BREVE STORIA DELLE ERESIE

Pagine: [1], 2, 3, 4
Spess.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:26
di Leon Cristianì
http://www.fuocovivo.org/


CAPITOLO I. LE ERESIE DALLE ORIGINI AL IV SECOLO

 

Perché le eresie.

In quella preghiera sublime, che gli esegeti la sua preghiera sacerdotale, Cristo ha chiesto al Padre, con una specie di angoscia, che i suoi discepoli conservino per sempre l'unità:"Padre santo", diceva, "custodisci nel nome tuo quelli che mi hai affidati, acciocché siano una cosa sola come noi... Né soltanto per questi prego; ma prego ma anche per quelli che crederanno in me, per la loro parola che siano tutti una sola cosa come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che siano anch'essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Giov. 17, 11. 20-24).Egli conosceva quindi il valore e insieme la difficoltà dell'unità. Questa sarebbe stata la caratteristica principale della vera Chiesa. Ma vi sarebbero state divisioni, rotture, divergenze di opinione, in una parola eresie. E' infatti questo il significato di tale termine, derivato dal greco, passato nel latino e che, poco conosciuto nella lingua classica, doveva essere tanto spesso usato in quella dei Padri della Chiesa.Donde provengono dunque le eresie? Dalla diversità degli animi, dei caratteri, dei temperamenti, e in definitiva dal fatto della libertà umana. La fede nella parola di Dio è libera. Dio non forza nessuno. Ma è inevitabile che la fede esiga da parte dell'uomo uno sforzo di sottomissione e di obbedienza. Questa obbedienza è una scelta. E il compito dell'eresia è di mettere in rilievo tale scelta. Perciò S. Paolo ha potuto dire: "E' necessario che ci siano anche delle eresie, affinché tra voi si possa conoscere quelli di virtù provata" (1 Cor. 11, 19).E Tertulliano, 150 anni più tardi, scriveva: "La condizione del nostro tempo ci costringe ad avvertire che non ci si deve stupire, a proposito delle eresie, né della loro esistenza che è stata predetta, né dal fatto che esse guastino la fede in parecchi, poiché hanno come ragion d'essere quella di provare la fede con il tentarla".Se si cerca di considerare questa legge della prova necessaria della fede, si costata che essa fa parte delle leggi essenziali che reggono gli spiriti. Gli angeli erano stati sottoposti ad una prova, di cui non conosciamo le modalità, ma di cui costatiamo il fatto nell'esistenza dei demoni. Erano angeli come gli altri. Soccombettero alla prova. Anche gli uomini, a loro volta, devono essere " tentati ", cioè " provati ". Si possono distinguere nel fatto dell'eresia tre aspetti diversi: l'aspetto filosofico, l'aspetto paradossale e l'aspetto positivo. Dal punto di vista filosofico, l'eresia nasce dal conflitto o dal contrasto tra la verità rivelata e i vari sistemi filosofici già radicati nelle menti sulle quali cade tale rivelazione. La fede infatti non cade mai su menti perfettamente preparate a riceverlo. Cristo aveva scelto degli apostoli senza istruzione. Ma quegli apostoli stessi avevano le loro idee, le loro tradizioni, le loro concezioni del regno messianico. Gli scribi e i farisei, da parte loro, si ritenevano molto più illuminati degli umili pescatori del lago di Galilea. In tutti la fede incontrava ostacoli, in tutti aveva pregiudizi da superare. E passando dai giudei ai pagani, i conflitti di carattere filosofico tra la fede e i sistemi in voga saranno ancora più aspri. E così sarà alla fine dei tempi. Tra le filosofie umane e la verità rivelata non è stato sempre facile l'accordo. I pensatori cristiani dovranno sempre compiere un immenso lavoro di adattamento tra la ragione e la fede.Da questo aspetto filosofico delle eresie si passa inevitabilmente al loro aspetto paradossale. Intendiamo dire con ciò che la verità rivelata, per il fatto stesso della sua origine divina, non può fare a meno di presentare alla ragione ombre che essa non riuscirà a penetrare. E' quanto esprimiamo dicendo che la fede comporta dei misteri. Riflettendovi, si comprende come una religione senza misteri non possa essere una religione divina. Di fronte alla fede venuta da Dio, bisogna che la ragione confessi la propria impotenza. Ed è appunto questo che dà all'eresia il suo aspetto paradossale. Essa fa apparire la realtà antinomica e paradossale del mistero della fede.Infine, nell'eresia va considerato ancora il suo aspetto positivo. Non tutto è falso infatti nell'eresia. Essa contiene sempre una intuizione giusta, ma che si trova falsata dall'interferenza di un sistema filosofico che è in contraddizione con la fede, o dal rifiuto esplicito o implicito del mistero della fede. In ogni eresia appare dunque una ribellione contro la verità rivelata, ed è qui che si manifesta il senso profondamente anticristiano di ogni eresia.Questo modo di intendere l'eresia è tradizionale nella Chiesa. Ma si è sempre insistito anche sul bene che può derivare da quel gran male che essa è; ciascuna eresia è stata l'occasione di un progresso nell'intelligenza della fede e di un rafforzamento dell'unità in seno alla Chiesa. 
Spess.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:26
ERESIA DEI GIUDAIZZANTI
La più antica eresia conosciuta nella storia della Chiesa fu quella dei giudaizzanti. Fu l'errore ostinato di coloro che, fin dal principio, si opposero all'allargamento dei quadri della Chiesa perché vi potessero entrare m massa i pagani. Il dogma respinto da questi eretici era quello della cattolicità della Chiesa. Gesù aveva detto: " Andate, insegnate a tutte le genti ". I giudaizzanti esigevano il mantenimento della legge di Mosé e di tutte le sue prescrizioni. Dopo una sorda opposizione manifestata soprattutto contro le sante audacie di S. Paolo, l'apostolo dei gentili, i giudeo-cristiani formarono delle sette separate, la principale delle quali si chiamò Chiesa dei poveri - gli ebioniti o poveri Si è tentato talvolta di ricollegarli agli Esseni che i manoscritti del Mar Morto ci hanno recentemente fatto meglio conoscere. Gli ebioniti pare siano sopravvissuti fino al V secolo, e li si può paragonare alla " Piccola Chiesa " degli inizi del XIX secolo.
Spess.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:27
LO GNOSTICISMO
All'opposto degli ebioniti, che rimanevano troppo attaccati alle loro tradizioni giudaiche, gli gnostici furono in genere dei pagani che, accettando la fede cristiana, pretendevano mischiarvi le loro concezioni personali, le loro teorie filosofiche, le loro chimere precedenti.
Il termine gnosi, derivato dal greco, significa " conoscenza " o " scienza ". Gli gnostici si consideravano pensatori originali, che non potevano piegarsi alla fede dei semplici fedeli. E vi fu, nei primi secoli della Chiesa, un vero pullulare di eresie d'ispirazione gnostica.
Sarebbe del tutto inutile riferire qui in particolare le fantasticherie di queste antiche sette. Limitiamoci quindi ad offrirne un'idea generale.
Due problemi sembrano aver attirato l'attenzione degli gnostici: il problema della creazione e il problema del male. Due problemi del resto strettamente collegati, poiché se Dio ha creato il mondo, donde proviene il male? E se non ha creato il male, come lo si può considerare unico Creatore delle cose?
Su questo tema, gli gnostici costruiranno sistemi quanto mai fantastici. A prestar loro fede, si deve distinguere accanto al regno della luce, che è quello di Dio, il regno delle tenebre, che è quello della Materia eterna. Tra il Dio-Abisso, come amavano dire, e l'organizzatore della Materia chiamato Demiurgo, vi dovrebbe essere un gran numero di gradini o esseri intermedi, che chiamavano eoni, e la maggior parte delle sette accoppiavano un Eone maschile e un Eone femminile. Il Demiurgo, o autore del nostro mondo materiale, era l'ultimo degli eoni, il più lontano dal Dio-Abisso, o un Demone che aveva rapito una scintilla della Pienezza divina - il Pleroma - onde animarne la materia.
Per gli gnostici, questa origine del mondo spiega la diversità degli spiriti umani: essi distinguono infatti gli gnostici o spirituali, cioè loro stessi, le persone istruite e nelle quali la materia e dominata dallo Spirito di Dio; i cristiani ordinari, nei quali Materia e
Spirito sono presso a poco equilibrati e i pagani o materiali (ilici), nei quali la Materia domina decisamente lo Spirito.
Applicando i loro sistemi alla fede cristiana, usavano fare di Cristo un eone inviato da Dio. Questo eone si impadronì dell'uomo Gesù al momento del suo battesimo nel Giordano. Da quel momento ebbe la missione di guidare gli uomini alla vera gnosi, che è il puro Vangelo, onde distaccarli dalla Materia. E' così che si operò, grazie a lui, la Redenzione. Quando il Vangelo avrà compiuto la sua opera sulla terra, tutte le particelle dello Spirito divino, che sono prigioniere nella Materia, rientreranno nella Pienezza di Dio – il Pleroma divino. E il regno delle tenebre resterà per sempre nelle tenebre.
In ciò che abbiamo esposto vi è un certo numero di idee che sono riapparse ai giorni nostri, sia nei teosofi sia negli spiritisti.
Fu necessaria alla Chiesa primitiva una miracolosa assistenza da parte dello Spirito Santo perché non fosse sommersa fin dal principio in queste speculazioni fantastiche e pretenziose. Lo gnosticismo le rese un servizio provvidenziale costringendo i fedeli a stringersi attorno ai loro pastori, e specialmente attorno al vescovo, rappresentante di Cristo e successore degli apostoli, in ciascuna Chiesa particolare.
Spess.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:27
PRINCIPALI CAPI GNOSTICI
E' usanza comune far risalire lo gnosticismo a quel Simon Mago di cui si parla negli Atti e che voleva acquistare dagli Apostoli il potere di far discendere lo Spirito Santo sui fedeli, come aveva visto fare da loro. Dopo di lui, si fa il nome di un certo Cerinto, che fu combattuto dagli Apostoli e specialmente da san Giovanni evangelista.
Ma sono figure di cui conosciamo ben poco con certezza. In seguito, si svilupparono due correnti gnostiche: una in Siria, più positiva e pratica; l'altra ad Alessandria d'Egitto, più speculativa e fantastica. La prima conta solo pochi nomi conosciuti. La seconda ha invece alcuni capi di talento, i quali sono stati confutati dai Padri, ciò che ci è valso a conoscere i loro sistemi. Ricordiamo qui soltanto Valentino, Carpocrate e Marcione.
Valentino, di origine egiziana, sembra abbia predicato le sue idee a Roma, fra il 135 e il 160. Fu più volte scomunicato e cacciato dalla Chiesa. Finì per ritirarsi a Cipro e vi creò una setta abbastanza fiorente.
Con Carpocrate, è il problema morale che sembra prendere il primo posto. Fra gli gnostici, infatti, alcuni consideravano la materia come la sede di ogni male e di conseguenza pretendevano di proibire il matrimonio come cosa impura. Furono chiamati eucratiti o continenti. Al contrario, Carpocrate e i suoi discepoli assicuravano che quanto avviene nella materia è insignificante dal punto di vista dell'anima, Preludendo al quietismo da cui non sarà esente Lutero, ma che vedremo affermarsi con Molinos nel XVII secolo, egli riteneva come indifferenti tutti i disordini della sensualità. Aveva un figlio, Epifanio, che morì giovane e consumato dai vizi. Lo fece onorare come un dio nella sua setta. Carpocrate ed Epifanio, contemporanei di Valentino, sono anche un poco gli antenati del comunismo. Marcione, occupa un posto a parte nella schiera degli gnostici. Originario di Sinope, nel Ponto, venne a Roma verso il 135-140 e si fece ricevere nella Chiesa. Dieci anni più tardi, se ne staccava rumorosamente e fondava una setta perniciosa, che riuscì a tenersi a lungo in vita. La sua dottrina essenziale era ciò che
egli chiamava l'Antitesi. Egli opponeva infatti, un po' come più tardi Lutero, l'Antico Testamento, opera del Dio giusto, al Nuovo Testamento, opera del Dio buono. Parimenti Lutero inciterà in opposizione fra loro la Legge e il Vangelo, la Legge che condanna e il Vangelo che salva.
