Genesi 1-4: creazione, peccato e redenzione.

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pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:06

Genesi 1-4: creazione, peccato e redenzione. Meditazioni della prof.ssa Bruna Costacurta

Il testo che mettiamo a disposizione on-line è una sbobinatura delle meditazioni che la prof.ssa Bruna Costacurta ha tenuto nei giorni 13-15 ottobre 2006, presso il monastero di santa Scolastica delle benedettine di Civitella San Paolo. Non è stato da lei rivisto e mantiene le caratteristiche del linguaggio parlato, proprio degli incontri di quei giorni. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di rendere più facile la lettura on-line.

http://www.gliscritti.it/approf/2007/conferenze/costacurta01.htm




Il Centro culturale Gli scritti (25.01.2007)


Indice

  • Una introduzione
  • Genesi 1
  • Genesi 2
  • Genesi 3
  • Genesi 4
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:07

Una introduzione

Durante questi giorni noi leggeremo i primi capitoli della Bibbia. Siamo davanti a dei testi che sono diversi da qualunque altro testo scritto, siamo davanti alle Scritture Sante. La Bibbia è Parola di Dio in parole degli uomini. La Parola di Dio, che è una parola eterna, assoluta, non relativizzabile, unica, immutabile, si fa parole umane. Che non sono eterne affatto, che non sono uniche perché ne esistono molteplici, che sono condizionate. Dunque nella Scrittura c’è come una sorta di incarnazione della Parola di Dio nelle parole umane. Utilizzo il termine incarnazione ovviamente in senso analogico, non parlo di incarnazione in senso tecnico, però avviene qui qualcosa di analogo a quello che è avvenuto con l’incarnazione.
Peraltro, questo l’ha detto in modo molto esplicito la Dei Verbum, il documento conciliare, che dice:
Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini (DV13).
Quindi vedete, il rapporto è evidente. C’è questo farsi carne, se volete, farsi parole umane della Parola analogamente a come il Verbo si è fatto carne facendosi simile agli uomini. Se è così voi capite che queste due dimensioni, Parola di Dio e parole di uomini, non si possono più staccare, sono ormai assolutamente inscindibili in questo testo. Possiamo continuare l’analogia: nel Signore Gesù è Dio e l’uomo, e non si può separare una realtà dall’altra, nel senso che c’è una vera fusione per cui, come si dice nella teologia, la persona è una. Le nature sono due, ma la persona è una.

pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:07
C’è qualcosa di analogo nel nostro testo. Noi abbiamo un testo che è uno, dove
però le parole sono contemporaneamente di Dio e degli uomini. Il compito di chi
vuole capire questi testi, di chi vuole leggerli, di chi vuole pregarli, è
tenere insieme queste due realtà, obbedendo alle due dimensioni, dunque in una
prospettiva di fede che è assolutamente irrinunciabile. Non si può leggere il
testo biblico, in quanto biblico, senza questa prospettiva di fede. Sempre la
Dei Verbum esplicitò a suo tempo, quarant’anni fa, qualcosa di assolutamente
importante, che ha rappresentato una svolta anche nella ricerca e nello studio
dei testi biblici: il prendere sul serio la nozione dei generi
letterari
.

Se ne è molto discusso prima del Concilio e poi la DV dice
esplicitamente che bisogna tenere conto, leggendo la Bibbia, anche dei generi
letterari. Questo adesso a noi sembra ovvio, a quei tempi non lo era. E’ chiaro
che se io leggo un salmo, che è una preghiera in forma poetica, dunque una
poesia ed una preghiera, istintivamente avrò un atteggiamento, un modo di
leggerlo e di capirlo, diverso da quello che avrò nel leggere una pagina del
Libro dei Re dove si racconta la storia di un re di Israele. Perché nel Libro
dei Re si vuole raccontare una storia, mentre nel salmo non si vuole raccontare
una storia, si vuole pregare in forma poetica
. Un conto è leggere una
lettera di S.Paolo, un conto leggere i primi capitoli del Libro della Genesi,
inevitabilmente.

Questo, che è così ovvio, andrebbe, in modo altrettanto
ovvio, applicato alla Scrittura nella sua globalità. Nel senso che dentro la
Scrittura ci sono tanti generi letterari, ma la Scrittura Santa è, se non un
particolare genere letterario, perché quella di genere letterario è una nozione
tecnica, un particolare genere di letteratura
. Che è appunto questa cosa
unica e particolare in cui abbiamo insieme la Parola di Dio e le parole degli
uomini. Questo fa di questo libro un libro che è un genere a sé.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:08
Allora, come noi rispettiamo i generi letterari, per cui un conto è leggere un
Salmo, un conto è leggere il Libro dei Re, allo stesso modo, un conto è
leggere la Bibbia, un conto leggere Omero
. Un conto è leggere il testo
biblico, un conto leggere un testo di letteratura, per quanto bello esso sia.
Questo di solito è qualche cosa di ovvio che addirittura noi facciamo, quando
siamo davanti ad un testo, in modo istintivo. Faccio sempre un esempio per farmi
capire. Se io qui comincio a dire: “C’era una volta una bambina che aveva
un bel vestitino con un cappuccio rosso, e la mamma le disse – vai a trovare la
nonna nel bosco!”. Voi mi sentite raccontare o leggete una cosa del genere e
capite immediatamente che è una favola (c’era una volta…), in particolare la
favola di Cappuccetto rosso e quindi immediatamente vi mettete nella condizione
di spirito e nell’atteggiamento conoscitivo di chi è davanti ad una favola, da
cui ci si aspetta un insegnamento, una morale, non altre cose.

Diverso
è se voi invece aprite un testo di anatomia, di fisiologia
. E’ chiaro che si
tratta di un’altra cosa, non ti devono dire una morale, ti devono dire come è
fatto lo stomaco di un cavallo. Istintivamente si assume un altro atteggiamento.
Se io racconto la storia di Cappuccetto Rosso e qualcuno di voi alza la mano,
dopo aver riflettuto, dopo aver molto pensato, e mi dice: “Devo fare una
domanda; quando arriva il cacciatore, apre la pancia del lupo e Cappuccetto
Rosso esce viva. Ma allora i lupi nello stomaco non hanno i succhi gastrici come
gli altri animali, quindi le vittime non vengono decomposte? Hanno un sistema
gastro-intestinale diverso?” Uno sente una domanda del genere e dice: forse
pensare fa male, ci si ammala a pensare troppo! Vai al mare, fai un bagno e
dimentichiamo tutto. Perché è chiaro che non c’entra niente.

Se però io,
invece, vi faccio una lezione di anatomia e vi spiego come sono fatti i canidi e
quindi vi racconto come è fatto l’apparato gastrico di un cane, è chiaro che voi
capite subito che io non ho nessuna morale da insegnare e a nessuno di voi viene
in mente di alzare la mano e chiedere: “Allora forse nei tempi antichi i lupi
avevano uno stomaco diverso, perché Cappuccetto Rosso esce viva! Forse durante
la glaciazione si sono gelati anche i succhi gastrici dei lupi?”. Capite che non
funziona?
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:08
E’ come quando uno racconta una barzelletta. Se gli altri non capiscono che sta
raccontando una barzelletta e lo prendono sul serio, quello si spara! Insomma,
bisogna rispettare i generi letterari. Questo vuol dire che quando noi siamo
davanti alla Bibbia dobbiamo rispettare questo suo genere di letteratura
assolutamente particolare e non possiamo né assumere questo testo solo come
libro di letteratura e studiarlo come studieremmo Omero, né possiamo leggerlo
come se fosse solo Parola di Dio per cui tutto quello che c’è scritto è
assolutamente vero, è successo tutto proprio come è scritto
. Dio disse: “Sia
la luce”, ed era di domenica quando è successo. No! Né l’una né l’altra, ma
tutte e due insieme. Questo è il punto.

