si può uccidere un uomo, neppure per salvarne un altro. Si può provare addirittura spavento a sentire quali possibilità già oggi possieda la medicina per influenzare i patrimonio ereditario di un uomo. Si parla già di “manipolazione genetica”. Ora, si può attuarla per procurare una salute migliore o maggiori capacità intellettuali ai bambini che stanno per nascere? In un primo momento si potrebbe francamente rispondere in maniera affermativa. Ma se si incomincia a riflettere più a fondo sorgono subito i dubbi. Dove deve arrestarsi la “manipolazione” Chi stabilisce il criterio per decidere chi sia un uomo “sano”? Come impedire che, alla fine, ognuno che sia sospettato di non trasmettere un buon patrimonio genetico, possa venire costretto dallo Stato, “per il bene della sanità nazionale”, a permettere che il suo patrimonio genetico venga manipolato? O viceversa: chi impedisce che a tali persone venga proibito di avere figli? Insomma, chi impedisce che, alla fine, gli uomini nascano dai laboratori medici? Non abbiamo raggiunto qui un punto in cui si impone l’interrogativo, se l’uomo possa ancora “disporre”? Se egli possa fare tutto quello che è nelle sue possibilità? Problemi tremendi! Si deve inoltre prendere molto sul serio il fatto che alcuni scienziati cristiani siano già assillati dall’interrogativo, se il quinto comandamento, a un certo punto, non possa esigere anche la cosiddetta “rinuncia alla ricerca”, e cioè la rinuncia, fondata moral­mente, a voler conoscere con ancora maggiore esattezza e, quindi, disporre di determinati fatti riguardanti l’uomo. Ma passiamo da questi angoscianti problemi di frontiera a una forma di lesione fisica di tutti i giorni, che interessa (quasi) tutti noi: Fino a che punto noi danneggiamo nostro proprio corpo con un continuato comportamento antigienico. Si apre qui un vasto campo su cui esaminare la nostra coscienza, a cominciare da una nutrizione per niente sana e troppo abbondante (“periodo di grande bisogno di cibarie”), per finire con l’uso irrazionale e incontrollato dei medicinali, passando attraverso l’indiscriminato consumo di alcool e di nicotina. De resto la stessa “pillola”, e quindi la regolazione delle nascite mediante preparati chimici, è più un problema del quinto che del sesto comandamento, in quanto il problema degli effetti secondari a lunga scadenza, di un ininterrotto intervento sul ciclo della donna viene affrontato dall’opinione pubblica naturale con un ottimismo troppo poco giustificabile. Si capisce che in questo campo ogni procedimento schematico, fondato sul calcolo, è fuori luogo. Non si dovrebbe però dimenticare che qui è in gioco il quinto comandamento, e precisamente in maniera salutare.

MORS TUA VITA MEA (Come vivere sulla morte altrui)

Forse il problema fondamentale della nostra società mondiale suona oggi cosi: la nostra economia mondiale tende seriamente a favorire le possibilità di vita di tutti gli uomini? Oppure è comandata dall’avidità delle nazioni ricche, che vivono a spese dei popoli poveri e riducono sistematicamente le loro possibilità di vita mediante l’“ordinamento economico mondiale”? Se quest’ultima ipotesi fosse vera, non saremmo nella prospettiva dei profeti degli assassini. Tale dura parola non è purtroppo mitigabile. Anzi, sarebbe seriamente auspicabile che la nostra Chiesa ritornasse, ove necessario, alla forza del linguaggio profetico! Essa parla un linguaggio troppo addomesticato, che non scuote né incita. Tutto ciò che sottrae all’altro le possibilità di esistenza è, in fondo, equivalente a un’uccisione, anche se ciò viene fatto senza cattiva intenzione, senza pensarci, ma in realtà in maniera pregiudizievole per l’altro. Per esempio, il nostro consumo di carne sale continuamente. Per allevare il bestiame dobbiamo importare molti mangimi. L’organizzazione per la protezione dell’infanzia “Terre des homme” mostra quanto pregiudizievole sia questo comportamento per la vita di altri:

  • “Dal Perù, un paese la cui popolazione è gravemente carente in fatto di proteine, la Germania Federale ha importato mangimi (non cerealicoli) per 43 milioni di marchi nel 1977 e, inoltre, pesce e pesce conservato per 2,8 milioni di marchi.”

  • “Dall’india, dove la sottonutrizione e la fame sono cronici, la Germania Federale ha importato nel 1977 mangimi pregiati (non cerealicoli) per 53 milioni di marchi”.

