Il potere delle chiavi
Enrico ad Eugenio
Roma, Marzo 1847.
Mio caro Eugenio,
La seconda lettera del Signor Manson mi ha cagionato un turbamento orribile. Sono pure alcuni anni da che dimoro in Roma, ma non sapeva nulla di tali cose (Nota 1 - Perchè i forestieri non conoscono Roma?). Le rivelazioni infernali uscite dalla bocca di que’ preti, per lo meno imprudenti, ma che non ho nessuna ragione per crederle false, mi fanno vedere che in Roma vi sono molti abusi intorno all’amministrazione delle cose ecclesiastiche, e che una riforma è necessaria.
Scoraggiato, abbattuto, oppresso da una folla di tristi pensieri, fuggiva ogni compagnia, e, nell’abbattimento del mio spirito, cercava un sollievo nella solitudine.
Un giorno, era una di quelle belle giornate di primavera, che non si veggono così belle che in Roma, dopo desinato, era andato a passeggiare, e, cercando luoghi solitari, mi era cacciato sotto gli archi a metà rovinati del Colosseo; e là, seduto sopra uno di que’ ruderi, me ne stava immerso nei miei tristi pensieri. Il luogo era molto solitario, e quelle rovine del più magnifico fra i monumenti dell’antica Roma, parlavano alla mia turbata immaginazione. "Ecco, io diceva a me stesso, questo anfiteatro, che era una delle meraviglie del mondo, è tutto in ruina; ma pure regge così da secoli, e reggerà ancora: così è la nostra religione: il tempo e la incuria degli uomini la hanno guastata alquanto; ma essa regge e reggerà ancora."
Mentre era in questi pensieri, sento un rumore di persone che si avvicinavano; mi volgo, e vedo quello che non avrei mai voluto vedere, cioè i tre miei amici. Essi nel riconoscermi mostrarono una grande allegrezza, ed io al contrario mi mostrai imbarazzato.
Essi si avvidero del mio turbamento, e mi dissero che se la loro presenza mi era dispiacevole mi avrebbero subito lasciato: ma che essi non credevano avermi dato alcun motivo di turbarmi così alla loro presenza.
"Io compatisco il Signor Abate, disse il Valdese: egli si è ingolfato in una discussione, dalla quale vede che non può uscirne vittorioso: egli la ha abbandonata un po’ bruscamente, e, vedendoci, crede che noi vogliamo riprenderla. No, Signor Abate, noi non vogliamo discutere per lo sciocco piacere di discutere, nè cerchiamo sopra voi una vittoria accademica che vi umilii: ogni discussione cristiana deve essere diretta alla sincera ricerca della verità. Se non volete più discutere, non saremo al certo noi quelli che vi forzeremo. Solo pongo davanti alla vostra coscienza questa riflessione. O voi siete persuaso di aver ragione, o siete persuaso avere il torto, o state in dubbio: nel primo caso, la vostra coscienza dovrebbe obbligarvi a continuare la discussione per illuminarci e farci conoscere il nostro torto; nel secondo caso, non dovreste restare nella Chiesa ove siete, nè dovreste più indossare un abito che sarebbe per voi un abito da maschera ed anche peggio; nel terzo caso, la coscienza dovrebbe obbligarvi a continuare la discussione fino a che non aveste annullati tutti i dubbi."
Io era veramente nel terzo caso, ma aveva vergogna di confessarlo; quindi prendendo una via di mezzo risposi, che io veramente era certissimo di aver la ragione dalla mia parte; ma che il metodo della discussione non mi poteva convenire: "Come volete che io risponda ai passi della Bibbia che voi citate, quando non volete ammettere la interpretazione della Chiesa?" (Nota 2 - Come i Protestanti interpretano la Bibbia).
" Ebbene, riprese egli, voglio accontentarvi: io ammetterò l’autorità della vostra Chiesa in questa discussione. Siete contento?"