Vuol dire che bisogna avere la
pazienza di studiare questo testo come un’opera di letteratura. Dunque avere la
pazienza di imparare la lingua o almeno di capire come funziona, stare attenti
alle particolarità del testo - ci sono problemi di lessico, di sintassi,
problemi testuali, particolarità stilistiche, tecniche di composizione
particolari, che bisogna studiare e delle quali tenere conto. Bisogna sapere che
questi testi, siccome sono testi di letteratura, nascono in determinati contesti
storici e culturali e dunque sono condizionati da quei momenti storici e da quei
contesti culturali. E dobbiamo sapere che sono contesti storici e culturali
diversi dai nostri, e quindi non è vero che i nostri concetti corrispondono
sempre a quelli.

Quando la Bibbia parla di giustizia non parla della
giustizia come la intendiamo noi. Bisogna avere la pazienza e il coraggio di
capire come ne parla la Scrittura e quindi di cambiare il nostro modo di
pensare. Sono inoltre testi che hanno subito un travaglio di formazione molto
complicato e molto lungo, non sono stati scritti di getto. Hanno avuto prima una
tradizione orale, poi sono stati messi per iscritto in modi diversi, poi sono
stati raccolti, poi li hanno risistemati, hanno fatto delle aggiunte e bisogna
tenere conto di tutto questo. Solo che questo non basta e fare solo questo
vorrebbe dire trattare la Bibbia alla stregua di uno che leggendo Cappuccetto
Rosso si pone il problema dei succhi gastrici. No! Perché questa mentre è parola
di uomo è anche Parola di Dio.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:09
E se è Parola di Dio vuol dire che questo è un libro che è nato dalla fede, che
è stato scritto nella fede e che è stato donato e tramandato per la fede del
popolo di Dio. Quindi non si può leggere la Bibbia in quanto Bibbia se non in
una prospettiva di fede
. Allora bisogna tenere conto della lingua, dei vari
strati, delle formazioni compositive, ma per arrivare al messaggio religioso,
alla comprensione spirituale, per lasciarsi istruire nella fede e dunque farsi
domande che non siano sui succhi gastrici, ma che tocchino direttamente la
dimensione della fede e quindi la nostra personale vita di fede. Solo così noi
leggiamo la Bibbia come Bibbia, altrimenti la leggiamo come un’altra cosa.
Romano Guardini ha espresso così il principio epistemologico della
conoscenza: nessun oggetto di ricerca può essere ben compreso se non da un
modo di conoscere adeguato al suo oggetto.


Quindi nessun oggetto
può essere capito se non si usa un percorso di comprensione o un modo di
conoscere che non sia adeguato all’oggetto che si vuole capire. Se si usa un
modo inadeguato all’oggetto non si capisce. Se questo oggetto non è solo parole
di uomini e non è solo Parola di Dio, ma è Parola di Dio in parole di uomini,
noi dobbiamo conoscerlo in un modo che sia adeguato a ciò che questo nostro
oggetto di conoscenza è. Dunque indagare la dimensione storico-letteraria,
studiare le particolarità lessicali, le ambientazioni culturali, ma sempre e
inevitabilmente all’interno di un orizzonte di fede, un orizzonte credente e
necessariamente in un atteggiamento orante
. Da qui la necessità del
silenzio, di un tempo di riflessione e di preghiera. Perché l’esegesi biblica,
per essere davvero tale, deve essere accompagnata nella fede dalla preghiera e
dall’obbedienza a questa parola che si studia. Dal desiderio orante di capire,
ma di capire perché si è consapevoli che lì c’è in gioco il senso della nostra
vita. E questo è vero per chi prende in mano la Bibbia per pregarla, ma è vero
anche per chi prende in mano la Bibbia per studiarla. E se la studia senza
pregarla, sta studiando un’altra cosa.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:09
Parecchi anni fa venne presentato un documento della Pontificia Commissione
Biblica, proprio sul modo di interpretare la Bibbia. E quando venne presentato
questo documento il Papa fece un discorso molto bello. Disse tra
l'altro:

E’ necessario che lo stesso esegeta percepisca nei testi la
parola divina e questo non gli è possibile se non nel caso in cui il suo lavoro
intellettuale viene sostenuto da uno slancio di vita spirituale. In mancanza di
questo sostegno la ricerca esegetica resta incompleta. Essa perde di vista la
sua finalità principale e si confina in compiti
secondari.


Giovanni Paolo II qui non parla del credente che prende
in mano la Bibbia in un giorno di ritiro, ma dell’esegeta
. E’ una frase
fortissima, ma è indubbiamente vera. Se serve un atto tecnico dell’analisi del
testo, e serve perché se no non si capisce cosa il testo sta dicendo, questo
atto tecnico però bisogna che in qualche modo cambi e assuma uno statuto diverso
da quello che solitamente determina lo studio di altre realtà testuali.
L’investigazione linguistica, storica, letteraria, tutto il lavorio
dell’investigazione scientifica, che bisogna fare, e di cui io qui cercherò di
dare i risultati, che è necessaria perché altrimenti non si capisce cosa c’è
scritto nel testo, deve necessariamente aprirsi a delle valenze che la
trascendono. Deve essere sostenuta da un atteggiamento di fede e di fede
obbediente, deve diventare ricerca appassionata di Dio.
Questo è quello che
io spero possa succedere in questi giorni ed è l’ambito nel quale io mi muovo
per leggere questi testi.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:10
La Bibbia deve essere letta in una prospettiva esplicitamente di fede. Perché si
può anche aprire la Bibbia dicendo: “Io la studio. Poi dopo farò anche le mie
cose spirituali, ma ora voglio studiare la Bibbia dal punto di vista
scientifico, e la fede non c’entra niente, perché la fede, per sua natura, non è
scientifica”. Un discorso di questo tipo è assolutamente non scientifico. Perché
cosa è scientifico? Studiare un testo rispettando ciò che è. E’ scientifico
studiare Cappuccetto Rosso in modo diverso da come studio scientificamente un
trattato di fisiologia dell’apparato digerente. Leggere o studiare la Bibbia
mettendo da parte la fede, almeno momentaneamente, senza implicare
esplicitamente la fede, questo non è scientifico
. Perché se manca la fede tu
non stai rispettando l’oggetto che studi e quindi non sei scientifico. Sembra un
paradosso perché uno pensa che non sia scientifico nominare Dio, ma è proprio il
contrario.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:11

