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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Roma Papale

Ultimo Aggiornamento: 28/02/2011 18:20
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28/02/2011 18:15
 
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Lettera decima
Il potere delle chiavi
Enrico ad Eugenio

Roma, Marzo 1847.


Mio caro Eugenio,
La seconda lettera del Signor Manson mi ha cagionato un turbamento orribile. Sono pure alcuni anni da che dimoro in Roma, ma non sapeva nulla di tali cose (Nota 1 - Perchè i forestieri non conoscono Roma?). Le rivelazioni infernali uscite dalla bocca di que’ preti, per lo meno imprudenti, ma che non ho nessuna ragione per crederle false, mi fanno vedere che in Roma vi sono molti abusi intorno all’amministrazione delle cose ecclesiastiche, e che una riforma è necessaria.

Scoraggiato, abbattuto, oppresso da una folla di tristi pensieri, fuggiva ogni compagnia, e, nell’abbattimento del mio spirito, cercava un sollievo nella solitudine.

Un giorno, era una di quelle belle giornate di primavera, che non si veggono così belle che in Roma, dopo desinato, era andato a passeggiare, e, cercando luoghi solitari, mi era cacciato sotto gli archi a metà rovinati del Colosseo; e là, seduto sopra uno di que’ ruderi, me ne stava immerso nei miei tristi pensieri. Il luogo era molto solitario, e quelle rovine del più magnifico fra i monumenti dell’antica Roma, parlavano alla mia turbata immaginazione. "Ecco, io diceva a me stesso, questo anfiteatro, che era una delle meraviglie del mondo, è tutto in ruina; ma pure regge così da secoli, e reggerà ancora: così è la nostra religione: il tempo e la incuria degli uomini la hanno guastata alquanto; ma essa regge e reggerà ancora."

Mentre era in questi pensieri, sento un rumore di persone che si avvicinavano; mi volgo, e vedo quello che non avrei mai voluto vedere, cioè i tre miei amici. Essi nel riconoscermi mostrarono una grande allegrezza, ed io al contrario mi mostrai imbarazzato.

Essi si avvidero del mio turbamento, e mi dissero che se la loro presenza mi era dispiacevole mi avrebbero subito lasciato: ma che essi non credevano avermi dato alcun motivo di turbarmi così alla loro presenza.

"Io compatisco il Signor Abate, disse il Valdese: egli si è ingolfato in una discussione, dalla quale vede che non può uscirne vittorioso: egli la ha abbandonata un po’ bruscamente, e, vedendoci, crede che noi vogliamo riprenderla. No, Signor Abate, noi non vogliamo discutere per lo sciocco piacere di discutere, nè cerchiamo sopra voi una vittoria accademica che vi umilii: ogni discussione cristiana deve essere diretta alla sincera ricerca della verità. Se non volete più discutere, non saremo al certo noi quelli che vi forzeremo. Solo pongo davanti alla vostra coscienza questa riflessione. O voi siete persuaso di aver ragione, o siete persuaso avere il torto, o state in dubbio: nel primo caso, la vostra coscienza dovrebbe obbligarvi a continuare la discussione per illuminarci e farci conoscere il nostro torto; nel secondo caso, non dovreste restare nella Chiesa ove siete, nè dovreste più indossare un abito che sarebbe per voi un abito da maschera ed anche peggio; nel terzo caso, la coscienza dovrebbe obbligarvi a continuare la discussione fino a che non aveste annullati tutti i dubbi."

Io era veramente nel terzo caso, ma aveva vergogna di confessarlo; quindi prendendo una via di mezzo risposi, che io veramente era certissimo di aver la ragione dalla mia parte; ma che il metodo della discussione non mi poteva convenire: "Come volete che io risponda ai passi della Bibbia che voi citate, quando non volete ammettere la interpretazione della Chiesa?" (Nota 2 - Come i Protestanti interpretano la Bibbia).

" Ebbene, riprese egli, voglio accontentarvi: io ammetterò l’autorità della vostra Chiesa in questa discussione. Siete contento?"

Io non poteva comprendere come un Protestante, ed un Protestante come il Signor Pasquali, potesse farmi cotale concessione; perciò domandai che si spiegasse più chiaramente.

"Intendiamoci bene, rispose; io non ammetto nè posso ammettere l’autorità della Chiesa romana nelle cose da credersi: per ammetterla bisognerebbe che rinunciassi al senso comune, e ciò non posso fare: ma, per convincervi più facilmente di errore, in questa discussione scenderò, come suol dirsi, sul vostro terreno. Su que’ passi biblici che riguardano il primato del Papa ci varremo della interpretazione de’ così detti Padri, interpretandoli precisamente come vuole il concilio di Trento" (Nota 3 - Come la interpretano i Cattolici).