Io non poteva comprendere come un Protestante, ed un Protestante come il Signor Pasquali, potesse farmi cotale concessione; perciò domandai che si spiegasse più chiaramente.
"Intendiamoci bene, rispose; io non ammetto nè posso ammettere l’autorità della Chiesa romana nelle cose da credersi: per ammetterla bisognerebbe che rinunciassi al senso comune, e ciò non posso fare: ma, per convincervi più facilmente di errore, in questa discussione scenderò, come suol dirsi, sul vostro terreno. Su que’ passi biblici che riguardano il primato del Papa ci varremo della interpretazione de’ così detti Padri, interpretandoli precisamente come vuole il concilio di Trento" (Nota 3 - Come la interpretano i Cattolici).
Il Signor Manson lo interruppe e disse, che neppure egli ammetteva interamente l’autorità della Chiesa romana; ma non perciò poteva capire che coloro che la ammettono debbano rinunciare al senso comune.
"Mio caro amico, rispose il Valdese, mi pare che ci voglia assai poco a comprendere quella cosa. Per ammettere l’autorità della Chiesa romana in materia di dottrina, bisogna ammettere quattro o cinque contraddizioni una più bella dell’altra: bisogna per esempio ammettere che la Bibbia è oscura ed inintelligibile, anche nelle cose che sono in essa più chiare che la luce del sole; mentre poi bisogna crederla chiara ed evidente nelle cose che nella Bibbia non vi sono neppure, anzi vi è il contrario, come sarebbe per esempio il primato del Papa. Bisogna ammettere che una riunione di uomini, ciascuno de’ quali è fallibile, formi una infallibilità: sarebbe lo stesso che dire che una riunione di zeri formano un numero infinito. Bisogna ammettere che un uomo fallibile e di natura sua soggetto all’errore, quando è eletto Papa, sia per intrigo, sia per denaro, sia per qualunque altro mezzo, diviene ipso facto infallibile; che le decisioni de’ concili, anche quando si contraddicono sono infallibili (Nota 4 - Concili e papi che si contradicono); che quando un Papa infallibile nega o distrugge quello che un altro Papa aveva affermato o edificato infallibilmente, tutti due sono infallibili. A tutto ciò aggiungete che mentre la Chiesa romana tiene per domma che la interpretazione della Bibbia non appartenga ai particolari, e rimprovera ai Protestanti d’interpretare la Bibbia senza autorità; pure non vi è in nessun altro ramo del Cristianesimo una così grande quantità d’interpreti e commentatori, quanti ve ne sono nella Chiesa romana, che se si raccogliessero tutti i loro libri, ve ne sarebbero per formare una grandissima biblioteca: e sono tante le sciocchezze, le impertinenze, le bestemmie che si trovano nei commentatori cattolici, i cui scritti non sono all’Indice, che provano che la Chiesa romana lascia a’ suoi commentatori la libera facoltà di travolgere il senso biblico, purchè non tocchino le sue dottrine favorite. Citerò un solo esempio di colui che è chiamato il massimo fra i dottori, S. Girolamo (Nota 5 - S. Girolamo accusa S. Paolo di doppiezza), il quale fra le altre cose accusa S. Paolo di artificio e di simulazione. Il Signor Abate ha troppo buon senso per non negare queste cose. Del resto non è questa la nostra questione: amerei, se il Signor Abate lo crede, riprendere, dove la lasciammo, la discussione sul primato, anche sotto il punto di vista de’ santi Padri."
Io che non mi trovava preparato a rispondere alle osservazioni del Valdese sull’autorità della Chiesa, tanto più che per rispondere a qualcuna di esse vi voleva una profonda cognizione della storia ecclesiastica, fui ben contento che tornasse alla questione del primato. Il luogo ove eravamo era solitario, ed era certo che nessuno ci avrebbe nè veduti nè turbati; quindi, sedutici sopra un’antica colonna rovesciata, riprendemmo la discussione.
