Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!

                                                  

CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

💝

 

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Roma papale

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2012 18:18
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:15
 
Quota

lettera ventesima
Lettera Ventesima
Archivio dell'Inquisizione
Enrico ad Eugenio

Roma, Giugno 1849.


Mio caro Eugenio,

La nostra partenza da Roma è decisa, essa avrà luogo domani; io vado in Inghilterra coi miei tre amici; ma passeremo tutti e quattro da Ginevra, ove ci tratterremo alcuni giorni. Quante cose ho da dirti a voce, mio caro Eugenio! Quando saremo insieme, ti racconterò tutta la storia dei miei dolori, e di tutte le iniquità che ho vedute in Roma, di cui non ti ho raccontato che una piccola parte. Conoscerai allora i miei cari amici, e li faremo conoscere ai buoni Cristiani di Ginevra.

Intanto non voglio mancarti di parola: ti ho promesso di raccontarti in questa mia lettera un’ interessante scoperta che abbiamo fatta, ed eccomi a mantenerti la parola.

Venne voglia al sig. Manson di sapere chi mi avesse accusato all’ inquisizione. Io dissi che temeva per cosa certa essere stati i PP. Gesuiti: il sig. Pasquali era dello stesso sentimento; ma il sig. Manson, forse per un resto di affezione verso i Gesuiti, pareva non ne fosse persuaso. Il sig. Pasquali, che volea persuaderlo, disse che avrebbe provato di fargli vedere i nostri stessi processi. Andò dal Console inglese per vedere se la cosa fosse stata possibile, ed il Console gli fece una lettera di raccomandazione per l’ ex-ministro Sterbini, autore del decreto della distruzione del S. Uffizio. Lo Sterbini, gentilissimo com’ era, si offrì d’ accompagnarci egli stesso nella Cancelleria del distrutto tribunale, e di cercarvi i nostri processi.

Andammo dunque noi quattro, accompagnati dallo Sterbini, in quell’ orrendo palazzo. Le prigioni sotterranee erano state distrutte, ed i muratori lavoravano per convertire quel luogo di vendette pretine in abitazioni per i poveri operai (Nota 1 - Cosa è oggi il S. Uffizio in Roma).

Il locale degli archivi era restato intatto, perchè il Governo pensava di far tesoro di quelle carte, e già avea incominciato ad esaminarle (Nota 2 - Cosa doveva farsi dell'archivio). Intanto egli diceva: “Vi dirò qualche cosa di quello che ho potuto scoprire in qualche momento che ho potuto dare a tale esame.”

Così dicendo, ci condusse dinanzi ad uno scaffale, e tirando giù una busta dell’anno 1828, l’aprì e ci fece vedere una lettera originale del Cardinale Bernetti, allora Segretario di Stato, nella quale pregava il P. Commissario a nome del papa Leone XII, che essendo giunto a sua notizia che vi erano nello Stato alcune cospirazioni politiche, e non avendo potuto scoprir nulla per la via della polizia, pregava il P. Commissario a volersi occupare seriamente di tali cose, e scoprirle per mezzo dell’ inquisizione. Dopo quella lettera, veniva il decreto del tribunale per raggiungere quello scopo. Il decreto diceva che per occuparsi dello scoprimento di tali congiure, non vi era mezzo migliore che la confessione, e perciò il S. Tribunale pregava sua Santità affinché facesse un decreto, acciò i confessori non potessero assolvere nessuno di coloro che avessero fatto parte in qualunque modo di congiure o di società segrete, qualunque fossero, o ne conoscessero la esistenza, se prima non avessero denunziato al S. Uffizio coloro che facevano parte, o che avessero dato sospetto di far parte di una qualche congiura o società segreta.

E siccome si prevedeva che molti avrebbero piuttosto ricusata l’ assoluzione che di andare al S. Uffizio a denunziare parenti od amici, così si dasse il permesso ai confessori di poter ricevere le accuse senza nessuna formalità.

Dopo questo decreto, veniva il breve pontificio, che fu comunicato a tutti i confessori dello Stato, fatto nei termini domandati dal S. Uffizio. Seguivano poscia tutte le denunzie dei confessori in conseguenza di quel breve, e quelle denunzie erano comprese in dieci grossi volumi. La più parte di esse erano senza la firma del denunziante, e senza nessuna garanzia legale. Frequentissime erano le denunzie strappate dalla bocca dei moribondi nel punto estremo di vita. Quando l’ animò era indebolito, e le facoltà morali quasi estinte, allora lo scaltro prete adoperava tutta la sua feroce eloquenza per dimostrare che non vi era altra via di salvazione fuori di quella di denunziare i parenti o gli amici, e per raggiungere più facilmente lo scopo promettevano che la denunzia non sarebbe stata consegnata, se non che dopo la loro morte.Con queste arti furono denunziati quasi tutti i liberali dello Stato pontificio, e quelle denunzie contribuirono moltissimo a fare abortire la rivoluzione del 1831.