Spess.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:27
GLI OFITI
Tra le sette gnostiche, ve ne furono alcune che resero un culto al Serpente del Paradiso terrestre, così come ai giorni nostri ve ne sono alcune che rendono un culto a Satana, Principe di questo mondo. Gli adepti di tale setta sono conosciuti sotto il nome di ofiti, o adoratori del Serpente. Essi giustificavano così il culto di Satana: secondo la Scrittura, il Serpente fu il primo a ribellarsi contro il Demiurgo, che aveva creato il mondo di miseria in cui ci troviamo, e a proporre agli esseri umani la " scienza del bene e del male ". E' interessante notare come in sette di questo genere siano stati maggiormente in onore i Libri apocrifi, i quali non sono altro che caricature dei Libri Sacri che formano la nostra Bibbia.
Spess.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:28
IL MONTANISMO
Questo pullulare di eresie diverse, e che non possiamo enumerare completamente, testimonia il grande interesse che il messaggio cristiano sollevava nel mondo greco-romano del II secolo. Il montanismo è un'altra prova di tale interesse.
Montano era nato in un villaggio asiatico ai confini della Misia e della Frigia. Era rimasto colpito dai passi del Vangelo di san Giovanni in cui si parla dell'invio dello Spirito Santo da parte di Gesù. E la sua mente si era esaltata al punto che egli si presentava come l'organo stesso dello Spirito Santo promesso da Cristo. Un'era nuova e una nuova rivelazione dovevano - diceva - cominciare con lui. Parlava con una sicumera da demente: " Sono venuto " - diceva - " non come un angelo o un messaggero, ma come lo stesso Dio Padre ". - "Io sono il Padre, il Figlio e il Paraclito". - "Ecco, l'uomo è come una lira ed io vi scorro sopra come un archetto; l'uomo dorme, ed io veglio; ecco, è il Signore che immerge i cuori degli uomini nell'estasi e che dà un cuore agli uomini".
Egli stesso sembrava trovarsi sempre in una specie di estasi. Ben presto due donne, Prisca e Massimilla, furono conquistate alla sua dottrina ed ebbero al pari di lui delle estasi, durante le quali profetizzavano. I vescovi dei dintorni cercarono di riportarle al buon senso, per mezzo degli esorcismi canonici. Fatica inutile.
La setta allora fu scomunicata, perché tendeva a sostituire all'autorità della gerarchia cristiana l'ispirazione diretta.
I montanisti professavano in particolare il millenarismo, errore secondo il quale il Cristo trionfante avrebbe stabilito sulla terra, per mille anni, il regno predetto nell'Apocalisse. La setta, in previsione di questo avvento, predicava un grande rigorismo morale, che sedusse perfino un Tertulliano, il solo grande nome di cui abbia potuto gloriarsi il Montanismo, benché la setta abbia resistito fino all'VIII secolo, soprattutto in Oriente.

ERESIE ANTITRINITARIE
Uno dei dogmi più sublimi della religione cristiana è quello della Santissima Trinità - Un solo Dio in tre persone. Era inevitabile che desse luogo a molte speculazioni e di conseguenza a più d'un errore.
Gli apologisti del II secolo sostenevano energicamente i due termini della dottrina: unita di essenza - trinità delle persone divine. Proprio nel corso di queste esposizioni era apparso, verso l'anno 180, il termine Triade o Trinità, nello scrittore cattolico Teofilo di Antiochia.
Ma verso la stessa epoca aveva origine una gravissima eresia: l'adozianismo. Essa consisteva nello spiegare l'attributo di " Figlio di Dio" dato a Cristo con il fatto della sua adozione da parte di Dio. Vi era qui una duplice eresia: 1) si rigettava la Trinità; 2) si negava la divinità di Cristo e l'incarnazione del Verbo.
Il promotore dell'adozianismo fu un ricco conciatore di Bisanzio, di nome Toedoto, che fu condannato da papa Vittore I verso il 190. Un secondo Teodoto, che faceva il banchiere, e un certo Artemone furono i più illustri seguaci di questa eresia.
Ma un errore più grave, più sottile e più pericoloso si propagava nella stessa epoca. Ne fu iniziatore, a quanto sembra, un certo Nocto, la cui opera fu tuttavia oscurata da quella di Prassea. Il più insigne teologo di questa tendenza fu comunque, dopo il 210, Sabellio. Cosicché questa eresia viene spesso chiamata sabellianismo, o anche monarchianismo. Questo secondo nome deriva dal fatto che i sabelliani proclamavano ad alta voce: "Noi non ammettiamo che la monarchia", cioè l'unità di persona come pure l'unità di natura in Dio.
Ma allora, che significavano dunque i nomi di Padre, Figlio e Spirito Santo, usati fin dal principio nella Chiesa, e in particolare nella liturgia del battesimo? Per i sabelliani, i tre nomi non erano altro che tre aspetti, tre attributi diversi, ma niente affatto persone distinte.
E' quindi il Padre che si è incarnato nel seno della Vergine e che, alla sua nascita, ha preso il nome di Figlio, senza cessare di essere il Padre. E' il Padre, sotto il nome di Figlio, che ha predicato, ha sofferto ed è risuscitato. I cristiani ortodossi diedero per questo motivo ai sabelliani il soprannome di patripassiani - quelli che credono che il Padre abbia sofferto sulla croce per noi. Furono anche soprannominati modalisti, perché le tre persone della Trinità sono da essi ridotte a semplici modi di espressione.
In genere, i sabelliani rigettavano l'adozianismo. Tuttavia, un vescovo del III secolo, Paolo di Samosata, trovò il modo di professare simultaneamente queste due eresie e fu condannato nel concilio di Antiochia, verso il 268.
Spess.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:28
PRINCIPALI CONFUTAZIONI
Tutte le eresie che abbiamo indicato furono oggetto di vigorose confutazioni da parte dei migliori scrittori della Chiesa. Mentre gli Apologisti si rivolgevano soprattutto ai pagani, i Padri antignostici o antisabelliani descrivevano e rigettavano energicamente gli errori che minacciavano di sommergere la Chiesa. Limitiamoci a nominare: sant'Ireneo, secondo vescovo di Lione, Tertulliano, Origene, sant'Epifanio, sant'Ippolito.
Non si potrà mai esagerare l'importanza e la fecondità per la Chiesa di queste controversie spesso ardenti. Per una religione, qualunque cosa è più vantaggiosa dell'immobilismo e dell'inerzia. Le dispute sollevate da un Valentino, un Marcione, un Prassea, un Sabellio ed altri eretici determinarono un approfondimento e un consolidamento della dottrina cristiana.
Questa dovette continuamente muoversi e progredire fra errori opposti, tanto dal punto di vista dogmatico che sul terreno morale. Non cadde né nell'encratismo, né nel lassismo quietista. E il dogma trinitario, così profondo e così misterioso, fu sostenuto e confermato con una forza decisiva. Senza dubbio, accadde che, per meglio confondere i patripassiani, si giungesse a distinguere il Figlio dal Padre al punto da dichiararlo inferiore a1 Padre e subordinato al Padre. Lo stesso grande Origene cadde un poco in questo errore, che è noto sotto il nome di subordinazianismo e che avrebbe dato origine nel secolo seguente all'arianesimo, ma fu appunto nel corso di queste ricerche teologiche che si formò una lingua nuova, la quale avrebbe permesso più tardi di confutare errori pericolosi.
Soprattutto Tertulliano è considerato come il creatore di tale lingua in Occidente. Fu lui a trovare la formula fondamentale: Tre persone in un sola sostanza. Si vedrà nel capitolo seguente l'uso che la Chiesa fece di questa preziosa formula che il suo stesso autore non aveva sempe ben compreso e applicato.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:34
Cap 2
CAPITOLO II. LE ERESIE DEL IV SECOLO

ARIO E LA SUA DOTTRINA
Le controversie provocate nel III secolo dagli errori antitrinitari avevano portato ad una recisa condanna dei patripassiani. Ma gli scrittori cattolici non avevano sempre saputo evitare il subordinazionismo. I papi senza dubbio non avevano mai accettato questa dottrina così poco logica. Paolo di Samosata era stato condannato dal Concilio di Antiochia verso il 268 per avere fatto di Cristo un semplice, figlio adottivo di Dio. Sembra che il prete Luciano di Antiochia abbia tuttavia conservato qualcosa di questa dottrina sotto la forma seguente: in Gesù l'anima che vivifica il corpo dell'uomo era sostituita dal Verbo, che si può chiamare Dio poiché è il primogenito di Dio, ma che è inferiore a Dio, poiché è stato creato e da lui tratto dal nulla. E' probabilmente questo Luciano di Antiochia che si deve considerare come il vero padre dell'arianesimo.
Ario era nato in Egitto verso il 256. Era prete e aveva ricevuto l'incarico di reggere una importante chiesa della metropoli di Alessandria, una delle più splendide dell'Impero romano.
Era un uomo austero, distinto, alto e magro, eloquente e abile, molto popolare nella sua parrocchia, quella di Baucalis. Era però ambizioso, pieno di sé e molto ostinato nelle proprie idee. Verso il 318 si verificò un conflitto dottrinale tra lui e il suo vescovo, Alessandro. Quest'ultimo, dopo aver tentato invano metodi di persuasione e di dolcezza, riunì, verso il 320-321 lui concilio, che contò un centinaio di vescovi dell'Egitto e della Libia. Ario vi fu condannato e dovette lasciare la parrocchia. Ma si rifugiò in Palestina e quindi in Asia, dove si procurò dei seguaci. Aveva composto una raccolta di canti popolari, intitolata Thalia, per propagare le sue idee. Ad Alessandria aveva conservato amici devoti. Si cantavano i suoi cantici contro i cattolici. Questi rispondevano energicamente, e i pagani si divertivano a quelle dispute incresciose.
Proprio in quel tempo, l'imperatore Costantino aveva sconfitto il suo rivale Licinio e ricostituito, sotto la sua autorità, l'unità dell'Impero romano. Le dispute che avevano luogo ad Alessandria, a Nicomedia, in Palestina e in Siria erano troppo scottanti per non attrarre la sua attenzione. Dietro il consiglio del vescovo Osio di Cordova, decise di riunire un concilio generale perché si pronunciasse definitivamente sulla dottrina di Ario.
Questa dottrina era la seguente: Dio è uno e eterno; il Verbo o Logos è la sua prima creatura ed è stato da lui tratto dal nulla; egli se ne è servito per creare il nostro mondo. Il Verbo è quindi superiore e anteriore a tutte le altre creature, ma non lo si può chiamare Dio se non in quanto creatore, del mondo. In realtà, non è che un Figlio adottivo di Dio. Lo Spirito Santo a sua volta è la prima creatura del Figlio e perciò stesso è a lui inferiore. Fu il Verbo che venne ad animare il corpo di Gesù nato dalla Vergine Maria. Per questo si legge in san Giovanni: " Il Verbo, si è fatto carne" e non già "si è fatto uomo". Il Verbo sostituisce, in Gesù, l'anima umana e ne tiene il posto.
Il Concilio di Nicea, riunito nel 325 ad opera dell'imperatore Costantino, adottò, sotto l'influsso del diacono Atanasio, il più insigne teologo del vescovo di Alessandria dove era sorta l'eresia di Ario, il termine consostanziale per affermare categoricamente la perfetta uguaglianza del Verbo e del Padre. Due soli vescovi rifiutarono di sottoscrivere il Simbolo di fede votato nel Concilio, e che noi chiamiamo Simbolo di Nicea.
Tutti i seguaci di Ario furono deposti e deportati.

mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:36
L'ARIANESIMO SOTTO COSTANTINO
Ma Costantino non seppe mantenere con fermezza la dottrina definita a Nicea. La sorella Costanza, più o meno guadagnata all'arianesimo, lo spinse a richiamare dall'esilio il vescovo Eusebio di Nicomedia, che acquistò la sua piena fiducia. Eusebio riuscì a fargli credere che il termine consostanziale aveva un sapore di sabellianismo e che cancellava ogni distinzione reale tra il Padre e il Figlio. Grazie a questi equivoci, Ario fu richiamato dall'esilio verso il 329-330, dopo aver emesso una confessione di fede del tutto insufficiente. L'arianesimo puro trovò il modo di rivestirsi di forme mitigate e la polemica si trascinerà ancora a lungo, di simbolo in simbolo, senza giungere ad una soluzione precisa.