Ti rammenterai che avevamo discusso il passo di S. Matteo Tu sei Pietro ec.; e che la nostra discussione fu interrotta per l’arrivo del Papa. Ebbene, io volli riprenderla dove la lasciammo. "Non crediate, dissi, che io mi dia per vinto: voi credete che le parole di Gesù Cristo e su questa pietra vogliano indicare che la pietra non è S. Pietro, ma Gesù Cristo: io all’opposto, con la generalità de’ Cattolici, penso che con quelle Gesù Cristo faceva allusione non a se stesso, ma a S. Pietro. Ma lasciammo per ora la questione della pietra: come potrete negare il primato di S. Pietro se considerate senza prevenzione le parole che sieguono: "Ed io ti darò le chiavi del regno de’ cieli; e tutto ciò che avrai legato in terra sarà legato ne’ cieli; e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto ne’ cieli?" Egli è fuor di dubbio, soggiunsi, che qui si dà a S. Pietro quel potere conosciuto sotto il nome di podestà delle chiavi, vale a dire il potere di governare e reggere la Chiesa di Gesù Cristo in luogo e vece di lui, che siede glorioso alla destra del Padre ne’ cieli. Al potere delle chiavi appartiene tutto quanto appartiene al regime della Chiesa; quindi il potere di assolvere dai peccati, e legare le anime con le censure; il potere di predicare non solo, ma di dare anche agli altri la legittima missione; il potere di giudicare definitivamente e con autorità tutte le controversie religiose, d’interpretare autoritativamente al Sacra Scrittura; in una parola, fare tutto quello che riguarda il reggimento della Chiesa. Il simbolo delle chiavi è il simbolo della autorità la più assoluta e la più illimitata: quando un sovrano assoluto prende possesso del suo regno, gli si presentano le chiavi in segno della sua assoluta e suprema potestà. Ricevendo dunque S. Pietro la promessa delle chiavi del regno de’ cieli, ha ricevuto la promessa di una podestà assoluta ed illimitata."
"Dio sia lodato! disse il Valdese, questo si chiama parlare; questo si chiama discutere da galantuomini, da Cristiani, senza ingiurie, senza sarcasmi: e così accade, perchè discutiamo in buona fede, e non cerchiamo che prevalga la nostra opinione, ma la verità (Nota 6 - Come deve essere la controversia cristiana). Nello stesso modo io spero potervi rispondere.
"Ammetto che le chiavi sieno il simbolo di un potere; ma non mi pare ch’esse sieno il simbolo di un potere supremo ed indipendente. Voi avete citato l’esempio di un sovrano assoluto che prende il possesso del regno toccando le chiavi; ma a me pare che un tale esempio non possa applicarsi al caso nostro. Quando un sovrano assoluto, come il Papa in Roma, per esempio, prende il possesso, il magistrato della capitale gli presenta le chiavi; ma: primo, non è quell’atto che dà il regno al sovrano; egli già lo ha: secondo, con quell’atto colui che dà le chiavi non dà il potere; ma lo riconosce: terzo, quell’atto indica la sommessione di colui che dà le chiavi a colui che le riceve. Voi non avete pensato a tali cose, altrimenti non avreste citato quell’esempio. Non è dunque in questo senso che Gesù Cristo promise di dare le chiavi a S. Pietro.
"Innoltre, le chiavi sono simbolo di potere, ma non supremo. Alle volte indicano un potere subordinato e di semplice uso: così per esempio il padrone di una casa dà le chiavi di essa all’inquilino nell’atto del contratto. Altre volte indicano un potere subordinato e ministeriale: così il padrone dà le chiavi al maestro di casa per indicare un certo potere ministeriale subordinato al padrone. Ma in quel senso Gesù promise le chiavi a S. Pietro? Non lo determiniamo noi con le nostre supposizioni, perchè potremmo sbagliare: vediamo se nel Vangelo è determinato.