Il Signor Manson lo interruppe e disse, che neppure egli ammetteva interamente l’autorità della Chiesa romana; ma non perciò poteva capire che coloro che la ammettono debbano rinunciare al senso comune.

"Mio caro amico, rispose il Valdese, mi pare che ci voglia assai poco a comprendere quella cosa. Per ammettere l’autorità della Chiesa romana in materia di dottrina, bisogna ammettere quattro o cinque contraddizioni una più bella dell’altra: bisogna per esempio ammettere che la Bibbia è oscura ed inintelligibile, anche nelle cose che sono in essa più chiare che la luce del sole; mentre poi bisogna crederla chiara ed evidente nelle cose che nella Bibbia non vi sono neppure, anzi vi è il contrario, come sarebbe per esempio il primato del Papa. Bisogna ammettere che una riunione di uomini, ciascuno de’ quali è fallibile, formi una infallibilità: sarebbe lo stesso che dire che una riunione di zeri formano un numero infinito. Bisogna ammettere che un uomo fallibile e di natura sua soggetto all’errore, quando è eletto Papa, sia per intrigo, sia per denaro, sia per qualunque altro mezzo, diviene ipso facto infallibile; che le decisioni de’ concili, anche quando si contraddicono sono infallibili (Nota 4 - Concili e papi che si contradicono); che quando un Papa infallibile nega o distrugge quello che un altro Papa aveva affermato o edificato infallibilmente, tutti due sono infallibili. A tutto ciò aggiungete che mentre la Chiesa romana tiene per domma che la interpretazione della Bibbia non appartenga ai particolari, e rimprovera ai Protestanti d’interpretare la Bibbia senza autorità; pure non vi è in nessun altro ramo del Cristianesimo una così grande quantità d’interpreti e commentatori, quanti ve ne sono nella Chiesa romana, che se si raccogliessero tutti i loro libri, ve ne sarebbero per formare una grandissima biblioteca: e sono tante le sciocchezze, le impertinenze, le bestemmie che si trovano nei commentatori cattolici, i cui scritti non sono all’Indice, che provano che la Chiesa romana lascia a’ suoi commentatori la libera facoltà di travolgere il senso biblico, purchè non tocchino le sue dottrine favorite. Citerò un solo esempio di colui che è chiamato il massimo fra i dottori, S. Girolamo (Nota 5 - S. Girolamo accusa S. Paolo di doppiezza), il quale fra le altre cose accusa S. Paolo di artificio e di simulazione. Il Signor Abate ha troppo buon senso per non negare queste cose. Del resto non è questa la nostra questione: amerei, se il Signor Abate lo crede, riprendere, dove la lasciammo, la discussione sul primato, anche sotto il punto di vista de’ santi Padri."

Io che non mi trovava preparato a rispondere alle osservazioni del Valdese sull’autorità della Chiesa, tanto più che per rispondere a qualcuna di esse vi voleva una profonda cognizione della storia ecclesiastica, fui ben contento che tornasse alla questione del primato. Il luogo ove eravamo era solitario, ed era certo che nessuno ci avrebbe nè veduti nè turbati; quindi, sedutici sopra un’antica colonna rovesciata, riprendemmo la discussione.

Ti rammenterai che avevamo discusso il passo di S. Matteo Tu sei Pietro ec.; e che la nostra discussione fu interrotta per l’arrivo del Papa. Ebbene, io volli riprenderla dove la lasciammo. "Non crediate, dissi, che io mi dia per vinto: voi credete che le parole di Gesù Cristo e su questa pietra vogliano indicare che la pietra non è S. Pietro, ma Gesù Cristo: io all’opposto, con la generalità de’ Cattolici, penso che con quelle Gesù Cristo faceva allusione non a se stesso, ma a S. Pietro. Ma lasciammo per ora la questione della pietra: come potrete negare il primato di S. Pietro se considerate senza prevenzione le parole che sieguono: "Ed io ti darò le chiavi del regno de’ cieli; e tutto ciò che avrai legato in terra sarà legato ne’ cieli; e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto ne’ cieli?" Egli è fuor di dubbio, soggiunsi, che qui si dà a S. Pietro quel potere conosciuto sotto il nome di podestà delle chiavi, vale a dire il potere di governare e reggere la Chiesa di Gesù Cristo in luogo e vece di lui, che siede glorioso alla destra del Padre ne’ cieli. Al potere delle chiavi appartiene tutto quanto appartiene al regime della Chiesa; quindi il potere di assolvere dai peccati, e legare le anime con le censure; il potere di predicare non solo, ma di dare anche agli altri la legittima missione; il potere di giudicare definitivamente e con autorità tutte le controversie religiose, d’interpretare autoritativamente al Sacra Scrittura; in una parola, fare tutto quello che riguarda il reggimento della Chiesa. Il simbolo delle chiavi è il simbolo della autorità la più assoluta e la più illimitata: quando un sovrano assoluto prende possesso del suo regno, gli si presentano le chiavi in segno della sua assoluta e suprema potestà. Ricevendo dunque S. Pietro la promessa delle chiavi del regno de’ cieli, ha ricevuto la promessa di una podestà assoluta ed illimitata."