Dallo scaffale delle denunzie politiche passammo ad osservare un altro scaffale dove erano le denunzie di sollecitazione. Volevamo passare innanzi, ma il sig. Pasquali volle che il sig. Manson osservasse un poco quei libri per persuadersi sempre più che la confessione al prete, tanto accarezzata e lodata dai Puseiti, non è che un mistero di iniquità. Incominciò a svolgere l’ultimo di quei numerosi volumi che contenevano i processi per sollecitazione, e si trovarono in esso le iniquità le più stomachevoli commesse dai preti sotto pretesto di confessione (Nota 3 - Abuso della confessione): ora si trovava un confessore di monache che seduceva le monache più giovani del monastero (Nota 4 - Confessori di monache), e le rendeva madri non reverende; ora un confessore che in un conservatorio di giovani, per mezzo della confessione, si era formato uno scelto e numeroso Harem; ora era una figlia, ora una sposa sedotta dal confessore. Vi era fra le altre cose in quel volume la storia di un frate che accusato diciassette volte di sollecitazione non era stato mai punito, perchè era uomo zelantissimo nello scoprire e denunziare i liberali (Nota 5 - Non si puniscono tutti i sollecitanti).

Il sig. Manson nel vedere tali cose divenne rosso come una brace, il sig. Sweeteman fremeva di sdegno, il sig. Sterbini rideva, e diceva che in quei volumi erano registrate pochissime delle iniquità di quel genere che tutto giorno si commettono, perchè erano registrate soltanto quelle cose che erano state denunziate dalle donne sedotte: ma quando una donna onorata era stata eccitata al male, o anche sedotta, da un confessore, piuttostochè manifestare la sua vergogna, sarebbe morta; e così la maggior parte dei casi di seduzione non erano denunciati. Il sig. Pasquali col suo solito sangue freddo diceva al sig. Manson: “Vedete i belli effetti della confessione al prete? Tornando in Inghilterra, raccontateli ai vostri cari amici i Puseiti, che cercano tutti i modi di ristabilire la confessione auricolare, e dite quello che voi stesso avete veduto.”

Eravamo stomacati da tali cose, e pregammo lo Sterbini che c’ indicasse, se fosse possibile, ove erano i nostri processi. Egli allora prese un indice e, dopo averlo consultato, trasse giù dallo scaffale una busta di pergamena, nella quale erano i nostri processi. Il mio processo incominciava con una lettera del padre P. mio maestro Gesuita, nella quale mi denunciava di essermi legato in amicizia con tre eretici, di andar sempre con loro, di essere entrato con loro in discussioni religiose, e di aver voluto continuare in quella amicizia e in quelle discussioni, sebbene egli ed altri PP. Gesuiti me l’ avessero formalmente proibito. A questa prima denuncia teneva dietro la relazione del servitore di piazza del sig. Manson, nella quale era descritto il carattere dei miei tre amici, e i discorsi che fra noi si facevano. Dopo questi due documenti, seguiva il decreto a mio riguardo firmato dal P. Commissario; il decreto conteneva una sola parola observetur(sia invigilato). Dopo questo decreto, il Fiscale avea incaricati due famigliari per osservare tutte le mie più piccole azioni, e riferirle al S. Uffizio. Qui vi erano le relazioni degli osservatori, nelle quali erano descritte tutte le mie parole e tutte le mie azioni, molte delle quali erano esagerate, altre interamente inventate, e tutte confermate dal solenne giuramento dei delatori, i quali nella giurisprudenza del S. Uffizio sono persone degnissime di fede (Nota 6 - Giurisprudenza dell'inquisizione).

Il mio confessore Gesuita compì l’ opera, rivelando al S. Uffizio ciò che io gli avea detto nella mia confessione, e la sua rivelazione era, come tutte le altre, riportata autografa nel mio processo. Dopo veniva il decreto di carcerazione, il verbale della perquisizione personale, quello della perquisizione domiciliare; nei quali verbali era constatato non essermi stato trovato nulla che provasse il mio delitto. Erano poi nel processo inscritti i miei esami, i rapporti del carceriere, la mia conversazione con l’ abate Pallotta, e quelle col padre N.. Finiva il mio processo con un decreto che diceva: Supersederi donec resipiscat (Nota 7 - Supersederi), vale a dire che si sospendesse la mia procedura, aspettando la mia conversione.

Il processo del sig. Pasquali era una conseguenza del mio. Io era accusato come eretico sedotto, il sig. Pasquali come eretico seduttore e pubblico dogmatizzante: gli accusatori erano i medesimi. Il sig. Pasquali però era nato protestante, e non aveva il delitto di apostasia imperdonabile per l’ inquisizione; egli era con degli Inglesi, e, sebbene nato italiano, aveva la cittadinanza inglese: si doveva punire, si doveva imprigionare, ma si dovea far tutto nel massimo silenzio, senza che nessuno potesse scoprirlo, perchè i tempi, diceva il decreto d’ arresto, essendo difficili, non si doveva dare occasione all’ Inghilterra di far dei reclami. Il papa dovea comparire liberale, acciò l’ Inghilterra non appoggiasse i liberali Italiani contro di lui. Per questi motivi era stato incaricato un signore romano, che per devozione era famigliare del S. Uffizio, a condurre prudentemente il Pasquali nelle mani dell’ inquisizione; e quel signore lo arrestò nel modo che vi ho raccontato.