"Gesù Cristo stesso determina questo potere, il quale non consiste nell’essere monarca della Chiesa; ma il simbolo delle chiavi non significa altro che il potere di sciogliere e di legare: ecco che Gesù medesimo nel promettere cotesto potere, ne determina la natura e la estensione: quindi non è lecito a nessuno di cambiarne la natura, o di accrescerne la estensione. Ma cotesto potere simboleggiato nelle chiavi non fu promesso al solo Pietro; ma a tutti i fedeli rappresentati allora da Pietro."
Questa strana idea del buon Valdese mi fece sorridere: io credeva che scherzasse, il Signor Manson era della stessa mia opinione; ma il Pasquali, in grande serietà, cavando fuori di tasca la sua Bibbia, "Con la Parola di Dio, disse, non si scherza: la mia proposizione potrà essere contraria alle tradizioni degli uomini; ma essa è secondo la Parola di Dio.
"La interpretazione tradizionale di alcuni passi della Bibbia si è talmente immedesimata nel Cristianesimo, che Cristiani eminenti sono tratti in errore per seguirla. Rammentiamo che la Bibbia non è stata scritta pe’ teologi, ma per tutti; e che la intendono meglio coloro che vanno ad essa con mente scevra di pregiudizi e con cuore semplice, cercando in essa la volontà di Dio. Se volete la spiegazione del potere delle chiavi, leggete nel capo XVIII di S. Matteo ver. 18: "Io vi dico in verità, che tutte le cose che voi avrete legate sopra la terra saranno legate nel cielo, e tutte le cose che avrete sciolto sopra la terra saranno sciolte nel cielo." La interpretazione tradizionale dice che quelle parole furono dirette agli Apostoli; ma il Vangelo dice che esse furono dirette ai discepoli: e voi sapete che i discepoli sono tutti i cristiani, non i soli Apostoli (Nota 7 - Differenza fra Apostoli e discepoli).
"Le parole del capo XVI e del capo XVIII di S. Matteo contengono una promessa: la spiegazione chiara di cotesta promessa la dà Gesù Cristo stesso quando la promessa fu realizzata. Ma quando lo fu? Dopo la resurrezione, ed avanti l’ascensione, quando Gesù disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo; a cui voi avrete rimessi i peccati, saran rimessi, ed a cui gli avrete ritenuti, saran ritenuti" (Giov. XX, 22, 23). Che con queste parole il Signore realizzasse quella promessa, non potete negarlo, perchè lo dice anche il concilio di Trento. Da questo fatto due sono le conseguenze che ne discendono: la prima che il potere delle chiavi consiste soltanto nel potere di sciogliere e di legare; la seconda che quel potere non fu dato al solo Pietro, nè ai soli Apostoli, ma a tutti i discepoli che erano colà congregati.
"Queste non sono sottigliezze teologiche nè interpretazioni, ma è il senso chiaro e semplice della Parola: a chi difatti il Signore diede quella facoltà? A coloro che erano lì congregati? Ma chi erano i congregati? Degli Apostoli non ve ne erano che dieci; ma vi erano però i discepoli. Difatti se voi confrontate il capo XX di S. Giovanni col capo XXIV di S. Luca, vedrete che Gesù diede ai suoi discepoli la facoltà di rimettere i peccati la sera del giorno di sua resurrezione, quando i due discepoli, tornati da Emaus a Gerusalemme, trovarono raunati "gli undici, e quelli ch’eran con loro" (Luc. XXIV, 33). La podestà dunque delle chiavi non fu data al solo Pietro, come vuol Roma; non ai soli Apostoli, come vogliono altri; ma a tutti i discepoli: questa podestà dunque non solo non istabilisce il primato di Pietro, che anzi lo annulla."
"Ma, e che diviene allora, disse il Signor Manson, la successione apostolica?"