"Dio sia lodato! disse il Valdese, questo si chiama parlare; questo si chiama discutere da galantuomini, da Cristiani, senza ingiurie, senza sarcasmi: e così accade, perchè discutiamo in buona fede, e non cerchiamo che prevalga la nostra opinione, ma la verità (Nota 6 - Come deve essere la controversia cristiana). Nello stesso modo io spero potervi rispondere.

"Ammetto che le chiavi sieno il simbolo di un potere; ma non mi pare ch’esse sieno il simbolo di un potere supremo ed indipendente. Voi avete citato l’esempio di un sovrano assoluto che prende il possesso del regno toccando le chiavi; ma a me pare che un tale esempio non possa applicarsi al caso nostro. Quando un sovrano assoluto, come il Papa in Roma, per esempio, prende il possesso, il magistrato della capitale gli presenta le chiavi; ma: primo, non è quell’atto che dà il regno al sovrano; egli già lo ha: secondo, con quell’atto colui che dà le chiavi non dà il potere; ma lo riconosce: terzo, quell’atto indica la sommessione di colui che dà le chiavi a colui che le riceve. Voi non avete pensato a tali cose, altrimenti non avreste citato quell’esempio. Non è dunque in questo senso che Gesù Cristo promise di dare le chiavi a S. Pietro.

"Innoltre, le chiavi sono simbolo di potere, ma non supremo. Alle volte indicano un potere subordinato e di semplice uso: così per esempio il padrone di una casa dà le chiavi di essa all’inquilino nell’atto del contratto. Altre volte indicano un potere subordinato e ministeriale: così il padrone dà le chiavi al maestro di casa per indicare un certo potere ministeriale subordinato al padrone. Ma in quel senso Gesù promise le chiavi a S. Pietro? Non lo determiniamo noi con le nostre supposizioni, perchè potremmo sbagliare: vediamo se nel Vangelo è determinato.

"Gesù Cristo stesso determina questo potere, il quale non consiste nell’essere monarca della Chiesa; ma il simbolo delle chiavi non significa altro che il potere di sciogliere e di legare: ecco che Gesù medesimo nel promettere cotesto potere, ne determina la natura e la estensione: quindi non è lecito a nessuno di cambiarne la natura, o di accrescerne la estensione. Ma cotesto potere simboleggiato nelle chiavi non fu promesso al solo Pietro; ma a tutti i fedeli rappresentati allora da Pietro."

Questa strana idea del buon Valdese mi fece sorridere: io credeva che scherzasse, il Signor Manson era della stessa mia opinione; ma il Pasquali, in grande serietà, cavando fuori di tasca la sua Bibbia, "Con la Parola di Dio, disse, non si scherza: la mia proposizione potrà essere contraria alle tradizioni degli uomini; ma essa è secondo la Parola di Dio.

"La interpretazione tradizionale di alcuni passi della Bibbia si è talmente immedesimata nel Cristianesimo, che Cristiani eminenti sono tratti in errore per seguirla. Rammentiamo che la Bibbia non è stata scritta pe’ teologi, ma per tutti; e che la intendono meglio coloro che vanno ad essa con mente scevra di pregiudizi e con cuore semplice, cercando in essa la volontà di Dio. Se volete la spiegazione del potere delle chiavi, leggete nel capo XVIII di S. Matteo ver. 18: "Io vi dico in verità, che tutte le cose che voi avrete legate sopra la terra saranno legate nel cielo, e tutte le cose che avrete sciolto sopra la terra saranno sciolte nel cielo." La interpretazione tradizionale dice che quelle parole furono dirette agli Apostoli; ma il Vangelo dice che esse furono dirette ai discepoli: e voi sapete che i discepoli sono tutti i cristiani, non i soli Apostoli (Nota 7 - Differenza fra Apostoli e discepoli).