Genesi 1

Genesi è un testo molto ricco dal punto di vista spirituale, teologico, antropologico, quindi non ci sarà il tempo per commentarlo versetto per versetto, ma vi darò alcune indicazioni che poi possono servire per la riflessione personale. Va subito chiarito quello che tutti sappiamo: ci troviamo, all’inizio della Bibbia, con due racconti di Creazione. Gen 1 con il racconto dei sette giorni, e Gen 2 con il giardino e l’uomo fatto dalla terra. Sono due racconti molto diversi. Il primo ha un andamento innico, molto solenne. Il secondo è più fabulistico, più condizionato anche da elementi mitologici che si ritrovano pure nelle culture circonvicine ad Israele, per esempio in Mesopotamia.
Si potrebbe persino dire che sono due generi diversi. Gen 1 è piuttosto un racconto di creazione, mentre Gen 2 è un racconto di origine, perché è lì che si dà particolare rilievo alla creazione dell’uomo. Sta di fatto però che sia Gen 1 che Gen 2 raccontano, dicono, proclamano Dio come Creatore e dicono che tutto ciò che esiste è stato creato da Dio e che l’uomo, creatura ultima, definitiva, culmine di tutta la Creazione, è creato da Dio e posto in una relazione di dominio nei confronti del mondo. Vedremo che questo è il senso fondamentale che si ripete nei due racconti. In modo diverso i due testi dicono la stessa cosa: Dio è Creatore, il mondo è creato da Dio, il mondo creato da Dio è buono. L’uomo è creato da Dio, deve dominare la terra e anche l’uomo è buono.
E’ significativo che gli autori, per dire questo, lo dicano due volte. E’significativo perché se loro, per dire la stessa realtà di Creazione, (insistendo soprattutto sulla dipendenza da Dio, perché è Lui il Signore e Creatore) la raccontano due volte, secondo due modalità completamente diverse, è evidentissimo che non intendevano dire che il modo con cui loro raccontano la Creazione è il modo con cui di fatto essa è avvenuta. Se loro avessero voluto intendere che uno, leggendo Gen 1, deve pensare che la Creazione è proprio avvenuta così, in sette giorni, non avrebbero messo subito dopo Gen 2, in cui invece si racconta che i sette giorni non c’entrano niente. E’ chiaro dunque che ci vogliono dire che non è la modalità della Creazione che a loro interessa, e non è quella da prendere come il modo con cui veramente è avvenuta. A loro non interessa nulla di dire il modo in cui è avvenuto, tanto è vero che raccontano due modi diversi.

pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:11
Quello che interessa all’autore sacro, non è ricostruire i fatti della
Creazione, non è fare una cronaca della Creazione, nel suo svolgersi temporale,
ma indicare qual è il senso del Creato e dell’uomo e il senso quindi
dell’essere dell’uomo in relazione con Dio che è il Creatore
. Quindi noi
leggiamo questi testi per andare a cercare il senso del mondo e dell’uomo in
relazione con Dio. In Gen 1 a questo proposito è interessante vedere che
modalità concettuali vengono utilizzate per parlare di Dio come Creatore e del
mondo come Creato.

Una prima modalità concettuale che utilizza il
testo sacro è in riferimento al fatto che Dio come Creatore è qualcuno che
fa, agisce, opera
. Si dice che Dio fa il firmamento, che
fa le due luci grandi, che fa le bestie selvatiche, che fa
l’uomo, ecc. Si continua a dire che Dio fa. Si dice che Dio crea
(un altro modo di agire). Crea il cielo e la terra, crea i mostri
marini ecc. Si dice che Dio pone. Pone gli astri in cielo. Dio
l’erba come cibo agli uomini e agli animali. Gen 1 presenta il creare
di Dio come un fare da parte di Dio. Ora questi testi, siccome non ci
vogliono dire come davvero è successo, ci vogliono piuttosto indicare il senso;
questo è significativo.

Tutta la Rivelazione biblica e l’esperienza che
l’uomo fa all’interno del proprio esistere ci mostrano una fondamentale
tendenza degli uomini a fare, con il rischio continuo di pensare di
essere loro, coloro che veramente fanno. Dunque Gen 1 che insiste così tanto sul
fare di Dio ha una forte intenzionalità anti-idolatrica, perché mette in guardia
invece da quel fare dell’uomo che diventa idolatrico, perché uno crede di essere
lui a fare, a costruire la propria esistenza, le sue cose ecc
.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:11
Mette in guardia da questa tentazione idolatrica del fare, che non è solo
quella di pensare di essere io che faccio, ma che addirittura si esplicita nel
farsi poi gli idoli
. E quindi nell’essere noi uomini che facciamo il nostro
Dio, costruendo l’idolo, o facciamo, di noi stessi, Dio. E questo fare l’idolo -
che attraversa tutta la Scrittura - è il problema fondamentale dell’uomo che
continuamente si fa degli idoli. E non dobbiamo necessariamente pensare agli
idoli intagliati nel legno o nella pietra, alle statuine, ma a certe concezioni
del vivere, a certe dimensioni del vivere: il successo, la salute, la bellezza
fisica, i soldi. Ma ancor più quel costruirci mentalmente il nostro Dio fatto
a nostra immagine e somiglianza, per cui noi non solo facciamo del denaro o del
successo un idolo, ma ci costruiamo una nostra immagine di Dio e in questo modo
trasformiamo Dio in idolo
.

Perché quello non è più il Dio che crea
l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma il Dio che l’uomo crea a propria
immagine e somiglianza e dentro questa immagine cerca di ficcarci a forza Dio.
Ma quello che può essere racchiuso dentro dei limiti, dei concetti, delle
immagini, ovviamente non è più Dio, ma l’idolo. Gen 1 comincia subito a spazzare
via questo e a dire: attenti, il vero fare è quello di Dio. E quando l’uomo,
invece di fare in obbedienza a Dio e riconoscendo che chi davvero fa è Dio, si
mette a fare lui, allora guardate che quello che succede è l’idolatria, il
totale non senso
.

Sapete che esistono nella Bibbia due stesure, due
tradizioni che raccontano del decalogo, una in Es 20, l’altra in Dt 5. Sono due
testi assolutamente uguali, con delle piccole differenze. Una differenza è la
motivazione del comando del sabato:

Osserverai il sabato e quindi nel
giorno di sabato non farai nessun lavoro, né te, né tuo figlio, né tua figlia,
neppure il tuo schiavo e neppure i tuoi animali”.


pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:12
Dt 5 dà questa motivazione: perché così tu ti ricordi che sei stato schiavo in
Egitto. Dt dice che il sabato serve a fare memoria della liberazione dalla
schiavitù che Dio ha operato nella tua vita. Tu, che sei stato liberato, devi
diventare il liberatore
. Tu, che sei stato liberato dalla schiavitù, nel
giorno di sabato devi porre questo gesto simbolico fondamentale che è quello di
liberare il tuo schiavo non facendolo lavorare il giorno di sabato. Pensate alle
conseguenze se venisse applicato seriamente non semplicemente al sabato, ma come
struttura di vita e di rapporti con gli altri.


In Es 20 invece la
motivazione è: perché per sei giorni Dio ha creato e il settimo giorno si è
riposato. Dunque si fa riferimento proprio a Gen 1
. Questo è particolarmente
significativo a proposito della concezione del fare come prospettiva
anti-idolatrica, perché connesso con il comando del sabato ci si dice: guarda
che quello che davvero fa è Dio. Però tu anche sei chiamato a fare, quindi tu
per sei giorni devi lavorare, ma il settimo giorno devi, attraverso quel
non-fare, proclamare e testimoniare che l’unico che davvero fa è Dio, e non solo
nel giorno di sabato quando tu non fai, ma anche negli altri giorni in cui tu
fai
. Ma il tuo fare, il tuo lavorare, il tuo creare (perché noi di fatto,
interagendo con il mondo creiamo cose nuove, trasformiamo un albero in un
tavolo) è un collaborare alla creazione di Dio, in obbedienza a Dio, in
dipendenza da Dio, e nell’assoluta consapevolezza che chi davvero crea è Lui.
Noi possiamo creare nella misura in cui creiamo insieme a Lui, e dunque
secondo i suoi criteri, secondo il suo modo di pensare, in obbedienza a Lui.
Abbiamo allora questo primo elemento; quando Dio crea, fa.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:13
Seconda modalità concettuale che viene utilizzata per dire che Dio è il
Creatore: si dice che quando crea il mondo Dio separa le cose.
Separa la luce dalle tenebre. Separa le acque che sono sopra il
firmamento dalle acque che sono sotto il firmamento. Fa emergere la terra
dal mare (quindi li separa). Poi si dice che ogni specie vegetale fa il seme
secondo la sua specie. Quindi è tutto distinto, tutto separato. Anche gli
animali generano ognuno secondo la sua specie. In altre parole si dice
che la creazione è l’uscita dalla confusione, che infatti è il caos
primordiale
, quell’acqua su cui c’è il grande vento, o, se volete, lo
Spirito che aleggia. Il caos, ciò che è informe, l’acqua in cui tutto è
mescolato, la confusione.