"Diviene, rispose il Valdese, quello che deve divenire: gli Apostoli, come Apostoli, non possono avere successori; come discepoli, hanno per successori tutti i veri fedeli i quali ritengono la medesima fede ch’essi ritenevano."
"E la podestà della Chiesa che si trasmette per la successione?" domandò il Signor Manson.
"Nella Bibbia non vi è neppure una parola di questa podestà trasmessa per successione, rispose il Pasquali. La podestà della Chiesa ha la sua sorgente nel suo unico capo che è Gesù Cristo: la Chiesa è il corpo di lui; i Cristiani, ossia i discepoli, sono membri di questo corpo, di cui Gesù Cristo è la testa: quindi l’autorità della Chiesa non è che l’autorità di Gesù Cristo capo, comunicata da lui al suo corpo, inquanto il corpo è unito a lui…"
"Secondo questa vostra idea, interruppi, ogni Cristiano avrebbe il potere delle chiavi: non vi sarebbe più distinzione di Vescovi, di preti e di laici; non vi sarebbe più gerarchia: ogni donnetta avrebbe il potere di rimettere i peccati, e la Chiesa non sarebbe più una società bene ordinata, ma sarebbe una orribile anarchia. Iddio è Iddio d’ordine non di confusione, dice S. Paolo; ed io non potrei mai concepire una Chiesa come voi la immaginate."
Non solo il Signor Manson, ma anche il Signor Sweeteman convenivano con me: ma il Valdese ci fece osservare che già ci eravamo alquanto allontanati dal nostro tema sul primato del Papa; che, se continuavano, saremmo entrati a discutere sulla natura della Chiesa. Ci pregò di tenere a memoria la nostra obbiezione alla quale avrebbe risposto quando avremmo discusso sulla Chiesa (Nota 8 - Cosa è la Chiesa?): "Rispondendo ora, disse, questa risposta ci porterebbe fuori del nostro tema."
Io allora gli feci osservare ch’egli non mi aveva mantenuta la sua parola di discutere secondo i principi della Chiesa romana, come mi aveva promesso: ed egli trasse di tasca un quaderno, nel quale erano scritti alcuni passi di santi Padri. "Ebbene, disse, eccomi pronto a mantenere la mia parola. Il concilio di Trento nella sua quarta sessione ordina che la Bibbia sia interpretata secondo l’unanime consenso de’ Padri: vediamo dunque qual’è la interpretazione che i Padri dànno al passo da voi citato per provare la podestà delle chiavi.
"Origene (Homel. 12 in Matt. N. 11.) spiega quel passo così: "Forsechè al solo Pietro sono state date dal Signore le chiavi del regno dei cieli, e gli altri eletti non le riceveranno? Che se queste parole: Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli sono comuni agli altri, perchè non lo saranno egualmente quelle che precedono, e quelle che sieguono, sebbene sembrino dirette al solo Pietro?" Vedete che Origene intendeva quel passo come un Protestante; vale a dire, egli credeva che la podestà delle chiavi fosse stata data da Gesù Cristo a tutti gli eletti, cioè a tutti i Cristiani, e non credeva ch’essa fosse un privilegio esclusivo del solo S. Pietro. S. Girolamo (Advers. Iovin., lib. 1.) dice: "Voi direte che la Chiesa è fondata su Pietro; ma noi leggiamo ch’essa è fondata su tutti gli Apostoli ugualmente; e ciscuno di essi ha ricevute le chiavi del regno dei cieli." Anche S. Girolamo esclude il privilegio di S. Pietro sulle chiavi. S. Ambrogio (In Psalm. XXXVIII.) asserisce che "quello che è stato detto a Pietro, è stato detto anche agli altri Apostoli: Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli." S. Gaudenzio (Orat. XVI. in die suae ordin.) afferma che "tutti gli Apostoli, dopo la risurrezione di Gesù Cristo, riceverono con Pietro le chiavi del regno de’ cieli, quando il Signore disse loro: Ricevete lo Spirito Santo." S. Agostino (De Agone cristiano, cap. 30: serm. 159 de verbis Domini: serm. 295 in natal. Apost.) in più luoghi dichiara che S. Pietro rappresentava la Chiesa; quindi alla Chiesa in lui, e non personalmente a lui, furono date le chiavi del regno de’ cieli.