Un nome tuttavia incarnava l'ortodossia: quello di Atanasio che, nel 328, era succeduto al proprio vescovo in Alessandria. Fu dunque contro Atanasio che gli amici di Ario e di Eusebio di Nicomedia concentrarono i loro sforzi. Si cercò di perderlo. Avendo Ario sottoscritto una formula imperfetta, ma che si volle ritenere come ortodossa, l'imperatore intimò ad Atanasio di riabilitarlo e di restituirgli la parrocchia. In seguito al suo rifiuto, Atanasio fu tradotto davanti a un concilio a Tiro e, a forza di intrighi, vi fu fatto condannare nel 335. L'anno seguente, Costantino lo esiliava a Trevi all'estremità delle Gallie. Nel frattempo, giunto all'età di 80 anni, Ario moriva - si dice - in mezzo al trionfo che gli amici gli preparavano a Costantinopoli per festeggiare la sua riammissione nella comunione cattolica.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:36
IL FOTINIANISMO
Ad accrescere la confusione delle idee, avvenne, verso il 335, la pubblicazione di un libro contro l'arianesimo dovuto al vescovo Marcello d'Ancira. Nel suo zelo contro l'eresia, egli parve ricadere nell'errore di Sabellio, non distinguendo nettamente le tre persone della Trinità. Gli eusebiani, che godevano di grande favore presso Costantino, colsero l'occasione e fecero condannare Marcello. Quest'ultimo protestò e si appellò al papa Giulio I il quale, una prima volta nel 338 e una seconda volta nel 341, lo dichiarò ortodosso. Più tardi. tuttavia, si dovette riconoscere che il linguaggio di Marcello d'Ancira non era del tutto soddisfacente. E, siccome le sue idee erano state riprese da Fotino, vescovo di Sirmio, si diede il nome di fotinianismo a questa eresia che rinnovava in parte il modalismo di Sabellio. Ma tutto ciò aveva contribuito non poco a turbare gli spiriti nelle file dell'ortodossia.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:36
IL SEMI-ARIANESIMO
Si era fatto tuttavia qualche progresso verso la verità. L'arianesimo era costretto a modificare le sue formule, per farle accettare. L'ortodossia, sempre validamente difesa da Atanasio e appoggiata da Roma, guadagnava terreno. Ma essendo morto Costantino nel 337, l'impero fu diviso tra i suoi tre figli, uno dei quali infine ereditò dagli altri due. Quest'ultimo, di nome Costanzo. si piccava di teologia. Come già il padre, si lasciò adescare da Eusebio di Nicomedia, che può essere considerato come il grande capo del semi-arianesimo. Mentre il papa Giulio I prendeva energicamente le difese di Atanasio, prima richiamato dall'esilio e quindi scacciato nuovamente dalla propria sede, Eusebio, in un concilio riunito ad Antiochia nel 341, finse di condannare in Marcello d'Ancira il rinnovato sabellianismo, facendo adottare una formula semi-ariana.
A quell'epoca Costanzo non era ancora unico imperatore. Il fratello Costante regnava in occidente. D'accordo con il papa Giulio I, Costante riunì un concilio a Sardica (l'odierna Sofia, in Bulgaria).
Era presente Atanasio e presiedeva, in nome del papa, il vecchio Osio di Cordova. A dispetto dell'opposizione degli eusebiani, che si ritirarono quasi subito, vi fu riabilitato Atanasio e acclamata l'ortodossia. Atanasio poté rientrare nuovamente ad Alessandria nel 346.
L'anno precedente si era finito, in Occidente, con lo sfatare le dottrine oscure e perniciose di Fotino di Sirmio, e di conseguenza quelle ancor più subdole del suo maestro Marcello d'Ancira. Queste dottrine erano state nettamente condannate nel concilio di Milano nel 345, e tale decisione aveva contribuito a rischiarare l'atmosfera. Grazie all'energico imperatore Costante, si poteva sperare la pace nella Chiesa. Ma egli morì assassinato nel 350, e da quel momento Costanzo rimase unico padrone dell'Impero. Eusebio di Nicomedia era morto. Ma due vescovi, le cui dottrine erano state condannate nel concilio di Sardica del 343, riuscirono ad entrare nelle sue buone grazie: Basilio d'Ancira e Acacio di Cesarea. Sotto l'influsso di Basilio d'Ancira, che era semiariano come lo era stato Eusebio di Nicomedia, fu riunita tutta una serie di concili, con il pretesto di porre fine all'eresia di Fotino di Sirmio (il sabellianesimo).
Ma si mirava a dire che la dottrina di Atanasio, la quale sosteneva che il Verbo è consostanziale al Padre, non era altro se non fotinianismo camuffato. E, siccome la dottrina e la formula di Atanasio erano sostenute soprattutto in Occidente, l'imperatore, dietro la spinta dei suoi consiglieri semi-ariani, moltiplicò in Italia e in Gallia i concili destinati a distruggere quella pretesa d'eresia, l'eresia dei " niceani ", cioè dei sostenitori del Concilio di Nicea del 325.
Tali furono il concilio di Milano del 355, quello di Arles del 353, quello di Beziers del 356, ecc. Dappertutto, ci si limitava a costringere i vescovi a scegliere tra la condanna di Atanasio e l'esilio. Il papa Liberio, succeduto a Giulio I nel 352, si lasciò adescare. Non avendo voluto abbandonare la causa di Atanasio, fu dapprima esiliato da Roma a Berea (fine del 355) e sostituito da un antipapa di nome Felice (355-365), e finì per sottoscrivere una formula equivoca, di cui parleremo tra breve.
Fra i più illustri esiliati di questo periodo così burrascoso si devono segnalare, insieme con il papa Liberio e lo stesso Atanasio, due santi molto venerati in Occidente: s. Eusebio di Vercelli e S. Ilario di Poitiers; e persino il venerando Osio di Cordova, nato nel 258 e vescovo dal 295. Aveva quasi cento anni!
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:36
VARIE FORME DI SEMI-ARIANESIMO
Ma che cosa si metteva al posto della dottrina definita a Nicea? Con che si sostituiva il "consostanziale" di Atanasio?
Ciò che caratterizza l'eresia sono le sue incessanti variazioni e fluttuazioni; perché - come ha giustamente rilevato Newman - appena si esce dall'ortodossia si cade nell'inconsistenza. Tale osservazione si adatta egregiamente ai casi di quest'epoca. I semi-arianni non cessavano di costruire formula. Non volevano saperne di consostanziale con il pretesto che vi sentivano odore di sabellianismo. Perciò, cercavano un altro aggettivo. I semi-ariani propriamente detti, con Basilio d'Ancira, si attenevano al termine simile nella sostanza homoiousios in greco - invece di homoousios che era il termine di Atanasio. Furono quindi chiamati omeousiani. All'estremità della scala delle opinioni si trovavano gli ariani puri, i quali sostenevano che il Verbo era dissimile - anomoios - dal Padre. Questi sono conosciuti sotto il nome di anomei. Infine, tra i due opposti si ergeva l'opinione di Acacio di Cesarea, secondo il quale si doveva dire semplicemente che il Verbo è simile - omoios - al Padre, senza precisare che gli è simile nella sostanza. I sostenitori di questa teoria furono perciò detti omei.
Le differenze che si notano in quelle che sono chiamate le quattro formule di Sirmio (varate dal 351 al 359), mostrano chiaramente le divergenze che travagliavano allora gli animi nella Chiesa. Sirmio, che viene identificata con l'attuale Mitrovitza, sulla Sava, in Jugoslavia, era la residenza abituale di Costanzo. E, appunto alla presenza di quest'ultimo si elaborarano, in quella città, le più mutevoli formule di fede. La prima formula di Sirmio, redatta sotto l'influsso di Basilio d'Ancira, è semi-ariana ma potrebbe interpretarsi in maniera ortodossa. La seconda segna l'influsso passeggero degli Anomei e il declino dell'influsso di Basilio d'Ancira. E' dell'anno 357 e posteriore di sei anni alla precedente. Proclama il Figlio inferiore al Padre e 1o Spirito Santo inferiore al Figlio. Mediante le più odiose e colpevoli violenze, non si ebbe vergogna di far sottoscrivere questa formula al vecchio Osio di Cordova, completamente ingannato; ma non gli si poté mai strappare una condanna dell'amico Atanasio. Aveva allora 99 anni! A partire dal 358, Basilio aveva ripreso l'offensiva ed era riuscito a far ammettere dall'imperatore una terza formula, nella quale senza dubbio non si riscontrava il termine ortodosso consostanziale decretato a Nicea, ma che si poteva tuttavia intendere in modo cattolico. Bisogna riconoscere che certi scrittori anche perfettamente ortodossi, come san Cirillo di Gerusalemme, temevano un poco l'espressione "consostanziale ", quasi potesse portare al sabellianismo. Non è quindi da stupire che il papa Liberio, il quale languiva da tre anni a Berea e vedeva la sua chiesa di Roma dilaniata dallo scisma a causa di un antipapa, abbia creduto di poter sottoscrivere quella formula, onde ritrovare la libertà. Cosa più spiacevole, egli acconsentì n condannare Atanasio per l'uso del termine " consostanziale ". Non è tuttavia da credere che il papa sia, in questa circostanza, caduto egli stesso nell'eresia, benché durante le discussioni sull'infallibilità del papa si sia fatto continuamente ricorso al suo caso. Liberio mancò di chiaroveggenza e di fermezza, ma la sua ortodossia sembra rimanere completamente fuori causa.
Il trionfo di Basilio d'Ancira, autore di questa terza formula di Sirmio, non fu d'altronde di lunga durata, poiché i suoi nemici e rivali strapparono a1 debole e pretenzioso imperatore una quarta formula di Sirmio, che dichiarava il Verbo semplicemente simile al Padre, il che significava la vittoria degli omei sugli omeusiani. Eravamo nel 359. La formula fu sottoscritta per prudenza dagli anomei, e dallo stesso Basilio d'Ancira, che la adattò alla sua opinione personale.
Ma allora si produsse nella Chiesa un vero dramma.
L'imperatore ebbe la pretesa di far sottoscrivere questa formula da tutti i vescovi dell'impero, e a tal fine convocò due concili, uno a Selcucia per l'Oriente e l'altro a Rimini per l'Occidente.
A Rimini, si radunarono 400 vescovi, di cui circa 80 erano ostili alla definizione di Nicea. La maggioranza quindi dichiarò di attenersi al concilio di Nicea e respinse la formula di Sirmio. Ma la minoranza agì con tanta astuzia e fece intervenire l'imperatore con tanta rigidità che, dietro le più gravi minacce e con spiegazioni miranti ad addormentare le coscienze, si ottenne dai Padri la sottoscrizione di questa formula di Sirmio, per di più aggravandola, poiché mentre prima il Verbo vi era detto "simile al Padre in ogni cosa ", a Rimini queste ultime tre parole furono soppresse.
Comunque sia, è certo che la formula di Rimini fu infine adottata nel più assoluto equivoco.
Lo stesso avvenne a Seleucia. Basilio d'Ancira si dibatté dapprima come meglio poté; poi l'autorità dell'imperatore fece pendere la bilancia nel senso inverso. Così la formula, detta omeiana, sottoscritta a Rimini, venne imposta anche a Seleucia. Di qui passò ai popoli barbari che nel secolo seguente avrebbero invaso l'impero romano. Quando si afferma, in storia, che questi popoli, o almeno una parte di essi - per esempio i Burgundi e i Goti - erano ariani, si vuole intendere che professavano la Confessione di fede di Rimini-Seleucia. L'anno seguente, nel 360, gli acaciani o omei riportarono un'ultima vittoria al concilio di Costantinopoli, che condannò insieme i termini consostanziale (ortodosso), simile in sostanza (Basilio d'Anciria, semi-ariano) e dissimile (ariani puri).
Sembrava che l'eresia avesse vinto nella Chiesa. San Girolamo, parlando di questo breve periodo, che terminò con la morte dell'imperatore avvenuta nel 361, disse con una frase rimasta celebre:" L'universo gemette nello sbalordimento di vedersi diventato ariano! "
Non era nulla di grave. Gli spiriti ingannati dagli intrighi e vessati dalle minacce della Corte, si risolleveranno ben presto.
Alla morte di Costanzo, fu uno dei suoi nipoti, Giuliano - che in storia è soprannominato l'Apostata - a prendere il potere. Egli aveva segretamente abbracciato il paganesimo. Ed era venuto in urto con lo zio, l'imperatore, in seguito alla rivolta dell'esercito, che proclamava Augusto lui stesso. Costanzo era morto mentre marciava contro di lui. Una volta padrone dell'impero, Giuliano cercò di ristabilire il paganesimo. Il suo primo atto fu quello di rimandare alle proprie diocesi tutti i vescovi esiliati, senza dubbio con l'idea di provocare in tal modo delle divisioni in seno alla Chiesa.