La creazione, dice Gen 1 è uscita dalla
confusione. Perché Dio distingue e separa
. Se questo è ovvio, ha però delle
conseguenze serie a livello antropologico. E’ ovvio perché, per esempio, un
foglio di carta per esistere deve essere distinto da un altro foglio. Non dico
solo che un orologio deve essere distinto da un tavolo, ma che due orologi
identici, per esistere, devono essere diversi, separati, perché sennò non ce ne
sono due, ma uno solo. Un foglio di carta deve essere distinto da un altro,
perché altrimenti uno dei due non c’è più. Questo è talmente ovvio che noi ce lo
dimentichiamo, ma è assolutamente determinante dal punto di vista
antropologico, perché vuol dire, e Gen 1 ci aiuta in questo, che l’uomo deve
prendere coscienza che per esistere, deve accettare di essere diverso dagli
altri e perciò deve accettare che gli altri siano diversi da
.

Perché se io non accetto la diversità dell’altro, io non esisto
più, perché sono l’altro o l’altro è me. Ma perché io e l’altro possiamo
esistere, e si possa entrare in dialogo e in comunione, bisogna necessariamente
che siamo separati, diversi, e che questa diversità venga accettata e
riconosciuta. Altrimenti è annullamento, plagio, non esistenza
. Questo è
vero nei confronti degli altri uomini con tutto ciò che questo comporta di
accettazione della diversità, del non voler a tutti i costi che l’altro sia come
vuoi tu e come decidi tu. Vuol dire nei rapporti di tipo genitoriale, sia
secondo la carne che secondo lo spirito, accettare che tuo figlio sia diverso e
quindi non pretendere che diventi ciò che tu avresti voluto essere, l’immagine
che tu hai di te o che a tutti i costi vuoi avere di lui, perché lui è lui e tu
sei tu.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:13
Vuol dire dunque capire che non c’è comunione possibile se non c’è anche
assunzione di una qualche dimensione di solitudine. Perché dire che siamo
diversi vuole anche dire che in qualche modo siamo soli
. E che io solo posso
fare certe esperienze. Se io mi ammalo, solo io sto male e quando muoio posso
morire solo io. Se sono contenta sono io ad essere contenta. Certe cose si
possono condividere, altre no, ma puoi condividere nella misura in cui sei
soggetto e quindi in cui accetti anche una certa dimensione di solitudine. Che è
ciò che permette la comunione. Perché se io non accetto di essere io e quindi
non accetto anche la mia identità e la mia solitudine, non posso essere in
comunione.

Ma questo, che è vero nelle relazioni con gli uomini, è
ancora più vero nella relazione con Dio
. Gen 1, facendo il discorso della
separazione, ci dice: attenti, non solo dovete accettare di essere diversi, ma
dovete accogliere questa fondamentale, assoluta diversità fra voi e Dio. Bisogna
che l’uomo accetti di essere diverso da Dio, di non essere Dio e che Dio è
diverso dall’uomo e che quindi non è come tu vorresti che fosse. E c’è qui tutto
il cammino della conversione che è un cammino immenso. E tutte le volte che
noi usciamo da questa distinzione, tutte le volte che noi non accettiamo la
nostra diversità e soprattutto la diversità di Dio, la Creazione ripiomba nella
confusione, nel caos
.

E questo è assolutamente tipico del racconto di
Genesi per il fatto che qui, in Gen 1, si dice che Dio separa, separa le acque
di sopra da quelle di sotto. E quando invece il peccato - che è
confusione
, che è non accettare la diversità di Dio, l’obbedienza a Dio, la
dipendenza, che è il voler fare come ti pare, il diventare tu Dio - raggiunge
il culmine, che cosa succede? Le acque di sopra non rimangono più separate dalle
acque di sotto: è il diluvio, il caos, la de-creazione
. Il peccato fa
ripiombare il mondo nel caos distruggendo la Creazione. Solo che Dio è più
grande anche di questo e su quelle acque che ormai sono confuse, su quel grande
caos che è il diluvio fa galleggiare l’arca di Noè. La vita continua, la fedeltà
di Dio continua. Dio perdona.

pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:14
Terza modalità concettuale importante che troviamo in Gen 1: il creare
di Dio è fatto attraverso la parola. Non solo fare, non solo
separare, ma anche parlare. Dio dice e le cose sono
. “E
Dio disse: Sia la luce! E la luce fu”. Per dieci volte in Gen 1 si
dice: E Dio disse. E dieci è un numero significativo. Perché se queste
sono le dieci parole della Creazione, immediatamente a chi legge vengono in
mente le dieci parole del Decalogo
. E il rapporto c’è. Perché come è
attraverso le dieci parole di Dio che il mondo esiste, così è attraverso
l’obbedienza alle dieci parole del decalogo che l’uomo può davvero esistere come
uomo.

Dio dice e le cose sono, poi Dio le chiama - altro parlare!
E voi sapete che dare il nome alle cose è segno di potere, di signoria,
di dominio sulle cose. Perché il nome, nella mentalità biblica, non è
semplicemente un modo convenzionale con cui si indica una realtà, ma rivela il
senso profondo di quella realtà. Per cui chiamare qualche cosa vuol dire che tu
conosci il segreto di quella cosa
, lo possiedi e dunque nel momento in cui
tu dici come si chiama tu stai esercitando il tuo potere, perché tu sai come è e
sei tu che gli dici come è.

Per Dio questo è ancora più vero, perché
il suo parlare fa, perché il suo è un parlare efficace
. Non si tratta solo
di nominare, di dire: “Questo è un bicchiere”. Nel momento in cui io dico:
“questo è un bicchiere”, riconosco che questo è un bicchiere, ma se lo dice Dio,
egli crea questo bicchiere dicendo come si chiama.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:14
Dio dice, Dio chiama le cose e dà il nome. E Dio benedice. Ecco
la grande parola definitiva della creazione di Dio, la benedizione, che compare
solo negli ultimi tre giorni della creazione, cioè solo quando compare la
vita
. Compaiono i pesci, gli uccelli, gli animali e l’uomo. Quando comincia
la vita lì allora c’è anche la benedizione. L’idea che loro avevano era che i
vegetali non fossero vivi. Il vivente è per definizione uno che respira e che si
muove. La vita comincia con gli animali e dunque è con l’inizio del quinto
giorno che comincia anche la benedizione.

Ed è una benedizione che
dice che la vita in quanto vita e in quanto vita benedetta è vita straripante,
vita che si espande, che si moltiplica: “Crescete e moltiplicatevi”.
Anche
questa dimensione del creare, secondo Gen 1, è assolutamente determinante per la
vita dell’uomo e del credente in particolare, se voi pensate che tutto il nostro
rapporto con Dio passa attraverso la mediazione del rapporto con la parola. Con
la parola di Dio e poi con quell’ultimo definitivo mediatore che è addirittura
il Figlio stesso di Dio, il Logos che si fa uomo.