"Le parole del capo XVI e del capo XVIII di S. Matteo contengono una promessa: la spiegazione chiara di cotesta promessa la dà Gesù Cristo stesso quando la promessa fu realizzata. Ma quando lo fu? Dopo la resurrezione, ed avanti l’ascensione, quando Gesù disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo; a cui voi avrete rimessi i peccati, saran rimessi, ed a cui gli avrete ritenuti, saran ritenuti" (Giov. XX, 22, 23). Che con queste parole il Signore realizzasse quella promessa, non potete negarlo, perchè lo dice anche il concilio di Trento. Da questo fatto due sono le conseguenze che ne discendono: la prima che il potere delle chiavi consiste soltanto nel potere di sciogliere e di legare; la seconda che quel potere non fu dato al solo Pietro, nè ai soli Apostoli, ma a tutti i discepoli che erano colà congregati.

"Queste non sono sottigliezze teologiche nè interpretazioni, ma è il senso chiaro e semplice della Parola: a chi difatti il Signore diede quella facoltà? A coloro che erano lì congregati? Ma chi erano i congregati? Degli Apostoli non ve ne erano che dieci; ma vi erano però i discepoli. Difatti se voi confrontate il capo XX di S. Giovanni col capo XXIV di S. Luca, vedrete che Gesù diede ai suoi discepoli la facoltà di rimettere i peccati la sera del giorno di sua resurrezione, quando i due discepoli, tornati da Emaus a Gerusalemme, trovarono raunati "gli undici, e quelli ch’eran con loro" (Luc. XXIV, 33). La podestà dunque delle chiavi non fu data al solo Pietro, come vuol Roma; non ai soli Apostoli, come vogliono altri; ma a tutti i discepoli: questa podestà dunque non solo non istabilisce il primato di Pietro, che anzi lo annulla."

"Ma, e che diviene allora, disse il Signor Manson, la successione apostolica?"

"Diviene, rispose il Valdese, quello che deve divenire: gli Apostoli, come Apostoli, non possono avere successori; come discepoli, hanno per successori tutti i veri fedeli i quali ritengono la medesima fede ch’essi ritenevano."

"E la podestà della Chiesa che si trasmette per la successione?" domandò il Signor Manson.

"Nella Bibbia non vi è neppure una parola di questa podestà trasmessa per successione, rispose il Pasquali. La podestà della Chiesa ha la sua sorgente nel suo unico capo che è Gesù Cristo: la Chiesa è il corpo di lui; i Cristiani, ossia i discepoli, sono membri di questo corpo, di cui Gesù Cristo è la testa: quindi l’autorità della Chiesa non è che l’autorità di Gesù Cristo capo, comunicata da lui al suo corpo, inquanto il corpo è unito a lui…"

"Secondo questa vostra idea, interruppi, ogni Cristiano avrebbe il potere delle chiavi: non vi sarebbe più distinzione di Vescovi, di preti e di laici; non vi sarebbe più gerarchia: ogni donnetta avrebbe il potere di rimettere i peccati, e la Chiesa non sarebbe più una società bene ordinata, ma sarebbe una orribile anarchia. Iddio è Iddio d’ordine non di confusione, dice S. Paolo; ed io non potrei mai concepire una Chiesa come voi la immaginate."

Non solo il Signor Manson, ma anche il Signor Sweeteman convenivano con me: ma il Valdese ci fece osservare che già ci eravamo alquanto allontanati dal nostro tema sul primato del Papa; che, se continuavano, saremmo entrati a discutere sulla natura della Chiesa. Ci pregò di tenere a memoria la nostra obbiezione alla quale avrebbe risposto quando avremmo discusso sulla Chiesa (Nota 8 - Cosa è la Chiesa?): "Rispondendo ora, disse, questa risposta ci porterebbe fuori del nostro tema."

Io allora gli feci osservare ch’egli non mi aveva mantenuta la sua parola di discutere secondo i principi della Chiesa romana, come mi aveva promesso: ed egli trasse di tasca un quaderno, nel quale erano scritti alcuni passi di santi Padri. "Ebbene, disse, eccomi pronto a mantenere la mia parola. Il concilio di Trento nella sua quarta sessione ordina che la Bibbia sia interpretata secondo l’unanime consenso de’ Padri: vediamo dunque qual’è la interpretazione che i Padri dànno al passo da voi citato per provare la podestà delle chiavi.