Non starò a descrivervi qui tutti i tentativi da lui fatti per risuscitare il paganesimo ormai sorpassato e sepolto. Del resto non ebbe il tempo di impegnarvisi a lungo, poiché già nel 363 scompariva, all'età di 32 anni durante una spedizione contro i Persiani. I suoi successori Gioviniano, Valentiniano e Graziano e soprattutto Teodosio - o usarono una larga tolleranza, rimanendo fuori delle dispute teologiche, o si mostrarono decisamente favorevoli all'ortodossia cattolica. Uno solo, Valente, fratello di Valentiniano I e da lui associato all'impero, si fece, al pari di Costanzo, difensore dell'arianesimo, senza portare d'altronde gravi disordini in seno alla Chiesa d'Oriente, in cui risplendevano allora autentici geni, come Basilio di Cesarea e il suo grande amico Gregorio Nazianzeno.
Atanasio ebbe l'onore di contribuire, prima della sua morte, alla riconciliazione e alla pacificazione degli animi. Rientrato al pari degli altri, nel 362, nella sua chiesa di Alessandria, radunò un concilio e in esso dette prova di una grande larghezza d'animo per porre fine a tutte le dispute dogmatiche. Fece semplicemente rivivere i decreti del concilio di Nicea del 325 rifuggendo da qualunque discussione di termini. Quando morì - nel proprio letto, lui che era stato così spesso scacciato dalla sua sede - aveva adempiuto - uno dei più nobili compiti che possano incombere a un pastore di anime, poiché aveva ristabilito dovunque intorno a sé la pace nell'unità della fede. Era il 2 maggio del 373.
Fra coloro che seguirono il suo esempio è da segnalare sant'Ilario di Poitiers nelle Gallie, sant'Eusebio di Vercelli in Italia, e i cosiddetti tre Cappadoci: Basilio di Cesarea, già ricordato, Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno, fratello di Basilio - forse il più profondo dei tre.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:37
GLI PNEUMATOMACHI
Per quasi tutto il IV secolo - uno dei più splendidi della storia della Chiesa - si discusse animatamente sulla divinità del Verbo, ma si perdette un poco di vista quella dello Spirito Santo. E' chiaro tuttavia che coloro i quali rigettavano la divinità consostanziale del Figlio respingevano a maggior ragione quello dello Spirito Santo, da tutti ritenuto al terzo posto tra le "persone divine ". Solo verso il 360 si pose chiaramente la questione su questo punto. La persona dello Spirito Santo era infatti sempre associata alle altre due, particolarmente nella liturgia battesimale. La maggior parte dei semi-ariani e soprattutto degli ariani puri si dichiararono contro la divinità dello Spirito Santo. Per questo motivo furono chiamati pneumatomachi, cioè avversari dello Spirito, ed anche macedoniani, dal nome di Macedonio, vescovo intruso di Costantinopoli, che fu uno dei loro capi più eminenti, e venne deposto nel 360. Questa nuova disputa aveva il vantaggio di costringere le menti a considerare il dogma della Trinità in tutta la sua ampiezza. Fu vanto del grande imperatore Teodosio mettere un punto finale a quelle interminabili controversie, attraverso le quali, tuttavia, la teologia della Trinità aveva preso una mirabile consistenza. Fin dal battesimo, ricevuto nell'età adulta, Teodosio aveva dichiarato di volersi attenere in tutto, ma specialmente in materia trinitaria, al pensiero del vescovo di Roma e alla fede professata in comune dal papa e dal vescovo Atanasio di Alessandria. Ma, una volta divenuto imperatore, comprese che gli Orientali conservavano una certa suscettibilità riguardo al papa e al successore di Atanasio. Ebbe quindi l'accortezza, di radunare a Costantinopoli un concilio di soli orientali. Era da poco tempo vescovo della città Gregorio Nazianzeno, grande oratore, grande teologo e autentico santo. L'imperatore cominciò col far restituire ai cattolici tutte le chiese della città che erano state occupate dagli ariani. Quindi, d'accordo con Gregorio Nazianzeno, convocò i vescovi orientali. Ne vennero 186, di cui 36 erano pnematomachi. Il concilio fu presieduto successivamente da Melezio di Antiochia, da san Gregorio Nazianzeno e, dopo le dimissioni di quest'ultimo, dal suo successore Nettario. Esso consacrò definitivamente la dottrina di Nicea, scagliò l'anatema contro l'arianesimo e il semi-arianesimo, specialmente contro l'eresia degli anomei e degli omei, come pure degli omeusiani. Infine, il concilio proclamò la divinità dello Spirito Santo pari a quella del Verbo e del Padre. Gli pneumatomachi furono quindi respinti dalla Chiesa, e in questo senso fu completato il Simbolo di Nicea. L'arianesimo continuò a vivere sol più presso i " barbari " fino al secolo VII.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:37
Cap 3
CAPITOLO III. LE ERESIE IN OCCIDENTE
CARATTERI GENERALI
Passando dall'Oriente all'Occidente, è impossibile non rilevare una profonda differenza tra le eresie che sono sorte da una parte e dall'altra. Le grandi eresie del IV secolo si erano sviluppate soprattutto in Oriente ma avevano avuto indubbiamente una ripercussione anche in Occidente. In particolare, la sede di Roma aveva sempre avuto la sua parola da dire nella determinazione del dogma cattolico di fronte a ciascuna di esse. Però tutti i capi di sette erano stati orientali. Le eresie di cui dovremo parlare nel presente capitolo nacquero invece in Occidente. E avranno un carattere del tutto diverso. Il genio orientale indugiava con ardore soprattutto sui grandi problemi metafisici: la Trinità, la divinità del Verbo e quella dello Spirito Santo, la creazione del mondo e l'origine del male. E' sarà quasi sempre così anche in seguito. Si tratterà della unione ipostatica delle due nature di Gesù Cristo, dell'unione in lui della volontà divina e di quella umana, ecc. Si potrebbe dire che il genio greco è attratto maggiormente verso gli oggetti, mentre l'animo occidentale si rivolge di preferenza verso il soggetto: l'uomo, la libertà umana, la grazia, la predestinazione, la fede e le opere, il male in noi.
I greci si sono mostrati sempre amanti dell'alta metafisica e i latini della psicologia. Non si deve tuttavia spingere troppo oltre questa distinzione. I latini infatti non hanno esitato a seguire i greci nelle loro alte speculazioni, e i trattati sulla Trinità o sulla Incarnazione non sono stati minori in Occidente che in Oriente. Ma l'iniziativa non partiva da loro. In senso inverso, il problema della grazia e del suo legame con la libertà umana è stato approfondito con maggior vigore in Occidente che in Oriente.
Tenendo conto di queste premesse, passeremo in rassegna le eresie occidentali.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:37
LO SCISMA DONATISTA
Se si parla di uno scisma a proposito del donatismo africano, non significa che non vi sia stata, nel fondo della questione, una precisa eresia. Lo scisma ebbe origine in occasione della elezione di Ceciliano ad arcivescovo di Cartagine. Si formò un partito contro di lui. Si pretese che la sua consacrazione per mano del vescovo Felice di Aptonga fosse invalida. Si diceva infatti che Felice, al tempo della prescrizione, avesse consegnato i Libri sacri alla polizia. Essere stato, come si diceva, un traditor, gli toglieva per sempre il potere di consacrare validamente. Questa teoria si riaccostava alquanto all'errore dello stesso san Cipriano, vescovo di Cartagine. quando aveva affermato, contro il pensiero di Roma, che il battesimo conferito dagli eretici era invalido. E gli avversari di Ceciliano si appellavano alla autorità di Cipriano. Il loro capo fu un certo Donato, detto delle Capanne Nere dalla località africana di cui era vescovo, e il loro più insigne teologo fu un altro Donato, che chiamarono il Grande. Di qui il nome di donatisti. Essi trovarono facilmente dei seguaci in un paese dalle accese passioni come l'Africa e dove abbondavano gli scontenti contro la dominazione romana. I donatisti ebbero anche delle pattuglie d'assalto, come diremmo oggi, sotto forma di bande fanatiche, composte di uomini che si attribuivano il nome di soldati di Cristo, ma che i cattolici soprannominarono circoncellioni o vagabondi.
Dal punto di vista dottrinale, i donatisti, non senza varianti, professavano due princìpi ugualmente eretici:
1) i peccatori pubblici e manifesti, specialmente i vescovi e i preti prevaricatori, non appartengono più alla Chiesa: 2) fuori della vera Chiesa, tutti i sacramenti sono invalidi.
Cosa ancor più grave, i donatisti pretendevano scacciare dalla Chiesa non solo i vescovi e i preti che essi accusavano di prevaricazione, ma anche tutti i fedeli che restavano in comunione con loro. Giungevano quindi a considerarsi come la sola vera Chiesa! Tutto il resto della Chiesa, a sentir loro, era fuori della verità cristiana. Si era ben lontani dallo spirito di misericordia che regna nel vangelo!
Una eresia così radicale e perniciosa doveva essere vigorosamente combattuta dai cattolici. Il donatismo fu infatti condannato nel Concilio I Lateranense a Roma nel 313, e quindi, nel 314, in quello di Arles, presieduto dall'imperatore Costantino. Gli imperatori furono fin da allora tutti senza eccezione - salvo Giuliano l'Apostata - decisi avversari del donatismo, ma senza riuscire a sradicarlo. Ragioni politiche, e un nazionalismo africano analogo a quello che costatiamo ai nostri giorni, agivano sugli animi in favore della setta.
Il grande avversario dottrinale del donatismo fu, nel V secolo, sant'Agostino, vescovo di Ippona. Nel 411 si tenne a Cartagine un grande concilio a forma di contradittorio. Erano presenti 286 vescovi cattolici africani, contro 279 donatisti. Vi erano quindi quasi dovunque, nei paesi africani, due vescovi; uno cattolico e uno donatista. Il concilio, grazie all'eloquenza e alla scienza biblica di Agostino, tornò a confusione degli scismatici.
Lo Stato prese severe misure contro di essi. Le conversioni si moltiplicarono e l'eresia scomparve a poco a poco.
Queste dispute, talvolta così accese, ebbero un buon risultato. Si stabilì infatti: 1) che non si esce dalla Chiesa con il peccato, anche mortale e pubblico, ma solo con l'apostasia dalla fede; 2) che non si richiede nel ministro di un sacramento lo stato di grazia perché quel sacramento sia valido.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:37
IL PRISCILLIANISMO
L'eresia priscilliana deve la sua origine a un certo Priscilliano, vescovo di Avila (il futuro luogo di nascita di santa Teresa). Priscilliano apparteneva a una nobile famiglia spagnola ed era versato nell'arte allora molto popolare della divinazione, che confinava il più delle volte con la magia. Aveva cominciato, verso il 370, a diffondere idee di origine gnostica e manichea, per mezzo delle quali si vantava di condurre i suoi discepoli alla perfezione. Aveva così acquistato la fiducia di parecchi vescovi spagnoli ed era diventato lui stesso vescovo. Le sue dottrine furono tuttavia validamente combattute dai vescovi ortodossi. Sant'Ambrogio in Italia e san Martino nella Gallia presero parte alle controversie che esse suscitavano. Priscilliano fu condannato da parecchi concili e consegnato alla giustizia civile, con gran dispiacere di San Martino di Tours, il quale pensava che si dovessero convertire gli eretici e non condannarli a morte! La morte di Priscillinno si colloca intorno al 385. Ma egli lasciava dei seguaci che prolungarono e anzi aggravarono i suoi errori. Essi si possono considerare come lontani antenati degli albigesi. Praticavano una certa magia, credevano nel destino scritto, secondo loro, negli astri.
Due secoli dopo, il papa Gregorio Magno si vedeva ancora costretto a confutarli.
" Occorre sapere - scriveva - che gli eretici priscillianisti pensano che ogni uomo nasca sotto una combinazione di stelle. E chiamano in aiuto del proprio errore il fatto che una nuova stella apparve quando Nostro Signore si mostrò nella carne ".