Il processo del Pasquali portava il titolo di pubblico dogmatizzante; erano in esso registrati il verbale di carcerazione, quello di perquisizione; poi seguiva il decreto dell’ esame solenne, come suol farsi ai pubblici dogmatizzanti, ed il verbale di quell’ esame. Io ho raccontato come fu tolto bruscamente dall’ esame, ma non avrei mai saputo i dettagli che seguono, se non li avessi letti in quel processo. Appena il Pasquali fu uscito dalla camera del giudizio, quei reverendi si misero a deliberare circa alla sua condanna. Fu data la parola al Fiscale il quale dopo aver detto che la reità del Pasquali come pubblico dogmatizzante era evidente, egli opinava, secondo le leggi del santo tribunale, che dovesse essere condannato alla morte; su questo egli non poneva dubbio alcuno, solo dubitava qual genere di morte gli dovesse essere applicata, e lasciava la libertà al S. Tribunale di decidere se dovesse essere murato, ovvero bruciato nei forni.

I due consultori ebbero la parola in seguito, convennero che la morte era la pena dovuta al Pasquali; ma opinarono per il fuoco, stantechè la muratura era una pena andata in disuso. Parlarono poscia i due Padri compagni, ed appoggiarono l’ opinione dei consultori. Il P. Commissario parlò dopo, e disse che egli stimava cosa inutile la pena di morte quando non era accompagnata dal pubblico esempio, e che perciò credeva che bastasse un decreto di perpetuo carcere. Monsignor Assessore, che come Presidente parlò l’ ultimo fece osservare che il Pasquali essendo cittadino inglese, fra le cose possibili vi era anche quella che si fosse scoperto il suo arresto, e che un giorno potesse essere efficacemente richiesto dall’Inghilterra. Se ciò accadesse, e che il Pasquali fosse stato messo a morte, il papa ne sarebbe stato irritatissimo; quindi egli opinava che si dovesse sospendere di pronunciare una sentenza qualunque, ritenere il Pasquali nelle prigioni, e pronunziare la sentenza di morte allorquando si sarebbe stati certi che l’ Inghilterra non l’ avrebbe più ricercato. Tutti convennero in questa sentenza, e finiva il suo processo col seguente decreto: Supersederi et ad mentem. Mens est ut consulatur Sanctissimus et ejus jussa exequatur. Intenderai questo decreto per l’ ultimo foglio che era annesso al processo. In esso si diceva che il P. Commissario avea riferito tutto al papa, e che il papa, avendo trovate prudenti quelle riflessioni, ordinava che si mettessero in esecuzione, ritenendo il Pasquali nella più stretta custodia. Così la vita del Pasquali fu salva, per la paura che il papa avea dell’ Inghilterra. Ringraziammo il sig. Sterbini, ed uscimmo da quel luogo per non rientrarvi mai più.

Nel tornare a casa dal palazzo dell’ inquisizione, fummo testimoni di un fatto piccolo in sè stesso, ma che dimostra l’indole indefinibile del sig. Mazzini, capo della repubblica romana (Nota 8 - Curiosi decreti di Mazzini). Incontrammo per la strada una magnifica carrozza tutta coperta d’ oro, tirata da due superbi cavalli che camminava a passo lentissimo. Era la carrozza nobile del papa. Il popolo che era per le strade si fermava aspettando che la carrozza fosse passata, e mentre essa passava tutti si scoprivano, e molti s’ inginocchiavano facendosi il segno della croce. Dentro la carrozza vi erano due frati zoccolanti vestiti di cotta, ed uno di essi portava anche la stola. Domandammo ad un signore che si trovava vicino a noi, e che come noi non si era levato il cappello nè fatto segno alcuno di riverenza al passare della carrozza, domandammo, dico, cosa vi fosse in essa, e il perchè di tanti segni di adorazione: ci rispose che quella era la carrozza nobile del papa, regalata dal Mazzini al S. Bambino di Ara Coeli, credendo così far cosa grata al popolo romano.