"Origene (Homel. 12 in Matt. N. 11.) spiega quel passo così: "Forsechè al solo Pietro sono state date dal Signore le chiavi del regno dei cieli, e gli altri eletti non le riceveranno? Che se queste parole: Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli sono comuni agli altri, perchè non lo saranno egualmente quelle che precedono, e quelle che sieguono, sebbene sembrino dirette al solo Pietro?" Vedete che Origene intendeva quel passo come un Protestante; vale a dire, egli credeva che la podestà delle chiavi fosse stata data da Gesù Cristo a tutti gli eletti, cioè a tutti i Cristiani, e non credeva ch’essa fosse un privilegio esclusivo del solo S. Pietro. S. Girolamo (Advers. Iovin., lib. 1.) dice: "Voi direte che la Chiesa è fondata su Pietro; ma noi leggiamo ch’essa è fondata su tutti gli Apostoli ugualmente; e ciscuno di essi ha ricevute le chiavi del regno dei cieli." Anche S. Girolamo esclude il privilegio di S. Pietro sulle chiavi. S. Ambrogio (In Psalm. XXXVIII.) asserisce che "quello che è stato detto a Pietro, è stato detto anche agli altri Apostoli: Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli." S. Gaudenzio (Orat. XVI. in die suae ordin.) afferma che "tutti gli Apostoli, dopo la risurrezione di Gesù Cristo, riceverono con Pietro le chiavi del regno de’ cieli, quando il Signore disse loro: Ricevete lo Spirito Santo." S. Agostino (De Agone cristiano, cap. 30: serm. 159 de verbis Domini: serm. 295 in natal. Apost.) in più luoghi dichiara che S. Pietro rappresentava la Chiesa; quindi alla Chiesa in lui, e non personalmente a lui, furono date le chiavi del regno de’ cieli.

Per non dilungarmi troppo, caro Eugenio, ti dirò che il Valdese citò molti e molti passi de’ Padri che parlavano nello stesso senso: e, quando credè che bastasse, riponendo in tasca il suo quaderno, si volse a me e mi disse: "Cosa ve ne pare, Signor Abate? O questi Padri sono eretici come me, o io sono cristiano come loro: in ogni modo sono in buona compagnia." Poi, rivoltosi al Signor Manson, "L’antichità cristiana, gli disse, bisogna studiarla alla sorgente; e non già ne’ libri di coloro che hanno scritto per trovare nell’antichità un appoggio ai loro errori?" (Nota 9 - Studio delle antichità ecclesiastiche).

Preso così alla sprovvista, io non poteva rispondere all’istante a tutti que’ passi de’ Padri: bisognava che li riscontrassi, e che vedessi come vi rispondono i grandi teologi. Presi nota di tutti que’ passi, e promisi di rispondere e di portare a mia volta almeno altrettanti passi de’ Padri che dicessero il contrario. Ma il signor Pasquali, prendendo un tuono più serio, mi disse: "Qui vi aspettava, signor Abate. Ecco quanto è solida la famosa regola del vostro concilio di Trento, d’interpretare la Bibbia secondo il consenso dei Padri! I Padri possono dunque servire per sostenere il pro ed il contra di ogni dottrina, possono servire ad interpretare un passo della Bibbia in due sensi diametralmente opposti. Dovete dunque confessare che la regola d’interpretazione data dal concilio di Trento è falsa ed illusoria: falsa, perchè non può mai condurre ad una vera interpretazione; illusoria, perchè mentre credete avere una sicura regola d’interpretazione, vi trovate nella necessità di ricorrere ad un’altra regola, cioè al Papa, e così rinunciare a qualunque interpretazione. Torniamo dunque puramente e semplicemente all’unica fonte sicura, all’unico giudice di ogni controversia di fede, alla sola, alla pura Parola di Dio; e lasciamo al suo luogo una antichità contradittoria, la quale, se può servirci a far vana pompa di erudizione, non ci servirà mai nè per la dimostrazione de’ dommi nè per la edificazione."

Intanto incominciava a farsi notte: io era invitato a passare la sera da Monsig. C. già nunzio in Svizzera, a cui era stato raccomandato, doveva andare in casa per prendere il mio abito corto (Nota 10 - Abito de' preti); perciò cercai di prender congedo; ma i miei amici mi dissero che erano anch’essi invitati, che potevamo andare insieme, e che passando avanti il convento ove io abitava, mi avrebbero atteso fino a che mi fossi cambiati gli abiti. Così andammo insieme.