Il concilio lusitano di Braga aveva condannato solennemente i priscillianisti nel 565.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:38
ERRORI SULLO STATO DI VERGINITÀ
Se citiamo qui i nomi di Elvidio, Bonosa, Gioviniano e Vigilanzio non è perché essi abbiano prodotto gravi dissidi nella Chiesa. Questi personaggi sono noti solo attraverso le vigorose confutazioni di san Girolamo e di alcuni altri Padri. Furono tutti più o meno avversari dell'ascetismo cristiano e specialmente della pratica, antica quanto la Chiesa, della verginità consacrata a Dio. Ciò che la Chiesa, attraverso la voce di san Girolamo e le decisioni dei concili, volle stabilire contro di essi è: 1) La superiorità dello stato di verginità consacrata a Dio, nella vita religiosa, sullo stato di matrimonio; 2) la perpetua verginità di Maria, madre del Salvatore; 3) l'utilità e il merito dell'ascetismo cristiano, della pratica dei digiuni, delle astinenze o della vita monastica; 4) la legittimità del culto dei santi e delle reliquie.
Le negazioni di quegli eretici su tutti questi punti si ritroveranno, dodici secoli dopo, in seno al protestantesimo. Il più noto di essi, Gioviniano, un italiano, a quanto sembra, fu condannato nel 390 dal papa Siricio in un concilio tenuto a Roma e da sant'Ambrogio nel 391 in un concilio tenuto a Milano.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:43
PELAGIO E IL PELAGIANESIMO
Molto più grave fu l'eresia che si ricollega al nome di Pelagio. Questi era nato in Inghilterra intorno al 354, data della nascita di s.Agostino che doveva essere il suo grande avversario. Pare che sia venuto a Roma verso il 384. Era un uomo di grande talento e di insigne virtù. Oratore, scrittore, esegeta, rimase " dottore laico e indipendente" ma si riallacciava forse alle dottrine dello pseudo-Ambrogio - l'Ambrosiaster - che si ispirava alla scuola di Antiochia. Pelagio era certamente in assoluta buona fede. Non sembra che abbia mai pensato ano fare uno scisma o a fondare una setta. Suo scopo era di reagire contro una religione superficiale e tutta esteriore, come quella che vedeva propagarsi nel mondo pagano convertito in massa al cristianesimo. Scrisse molto, ma la maggior parte delle sue opere sono andate perdute. Si conservano alcuni lavori di esegesi, e soprattutto una lettera a Demetriade che è come un trattato di spiritualità.
Pelagio era anzitutto un moralista severo e intransigente, un rigorista alla sua maniera, che era all'opposto di quella dei giansenisti di cui dovremo parlare più avanti. Predicava il distacco dalle ricchezze, la pratica dei consigli evangelici di povertà e di castità, in tutto il loro rigore. Combatté con forza qualunque rilassamento, insistendo sulle sanzioni eterne dei nostri atti: il paradiso e l'inferno.
In che cosa consiste dunque l'eresia di un direttore di anime così zelante e degno di rispetto? Nel fatto che egli deforma la grazia. Propone alle anime un alto ideale di " giustizia ", cioè di santità, ma per questo conta soprattutto sulla volontà individuale, sulla libertà umana interamente protesa verso Dio. Senza dubbio, Pelagio non può fare a meno di parlare della grazia, di cui si tratta così spesso negli scritti di san Paolo. Ma per lui la grazia è semplicemente la natura stessa, così splendidamente dotata da Dio, nella creazione.
Anche noi, certo, ringraziamo Dio dei suoi doni, ma crediamo che il peccato originale ci ha fatto perdere gran parte di questi doni. Ora, Pelagio nega il peccato originale. E' impossibile, secondo lui, che l'anima immediatamente creata da Dio sia caricata di un peccato che non ha commesso. Gli si obbietta il fatto del battesimo dei bambini, in uso nella Chiesa fin dalle origini. Pelagio si rifiuta di ammettere che tale battesimo cancelli un peccato originale nell'anima di coloro che lo ricevono. Negli adulti, senza dubbio, il battesimo cancella i peccati commessi in precedenza, ma non si può dire che esso venga conferito ai bambini " in remissione dei peccati ". Non ha altro scopo che quello di aprire loro il " regno dei cieli ", ma questo regno è solo un aspetto della vita eterna. Anche i bambini molti senza battesimo vanno in paradiso, ma non nel " regno dei cieli ", che è soltanto una parte di esso.
Pelagio tuttavia evita di spiegarsi su questo punto oscuro. Ciò che egli soprattutto prediligeva era magnificare l'attitudine della nostra libertà a scegliere a suo arbitrio fra il bene e il male e ad adempiere, con le proprie forze, tutta la legge divina. Il suo discepolo più insigne, il vescovo italiano Giuliano di Eclano, dirà in termini giuridici: "Mediante il libero arbitrio l'uomo si e sentito emancipato da Dio". Voleva intendere che noi non siamo degli scliiavi. grazie alla nostra libertà. Possiamo dire a Dio " sì " o " no " a nostro piacere e a nostro rischio e pericolo. Il primo dovere dell'uomo è dunque prendere coscienza di questa sublime autonomia e di usarne per la propria completa santificazione.
La dottrina di Pelagio aveva sembianze di grandezza. E questo appunto spiega il gran numero di vittime che riuscì a fare. Egli esaltava la volontà umana. In certi ambienti romani, in cui sopravviveva lo stoicismo, non si poteva fare a meno di applaudire a queste rivendicazioni dell'energia umana. Pelagio pare abbia predicato liberamente e senza trovare ostilità in Italia fino al 410. Ma a quest'epoca, si verificò una catastrofe spaventosa. Le frontiere romane cedevano da tutte le parti sotto la pressione delle invasioni barbariche. Bande di Visigoti, guidate da Alarico, si diffusero attraverso il nord nell'Italia, e presto raggiunsero Roma. La città " eterna ", come già era chiamata fu presa e orribilmente saccheggiata. Si pensò alla fine del mondo! Le popolazioni sgomente fuggivano nella direzione opposta a quella dei barbari. Pelagio e il suo più eminente discepolo romano, il giovane avvocato Celestio, furono nel numero dei profughi. Passarono dapprima in Africa, ma mentre Pelagio si recava in Palestina dove riceveva un'accoglienza abbastanza favorevole, Celestio sollevava intorno a sé obiezioni, critiche e opposizioni ben motivate. Nel 411 si radunò un concilio a Cartagine. Vi furono condannate le sue dottrine e lui stesso fu scomunicato. Fece appello a Roma, ma invece di recarsi dal papa, per patrocinale la propria causa, fuggì a Efeso dove si fece ordinare prete. In Africa, frattanto, continuava la lotta contro le sue dottrine. Sant'Agostino ne fu 1'animatore. Scrisse l'uno dopo l'altro parecchi libri contro il pelagianesimo: De spiritu et littera (Lo spirito e la lettera) nel 412; De natura et gratia (La natura e 1a grazia) nel 415 e altre ancora. Appunto allora meritò di diventare quello che è rimasto per noi, il " dottore della grazia ". Nessuno meglio di lui seppe ricavare dalla Scrittura e dalla Tradizione la dottrina della Chiesa: 1) sul peccato originale; 2) sulla necessità del battesimo per la salvezza; 3) sull'azione preveniente e adiuvante della grazia nell'opera della nostra salvezza. Il pelagianesimo, dapprima mal compreso dagli orientali, e dichiarato ortodosso nel concilio di Gerusalemme e in quello di Diospolis nel 415, fu senza tregua condannato dai concili africani, approvati da Roma. A dispetto delle astuzie tattiche dei pelagiani i quali si difendevano con ogni sorta di cavilli, il papa Zosimo, ingannato per qualche istante, finì per colpire di anatema questa eresia perniciosa e sottile, in una Enciclica intitolala Epistola tractoria (estate del 418). Vi furono tuttavia 18 vescovi italiani, il più noto dei quali è Giuliano di Eclano, che rifiutarono di sottoscrivere la dottrina definita dal papa. Ma furono vigorosamente confutati, e l'eresia scomparve con discreta rapidità.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:44
IL SEMI-PELAGIANESIMO
Sant'Agostino aveva tratto dal Vangelo e dalle Epistole di san Paolo tutti gli argomenti che opponeva al pelagianesimo. Non aveva fatto fatica a dimostrare che si intaccavano le fondamenta stesse della fede cristiana. Il pelagianesimo tendeva per se stesso a dimostrare l'inutilità del Cristo. Sarà più tardi il grande argomento del giansenismo. Se non vi è stato peccato originale, non c'era bisogno di un Redentore. E' inutile la preghiera se bastiamo a noi stessi.
"Nessuno viene a me se il Padre mio non lo attrae", aveva detto Gesù'. " Che cosa hai che non hai ricevuto, e se l'hai ricevuto, perché gloriarti come se non l'avessi ricevuto? ", aveva dichiarato san Paolo.
Vi è in questi testi una tale forza dimostrativa che il pelagianesimo non avrebbe potuto opporvisi. Ma vi furono mezzogiorno della Francia dei monaci che rimasero turbati dal vigore delle espressioni di sant'Agostino sulla necessità della grazia. Pensarono che non si desse al libero arbitrio la parte che gli spettava nelle opere della salvezza, Loro interprete fu il celebre autore delle Conferenze spirituali, Giovanni Cassiano, fondatore del monastero di San Vittore di Marsiglia. Giovanni Cassiano ammetteva la necessità della grazia. Raccomandava la preghiera, anzi la preghiera incessante.
Ma, nella sua Conferenza XIII, propose sotto l'etichetta degli asceti e dei pii autori spirituali del deserto egiziano che egli aveva conosciuto e consultato, la seguente dottrina: 1) è in potere dell'uomo volgersi per primo verso Dio, cosi come è in potere del malato andare per primo a chiamare in aiuto il medico; 2) allo stesso modo la predestinazione eterna dipende in ultima analisi dalla volontà umana, poiché spetta ad essa perseverare sino alla fine. In altri termini, Cassiano rigettava la grazia preveniente e la grazia di perseveranza finale.
Messo al corrente da mio dei suoi discepoli – san Prospero di Aquitania - Agostino scrisse subito due libri sull'argomento, nei quali confutava ciò che fu chiamato per secoli "l'errore dei marsigliesi " ma che noi chiamiamo, a partire dal secolo XVII, il semi-pelagianesimo. Egli insisteva sulle parole di Cristo: "Senza di me non potete far nulla ", e sugli altri testi citati più sopra. Dopo la morte di Agostino (28 agosto del 430), la sua dottrina fu confermata da una Enciclica del papa Celestino I ai vescovi delle Gallie. Non vi fu condanna di persone. Le idee di Cassiano furono sostenute da uno scrittore degno di nota, san Vincenzo di Lerins, e da un vescovo zelante, Fausto di Riez. Ma nella Gallia si sviluppò parallelamente l'agostinismo, e infine furono due grandi vescovi della regione, san Cesario di Arles e sant'Avito di Vienna, che assicurarono la definitiva condanna del semi-pelagianesimo nel concilio di Orange del 529. Il papa Bonifacio II approvò solennemente i decreti di questo concilio nel 532. Fu stabilito che l'uomo decaduto per il peccato originale non può né ottenere la fede né desiderarla senza una grazia preveniente. Tanto meno può perseverare nel bene senza una sequela di grazie adiuvanti, né perseverare sino alla fine senza un dono speciale collegato alla sua predestinazione.
Erano gravi e difficili problemi. Ci si può chiedere se talora sant'Agostino, nel suo zelo di riferire tutto a Dio nell'opera della salvezza, e nel suo impegno di stabilire la necessità della predestinazione, non abbia aperto la via a dottrine confinanti con il fatalismo. Quel che è incontestabile è il fatto che egli sarà continuamente invocato dai predestinaziani. Era stato già necessario condannare il prete Lucido, per le sue dottrine a questo proposito, Parimcnti Lutero, Calvino, Baio e Giansenio pretenderanno di porsi sotto il patrocinio di Agostino, e la Chiesa dovrà dare del pensiero agostiniano una interpretazione capace di conciliare i diritti della libertà umana e l'azione della grazia divina. Come sempre, sarà fra i due estremi, ugualmente falsi, che la dottrina cattolica dovrà tracciare e mantenere la sua via. Ma nasceranno su questo punto gravi controversie che certo non saranno mai definitivamente risolte (soprattutto tomismo e molinismo). Il detto di Bossuet: " Teniamo saldi i due capi della catena.." rimarrà una parola di saggezza per tutti.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:44
Cap 4
CAPITOLO IV.
GLI ERRORI CRISTOLOGICI DAL IV AL VII SECOLO

L'APOLLINARISMO
Se lasciamo l'Occidente per tornare in Oriente, vi troveremo ancora delle controversie di ordine speculativo. Si discute meno sulla grazia e sulla libertà umana che sulla natura di Cristo, e sulla unione, in lui, della natura umana e della natura divina. Ed è sempre in stretto legame con le eresie ariane e semi-ariane che si producono nuove deviazioni dottrinali.