Continuammo il nostro viaggio, ed il Pasquali domandò cosa fosse il S. Bambino, e perchè andasse girando per Roma. Io risposi che il S. Bambino era una immagine di Gesù bambino rozzamente scolpita in legno, custodita dai frati zoccolanti, e quella immagine per essi è un vero tesoro (Nota 9 - Il S. Bambino). I frati dicono che essa è fatta di legno di olivo, e precisamente del legno di quell’ olivo al quale era appoggiato il Redentore, quando sudò sangue nell’ orto; dicono che quell’ immagine è stata lavorata dagli angeli, e che è venuta a Roma da sè stessa ed è andata da sè a collocarsi nella chiesa di Ara Coeli, ed ecco il come. Non ricordo ora in quale anno, ma nella notte del Natale mentre i frati erano in chiesa in preghiera, sentivano battere alla porta della chiesa; essi, credendo che fossero cattiva gente che cercassero turbarli nelle loro preghiere, non andarono ad aprire. Il picchiare continuava, ed i frati continuavano a star duri; allora tutte le campane della chiesa suonarono a festa senza che nessuno le toccasse, e le porte della chiesa si spalancarono, ed il Bambino entrò ed andò a posarsi sull’ altare. Questo Bambino è ricoperto di abiti ricchissimi, ha sopra di sè brillanti e gioie in gran numero e senza prezzo; i frati non lo toccano se non che vestiti di abiti sacerdotali, e coperte le mani con guanti di seta; e i devoti gli baciano il piede destro, quel piede, dicono, col quale picchiava alla porta. Ora il Mazzini che avea ordinato lo spoglio di tutte le chiese, che avea tollerato che si gettassero le particole per prendere i vasi sacri, non permise che si toccassero le gemme del S. Bambino, anzi gli fece dono della preziosa carrozza papale. Questo bambino si porta nel le case degli infermi, quando sono persone che possano, o vogliano dare una buona elemosina, e quando arriva nella casa tutta la famiglia gli va incontro con candele accese fino alla carrozza, e così lo riaccompagna quando esce.

Di queste cose, caro Eugenio, ve ne sono moltissime in Roma, e vi vorrebbe non una lettera, ma un grosso libro per descriverle. Se i Protestanti al lume del Vangelo considerassero Roma papale come essa è, e non come essi la immaginano sulle descrizioni dei Gesuiti e dei gesuitanti, non si farebbero maraviglia quando sentono che qualcuno di loro chiama Roma papale la Babilonia dell’Apocalisse. Vengano in Roma come vi è venuto il Pasquali con la Bibbia nelle mani e nel cuore, ed allora conosceranno cosa è la Roma papale.

Addio, caro Eugenio, fra pochi giorni saremo di nuovo insieme, ci riabbracceremo, ci ameremo sempre più, imperciocchè alla nostra amicizia di fanciullezza si aggiunge ora il legame della religione, essendo divenuti fratelli in Gesù Cristo.

Enrico.
Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:15
 
Quota

Cosa è oggi il S. Uffizio in Roma
Nota 1. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

Una parte del palazzo del S. Uffizio è attualmente una caserma francese. Le antiche prigioni, i forni, il trabocchetto, dopo di essere stati per molti giorni aperti al pubblico inguisachè tutti quelli che li hanno voluti vedere li han veduti, furono distrutti dal governo della repubblica romana. Il papa appena rientrato in Roma s’ impossessò di nuovo di quell’ infame palazzo, e cercava ripristinarlo per l’ uso primiero; ma il governo francese, vergognandosi di sostenere una così barbara istituzione, domandò parte di quel locale per farvi una caserma, e il papa non potè negarlo. I Francesi dunque han preso quella parte di locale dell’ inquisizione, ma non han curato che la barbara istituzione fosse abolita: essa funziona tuttora in Roma e funzionerà finchè esisterà un papa.
I Francesi, è vero, liberarono un prigioniero della inquisizione nel 1850, ma non lo liberarono con quel decoro che si conveniva ad una nazione che proclama la civiltà universale. Ecco come quel prigioniero fu liberato.

Il dottor Giacinto Achilli, ex-frate Domenicano, era nelle carceri dell’ inquisizione. Una deputazione inglese andò a Parigi per domandarne la liberazione. Il ministero francese promise d’ interporre tutti i suoi buoni uffici per ottenerla; non potendo ottener nulla dal papa, ecco cosa fecero i Francesi per liberare il prigioniero. Dovea essere giudicato da un consiglio di guerra francese un tal Cernuschi; i giudici ordinarono che fosse condotto innanzi al tribunale l’ Achilli come testimonio; il S. Uffizio non potè negarlo, e lo consegnò ai carabinieri francesi. Condotto l’ Achilli al tribunale, fu posto in una camera ove doveva aspettare di essere chiamato alla presenza dei giudici. In quella camera vi era un’ uniforme completa di soldato francese che si adattava perfettamente alla persona dell’ Achilli; egli spogliò i suoi abiti, indossò l' uniforme francese, uscì e andò direttamente dal Console inglese, il quale gli diede il suo passaporto, e sopra un vapore francese lo mandò a Marsiglia.

Si vuole anche che i Francesi facessero fuggire dalle prigioni di Castel S. Angelo Monsignor Gazzola, accusato di avere attaccata la infallibilità e la santità di Pio IX. Ma queste due liberazioni, secondo la nostra maniera di vedere, fanno più torto che onore alla Francia.

Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:16
 
Quota

Cosa doveva farsi dell'archivio
Nota 2. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

Non si può perdonare al governo della Repubblica romana l’incuria che ha posta nelle cose del S. Uffizio. Un’ occasione così bella non si presenterà mai più. Il governo avea in mano tutti gli archivi dell’ inquisizione romana, ed invece di farne tesoro contro il papa, li lasciò ricadere nelle mani del papa. Tolse da quell’ archivio soltanto le carte che riguardavano i liberali, e le distrusse; ma gl’ immensi tesori dei processi religiosi e dei processi di sollecitazione, lasciò che ricadessero in mano dei preti: tutto ciò accadde per la indifferenza degli uomini politici nelle cose religiose.