  • O ancora: “in Brasile muoiono ogni anno direttamente o indirettamente per fame oltre 400.000 bambini. Particolarmente alta è la mortalità infantile nel nord-est del paese, dove estese coltivazioni della canna da zucchero sfruttano i terreni più fertili: questo zucchero viene trasformato, con l’aiuto della tecnica europea, in metanolo, di modo che in Brasile le nostre auto continuano a correre e a correre nonostante la crisi petrolifera..., mentre 400.000 bambini mancano del minimo necessario e muoiono il più delle volte prima d’imparare a camminare Auer dichiara: “Non possiamo più accettare che un miliardo di uomini sia sottoalimentato, che il 2O-25 % dei bambini muoia prima dei cinque anni. Non possiamo più rassegnarci a che da noi vi sia un letto di ospedale per 100 abitanti e in Etiopia uno ogni 30.000 abitanti, che da noi vi sia un medico ogni 500 abitanti e là uno ogni 62.000. Nello spirito del quinto comandamento dobbiamo riconoscere che l’umanità è un tutt’uno e che i beni di questo mondo appartengono a tutti. Consumiamo cosi tanto grasso che gli impianti di scarico devono essere dotati di particolari congegni per funzionare. Una razionalizzazione dei consumi permetterebbe all’Occidente di risolvere il problema della sottoalimentazione del Terzo Mondo e di migliorare la propria salute”.

Tuttavia, per una giusta valutazione, bisogna aggiungere:

  1. Non esiste solo il contrasto tra società industriali ricche e paesi poveri in via di sviluppo; quasi tutti i paesi sottosviluppati sono anche oppressi da una piccola classe dominante. Ciò non costituisce certo una scusante per noi, tuttavia va tenuto presente.

  2. Ricorrendo a un linguaggio sferzante (“assassini”) si corre il pericolo di ingenerare un senso di colpa, senza indicarne? Io stesso tempo soluzioni possibili. Ciò può avere un effetto frustrante e paralizzante su tante coscienze oneste.

  3. La mortale riduzione delle possibilità di vita degli altri non si riscontra solo nel rapporto tra primo e Terzo Mondo; anche nella nostra società, che reagisce con sufficiente attenzione a diverse forme di indigenza con una vasta politica sociale, esiste una concorrenza spietata e assassina, che oggi si fa strada già nella scuola e produce alla fine dei “gruppi marginali”.

FORME MASCHERATE DI UCCISIONE

Il quinto comandamento non proibisce solo l’uccisione e propria, ma anche le “forme mascherate di uccisio­ne”. in ciò rientra, per esempio, la distruzione della buona fama di un individuo (“calunnia grave”) o anche una critica pungente, che lo rende insicuro di sé. Anche il nostro linguaggio quotidiano tradisce in certe “espressioni assassine”, che adoperiamo nei rapporti con gli altri, l’effetto distruttone della nostra società efficiente : “Quello lo spiano”, “quello è bell’e sistemato”...
Sotto il profilo pedagogico morale quest’ultimo punto è importante, perché non possiamo aspirare a una vita senza conflitti. La vita richiede inevitabilmente la disponibilità e la capacità di sopportare i conflitti Allo stesso modo è importante esercitarsi, per esempio, nell’esprimere la critica in maniera tale che gli altri possano accettarla. E’ importante preoccuparsi di creare un clima umano nel proprio ambiente. Perciò possiamo consigliare anche ai giovani: quanto ti prepari a un duro confronto, prega prima intensamente per il tuo avversario e possibilmente anche durante la stessa discussione Allora aumenta la possibilità di augurargli cordialmente solo del bene; allora puoi anche dire con tutta franchezza quel che ritieni giusto dirgli. Non si tratta quindi di evitare completamente i conflitti cosa impossibile. Si tratta di umanizzarli, di coltivare la capacità di sostenerli.

VITA SANA

Ci limiteremo a ricordare qui alcuni problemi, che senza dubbio hanno a che fare con il quinto comandamento. Essi infatti sono troppo difficili e gravidi di conseguenze perché possiamo tentare di risolverli con un paio di proposizioni. Come giudicherà il cristiano la guerra e come si comporterà quando sarà chiamato a fare il servizio militare? Come si potrà il cristiano di fronte all’inquinamento e alla devastazione del nostro ambiente e come deve comportarsi di fronte a certi progetti pericolosi per l’ambiente (centrali nucleari, devastazione del paesaggio)? Come giudicherà il cristiano il progresso tecnico sempre crescente, soprattutto quando esso costa molto denaro senza arrecare un reale miglioramento alla vita di tutti? in questi problemi non si tratta più, come finora, di un diretto attacco alla vita, bensì, viceversa, del modo in cui la vita può diventare e rimanere sana. Entra qui in causa la promessa del quinto comandamento: Dio non vuole che la vita sia mortale, bensì che diventi simile alla sua, la quale non conosce la morte. Ogni pace che possiamo raggiungere sulla terra, ogni ambiente che rende felice la vita, una giusta partecipazione ai beni di questo mondo per tutti, uno sfruttamento delle energie e possibilità umane a servizio e non a spese degli uomini tutto ciò che è una piccola vittoria sulla morte, tutto ciò è, per volontà di Dio, preludio e inizio del giorno in cui Dio verrà a risvegliare i morti a una vita che non conosce tramonto.

Terminiamo questa serie di riflessioni con un racconto tratto da “MILLE E UNA RAGIONE PER VIVERE” di A. Pronzato.


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