Per istrada domandai al Signor Manson chi fosse quel Parroco di cui mi aveva parlato nelle sue lettere. "È il Parroco di S. Maria Maddalena, mi disse: "egli è un uomo che sembra istruito, che è stato professore di teologia, ed è censore emerito dell’accademia teologica nell’Archiginnasio romano, e teologo dell’Inquisizione: ma pare, aggiunse, che non sia molto affezionato alla Chiesa romana." Mostrai desiderio di conoscerlo da vicino, ed essi mi diedero appuntamento per la mattina seguente, e mi promisero di presentarmi a lui.

Quello che vidi in quella orribile serata che passai presso Monsignor C., quello che appresi nella mattina seguente, sono cose che mi hanno sconcertato assai più che tutte le discussioni col Valdese: ma il foglio è finito, e nella prossima lettera t’informerò di tutto. Addio.

Il tuo

ENRICO.
Pedro

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Perchè i forestieri non conoscono Roma?
Nota 1. alla lettera decima di Roma Papale 1882

Come mai il nostro Enrico, che da tre anni era in Roma, non sapeva nulla di cotali cose? Vi sono de' forestieri che, per aver dimorato alcuni mesi in Roma, credono aver conosciuta la Curia romana, e tornati ai loro paesi scrivono ne' giornali e pubblicano libri su Roma ecclesiastica, che, se sono accolti con plauso da' loro compatrioti, fanno sorridere di compassione coloro che conoscono Roma tale quale essa è. Chi scrive questo libro è nato in Roma, in Roma è stato educato nella carriera ecclesiastica, ha occupato in Roma posti che gli hanno dato occasione di conoscere i segreti della Curia; li ha studiati con attenzione; eppure non si vanta di conoscere tutti i misteri di essa: e ciò non già per modestia; ma perchè è impossibile ad un uomo conoscere profondamente ed interamente quel mistero d'iniquità.

Quando i forestieri vanno in Roma con intenzione di conoscere la Curia, si dirigono a qualche cardinale o prelato, il quale li raccomanda a qualche prete o Gesuita, che fa loro vedere quello che vuole, che spiega loro le cose nella maniera la più favorevole agl'interessi di Roma. Il forestiere specialmente se è inglese, non sospetta neppure che il suo tensurato Cicerone possa mentire; ed ingoia tutte quelle spiegazioni come ottima merce, e tornato al suo paese le pubblica come testimonio di vista; ed è talmente persuaso della verità de' suoi racconti, che taccia di esagerazione e forse anche di menzogna l'autore di questo libro o altri che usciti dalla Chiesa romana parlano per propria esperienza.

Quando lo scaltro de Potter volle studiar Roma sotto il punto di vista storico, e volle raccogliere documenti storici per comporre la sua storia del Cristianesimo sotto il punto di vista del razionalismo; si finse un eccellente Cattolico, che andava in Roma a cercar documenti per fare una storia in favore del Cattolicismo: si munì di raccomandazioni anche diplomatiche, ed ottenne dal cardinal Consalvi il permesso di avere tutti i manoscritti delle biblioteche, e di poter visitare a suo comodo tutti gli archivi anche l'archivio segreto del Vaticano. De Potter restò alcuni anni in Roma, sempre occupato in quello studio; e così potè poi pubblicare que' documenti che ha pubblicati. Noi non lodiamo la simulazione di quell'autore; solo facciamo osservare, che con tutta la sua simulazione non sarebbe riuscito a conoscere l'andamento della Curia sotto il punto di vista pratico.