Se coloro che erano alla testa del governo repubblicano, prevedendo, come doveano prevedere, il ritorno del papa, avessero imballato tutte quelle carte e libri, e mandatili in Inghilterra, ne avrebbero fatto un tesoro per la emigrazione, e forse anche con la pubblicazione di tutte quelle infamie sarebbe stato distrutto il governo papale con grande vantaggio dell’ Italia.

Se avessero fatto a questo modo, si sarebbero potuti pubblicare nell’ Inghilterra quei processi, quei preziosi manoscritti dei riformatori italiani, e non vi sarebbe stato Inglese che non li avesse comprati. Se il profitto della vendita fosse stato erogato a vantaggio della emigrazione povera, quanti beni ne sarebbero venuti! La pubblicazione di quelle nefandità avrebbe aperto gli occhi ai governi ed agli individui, e Roma sarebbe forse già da qualche anno capitale d’ Italia.

Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:16
 
Quota

Abuso della confessione
Nota 3. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

A proposito dell’ abuso che fanno i preti della confessione, racconterò un fatto che conosco di certa scienza.

Un uomo di condizione civile avea sposata in Roma una bellissima giovane di condizione inferiore alla sua. Questa giovane avea un amico che trattava con gran segretezza. Per apparenza si fingeva devota, ed andava a confessarsi spesso nella chiesa di San Gregorio dei monaci Camaldolesi. Il confessore s’ innamorò della sua penitente, la quale dopo poche smorfie accondiscese, ma andò tanto oltre la passione del padre confessore, che divenne geloso del di lei marito. Esortò dunque la penitente a disfarsi segretamente del marito col veleno. La giovane da principio negò, ma poi consigliandosi con l’ amico, convennero che sarebbe stato bene fare avvelenare il marito dal frate, e dopo si sarebbero sposati lasciando il frate burlato.

Tornando essa dal confessore, disse che avrebbe cooperato all’ avvelenamento del marito, ma che non aveva il coraggio di farlo essa stessa. Era andata quel giorno a confessarsi accompagnata dall’ amico, che fece credere al confessore essere suo cugino ed uomo fidantissimo, a cui se fosse stato bisogno poteva confidarsi il segreto. Il frate allora disse che tornasse, fra otto giorni insieme col cugino. Tornarono, ed il frate consegnò una lettera al finto cugino diretta ad un pseudonimo, nella quale un farmacista di provincia, incaricava l’ amico pseudonimo, ad andare da uno dei principali farmacisti di Roma, mostrare la lettera, e prendere i medicinali in essa notati.

La lettera era suggellata coi timbri della posta proveniente da un paese di provincia. Un farmacista di quel paese domandava al farmacista di Roma, facendogli un’ ordinazione di alcuni medicinali, fra i quali vi era la stricnina. Il farmacista romano non dubitò punto che fosse il farmacista di provincia che scriveva: fece un pacco dei medicinali, e dopo averlo ben legato e suggellato, e scrittovi sopra la direzione del farmacista committente, consegnò il pacco al giovane che lo portò al frate.

Il frate ricevuto il pacco gittò via tutti gli altri medicinali per ritenere la sola stricnina. Allora invitò a far colazione la sua penitente col marito, il quale andò e prese il veleno. Appena finita la colazione, il frate si fece chiamare, ed i coniugi andaron via. Ma per la strada il marito incominciò a sentirsi male, la moglie lo fe’ montare in una vettura e lo condusse in casa. Poche ore dopo quell’ infelice spirò, senza che fosse chiamato nè medico nè parroco.

Vi è in Roma una legge che quando qualcuno muore senza che il parroco sia stato avvisato della sua malattia, il parroco denunzia quella morte alla polizia, la quale ordina la utopsia fiscale.

La stricnina non lascia nel cadavere tracce molto visibili di avvelenamento. La perizia fiscale quando si fa di ufficio, e che non vi è chi paghi, si fa assai superficialmente, per cui da quella perizia non resultò nulla. Ma i pigionali che conoscevano la cattiva condotta della moglie, parlavano di questo fatto, e mostravano la loro persuasione che quell’ infelice fosse stato avvelenato. La polizia incominciò un’ inchiesta; ma quando si venne a scoprire che vi era di mezzo un frate di S. Gregorio, cioè del monastero nel quale era stato frate il papa, e che egli amava ancora passionatamente, sospese ogni inchiesta per non dare un dispiacere a Sua Santità.

Il frate credeva di esser giunto al suo scopo; ma, pochi giorni dopo, la sua penitente sposò il preteso cugino, e non andò più dal frate. Questo fatto è accaduto in Roma nel 1839, e potrei nominare le persone.

Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:16
 
Quota

Confessori di monache
Nota 4. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

Le storie scandalose dei confessori di monache sono talmente frequenti, che, se si scrivessero, se ne potrebbe fare una biblioteca. Il carattere generale di queste storie è questo. Che il confessore non si presenta ad esse come un libertino, ma sotto specie di santità e di misticismo. Spesse volte il confessore si presenta colla mistica dottrina dei quietisti, e incomincia ad insegnare che, purché l’ anima sia unita a Dio, non dobbiamo badare a quello che fa il corpo; che il perfetto amore di Dio consiste nel sollevarsi intieramente a lui, senza curarsi per nulla di quello che accade nella nostra parte animale; anzi certe azioni del corpo sono cose meritorie innanzi a Dio, perchè esercitano l’ anima a combattimento. Altre volte insegnano che certe azioni sono cattive quando si fanno con cattiva intenzione, ma dirigendo l’ intenzione alla gloria di Dio, ed avendo il cuore puro, ogni azione è buona, e citano il passo di S. Paolo: Omnia munda mundis. Altre volte insegnano che bisogna combattere le tendenze della carne fino a vincerle. E così operava in Roma il confessore di un noto conservatorio, il quale insegnava alle giovani che allora sarebbero perfette, quando fossero giunte a vincere tutti i moti della carne: ed egli santamente le ne insegnava la pratica, ed ogni volta che veniva ad un atto domandava se avessero sentito nulla, e diceva che bisognava replicarlo fino che si fosse giunti alla desiderata perfezione.

Fra le tante storie di questo genere, ne citeremo una delle molte raccontate da don Llorent nella sua storia dell’ inquisizione di Spagna.

Un cappuccino, confessore in un conservatorio di Cartagena, avea sedotte diciassette giovani, e le avea sedotte in questo modo. Egli avea finto una santità straordinaria: acquistata una volta la fama di santo, incominciò a parlare ad una ad una, alle giovani che voleva sedurre, in questa maniera: “Il nostro Signore Gesù Cristo ha avuto la bontà di lasciarsi vedere da me nella S. Ostia, e mi ha detto: Quasi tutte le anime che tu dirigi in questo conservatorio mi sono gradite, ma specialmente la tale (e qui nominava la giovane che seduceva) è la mia prediletta; essa sarebbe perfetta se potesse vincere intieramente una passione, ma non può, e perciò, onde ricompensare le sue virtù, e accordarle quella tranquillità e quella pace che è propria dei santi, io ti ordino di accordarle in mio nome la dispensa di cui bisogna acciò, senza peccato, anzi con merito, possa soddisfare quella passione a queste due condizioni: prima, che sia con te e non con altri; seconda, che serbi il segreto più rigoroso con tutti, anche coi confessori.”

Con questo discorso il santo Cappuccino sedusse diciassette giovani. Ma sventuratamente una di esse cadde gravemente malata; presa da scrupolo di coscienza, manifestò il tutto ad un altro confessore, il quale la obbligò a denunziare al S. Uffizio il Cappuccino.

Il S. Uffizio non procedè contro il frate per timore che il popolo scoprisse la cosa: ma il frate fu chiamato a Madrid innanzi al grande inquisitore. Il suo interrogatorio è curiosissimo: quando l’ inquisitore gli diceva essere incredibile che Gesù Cristo gli fosse comparso nell’ ostia per dispensarlo dall’ osservanza di uno dei comandamenti del decalogo; il frate rispose che Dio avea dispensato Abramo dal comandamento di non uccidere, avendogli ordinato di uccidere suo figlio. Interrogato perchè il Signore gli avesse dato questa dispensa solamente per le giovani, e mai per nessuna delle vecchie del conservatorio, rispose che lo Spirito soffia dove vuole. Finalmente al terzo interrogatorio confessò che tutto era stato una sua impostura; allora il S. Uffizio, tanto rigoroso che faceva bruciare vivi coloro che leggevano la Bibbia, condannò l’ empio Cappuccino a cinque anni di prigionia assegnandogli per prigione uno dei conventi del suo ordine.

Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:16
 
Quota

Non si puniscono tutti i sollecitanti
Nota 5. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

Sono molte le denunzie di sollecitazione che si trovano negli archivi del S. Uffizio, ma sono pochi, pochissimi, i confessori che sono per ciò processati. Ecco come accade una tale impunità: sono Consultori del S. Uffizio di Roma quasi tutti i generali degli Ordini religiosi; quando un frate è denunciato, il generale in qualità di Consultore del S. Uffizio lo sa; allora il frate denunciato, o può essere mandato in un altro convento, ed il generale ve lo manda all’istante; o se, per cagione della carica che occupa, non può essere rimosso, è avvertito, e così corre al S. Uffizio a fare la sua spontanea, e tutto è rimediato.

Quando si tratta di preti appartenenti al clero secolare, se sono preti zelanti, amanti del governo papale, e nemici dei liberali, sono segretamente avvisati da qualcuno dei sostituti notai, e così avviene che per tante denuncie di sollecitazione, non sono processati che pochissimi preti i più disgraziati.

Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:17
 
Quota

Giurisprudenza dell'inquisizione
Nota 6. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

Fa orrore ad ogni anima onesta, nel leggere la giurisprudenza dell’ Inquisizione, e sentire chi sono coloro, i quali sono ammessi come accusatori, e come testimoni degni di fede, a deporre in quel tribunale.

Sono ammessi gli scomunicati, sebbene secondo il diritto canonico gli scomunicati sieno morti civilmente, abbiano perduto i diritti di cittadini, il diritto di ereditare anche i beni dei loro padri, il diritto di vendere, di comprare, di possedere, di rendere testimonianza. Ma per le cause del S. Uffizio si passa sopra a tutto, ed essi sono degni di fede.

Sono ammessi a testimoniare i complici, vale a dire coloro i quali nella speranza di salvare sè stessi sono i più disposti a mentire ed a calunniare l’ accusato.

Sono ammessi a testimoniare gli uomini che hanno incorso una nota d’infamia per i loro delitti.

Sono ammessi a testimoniare gli eretici, ma a questa espressa condizione, che la loro testimonianza deve essere creduta soltanto quando è contro l’ accusato, e quando è favorevole non deve esser creduta.

Sono ammessi a testimoniare nelle cause di eresia i Turchi, i Giudei, e gl’ Infedeli.

Sono ammessi a testimoniare gli spergiuri: per esempio, se un testimonio nel corso del processo si ritratta, e dice che la sua testimonianza che avea fatta con giuramento è falsa, non deve essere creduto; ma se, dopo tale ritrattazione, si presenta a fare un’ altra accusa in danno del prevenuto, allora dev’ essere creduto.

Sono ammessi a testimoniare la moglie, i figli, i parenti, i servi dell’ accusato, ma a questa condizione, che debbano essere creduti solo quando depongono contro l’ accusato, non mai quando depongono in favore: anzi se i figli testimoniano contro il padre sono premiati dall’ Inquisizione, vale a dire essi non incorrono le pene d’ infamia e di confisca fulminate contro i figli degli eretici, e ciò in premio della loro delazione.

Chi volesse vedere distesamente queste infami leggi della Inquisizione, non ha che a consultare il Direttorio degl’ inquisitori del reverendo padre Eimerico.

Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:17
 
Quota

Supersederi
Nota 7. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

Il decreto supersederi è frequentissimo nella pratica dell’ Inquisizione. Esso significa che la procedura è sospesa, ed intanto l’ accusato resta nelle prigioni nello stesso stato di prima. Si fa questo decreto quando non vi sono prove sufficienti per persuadere i giudici dell’ Inquisizione alla condanna dell’ accusato, ovvero quando le prove si riducessero a poca cosa, da non permettere ragionevolmente una grave condanna. Col decreto Supersederi il processo resta aperto, alle volte per molti anni, e spesso fino alla morte dell’ accusato, per cui molti e molti sono stati nelle carceri del S. Uffizio fino alla morte, senza che siasi pronunziata su loro una sentenza.

Molte volte però il decreto supersederi, non è assoluto: alcune volte si dice, supersederi et consulatur Sanctissimus, e questo vuol dire che si deve consultare il papa, il quale ordina ciò che si debba fare in quel caso.

Altre volte il decreto dice supersederi et ad mentem, ed allora vuol dire che il processo resta aperto e sospeso; ma intanto il S. Uffizio prende una misura che non è definitiva, ma che dura fino a che non si riprende il processo, e non si dà la sentenza definitiva.

Altre volte come nel caso del nostro Enrico il decreto porta supersederi donec resipiscat, e ciò vuol dire che il processo è sospeso, per dar tempo all’ accusato di ravvedersi. Questo significa che il S. Uffizio è persuaso della sua reità, ma vuole usargli misericordia. In questo caso però quando l’ accusato facesse la sua abiura, non è per ciò assoluto dalla pena; ma allora si riprende il processo, e si condanna ad un grado di pena minore.

Bisogna però avvertire un’ altra cosa: i giudici del S. Uffizio non sono come i giudici profani che hanno un codice per applicare le pene secondo esso. Nel S. Uffizio non vi è nessun codice, e le pene che si applicano sono puramente arbitrarie, per cui si vede nelle congregazioni che un consultore opina per la pena di morte, un altro per la prigionia perpetua, un altro per la prigionia temporale, ed un altro per la reclusione in un convento. Tutto dipende dall’ arbitrio, e la sentenza definitiva è data dal papa, il quale decide parimente secondo la sua volontà.

Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:17
 
Quota

Curiosi decreti del Mazzini
Nota 8. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

Nel tempo della Repubblica romana, il triumviro Mazzini, che ne era quasi il dittatore, ordinava delle cose inconcepibili, e che servivano a fomentare la superstizione del popolo.