Si è visto ad esempio che, per Ario, l'anima di Cristo non era altro che il Verbo, la prima creatura tratta dal nulla da Dio. Troveremo qualcosa di simile con il vescovo Apollinare di Laodicea. Questi era un uomo di virtù e di scienza. Si era mostrato avversario risoluto dell'arianesimo, sostenendo la divinità del Verbo o Logos. Ma non seppe difendersi dall'errore dello stesso Ario in ciò che riguarda l'anima di Cristo. Per lui, come per Ario, è il Verbo che tiene il posto di quest'anima. E interpreta in tal senso, al pari di Ario, le parole del Vangelo: " E il Verbo si fece carne " (Giov.1, 14). Credeva con ciò di salvaguardare meglio l'unità di persona in Cristo e soprattutto la sua perfetta santità, poiché - diceva - "dal momento che esiste l'uomo completo esiste anche il peccato ".
L'apollinarismo fu tuttavia rigettato in parecchi concili e particolarmente nel grande concilio di Costantinopoli del 381.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:44
NESTORIO E IL NESTORIANESIMO
Per meglio combattere l'apollinarismo, il più insigne dottore della scuola di Antiochia, Diodoro, vescovo di Tarso dal 378, aveva manifestato una certa tendenza ad opporre il Figlio di Dio, consostanziale al Padre, al Figlio di David, nato dalla Vergine. Il Figlio di David, secondo lui, era stato solo il tempio del Figlio di Dio. Maria non meritava quindi per alcun motivo l'attributo di Madre di Dio. Diodoro, illustre vescovo e teologo, intendeva bensì salvaguardare l'unità morale di Cristo, ma non si accorgeva di salvaguardarla solo a parole: in realtà sembrava ammettere due persone nello stesso Cristo: una persona divina e una persona umana. Dopo Diodoro. che era morto nel 394, il suo migliore discepolo, Teodoro, vescovo di Mopsuestia dal 392, si dedica a penetrare quella che noi chiameremmo oggi la psicologia umana del Cristo. Egli lo vede svilupparsi, come ogni altro uomo: o lottare, al pari degli altri, contro le tentazioni, ma finire col meritare la sua unione con il Verbo.
Teodoro aveva tuttavia avuto cura di rivestire il suo pensiero di forme così tradizionali da non sollevare alcuna protesta. Però nell'anno stesso della sua morte, avvenuta nel 428, uno dei suoi discepoli, il prete Anastasio, condotto da Antiochia a Costantinopoli dal nuovo vescovo di questa città, Nestorio, si ispirò alle sue idee nella propria predicazione. Dovendo parlare in pubblico della Vergine Maria, contestò al popolo cristiano il diritto di chiamarla Madre di Dio - Theotocos - come si usava fare ormai da lungo tempo. Questa opinione del prete Anastasio produsse sbigottimento nella città. Davanti allo stupore dei fedeli, Nestorio, che condivideva la convinzione di Anastasio dietro le orme di Diodoro di Tarso e di Teodoro Mopsuesteno, prese decisamente posizione in suo favore. Un laico di nome Eusebio, che diverrà più tardi vescovo di Dorilea, protestò ad alta voce contro il linguaggio del vescovo.
Tutta la città e la Corte si trovarono interdette. La Corte imperiale si schierò con il vescovo, ma i monaci e il popolo erano per la tradizione mariana. Presto il rumore di queste controversie giunse ad Alessandria, sede episcopale in rivalità secolare con la scuola di Antiochia e con la sede di Costantinopoli. Il vescovo di Alessandria era appunto un teologo di primissimo piano, Cirillo. Egli intervenne senza indugi, dapprima con cortesia, rivolgendosi direttamente a Nestorio; poi quando vide che le sue osservazioni non erano accettate, si rivolse a Roma. Nestorio aveva già fatto altrettanto.
Da una parte e dall'altra, si comprendeva benissimo che il nodo della questione risiedeva nell'uso dell'attributo Madre di Dio applicato a Maria. Se glielo si rifiutava, si veniva a rompere l'unità di persona in Gesù Cristo. Invece di una persona se ne ammettevano due: la persona umana di Cristo di cui Maria era madre - Christotokos - e la persona divina del Verbo, aggiunta a quella di Cristo, in una unione puramente morale. Se invece si ammetteva in Cristo una sola persona, quella del Verbo, come aveva sempre fatto la tradizione cristiana, ne seguiva che la relazione di maternità, in quanto riguardava la persona, attraverso la natura generata, doveva avere come termine il Verbo. Maria doveva essere detta, in quanto fonte della natura umana di Cristo, Madre di Dio. Maternità e filiazione si dicono infatti da persona a persona.
A Roma, così si intendevano le cose. Il papa Celestino diede ragione a Cirillo contro Nestorio. Il suo primo diacono, Leone, il futuro papa. scrisse subito a Giovanni Cassiano, che conosceva da lungo tempo, per chiedergli di scrivere un trattato sull'argomento. Cassiano obbedì a questo desiderio, e noi possediamo il suo trattato in cui egli dimostra attraverso la Scrittura e la Tradizione, che Maria non deve essere chiamata solo Madre di Cristo, a meno che non si specifichi subito che ciò significa Madre di Dio.
Se Nestorio rifiutava di ammettere questa conclusione, era impossibile non trattarlo come eretico. E la cosa era così grave che si doveva radunare al più presto un concilio generale. Cirillo, nel frattempo, aveva riassunto il suo pensiero in dodici anatemi. Nestorio vi aveva risposto con dodici contro-anatemi. E accusava Cirillo di ricadere nell'apollinarismo, facendo del Verbo il sostituto della personalità umana di Cristo.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:45
IL CONCILIO DI EFESO (431)
I due imperatori Teodosio II (Orienle) e Valentiniano III (Occidente) avevano convocato i vescovi a Efeso per il 7 giugno. In tale data, si trovò presente Cirillo con un certo numero di vescovi, ma non erano giunti né i legati del papa né i vescovi antiocheni. Cirillo, il personaggio più illustre di quelli che erano riuniti, pazientò per quindici giorni, non senza trattare abilmente con la Corte. Quindi il 22 giugno, senza attendere oltre, aprì il concilio, che in un giorno risolse la controversia, condannò Nestorio e lo depose. I vescovi (in numero di 198) e il popolo acclamarono queste decisioni.
Quattro giorni dopo, giunse Giovanni d'Antiochia con i suoi vescovi, tutti favorevoli a Nestorio che era, come si è detto, della scuola antiochena. Essi opposero quindi subito un controconcilio a quello del 22 giugno, condannarono e scomunicarono Cirillo, e annullarono quanto era stato fatto in loro assenza. Fu il secondo atto del dramma. Ma seguì immediatamente il terzo. Giunsero infatti presto i legati del papa. Portavano una condanna formale di Nestorio pronunciata dal papa Celestino I in un sinodo romano. Avevano ricevuto dal papa l'incarico di chiedere a Cirillo e all'intero concilio una semplice promulgazione del giudizio inappellabile già pronunciato dal pontefice romano. Essi approvarono quindi, l'11 luglio del 431, tutte le decisioni prese da Cirillo e dal concilio il 22 giugno precedente.
Nestorio tuttavia contava sempre sull'appoggio della corte imperiale. Fra questa e Cirillo si impegnò una lotta diplomatica, nella quale il vescovo di Alessandria deve essere ricorso a procedimenti che erano anche troppo in uso in quel tempo, colmando di doni i consiglieri più influenti dell'imperatore. In fondo, aveva buoni motivi per farlo. Teodosio II si lasciò convincere. Fece rinchiudere Ncstorio in un monastero e lasciò rientrare Cirillo come vincitore ad Alessandria, mentre Giovanni di Antiochia tornava, molto scontento, in Siria. Cirillo da parte sua dovette provare di non ammettere in alcun modo l'apollinarismo perché fosse finalmente ristabilita la pace fra lui e i vescovi antiocheni (433).
Nestorio, mandato più tardi in esilio, vi compose un'opera intitolala: Il libro di Eraclide di Damasco.
Questo scritto, rinvenuto nel 1910, è una accorta apologia. Ma l'eresia di Nestorio, per quanto velata, vi rimane abbastanza visibile. Anche dopo che gli scritti di Nestorio erano stati condannati alle fiamme, la sua eresia sopravvisse nelle opere di Diodoro di Tarso e di Teodoro Mopsuesteno.
Conservò quindi degli adepti, e ne conserva ancora ai nostri giorni. Si formò una scuola teologica a Edessa, e quindi a Nisibi in Persia. Il nestorianesimo si propagò di qui nell'Arabia, nelle Indie, e perfino nella Cina e nella Mongolia. Tuttavia, la maggior parte dei nestoriani tornarono, a partire dal secolo XVI, all'unità cattolica. Alcuni caddero sotto l'influsso di missionari protestanti, americani e anglicani; altri passarono alla " ortodossia russa " a partire dal 1897. Durante la prima guerra mondiale, molti furono massacrati dai Turchi.
Altri fuggirono sui monti del Kurdistan, o in Mesopotamia. Vi sono attualmente dei nestoriani nell'Iraq, nella Siria, nella Persia e nell'India. Si calcolano a 30.000 quelli dell'Iraq, ad alcune migliaia quelli della Siria, a 9.000 quelli della Persia e infine a 2.000 quelli che restano nell'India sotto il nome di mellusiani. In totale, certamente meno di 100.000 nestoriani autentici.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:45
L'EUTICHIANESIMO
Come il nestorianesimo era stato una reazione contro l'apollinarismo, così l'eutichianesimo fu una reazione contro il nestorianesimo, ma così eccessiva da cadere nell'errore opposto.
Si è visto come Cirillo Alessandrino si fosse dovuto difendere dal sospetto di apollinarismo. Per meglio esprimere l'utilità di persona in Cristo, egli aveva usato poco opportunamente l'espressione " unità fisica " dell'umanità e della divinità nella sola persona del Verbo. Ai nostri giorni diciamo unione ipostatica, che significa unione delle due nature distinte in una sola persona; ma prima che fossero raggiunte queste precisazioni, vi fu un monaco di Costantinopoli, di nome Eutiche, archimandrita di un grande monastero della città, che, convinto di essere fedele al pensiero di Cirillo, si fece notare per il suo zelo nel parlar dell'unione fisica dell'umano e del divino in Gesù Cristo. Cirillo era morto nel 444. Il suo pensiero personale era certamente ortodosso. Ma Eutiche lo traduceva male. Egli sembra aver ammesso che in Gesù Cristo l'umanità è assorbita dalla divinità e fusa in essa, come una goccia d'acqua nell'oceano. Lo stesso Eusebio di Dorilea, che aveva denunciato Nestorio, denunciò Eutiche al suo vescovo, Flaviano di Costantinopoli, che lo fece condannare in un sinodo fin dal 448. Eutiche, come era allora usanza comune, fece subito ricorso a Roma. Governava allora la Chiesa, dal 440, san Leone Magno.
Nello stesso tempo, Eutiche chiese aiuto al vescovo di Alessandria, Dioscoro, che riuscì a convincere subito, come pure l'appoggio dell'imperatore, che era sempre Teodosio II. Dietro le sue istanze, quest'ultimo radunò un concilio, ancora nella città di Efeso.

mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:45
IL CONCILIO DI CALCEDONIA (451)
Il concilio che si radunò a Efeso nel 449 fu contrassegnato da spiacevoli violenze. Era presieduto da Dioscoro di Alessandria. Al legato del papa fu negato i1 primo posto, che pure gli spettava. I 135 vescovi presenti furono costretti, sotto la minaccia delle anni di bande di monaci, guadagnate alla causa di Eutiche, a sottoscrivere per così dire in bianco la condanna della dottrina ortodossa stigmatizzata con il nome di diofisismo (due nature in Gesù Cristo). Flaviano di Costantinopoli fu maltrattato, e l'imperatore, tratto in errore, confermò la sentenza che lo deponeva e lo mandava in esilio, dove morì. Per fortuna, i legali del papa erano riusciti a fuggire. Il papa san Leone, informato da essi di quanto era accaduto, non perdette tempo per stroncare i progressi del male. Radunò un sinodo a Roma, secondo l'uso pontificio del tempo. Questo sinodo romano, tenuto nel 449, annullò tutta la procedura di Efeso e il papa chiamò quel vergognoso concilio un latrocinium e il nome gli è rimasto: il latrocinio di Efeso.