La Curia romana è composta di tante e tante diverse congregazioni, che tutte hanno per centro il papa. In ogni segreteria vi è uno o più uomini speciali che dirigono tutti gli affari, e questi sono uomini che da giovanetti sono stati educati per quella specialità: il prelato segretario, il cardinal prefetto, sembra che sieno essi che agiscono; ma in realtà agiscono sotto l'influenza della specialità di quella segreteria. Quindi si può dire senza esagerazione che, per conoscere profondamente la Curia romana, bisognerebbe conoscere tutto quello che conoscono quelle specialità. Per esempio, nel S. Uffizio vi è il capo notaio, D. Angelo Argenti, che è un vecchio quasi ottuagenario; da giovinetto è stato impiegato in quella congregazione, ed ha tale una conoscenza di tutti gli affari che non si fa nulla senza di lui: ha sotto di sè parecchi preti notai sostituti, uno de' quali da molti anni è destinato ad essere il suo successore; ed a lui sono rivelati dal vecchio tutti i segreti della pratica. Nella segreteria del Vicariato vi è un tal D. Domenico Scalzi che da giovanetto è in quella segreteria, e si è impossessato di tutta la pratica di essa; e così il segretario, il cardinal Vicario stesso dipendono in certo modo da lui nella spedizione degli affari. Questi uomini speciali informano il segretario, il cardinal prefetto, e questi il papa; inguisachè sono essi, ciascuno nel loro dicastero, che fanno camminare la grande macchina della Curia. Per conoscere dunque la Curia romana, vi vogliono molti anni di soggiorno in Roma, ed essere stati, per la posizione che si occupava, in grado di frequentare le segreterie, ed essere amici non sospetti di cotesti uomini speciali; e dopo ciò può conoscersi in parte; ma interamente mai.

Il nostro Enrico dunque aveva ragione di dire che non sapeva nulla di tali cose. Uno studente forestiere, appartenente ad un paese protestante, posto sotto la direzione de' Gesuiti, non doveva conoscere che il lato bello del Cattolicismo romano, per poterlo poi predicare nel suo paese, e poter dire: "Io ne sono testimonio."

Pedro

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Come i Protestanti interpretano la Bibbia
Nota 2. alla lettera decima di Roma Papale 1882

I Protestanti, come abbiamo detto in una nota alla prima lettera, non interpretano la Bibbia a loro capriccio, come dicono i preti; ma conciliano mirabilmente l'autorità assoluta della Bibbia, con la libertà dell'uomo; ed ecco come. In tutte le cose essenziali, cioè necessarie a salvezza, non vi è nessuno che possa darne autorevole interpretazione. Dio ordina e l'uomo non deve interpretare, ma ubbidire. E se per avventura in coteste cose si trova un qualche passo non abbastanza chiaro, si ricorre ad altri passi più chiari; e così è Dio che interpreta sè stesso, non l'uomo che interpreta Dio. Nelle cose poi non necessarie a salvezza, i Protestanti insegnano che ciascuno deve regolarsi secondo i dettami della propria coscienza e le cognizioni che ha. Quindi non è vero quello che dicono i preti, che i Protestanti hanno tante religioni, quanti sono gl'individui: nulla di più falso. I Protestanti evangelici hanno una sola religione: "Gesù Cristo Dio manifestato in carne; Dio Padre, Figlio, e Spirito Santo, un solo Dio benedetto in eterno. Gesù Cristo unico e perfetto Salvatore, unico Mediatore fra Dio e gli uomini, i quali sono salvati per grazia e non per opere." Su queste basi è fondato il protestantesimo; e tutte quante le comunioni protestanti le ammettono; e queste verità sono con tale chiarezza rivelata nella Bibbia, che non abbisognano di nessuna interpetazione.

In quanto poi alle dottrine secondarie, vi è divergenza fra le diverse comunioni protestanti. Quelli che in alcune cose secondarie la pensano come la pensava Lutero, sono uniti fra loro e si chiamano Luterani; quelli che la pensano come Calvino, sono chiamati Calvinisti, e via discorrendo. Ciò però non fa di essi tante religioni, quante sono le diverse denominazioni. E un fatto evidente di questa unità è l'Alleanza Evangelica, nella quale si uniscono fraternamente tutti i Cristiani Evangelici, a qualunque denominazione appartengano, sulla base comune e sola essenziale a salvezza che abbiamo accennata di sopra.

Quindi quando i predicatori o dottori protestanti interpretano la Scrittura, essi non dànno le loro interpretazioni come leggi, e con obbligo di crederle sulla loro parola, come fa il Papa; ma le dànno come loro sentimento coscienzioso, lasciando alla coscienza di ciascuno di adottarle o no.

Ma mi si dirà: "Se è così, perchè dunque le diverse denominazioni protestanti si scomunicano scambievolmente? perchè se un individuo non crede a tutte le dottrine della sua setta è scomunicato?" Rispondiamo che la scomunica presso i Protestanti non è una maledizione, ed una esecrazione, come lo è nella Chiesa romana. La scomunica secondo la Bibbia, e come si usa nelle Chiese protestanti, è una misura disciplinare; ogni denominazione ha il diritto di conservare la sua unità di dottrina: quando dunque un individuo appartenente a quella denominazione ritiene un'altra dottrina, è prima avvertito; poi consigliato ad uscire da per sè stesso da quella congregazione con le dottrine della quale non è più di accordo; se si ostina a volervi rimanere e spargere così la divisione (caso che accade di rado), allora è scomunicato; vale a dire, allora quella Chiesa gl'impedisce la comunione. Cosa vi è egli d'ingiusto o d'irregolare in questo fatto?