Tutto questo, dice Gen
1, avviene in sette giorni. Per sei giorni Dio crea e il settimo giorno smette
di creare e si riposa. Questo anche è significativo perché sottolinea la
dimensione di assoluta libertà e di assoluta gratuità da parte di Dio nell’opera
di creazione. In altre parole Dio non è necessitato a creare, perché infatti
comincia e poi smette. Smette quando l’opera è compiuta, però smette
. Il che
vuol dire che Dio non deve necessariamente creare, per cui potrebbe continuare a
creare indefinitamente perché è costretto a farlo. Lui liberamente e
gratuitamente decide di creare e smette quando la sua opera è giunta a
compimento.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:15
E nel momento in cui smette, ecco il sabato, c’è quel riposo di Dio che è il
godimento davanti a tutto ciò che ha fatto
. Alla fine di ogni giorno di
creazione il testo biblico dice: Dio vide che - di solito noi traduciamo così -
era “cosa buona”. In ebraico dice: ki tob. Tob vuol dire “buono”, ma anche
“bello”. Ed è questa l’idea: “E vide che (era) buono e bello, ciò che aveva
fatto”.
C’è proprio il godimento, il compiacersi di Dio per ciò che ha
fatto.

Ma alla fine di tutto il testo biblico cambia la formula e invece
di dire solo che era buono e bello, dice che era molto buono e
bello
. E questo è il senso del sabato. L’esplosione della bellezza e
della bontà della creazione di Dio
, di cui Dio stesso gode, e di cui Dio fa
dono all’uomo perché anche l’uomo ne goda entrando anche lui nel sabato.
Allora l’uomo è l’ultima opera di creazione, fatto nel sesto giorno, ma per
poter entrare nel settimo, per poter entrare in quella dimensione di godimento
del creato che è molto buono
. A questo serve l’osservanza del sabato, per
poter celebrare questo Dio della creazione come Dio buono che fa le cose buone,
delle quali si può godere senza paura perché: “Tutto è vostro! Ma voi siete di
Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 3,22-23).

In questo senso, se si accetta
il creato dalle mani di Dio, riconoscendo Dio come Creatore, quindi facendo il
sabato, allora davvero tutto è nostro. Perché il mondo che il sabato celebra è
il mondo bello e buono del Dio bello e buono.

All’interno però di questa
scansione settenaria, di questa settimana di Creazione, voi avrete notato che
c’è una apparente anomalia
. Perché si dice che il primo giorno Dio disse:
“Sia la luce! E la luce fu, e vide che la luce era cosa buona e separò la luce
dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu
mattina. Primo giorno”. Dopo, però, è solo al quarto giorno che Dio disse: “Ci
siano luci nel firmamento del cielo per distinguere il giorno dalla notte e fece
le due luci grandi, il sole e la luna e poi anche le stelle e le pose nel
firmamento”.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:15
Uno allora può pensare: “Non mi tornano i conti, perché se ha creato la luce il
primo giorno, deve necessariamente aver creato il sole e la luna il primo
giorno, perché sennò come fa ad esserci la luce? E allora che succede al quarto
giorno?” - fermo restando che gli autori sacri qui non vogliono ricostruire
quello che è cronologicamente avvenuto
, quindi l’incongruenza a loro non
interessa, perché non sono minimamente interessati ad una congruenza temporale,
ma ad indicare il senso, quando mettono il sole e la luna a metà
settimana.

Perché il quarto giorno è il mercoledì, partendo dalla
domenica. Il giorno degli astri è a metà della settimana. Se lo mettono lì è
perché vogliono indicare qualche cosa degli astri, che è diverso dal semplice
illuminare il giorno come fa il sole così che ci siano il giorno e la notte.
In altre parole, quando Dio il primo giorno crea la luce, crea il tempo
cosmico, questo tempo indefinito e indistinto che è un semplice alternarsi di
giorno e notte e basta. Non c’è alcuna possibilità di stabilire delle cesure, di
mettere delle differenze
. Tra l’altro guardate che anche Israele capiva che
la luce veniva dal sole e di giorno c’era la luce per questo. Ma non c’erano i
fanali e di notte c’era comunque tanta luce. La luna e le stelle fanno luce.
Senza luce elettrica, in una notte di luna piena tu puoi leggere un libro,
perché la luce c’è
.

Quindi quando si parla di luce e tenebre non
necessariamente ci si riferisce al sole e alla luna, che vengono dopo, a metà
settimana, per indicare che hanno una funzione diversa, non semplicemente
l’alternanza cosmica indefinita, ma, come dice il testo: “Servano da segni
per le stagioni e per i giorni e gli anni”
. Il sole e la luna non sono più
il tempo cosmico indistinto, ma l’inizio e quindi la trasformazione del tempo
cosmico in tempo storico
.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:16
Con il sole e con la luna si possono contare i mesi, gli anni, si possono
distinguere le stagioni. Guardando la luna tu sai quando è il tempo di seminare
o di mietere e, soprattutto, guardando la luna tu sai quando è il momento di
celebrare le feste
. Gli astri al quarto giorno sono l’inizio del tempo umano
e di quel tempo sommamente umano che è il tempo liturgico, perché è il tempo
che mette in relazione l’uomo con Dio attraverso le feste
. E’ per questo,
credo, che è solo dopo la creazione degli astri, quindi solo dopo che il tempo è
diventato umano, che ci sono i giorni della creazione della vita e quindi poi
dell’uomo come culmine degli esseri viventi. Si comincia prima con i pesci e gli
uccelli, poi gli animali della terra e poi l’uomo.

Notate però una cosa
assolutamente paradossale: l’uomo viene creato come culmine, l’ultima creazione,
la più importante, l’ultimo evento creativo di questa sequenza di creazioni dei
viventi. Ma l’uomo nonostante questo e nonostante sia portatore di questo
assoluto mistero che è il fatto di essere fatto ad immagine e somiglianza di
Dio, non ha un giorno di creazione per sé. Viene creato il sesto giorno
insieme agli animali della terra. I pesci e gli uccelli hanno un giorno per
loro, l’uomo no.


Questo è paradossale: l’uomo, immagine di Dio,
condivide lo stesso giorno di creazione con gli animali e condivide con gli
animali lo stesso cibo, perché si dice che Dio dà da mangiare, sia all’uomo che
agli animali, l’erba verde. Quindi l’uomo è come Dio, è simile a Dio, perché
è a sua immagine, ma è come gli animali, è simile agli animali, perché è fatto
nello stesso giorno, mangia lo stesso cibo e, badate, ha la stessa benedizione
degli animali: “Crescete e moltiplicatevi”.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:16
Poi per l’uomo la benedizione cambia. Si aggiunge: “E dominerai la
terra”
. Perché l’uomo è diverso dagli animali, ma è uguale agli animali.
Questo è il paradosso che noi ci portiamo dentro e in qualche modo rende così
complicato vivere, perché noi siamo chiamati a vivere secondo questa doppia
dimensione senza mai dimenticarne una. Esseri animali e insieme esseri
divini
. Ed è estremamente complicato tenere insieme queste due cose, per cui
la tentazione continua è quella di semplificarle dicendo o: “L’uomo è animale.
Nasce e muore ed è finita là. Tutto si esaurisce in questi giorni che ci vengono
dati, cerchiamo di fare del nostro meglio, ma non ci facciamo illusioni, siamo
come gli animali. Pur capaci di gestire il mondo, di costruirci le nostre
esistenze, persino capaci di far nascere i bambini in provetta. Però anche quel
bambino che abbiamo fatto nascere in provetta muore, è un animale pure lui.”
L’altra tentazione è quella di dire: “Noi siamo come Dio”. Poi si fa prestissimo
a togliere quel come e la frase diventa: “Noi siamo Dio. Infatti noi creiamo
l’uomo, facciamo nascere la vita, creiamo le cose, possediamo la nostra vita,
siamo i signori della nostra vita. Noi siamo Dio.”