La morte dell'imperatore Teodosio li precipitò la soluzione di questo doloroso conflitto. Egli ebbe come successore, il 28 luglio del 450, la sorella Pulcheria. D'accordo con Marciano, suo sposo, essa convocò un concilio generale che si aprì a Calcedonia - l'attuale Kadi-Keui, dirimpetto a Costantinopoli, nel territorio asiatico. -
Questa volta, tutto si svolse correttamente. La presidenza fu data ai legati del papa. Dioscoro di Alessandria era presente, ma aveva con sé solo una ventina di vescovi egiziani, sperduti nella moltitudine di 500 o 600 vescovi accorsi al concilio. Egli fu giudicato e condannato alla deposizione, per la condotta tenuta al concilio di Efeso. La vera dottrina era stata magistralmente esposta, due anni prima, dal papa san Leone, in una lettera rimasta famosa, indirizzata al patriarca Flaviano.
Essa verteva sui seguenti punti, che costituiscono un vero compendio della fede cattolica: 1. In Gesù Cristo vi è un'unica persona, la persona del Verbo incarnato nella nostra natura; 2. nell'unica persona del Verbo si trovano dopo l'incarnazione due nature, la natura divina e la natura umana, senza fusione o confusione possibile; 3. ciascuna di queste due nature conserva la propria operazione che esplica in comunione con 1'altra 4. in virtù della unione sostanziale delle due nature, si deve attribuire unicamente al Verbo tutto ciò che, in Cristo, spetta al Figlio di Dio e al Figlio dell'Uomo, In questo senso si può appunto dire che " Dio è morto per noi ".
L'attribuzione alla sola persona del Verbo di tutto l'umano e di tutto il divino in Gesù Cristo ha ricevuto il nome di comunicazione degli idiomi, cioè scambio delle proprietà di ciascuna natura.
Quando al concilio fu riletta con entusiasmo la lettera di san Leone, i Padri esclamarono: " Pietro ha parlato per bocca di Leone ". E nella seguente professione di fede il dogma cristologico venne espresso in questi precisi termini: " Noi insegniamo tutti unanimemente un unico e stesso Figlio, Nostro Signore, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, veramente Dio e veramente uomo, composto di un'anima ragionevole e di un corpo, consostanziale al Padre secondo la divinità e consostanziale a noi secondo l'umanità, simile a noi in tutto fuorché nel peccato ". Questa confessione fu sottoscritta da 355 vescovi.
Dopo che il concilio ebbe terminato la sua opera dogmatica, i Padri, a dispetto dell'opposizione dei legati, dichiararono con il famoso canone 28 che il patriarca di Costantinopoli avrebbe avuto nella Chiesa il secondo posto dopo il papa di Roma; ma, ratificando gli atti del concilio, il papa dichiarò espressamente, nel 453, di non approvare e di non confermare che le decisioni riguardanti la fede, e non già le altre.
Purtroppo, i vescovi egiziani non si erano sottomessi.
Essi consideravano l'eutichianesimo come la dottrina personale del loro grande dottore san Cirillo, il che era falso. Il monofìsismo (una sola natura in Gesù Cristo) continuò ad essere professato in Egitto e il clero di questo paese passò ben presto allo scisma dichiarato. Senza riferire qui in particolare gli innumerevoli incidenti che segnarono le controversie tra monofìsiti e cattolici ortodossi, basti notare che i primi riuscirono a costituirsi in Chiesa separata. Le divisioni che nacquero tra essi nel VI secolo, come accade sempre quando si sia perduta l'unita romana, non impedirono loro di organizzarsi e di resistere. La Chiesa monofisita esiste ancora in Armenia, in Siria, Mesopotamia e in Egitto. I gruppi sono indipendenti gli uni dagli altri. Il più importante è quello che si trova in Egitto, dove costituisce la cosiddetta Chiesa copta.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:45
I TRE CAPITOLI
Non si deve credere che la Chiesa perdesse il senso profondo della unità che aveva ricevuto dal suo fondatore. Al contrario, furono fatti tutti i tentativi per riconciliare le varie frazioni cristiane che la polemica monofisita aveva messe l'una contro l'altra. Tutto quello che dobbiamo dire ora rientra nell'ambito di questa più grave preoccupazione. Non dimentichiamo, del resto, che alla preoccupazione religiosa si univa una preoccupazione politica. La rottura dell'unità cattolica era resa più pericolosa, come era accaduto per il donatismo, dalle passioni nazionalistiche locali, che tendevano a dividere l'impero. Era stato un usurpatore egiziano, Basilisco, che aveva consolidato l'eutichianesimo o monofisismo ad Alessandria, verso il 475. Dopo la sua sconfitta l'imperatore Zenone, mal consigliato dal patriarca Acacio di Costantinopoli, pubblicò una formula di conciliazione chiamata enotica o di Unificazione (484). Ma il papa Felice II ritenne insufficiente e inammissibile questa formula. Acacio tenne duro e si separò dalla comunione romana. Fu lo scisma acaciano che durò per 35 anni (484-519). Questo scisma era fortunatamente terminato quando salì al trono il celebre imperatore Giustiniano (527-565). Questi fece come buona parte dei suoi predecessori. Considerò le questioni teologiche di attinenza del suo governo. Si lasciò guidare il più delle volte dalla sua colta e raffinata moglie, Teodora, che era stata danzatrice ma si piccava di alta scienza religiosa. Al fine di placare i monofisiti egiziani, Giustiniano radunò nel 553 un concilio a Costantinopoli, che è considerato come il V concilio ecumenico. Vi si condannarono, come inquinati di nestorianesimo, tre gruppi di scritti, noti da allora sotto il nome di Tre Capitoli: 1. gli scritti di Teodoro Mopsuesteno, morto nel 428; 2. quelli di Teodoreto di Ciro, contro san Cirillo di Alessandria nel V secolo; 3. una lettera di Iba, vescovo di Edessa, capo dei nestoriani, indirizzata al persiano Mari.
Questi tre gruppi di scritti erano esecrati dai monofisiti. Condannandoli solennemente, si dava loro piena soddisfazione. Ma essi esigevano di più. Sarebbe stato necessario, secondo loro, annullare le decisioni del concilio di Calcedonia, e professare insieme con essi il monofisismo. Era impossibile ammettere ciò. Perciò il papa Vigilio si rese chiaramente conto che le decisioni del concilio non avrebbero prodotto alcun frutto di bene. Ma siccome queste decisioni erano giustificate, finì per approvarle, non senza esitazione.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:46
LA QUESTIONE ORIGENISTA
Nel concilio del 553 furono condannale anche le dottrine origeniste. Origene era stato, agli inizi del III secolo, il capo della scuola catechetica di Alessandria.
Era dotato di un genio incomparabile e aveva scritto moltissimo. Era inevitabile che, in quella moltitudine di opere uscite dalla sua mano e che numerosi copisti scrivevano sotto sua dettatura, si trovassero dottrine più o meno arrischiate. Vi sono infatti, nelle opere che conosciamo di lui, pagine magnifiche, idee splendide, e anche teorie piuttosto azzardate, che l'ortodossia non ha potuto accettare. Sono le teorie che formano l'origenismo: 1. la creazione eterna e il numero infinito dei mondi successivi; 2. la preesistenza (platonica) delle anime e la loro caduta nei corpi, a modo di castigo per le colpe passate; 3. La corporeità degli angeli (eterea); 4. la negazione dell'eternità dell'inferno, detta anche restaurazione universale, mediante una riabilitazione generale dei dannati, compresa, a quanto sembra, quella di Satana; 5. la negazione della resurrezione della carne come è espressa nel Simbolo degli apostoli; 6. la subordinazione del Verbo al Padre; 7. quella dello Spirito Santo rispetto al Verbo.
Si attribuiva a Origene la dottrina secondo la quale il Verbo agisce unicamente negli esseri ragionevoli, e lo Spirito unicamente nei santi. Infine si rimproverava a Origene, e gli si rimprovera anche ai nostri giorni, il suo allegorismo generalizzato ed eccessivo in materia biblica.
Le teorie origeniste furono oggetto di accese discussioni in seno alla Chiesa dopo la morte del grande scrittore. I monaci antropomorfiti egiziani, turbati da questo allegorismo, erano i più accaniti. Furono approvati da uno scrittore di valore, sant'Epifanio. vescovo di Salamina nell'isola di Cipro, che denunciò con vigore quella che egli non esitava a chiamare l'eresia origenista.
Aspre controversie - alle quali furono mischiati san Girolamo, ritiratosi in Palestina, e il suo amico Rufino, grande ammiratore di Origene e traduttore della sua opera principale, il De principiis - nacquero e turbarono tutto l'Oriente. Girolamo si mise in contrasto, in questa occasione, con Rufino, e impegnò contro di lui una disputa spesso accompagnata da spiacevoli invettive. Si può dire che tutti i grandi dottori d'Oriente - Cirillo, Basilio e Crisostomo - dovettero prendere posizione prò o contro Origene. Agli inizi del VI secolo, si era formata una scuola origenista in Palestina. Si trattava di monaci amanti del grande dottore alessandrino. Dietro pressione di Efrem, vescovo di Antiochia, e di Pietro, vescovo di Gerusalemme, Giustiniano li fece condannare in un sinodo tenuto nel 543. Origene e l'origenismo furono colpiti con 10 anatemi particolareggiati che il papa Vigilio confermò. Nel 553, prima del concilio ecumenico, fu ripresa tale condanna, questa volta in 15 anatemi. Sembra che il papa Vigilio, allora presente a Costantinopoli, li abbia ancora una volta approvati. Infine, lo stesso concilio generale, senza tornare sugli anatemi pronunciati, pose Origene nel numero degli eretici. Si ammette ai nostri giorni che Origene non avesse detto tutto ciò che gli si attribuiva e che il suo allegorismo non è necessariamente dovunque erroneo. Affermazioni sicuramente sue sono la preesistenza delle anime, la loro caduta nei corpi, la restaurazione universale e la teoria che certi astri siano esseri animati.
Meno certo è il fatto che egli abbia sostenuto le seguenti idee: Cristo si è fatto successivamente simile a ogni ordine di creature celesti; il corpo di Cristo fu formato prima che si unisse colla sua anima; Cristo, in in un altro mondo sarà crocifisso per i demoni; Dio ha creato tutto ciò che era in suo potere di creare, ecc.
E' assolutamente dubbio che egli abbia sostenuto che tutta la creazione materiale e tutti i corpi finiranno per essere annientati; che tutti gli spiriti saranno finalmente uniti a Dio come l'anima di Cristo; e che allora avrà fine il Regno di Cristo. Origene è rimasto per noi un soggetto di grande curiosità, mista di ammirazione e anche di venerazione, poiché i suoi errori, siccome la dottrina non era ancora fissata, possono essere considerati solo come eresie materiali e non formali. Sembra certo che egli fosse troppo "uomo della Chiesa" per non sottomettersi alle sue decisioni qualora ve ne fossero state, ai suoi tempi, sugli argomenti da lui trattati.

mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:46
IL MONOTELISMO
Le concessioni fatte ai monofisiti, e in particolare la condanna dei Tre Capitoli, non avevano tatto che incoraggiarli. Non si erano sottomessi. Agli inizi del VII secolo il patriarca di Costantinopoli, Sergio, mente duttile e astuta, progettò nn nuovo sistema di conciliazione.
Si era in lotta contro i Persiani. L'unità dell'impero si imponeva con maggior forza che mai. Sergio propose quindi di insegnare che l'unione delle due nature in Gesù Cristo era così intima che non vi era mai stata in lui se non una sola volontà e una sola azione. E' ciò che venne chiamato il monotelismo o teoria della unica volontà. Nel frattempo, nel 631, un certo Ciro di Faside divenne patriarca di Alessandria. E' noto che questa città era la capitale del monofisismo. Ciro si associò alla dottrina di Sergio. I monofisiti poterono cantare vittoria: " E' stato il concilio di Calcedonia a venire a noi ",
dicevano, "e non noi ad esso! ". Si elevarono tuttavia delle proteste. Il più insigne avversario della nuova teoria fu san Sofronio, vescovo di Gerusalemme dal 634. Sergio, per avere il sopravvento, cercò di conquistarsi il papa Onorio, chiedendogli di dichiarare inopportuna questa distinzione di una o due energie, di una o due volontà in Cristo. Onorio, pro bono pacis, entrò nelle sue vedute e, per quanto approvasse in fondo la dottrina di Sofronio che era ortodossa, si pronunciò per Sergio.