Per non dilungarmi troppo, caro Eugenio, ti dirò che il Valdese citò molti e molti passi de’ Padri che parlavano nello stesso senso: e, quando credè che bastasse, riponendo in tasca il suo quaderno, si volse a me e mi disse: "Cosa ve ne pare, Signor Abate? O questi Padri sono eretici come me, o io sono cristiano come loro: in ogni modo sono in buona compagnia." Poi, rivoltosi al Signor Manson, "L’antichità cristiana, gli disse, bisogna studiarla alla sorgente; e non già ne’ libri di coloro che hanno scritto per trovare nell’antichità un appoggio ai loro errori?" (Nota 9 - Studio delle antichità ecclesiastiche).
Preso così alla sprovvista, io non poteva rispondere all’istante a tutti que’ passi de’ Padri: bisognava che li riscontrassi, e che vedessi come vi rispondono i grandi teologi. Presi nota di tutti que’ passi, e promisi di rispondere e di portare a mia volta almeno altrettanti passi de’ Padri che dicessero il contrario. Ma il signor Pasquali, prendendo un tuono più serio, mi disse: "Qui vi aspettava, signor Abate. Ecco quanto è solida la famosa regola del vostro concilio di Trento, d’interpretare la Bibbia secondo il consenso dei Padri! I Padri possono dunque servire per sostenere il pro ed il contra di ogni dottrina, possono servire ad interpretare un passo della Bibbia in due sensi diametralmente opposti. Dovete dunque confessare che la regola d’interpretazione data dal concilio di Trento è falsa ed illusoria: falsa, perchè non può mai condurre ad una vera interpretazione; illusoria, perchè mentre credete avere una sicura regola d’interpretazione, vi trovate nella necessità di ricorrere ad un’altra regola, cioè al Papa, e così rinunciare a qualunque interpretazione. Torniamo dunque puramente e semplicemente all’unica fonte sicura, all’unico giudice di ogni controversia di fede, alla sola, alla pura Parola di Dio; e lasciamo al suo luogo una antichità contradittoria, la quale, se può servirci a far vana pompa di erudizione, non ci servirà mai nè per la dimostrazione de’ dommi nè per la edificazione."
Intanto incominciava a farsi notte: io era invitato a passare la sera da Monsig. C. già nunzio in Svizzera, a cui era stato raccomandato, doveva andare in casa per prendere il mio abito corto (Nota 10 - Abito de' preti); perciò cercai di prender congedo; ma i miei amici mi dissero che erano anch’essi invitati, che potevamo andare insieme, e che passando avanti il convento ove io abitava, mi avrebbero atteso fino a che mi fossi cambiati gli abiti. Così andammo insieme.
Per istrada domandai al Signor Manson chi fosse quel Parroco di cui mi aveva parlato nelle sue lettere. "È il Parroco di S. Maria Maddalena, mi disse: "egli è un uomo che sembra istruito, che è stato professore di teologia, ed è censore emerito dell’accademia teologica nell’Archiginnasio romano, e teologo dell’Inquisizione: ma pare, aggiunse, che non sia molto affezionato alla Chiesa romana." Mostrai desiderio di conoscerlo da vicino, ed essi mi diedero appuntamento per la mattina seguente, e mi promisero di presentarmi a lui.
Quello che vidi in quella orribile serata che passai presso Monsignor C., quello che appresi nella mattina seguente, sono cose che mi hanno sconcertato assai più che tutte le discussioni col Valdese: ma il foglio è finito, e nella prossima lettera t’informerò di tutto. Addio.
Il tuo
ENRICO.
Pedro