Tutte e due queste
affermazioni sono false. E’ vero che siamo animali, ma non solo animali. E’ vero
che siamo come Dio, ma non solo divini e quindi non siamo Dio
. Il nostro
compito è quello di tenere insieme questa duplice realtà, vivendo fino in fondo
la nostra vocazione divina, ma senza mai dimenticarci che siamo stati fatti
nello stesso giorno degli animali e quindi senza mai dimenticarci che non siamo
Dio, ma solo fatti ad immagine di Dio.

E che quindi anche tutto il
nostro potere
, che pure fa parte della benedizione che riceviamo: “Dominate
la terra”, è però un comando che riceviamo, è un compito, non una nostra
prerogativa che noi possiamo gestire come ci pare. E’ vero, noi siamo i signori
del mondo, ma solo se riconosciamo che il vero signore è Dio
. Eccolo il
comando del sabato. Ecco cosa vuol dire entrare nel sabato. Dove è vero che noi
dominiamo la terra, ma possiamo dominarla solo se noi capiamo che questo essere
signori della terra va vissuto ed esplicato in obbedienza a quell’unico Signore
che ci dona e ci comanda di essere signori della terra.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:17
Va in questa stessa linea il fatto che l’uomo e gli animali mangino lo stesso
cibo. Mangiare qualche cosa non è un atto neutro, ma dalla forte valenza
simbolica. Perché, quando noi mangiamo, cosa facciamo? Prendiamo qualcosa che è
al di fuori di noi, e che quindi non siamo noi, e lo facciamo diventare nostro
così che quello diventi la nostra possibilità di vita. Questo significa che
anche nel gesto semplice di mangiare un pezzo di pane noi stiamo simbolicamente
dicendo che la vita non ci appartiene, che non nasce da noi, che non siamo noi
il principio della nostra vita
.

Tanto è vero che per poter vivere noi
abbiamo continuamente bisogno di prendere la vita da qualcuno che ce la dà e di
mangiarla. Io ogni tanto ripeto ai miei studenti: “Ragazzi, se volete
contrastare il vostro delirio di onnipotenza, andatevi a fare un bel panino con
la mortadella. Perché se voi mangiate il panino, voi state dicendo che da soli
non vivete, avete bisogno di quello per vivere. Non è vero che siete
onnipotenti. Pensate, avete bisogno di un panino!”.

Tra l’altro qui siamo
nell’Antico Testamento e io sto citando il suino, un abominio. L’ebreo direbbe:
“Non è vero che quello ti fa vivere, per questo non lo mangi. Perché ciò che
ti fa vivere è sì quello che tu mangi, ma siccome quello che tu mangi è dono di
Dio e la vita ultimamente è dono di Dio e ultimamente non è il pane che ti fa
vivere, ma Dio che ti dona di vivere
. Allora per poter dire questo, tu non
mangi quello che ti pare, non mangi qualunque cosa ti capiti fra le mani. Ma
mangi solo i cibi puri, cioè mangi facendo del tuo mangiare un atto di
obbedienza
.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:17
Perché è chiaro che a Dio, posso immaginare, non gliene importi assolutamente
niente se noi mangiamo la mortadella piuttosto che una fettina di pollo. Ma
perché allora – direbbe un ebreo - noi mangiamo il pollo e non la mortadella?
Perché in questo modo noi significhiamo che il nostro mangiare è fatto in
obbedienza al Signore della vita
. E è questo il nostro modo per dire che Lui
è il Signore della vita e che ciò che ci fa vivere non è solo il pane, ma “ogni
parola che esce dalla bocca di Dio”, come dice Dt.

Ed è per questo che il
buon ebreo, e anche il buon cristiano, ogni tanto digiuna. Per poter dire che
noi viviamo sì del pane, ma che ultimamente non è quello che ci fa vivere, ma è
Dio. Noi dobbiamo mangiare per vivere, ma ogni tanto dobbiamo porre il gesto
simbolico del digiuno per dire che non è il pane solo che ci fa vivere, ma c’è
altro. Se mangiare è questo, pensate quanto è importante.

Pensate a
che cosa importante è mangiare insieme. Perché vuol dire condividere la vita.
Ecco perché l’Alleanza al Sinai finisce con un banchetto: condivisione di
vita
. Ecco perché gli scribi e i farisei si scandalizzavano così tanto del
fatto che Gesù mangiasse con le prostitute e i peccatori: condivisione di vita.
Se il mangiare ha questa valenza così importante, ecco che Gen 1 dice che nel
progetto originario di Dio, questo atto di assunzione della vita era fatto
attraverso il nutrimento vegetale. Dunque attraverso un nutrimento che non è
vita, perché i vegetali non erano considerati esseri viventi, e animali e uomini
mangiano cibo vegetale.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:18
Cosa vuol dire? Che nel progetto originario di Dio, la vita per crescere, per
esistere, per nutrirsi, non aveva bisogno di uccidere altra vita
. Il cibo
vegetale vuol dire che io posso nutrire la mia vita senza uccidere esseri
viventi, che è ciò che invece succede dopo il diluvio, quando Dio prende atto
che la violenza si è instaurata e allora dice: “Il tuo cibo saranno gli animali,
gli animali si mangeranno tra di loro, ecc.”, dicendo in questo modo che c’è
ormai questa dimensione di violenza che non c’era nel progetto originario di
Dio. Questo vuol dire che quel compito che secondo Gen 1 l’uomo riceve, di
dominare sulla terra e sugli animali, è un compito che l’uomo deve assolvere
come Dio, ad immagine di Dio, quindi secondo quell’amore per la vita, quel
rispetto per la vita, quella mitezza che è tipica di Dio.

Quindi dominare
sul mondo, sugli animali e sulla vita da parte dell’uomo, deve essere fatto
nell’assoluto, totale rispetto della vita e fatto in modo tale che la vita possa
crescere ed espandersi in piena libertà, senza essere violentata dalla pretesa
onnipotente e quindi assolutamente folle dell’uomo. Non dimentichiamo che Gen
1 nasce in ambiente di morte, perché nasce quando Israele è in esilio
,
quando è stato deportato e vive questa esperienza di morte reale, non solo
perché li stanno decimando, ma di quella morte ancora più tragica che è non
capire più cosa sta succedendo, e soprattutto non capire più che fine ha fatto
Dio.