L'imperatore Eraclio, prese la palla al balzo e pubblicò un formulario dottrinale chiamato Ectesi (638). In Gesù Cristo, diceva questo documento, non vi è che una volontà, e non si deve distinguere in lui fra una o due energie. Era l'eresia, poiché la natura umana in Cristo, priva di volontà e di energia propria, non era più la natura umana come la possediamo noi.
Essendo morto il papa Onorio, i suoi successori - Severino e quindi Giovanni IV - rigettarono l'Ectesi.
Morendo nel 641, Eraclio dichiarò di sottomettersi al papa e fece ricadere su Sergio la responsabilità del suo formulario del 638. Ma il suo successore Costante II (642-668) 1o riprese. Roma e l'Occidente lo combatterono. Costante II, scosso, sostituì l'Ectesi con un nuovo decreto, il Tipo (648), che si limitava ad imporre il silenzio sulla controversa questione. Fin dal 649, il papa Martino I riuniva un concilio in Laterano e vi faceva condannare da 105 vescovi tanto l'Ectesi che il Tipo. Irritato, l'imperatore fece arrestare il papa, che fu maltrattato, mandato in esilio, e morì nel Chersoneso nel 655. Noi lo onoriamo come martire il 12 novembre.
Dopo la morte di Costante II, il suo successore Costantino IV Pogonato (il Barbuto), si accordò con il papa per convocare un concilio generale a Costantinopoli - il VI ecumenico - (2 novembre 680 - 16 settembre 681). Vi fu condannato solennemente il monotelismo, e lo stesso papa Onorio fu colpito da anatema per aver accettato gli " empi dogmi di Sergio ". Ma, confermando il concilio, il papa Leone II, successore di Agatone, precisò il senso di questa condanna, spesso invocata contro l'infallibilità dei papi: " Egli non ha saputo purificare questa Chiesa apostolica professando la tradizione apostolica, e ha invece permesso che la fede immacolata fosse macchiata di un deplorevole tradimento ". Gli si rimproverava quindi una mancanza di vigilanza, una debolezza, piuttosto che una adesione all'errore. Ai nostri giorni si ritiene che il pensiero di Onorio, qualunque cosa ne abbiano detto i gallicani, sia rimasto sempre ortodosso e che egli non sia mai stato eretico nel significato preciso del termine.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:46
LA QUESTIONE DELLE IMMAGINI
Dall'arianesimo in poi, si è visto che tutti gli errori o la maggior parte di essi, si collegavano gli uni agli altri. Anche l'origenismo, anteriore all'arianesimo, ne era stato un preludio con la teoria della subordinazione del Figlio al Padre. Con la gravissima Questione delle immagini usciamo da questo cerchio.
Dal 717 regnava a Costantinopoli un rozzo generale, diventato imperatore con il nome di Leone Isaurico. Non comprendeva naturalmente nulla delle cose di teologia, ma era consuetudine dell'impero legiferare in queste materie come in tutte le altre. Imitando forse il califfo arabo Isid II, che aveva proscritto le immagini nelle moschee, e forse dietro i consigli del vescovo frigio Costantino di Nacolia, egli prese nel 725 una serie di misure contro il culto delle immagini. Charles Dichl e Louis Brehier hanno dimostrato come il suo scopo fosse soprattutto quello di lottare contro l'eccessivo influsso dei monaci. Gli editti si succedettero aggravandosi senza tregua. Dapprima si erano condannate le immagini dei santi, degli angeli e dei martiri. Si giunse quindi a proscrivere anche le immagini di Cristo e della Vergine.
Si può immaginare il turbamento dei fedeli, soprattutto in Oriente, dove le basiliche erano splendidamente ornate di mosaici policromi in onore di Cristo, della Vergine e dei santi. Mani empie si diedero a distruggere tutto quel patrimonio artistico del passato. Il patriarca di Costantinopoli, san Germano, protestò energicamente, ma fu deposto e sostituito con un prelato ligio alla Corte, Anastasio. I papi Gregorio II e Gregorio III condannarono a loro volta l'iconoclastia o distruzione delle immagini, nel 727 e nel 731. Un teologo di primo piano, san Giovanni Damasceno, entrò in campo per difendere la legittimità del culto reso alle immagini. Ma l'imperatore, che era molto autoritario, non cedette.
Vi furono deplorevoli sottomissioni nel clero, ma anche eroiche resistenze tra i monaci e i fedeli. Si segnalano in particolare come martiri della persecuzione alcune donne che avevano rovesciato la scala di un operaio iconoclasta. Il figlio e successore di Leone Isaurico, Costantino Copronimo (il sudicio), che regnò dal 741 al 775, proseguì la detestabile politica del padre. Soltanto sotto l'imperatore Leone IV (775-780), e soprattutto sotto la sua vedova Irene, fu ristabilita la pace e riportato in onore il culto delle immagini. Irene, in pieno accordo con il papa Adriano I (772-795) e il patriarca di Costantinopoli san Tarasio, radunò, nonostante l'opposizione del partito militare, il concilio di Nicea (VII ecumenico), nel 787. Questo concilio definì chiaramente in quale senso sia legittimo onorare le immagini. Si tratta di un culto relativo, che si rivolge cioè alla Persona rappresentata e non all'immagine stessa. Il papa Adriano fece tutti i tentativi per far ammettere questa dottrina in Occidente, ma Carlomagno, tratto in errore da una cattiva traduzione degli atti del concilio, pensò che si trattasse di onorare le immagini di un culto assoluto. In un trattato noto sotto il nome di Libri Carolingi si criticava aspramente il cullo delle immagini cosi male interpretato, e il concilio di Francoforte condannò tale culto nel 794. A poco a poco tuttavia il malinteso fu chiarito, e non vi sarà crisi iconoclastica in Occidente se non sotto l'influsso di alcune sette protestanti, come il calvinismo che ancor oggi bandisce le immagini dai suoi templi.
Una seconda crisi iconoclasta si verificò in Oriente nel IX secolo, sotto gli imperatori Leone l'Armeno (813-820), Michele il Balbuziente (820-829) e Teofilo (829-842). Il primo e il terzo si mostrarono particolarmente accaniti. Il grande difensore delle immagini fu allora san Teodoro Studita (+ 826). E fu ancora una volta una donna, l'imperatrice Teodora, vedova di Teofilo e madre di Michele III, che ebbe la gioia di ristabilire la pace restaurando il culto delle immagini. Appena salita al potere, nel 842, si intese con il patriarca di Costantinopoli san Metodio, che radunò un concilio per confermarvi definitivamente i decreti di Nicea riguardo alle immagini.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:47
Cap 5
CAPITOLO V
LE ERESIE MEDIOEVALI
CARATTERI GENERALI
Si è avuta per molto tempo l'abitudine di considerare i lunghi secoli del " medioevo ", come secoli di ristagno intellettuale. Il presente capitolo ci mostrerà come non siano tuttavia mancate le eresie: eresie individuali o eresie collettive. E tutte hanno rivestito caratteri comuni. Esse furono non soltanto manifestazioni dello straordinario fermento intellettuale e sociale che ha segnato quel periodo, ma anche proteste incessantemente rinnovate contro il regime feudale e clericale del tempo. Le eresie, senza dubbio, pretendono di collocarsi unicamente e principalmente sul piano teologico o religioso. Ma in realtà esse rientrano nell'antifeudalesimo, nell'anticlericalismo, nelle aspirazioni verso la libertà dei borghesi delle città. Esistevano già allora gli stessi problemi sociali che si pongono ai nostri giorni, ma si traducevano nel linguaggio del tempo, che era il linguaggio teologico. L'emancipazione comunale, in specie, fu in stretta relazione con le eresie medioevali. I conflitti sociali fornirono in ogni caso alle eresie un " ambiente " favorevole per il loro sviluppo. E questo è un fatto che non si deve mai perdere di vista.
mmmx.
00venerdì 9 ottobre 2009 17:47
ERESIE INDIVIDUALI
Tra le eresie medioevali, in Occidente, se ne distinguono alcune che furono soprattutto individuali, mentre altre nacquero e si costituirono in gruppi dissidenti.
Ricorderemo solo sommariamente le prime.
Nel secolo XI, un certo Berengario, già canonico di Tours, e quindi arcidiacono di Angers, fu il primo avversario, a noi noto, della presenza reale nell'eucaristia.
Secondo lui, la consacrazione del pane e del vino aveva lo scopo di santificare gli elementi, sottraendoli all'uso profano e dando loro un certo potere santificante. In sostanza, l'ostia consacrata era, secondo lui, solo pane benedetto, e solo per una pia convenzione la si poteva chiamare Corpo di Gesù Cristo.
Berengario fu immediatamente confutato da Adelmanno di Liegi, da Ugo di Langres e da Lanfranco di Bee, che erano fra i più illustri teologi del tempo. La dottrina dell'innovatore fu condannata nel concilio di Vercelli del 1051, in quello di Parigi dello stesso anno, in quel di Tours del 1054, ed in altri dieci sinodi. Egli finì per ritrattarsi, ma ricadde nell'errore, si ritrattò nuovamente e morì nel 1088, dopo una sincera conversione.
Al contrario di Berengario, che fu una specie di razionalista, altri eretici del medioevo caddero in falsi misticismi. Cosi, ad esempio, Amalrico di Bena, verso la fine del secolo XII. Egli parve ispirarsi alle opere del filosofo Scoto Eringena, un platonico abbastanza arrischiato, ma di grande ingegno. Amalrico ricavò dalla sua dottrina una specie di panteismo. Secondo lui, Dio e l'essenza intima di tutto ciò che esiste. I suoi discepoli giunsero alla conclusione che " tutto è divino ", che " tutto è buono ", che non vi è più differenza tra il bene e il male. Gli amalriciani giungevano a considerarsi come gli strumenti dello Spirito Santo, preconizzavano il libero amore, si irritavano delle condanne della Chiesa e finivano per trattare il papa come Anticristo. Gli errori di Amalrico furono condannati poco dopo la sua morte, avvenuta fra il 1205 e il 1207, da un sinodo di Parigi del 1210, che ordinò di dissotterrare il suo corpo perché indegno di riposare in terreno consacrato. Il concilio lateranense del 1215 condannò nuovamente la dottrina amalriciana, dichiarandola " più assurda che eretica ". Idee abbastanza simili si ritrovano comunque per tutto il medioevo, specialmente nei beguardi e nei fraticelli. Ma questi ultimi hanno potuto ispirarsi ancor di più ad un personaggio misterioso come Gioacchino da Fiore, di cui si è potuto supporre l'influsso sulla maggior parte dei gruppi sedicenti mistici dell'Italia e di altri paesi cristiani.
Questo Gioacchino, di origine italiana, morì mentre era abate dell'abbazia di Fiore, in Calabria, il 20 marzo 1202. La sua dottrina, strana quanto la sua persona, si riassume nei seguenti punti: 1. come vi sono tre persone in Dio, così vi sono tre ere del mondo: l'era della Legge, l'era di Cristo e l'era dello Spirito Santo; 2. l'era del Padre o della Legge fu quella dell'Antico Testamento, era di servitù e di timore, epoca della gente sposata e dei laici; 3. l'era di Cristo è quella del Nuovo Testamento, era mista di gente sposata e di chierici non sposati, ma che vivono nel mondo; 4. la Pienezza dei tempi che deve cominciare intorno al 1260, sarà l'era dei monaci, l'era dell'avvento dello Spirito Santo, l'era della Libertà, nella quale dominerà il Vangelo eterno. Questo Vangelo non sarà scritto, ma sarà una interpretazione tutta spirituale dell'Antico e del Nuovo Testamento.
Queste idee non impedivano a Gioacchino da Fiore, dolce sognatore, di rimanere un fedele figlio della Chiesa. Solo dopo la sua morte alcuni francescani esaltati, alla testa dei quali si è soliti porre il famoso Gerardo da Borgo san Donnino, riprenderanno i suoi scritti, ne faranno l'espressione del Vangelo eterno e si crederanno chiamati a riformare la Chiesa da cima a fondo. Pretenderanno di imporre a tutti la povertà apostolica cosi bene imitata dal loro maestro Francesco d'Assisi. Ma, cadendo nella ribellione, e rifiutando di sottomettersi all'autorità della Chiesa, saranno infine condannati come eretici durante il secolo XIV.
Tutto ciò non era altro che falso misticismo.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:49.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com