Il giorno di Pasqua il popolo romano è abituato a ricevere la benedizione papale sulla piazza di S. Pietro. Nel 1849, non essendovi il papa, Mazzini, per contentare la plebe, volle dargli uno spettacolo nuovo. Ordinò che tutte le truppe andassero come il solito a fare la parata solenne sulla piazza di S. Pietro, e invece del papa ordinò che si portasse sulla loggia il Sagramento, e con esso si benedicesse il popolo. I canonici di S. Pietro non vollero prestarsi a questo capriccio mazziniano, che sembrava ad essi una profanazione. Il Mazzini allora usò la forza: un cappellano militare fece la funzione, ma senza nessuna di quelle solennità che potessero supplire alle solennità della benedizione papale, per cui la funzione riuscì ridicola. Poi condannò i canonici di S. Pietro ad una multa di cento scudi per ogni canonico, per non aver voluto assecondare ai suoi capricci.

Il popolo romano diede alcune volte in eccessi di vandalismo: per esempio, bruciò tutte le carrozze dei cardinali che potè trovare, e volea bruciare ancora la carrozza nobile del papa. Un savio governo avrebbe potuto colla persuasione e colla fermezza impedire tali atti indegni della civiltà, ed il popolo romano con quel buon senso che lo distingue avrebbe applaudito alla saviezza ed alla fermezza del governo che avesse agito in quel modo. Ma Mazzini sempre debole cercava d’ impedire quegli atti barbari con pretesti e mezzi termini. Egli regalò la carrozza nobile del papa al S. Bambino di Ara Coeli, per salvarla dalle fiamme.

È uso in Roma che, quando qualcuno è malato gravemente, si manda a prendere il S. Bambino. La famiglia che lo vuole deve andarlo a prendere con una larga carrozza a due cavalli, nella quale entrano due frati col S. Bambino, e deve così riaccompagnarlo al convento. Deve poi fare un regalo al S. Bambino che non è mai meno di uno scudo, per cui Mazzini dando la carrozza del papa al S. Bambino contentava la devozione dei bigotti, e risparmiava al popolo una spesa.

Nel popolo romano vi è una superstizione intorno a quel Bambino: si ritiene dai devoti e devote del basso popolo che il Bambino, entrando nella camera del malato, cambia colore; se diviene pallido, è segno che il malato deve morire; se aumenta il vermiglio della sua faccia, è segno che il malato deve guarire. Ogni volta che il S. Bambino entra in una casa, vi si trovano affollate una quantità di devote, per osservare il cambiamento di colore: dopo andato via il Bambino, incomincia fra loro la discussione, perché alcune l’ han veduto divenir pallido, altre rosso. L’ esito della malattia decide quale delle due parti contendenti avea ragione, e così il pregiudizio rimane.

La carrozza del papa che Mazzini diede al S. Bambino, è la più ricca carrozza che esista nel mondo. Essa fu fatta dopo il 1820 per ordine del cardinale Consalvi. Pio VII negli ultimi anni della sua vita non faceva più funzioni solenni, per cui non fu mai usata da lui. Il suo successore Leone XII riformò alquanto il lusso pontificio, e non volle mai adoperare quella carrozza. Gregorio XVI l’ adoprò senza scrupolo. La sola carrozza costò all’ erario ventiquattromila scudi romani. Essa è tutta coperta di oro e di miniature. Il sedile per il cocchiere è riccamente coperto di velluto rosso, con frange e ricami in oro; ai quattro angoli esterni del cielo di essa vi sono quattro grandi vasi di magnifico lavoro in metallo dorato; l’ interno è tutto coperto di velluto a ricami in oro; dietro la carrozza in luogo di servitori vi sono tre angeli magnificamente scolpiti e dorati, che reggono la tiara pontificale. Tale è la carrozza di colui che si dice il successore del povero pescatore di Galilea.

Pedro

OFFLINE
Post: 5.293
Sesso: Maschile
12/02/2012 18:18
 
Quota

Il S. Bambino
Nota 9. alla lettera ventesima di Roma Papale 1882

Il Santo Bambino di Ara Coeli è un vero tesoro per i frati Zoccolanti. Ogni malato che guarisce dopo la sua visita, attribuisce a miracolo la sua guarigione, e naturalmente manda un regalo al S. Bambino. Esso è custodito in una cappella apposita; perché abbia maggiore venerazione, la cappella non è nella chiesa al pubblico, ma è fra la sagrestia ed il convento; un frate è sempre alla custodia di quella cappella, e domanda la elemosina a tutti coloro che entrano, in guisa che nessuno entra in quella cappella senza lasciarvi un’ elemosina. Oltre a ciò vi sono due o tre frati che non hanno altro impiego che girare per le case e per le botteghe; domandando la elemosina per il S. Bambino. Ogni anno, dal giorno di Natale fino all’ Epifania, il S. Bambino è esposto al pubblico nella chiesa in un magnifico presepio. Il presepio è fatto in questo modo: si fabbrica nella chiesa un magnifico palco scenico rappresentante la campagna di Betlem, con i suoi appositi scenari, e le sue quinte. Gli attori sono statue di cera di grandezza naturale rappresentanti la Madonna, S. Giuseppe, i pastori, ed in lontananza molti episodi campestri. Due frati sono sempre là, per ricevere l’ elemosina da tutti coloro che si accostano a vedere lo spettacolo; e così i frati intascano ogni anno alcune migliaia di scudi col pretesto del S. Bambino.

Pedro

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 21:50. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com