Perché quando Israele viene portato a Babilonia, è come se avesse
perso Dio. Perché Dio aveva fatto delle promesse, la terra, il re, il tempio,
e tutto è finito
. Non c’è più niente ed Israele si domanda: “Non c’è più
niente, ma Dio c’è ancora?” Che è il momento della crisi, del buio, del dolore,
che ogni credente prima o poi attraversa quando sembra che i conti non tornino
più. Sembra che Dio dopo averti promesso qualcosa poi te la tolga. In questa
situazione nasce questo grandioso inno alla vita che è Gen 1
. Che, nella
crisi della fede, dentro la morte, dice: “No! Dio c’è, è il Dio della vita, c’è
da sempre e quindi per sempre ed è il Dio bello e buono che fa cose belle e
buone”. E allora si può anche attraversare la morte, perché al di là della morte
c’è la vita, quella per sempre, bella e buona.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:18

Genesi 2

E’ un testo diverso da Gen 1. Sono comprovati i rapporti che Gen 2 e Gen 3 hanno con miti mesopotamici e altre culture circonvicine. Ma quello che a noi interessa soprattutto è il senso, la rivelazione di cos’è l’uomo, cosa è Dio e cosa è il mondo. E’ questo che questi testi ci vogliono dire.
Vediamo quali sono gli elementi fondamentali per poi soffermarci su quello che è l’essenziale di Gen 2, cioè la creazione dell’uomo. Noi abbiamo visto che in Gen 1 l’uomo è il culmine di tutte le opere create, quindi è l’opera più importante in quanto l’ultima, di lui però non si parla molto. Qui invece tutto è incentrato sulla creazione dell’uomo, quindi il discorso antropologico si fa molto più ampio, molto più preciso, senza però modificare il messaggio fondamentale, pure se detto in altro modo.
Abbiamo visto che in Gen 1 l’uomo è portatore di questo mistero, di questo paradosso, di essere contemporaneamente immagine di Dio e animale. In Gen 2 noi abbiamo gli stessi elementi. Si dice che l’uomo è la prima opera di creazione, dunque la più importante. Nell’altro testo si diceva che era l’ultima e quindi la più importante, perché la visione era: si fanno le cose e tutte sono in vista dell’ultima che è l’uomo e l’uomo è addirittura in vista del sabato. La prospettiva è: prima si dice tutto quello che serve per l’uomo e poi si dice l’uomo, che quindi è il centro e il culmine.

pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:19
Gen 2 si dice la stessa cosa, semplicemente spostando la prospettiva e dicendo:
siccome l’uomo è il più importante ed è il culmine, allora l’uomo è fatto per
primo e dopo si fanno tutte le cose che servono per l’uomo. Vedete che è la
stessa cosa. In Gen 2 come in Gen 1 l’uomo è al centro, l’opera più
importante
e portatore anche qui di un paradosso.

E’ signore del
giardino. Il giardino viene fatto appositamente per lui, ed è un giardino in
cui ci sono i fiumi, il che vuol dire che è un giardino in cui c’è la vita in
pienezza e in sovrabbondanza
. Non ci dimentichiamo che Israele, la terra di
Palestina, è una terra arida, secca, perennemente in lotta per avere l’acqua che
fertilizzi la terra. Immaginare un giardino in cui ci sono quattro fiumi che
riempiono d’acqua tutta la terra, e non con un’inondazione che distrugge tutto,
ma bracci di fiumi, acqua incanalata per l’irrigazione
, vuol dire che questa
è una terra che ha in sé il suo tesoro più prezioso, cioè l’acqua che fa vivere,
che la rende fertile.

In più è una terra ricchissima anche proprio di
cose preziose
, convenzionalmente considerate preziose, perché è una terra di
oro, è una terra di pietre preziose, c’è la resina odorosa, quindi è una terra
piena di cose belle e ricche e l’uomo viene messo qui in questo giardino
fatto apposta per lui perché possa custodirlo e coltivarlo
, per esercitare
su questo giardino l’opera di signoria, di dominio. E’ lui che fa sì che questo
giardino possa dare la vita coltivandolo, è lui che lo custodisce, che decide
cosa fare di questo giardino. E’ lui il signore, però è un signore che deve
fare questo in obbedienza a Dio e senza sostituirsi a Dio perché è Dio che ha
fatto il giardino ed è Dio che lo mette nel giardino
ed è Dio che ce lo
mette perché lo custodisca e lo coltivi, come in Gen 1 era Dio che dava il
comando: “Governa la terra” .
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:19
Ma questo uomo, signore di questo giardino pieno di ricchezza e di vita, è
però fatto di polvere
. Di là si diceva: a immagine di Dio però come gli
animali, di qua si dice: signore del giardino e quindi luogotenente del
giardino, ma fatto di polvere
. Tra l’altro di quella stessa polvere di cui
poi, secondo il racconto, vengono fatti gli animali. In Gen 1 l’uomo e gli
animali hanno lo stesso giorno, in Gen 2 la stessa materia
. Vedete che
quella dimensione che io chiamo paradossale è presente in questo testo come
nell’altro.

Tenete anche presente che Gen 2,7 di solito viene tradotto
così: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò
nelle sue narici un alito di vita”
. Letteralmente però è: “E plasmò, il
Signore Dio, l’uomo polvere dalla terra”.
Plasmò l’uomo polvere.
Questo polvere può essere interpretato come un accusativo di materia e allora si
vuole intendere “con la polvere”, però può essere semplicemente e,
probabilmente, un’apposizione: plasmò l’uomo come polvere. Quindi l’uomo non è
solo fatto con la polvere, è polvere.

E questo poi torna in
molti altri testi: “Polvere sei e polvere ritornerai”, ma polvere presa dalla
terra (adamah), e qui c’è una tradizione ebraica molto bella di cui è
testimone Rashi, famoso commentatore ebraico medievale, il quale
riportando una tradizione molto più antica, dice che quando Dio ha creato
l’uomo dalla terra, l’ha fatto prendendo la polvere da tutta la terra, dai
quattro punti cardinali di modo che questo uomo, così plasmato da Dio, è un uomo
che non appartiene ad una parte della terra, ad un settore della terra, ma alla
terra intera
. Implicando con ciò che tutti gli uomini sono fratelli
perché vengono tutti dalla stessa madre
e tutti ritrovano la stessa madre
morendo, per cui in qualunque luogo l’uomo muoia, troverà sempre una terra che
lo conosce, perché lui è stato fatto dalla terra che viene da ogni luogo.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:20
Quindi in qualunque posto lui vada la terra lo riconosce e, ovunque si trovi, la
terra–madre sarà sempre pronta ad accoglierlo. Vedete come nell’identità di
prospettiva, ci sia una differenza di formulazione. Non c’è: “Facciamo l’uomo a
nostra immagine e somiglianza”, qui c’è Dio che prende la terra e la
plasma
. Si usa un verbo che indica di solito l’attività del vasaio che
plasma la creta per fare le sue opere artigianali, con tutto quello che ciò
comporta dell’idea del lavoro di Dio che non solo è un lavoro bello, importante,
fatto da chi lo sa fare, che richiede abilità, competenza, estro creativo. E’ un
lavoro che richiede anche fatica, coinvolgimento emotivo, che sporca le
mani.

Perché il vasaio nel fare la sua opera si sporca, fa le cose con
passione e quando poi alla fine guarda il suo vaso dice che è proprio molto
bello
. Proprio come Gen 1 dice che Dio fa alla fine dell’opera creativa. La
sintesi di questa dimensione paradossale dell’uomo che troviamo qui come in Gen
1, per cui l’uomo è polvere, però è signore del giardino e ha in sé l’alito di
vita che gli viene da Dio, è esplicitata in Gen 2 (e non in Gen 1) in quel
comando che Dio dà all’uomo:

E comandò il Signore Dio all’uomo,
dicendo: “Di tutti gli alberi del giardino tu potrai senz’altro mangiare, ma
dell’albero della conoscenza del bene e del male tu non dovrai mangiarne, perché
nel giorno in cui ne mangiassi, certamente moriresti
(Gen
2,16-17).

Noi qui abbiamo un comando da parte di Dio. Che potrebbe
anche sembrare un comando arbitrario
, fatto da Dio solo per tenere in
qualche modo l’uomo al proprio posto, mettere dei limiti, dire: “Io ti ho fatto,
ti ho dato il giardino, tu sei signore del giardino, però un albero io ti
impedisco di toccarlo, così capisci chi è che comanda qui! E vediamo se
obbedisci”.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:21
Dio mi dà il giardino e poi mi dice: “Quello non lo mangi”. Per carità, il
giardino è suo e fa quello che gli pare, però perché mai non dovrei mangiarlo?
Notate bene che qui di mela non si parla, la mela non c’entra nulla, ma
l’interpretazione che potrebbe venirci la voglia di dare a questo comando è:
“Dio mi dà un comando tanto perché sia chiaro che Lui è Dio ed io sono uomo e
che qui comanda lui e alcune cose non le posso fare”. Non è così che va
capito il rapporto dell’uomo con Dio e anche la prova che l’uomo deve
attraversare nel suo rapporto con Dio. E certamente non è così che va capito il
ribadire da parte di Dio la propria realtà di Dio in rapporto invece alla realtà
dell’uomo
che è una realtà diversa da quella di Dio (il concetto di
separazione che abbiamo visto in Gen 1).

Quando Dio dà all’uomo il
comando di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, gli
sta in qualche modo indicando la strada per poter vivere pienamente e in piena
felicità la sua realtà di uomo
. Perché cosa vuol dire mangiare dell’albero
della conoscenza del bene e del male? Scomponiamo la frase. Abbiamo detto che
mangiare vuol dire prendere una cosa, assimilarla e farla tua. Conoscenza nel
mondo ebraico non vuol dire sapere una cosa, o distinguere tra una cosa e
l’altra. La conoscenza è qualcosa di estremamente profondo che si trova a dei
livelli misteriosi di profondità di rapporto tra chi conosce e chi è conosciuto,
in cui si entra in una relazione di mutuo donarsi e possedersi, in cui uno
diventa in qualche modo origine dell’altro e viceversa
. Tanto che è ben noto
che il verbo conoscere è un eufemismo per indicare l’avere rapporti sessuali,
per indicare quindi quel compenetrarsi uno nell’altro, possedere mentre ci si
dona, mentre ci si lascia possedere ed entrare in una relazione talmente stretta
per cui io adesso so tutto di te e tu sai tutto di me, io sono te e tu sei me e
i due diventano uno.

Cosa significa conoscenza del bene e del
male
? Nel mondo biblico, quando si utilizzano due termini che sono
contrapposti o che comunque sono l’uno all’inizio e l’altro alla fine di una
serie omogenea, non si vogliono indicare quelle due cose che vengono dette,
ma si vuole indicare tutta la serie. Quando si dice: “Dio creò il cielo e la
terra”, si vuol dire che Dio ha creato tutto: il cielo, la terra, le acque di
sopra, le acque di sotto, il mare, il firmamento, gli astri
. Quando nel Dt
si dice al buon israelita: “Guarda che tu ti devi ricordare le parole di Dio e
dovrai meditarle, giorno e notte, e quando entri e quando esci, quando ti siedi
e quando ti alzi”, non vuol dire che tu te le devi ricordare quando esci, poi
scordartele, farti gli affari tuoi, e ricordartele quando rientri. Si dice
“entrare ed uscire” per indicare tutta l’attività dell’uomo, uscire dalla casa,
dalla città, dal grembo materno. E’ tutto il mondo dell’uscire, tutto il mondo
dell’entrare e tutto quello che ci sta in mezzo.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:21
Per cui quando si dice bene e male non si intende ciò che è bene e ciò che è
male, non si intendono le due categorie etiche, per cui coscienza del bene e del
male vorrebbe dire conoscere quello che è bene e conoscere quello che è
male
. Non è così, bene e male vuol dire tutto quello che è dentro la serie
del bene e del male, ma abbiamo detto che bene è anche bello, quindi tutta la
serie di bene-male, bello-brutto, felicità-infelicità, vita-morte, tutto quello
che c’è dentro, e vedete che questo vuol dire la realtà intera
. Allora dire
che non si può mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male non
vuol dire che tu non puoi appropriarti del conoscere ciò che è bene e ciò che è
male. Anche perché se così fosse, allora l’uomo trasgredendo, siccome non ha
ancora mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male, non potrebbe
sapere che quello è male
, perché non poteva conoscerlo.

Il vero
discorso è: “Tu non puoi mangiare, cioè assimilare, la conoscenza, cioè il
possesso, l’essere principio, origine, avere i segreti, di tutta intera la
realtà in tutte le sue dimensioni materiali e spirituali. Tu non puoi
diventare, assumere, strappare e far diventare tuo l’essere origine del
Tutto
”. Capite che quando Dio dice questo all’uomo non sta facendo altro
che dire: “Guarda che tu sei uomo, non puoi essere Dio”
. Viene detto
sotto forma di comando perché è nel rapporto con la legge che l’uomo scopre
l’alterità
. Perché è nel rapporto con la legge che tu scopri che non ci sei
tu solo e che esistono pure gli altri con i loro diritti e che tu li devi
rispettare.

Il bambino crede di essere lui solo, tanto che addirittura
c’è una fase in cui anche sua madre fa parte di lui; ma quand’è che il
bambino diventa veramente consapevole della propria identità?
Quando diventa
consapevole che esistono gli altri. E come fa? Quando cominciano a dirgli: “No!
Questo tu non lo puoi fare”. “Perché?” Se uno risponde: “Perché no!” è meglio
che rinunci a fare il genitore, ma se invece uno gli risponde: “Non puoi
perché vedi che c’è anche lui e questa cosa fa male a lui; e lui è come te e
deve avere il tuo stesso giocattolo”, il bambino, attraverso la legge, quello
che gli dicono il padre e la madre, scopre che al mondo non c’è solo lui
, ci
sono anche gli altri, che il suo spazio è limitato perché c’è lo spazio
dell’altro che va rispettato. E’ questo che permette al bambino di crescere e di
prendere coscienza di sé. E’ questo che fa diventare l’uomo adulto. Ed è la
negazione di questo l’infantilizzazione di ogni adulto egocentrico.
pedrodiaz
00domenica 2 settembre 2012 16:22
Dio sta facendo questo. Attraverso forma di comando, per i motivi che abbiamo
visto, sta dicendo all’uomo: “Tu sei uomo e questa è la tua verità e bisogna che
tu ne prenda coscienza e la rispetti, perché solo così tu puoi essere davvero
uomo e prendere coscienza della tua identità ed essere davvero in comunione con
me
”. Perché solo se mi riconosco diverso posso essere in comunione.
Questo comando è offerta di verità e di comunione. Perché dico che qui è
la sintesi del paradosso dell’uomo? Perché confrontandosi con questo comando
l’uomo prende coscienza del proprio essere uomo, quindi prende coscienza del
limite, fa esperienza di alterità, ma questo limite diventa apertura all’altro e
quindi l’uomo capisce di essere polvere, ma capisce anche di essere immagine di
Dio secondo Gen 1 e signore del giardino secondo Gen 2, perché il comando gli
indica la via di quell’essere uomo, quindi di quell’accettazione di essere
polvere che però lo mette in relazione e in comunione con Dio. Questo comando,
secondo il nostro racconto, riguarda l’albero della conoscenza del bene e del
male.

Ma nel nostro racconto, Gen 2,9, quando si descrive come è fatto il
giardino, si dice:

E il Signore Dio fece germogliare dalla terra ogni
albero bello da vedere, buono da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al
giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.


Quando
descrivono il giardino, ci dicono che è pieno di alberi, e che c’è un albero
della vita che sta in mezzo al giardino e un albero della conoscenza del bene e
del male. Gli alberi sono due. E il fatto che ci siano due alberi pone
qualche problema, perché l’albero della vita poi sparisce e si ritrova solo alla
fine quando Dio mette il cherubino a bloccare la via
, mentre invece per
tutto il resto del racconto si continua a parlare dell’albero proibito.
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