È falso poi che le denominazioni protestanti si scomunichino scambievolmente; e la prova che ciò è falso sta nell'Alleanza Evangelica, la quale è composta di Cristiani di tutte le denominazioni, che ammettono le dottrine essenziali del Cristianesimo.

Pedro

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28/02/2011 18:17
 
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Come la interpretano i Cattolici
Nota 3. alla lettera decima di Roma Papale 1882

Il Valdese accondiscese a servirsi della regola data dal Concilio di Trento, per combattere la Chiesa romana con le stesse sue armi, e convincerla di contraddizione. Del resto noi non conosciamo decreto più assurdo che quello del Concilio di Trento sulla interpretazione della Bibbia. Il Concilio ordina (sess. IV) che, nelle cose appartenenti alla fede, ai costumi ed alla edificazione, s'interpreti la Bibbia nel senso della Chiesa romana, alla quale solo appartiene giudicare del vero senso e della interpretazione delle Scritture. Ridotto questo decreto alla più semplice espressione, è il papa l'unico interprete della Bibbia, come lo confessano tutti i teologi della Chiesa romana. Egli determina quello che si deve credere, quello che si deve fare; la Bibbia così diviene la espressione della volontà del papa, non la religione di Cristo; ed i seguaci del papa potranno esser chiamati papisti, cattolici romani, ma cristiani non mai. Il papa in questo sistema è superiore, o almeno eguale a Dio.

Supponete uno stato retto a monarchia assoluta, nel quale il sovrano è l'unico legislatore; chi avrà l'autorità d'interpretare la legge? solo il sovrano. E, a maggiore chiarezza di questa dottrina, rammentiamo che l'interprete può agire in tre modi: in modo autoritativo, dando una interpretazione che sia legge, che definitivamente decida; in questo modo il solo legislatore, e nessun altro può interpretare. Vi è un secondo modo d'interpretazione, ed è il modo chiamato ministeriale, che è il modo col quale i magistrati nelle loro sentenze interpretano le leggi. Questa interpretazione è soggetta alle leggi, e non forma legge. Nel primo modo interpreta il papa, obbligando tutti sotto pena di dannazione eterna a ricevere la sua interpretazione come una legge: nel secondo modo interpretano le Chiese protestanti nelle loro professioni di fede, senza obbligare nessuno ad accettarle e senza condannare all'inferno coloro che non le accettano. Ed ecco il perchè le professionali di fede protestanti possono essere soggette a modificazioni, perchè sono sottoposte alla Bibbia, come le sentenze de' magistrati possono essere riformate, perchè sottoposte alla legge.

Vi è un terzo modo d'interpretazione che è il giudizio privato, o come altri lo chiamano il libero esame, e questa è la interpretazione che si fa da' predicatori, da' dottori, ed anche dai semplici fedeli; ma questa è una interpretazione privata e personale che non obbliga alcuno a seguirla, è la interpretazione che concilia (come abbiam detto nella nota precedente) l'autorità assoluta della Bibbia con la libertà dell'individuo.

Ora vediamo brevemente le differenze che passano fra la interpretazione della Bibbia secondo i Cattolici, e la interpretazione secondo i Protestanti; ritenendo però sempre in mente questa differenza essenziale che le interpretazioni cattoliche sono autoritative e sono obbligatorie come la Bibbia, ed anche più; mentre le interpretazioni nostre non lo sono.

La prima differenza consiste in questo, che quando i Protestanti vogliono interpretare un passo della Bibbia, cercano nella Bibbia stessa de' passi paralleli più chiari: e così avviene che le interpretazioni protestanti non possono mai essere contrarie, ed annullare un passo della Bibbia sotto pretesto d'interpretarlo. Ma le interpretazioni cattoliche romane, prese per la più parte dalla pretesa tradizione, hanno sovente il difetto che avevano le interpretazioni dei Farisei, di annullare cioè un comando espresso di Dio per la loro tradizione. Per esempio, Dio dice nel secondo comandamento della legge: "Non farti scultura alcuna nè immagine alcuna… non adorar quelle cose, e non servir loro." Il comando è chiaro, e, per noi e per tutte le persone che non hanno rinunciato al senso comune, non ha bisogno di essere interpretato. Ma la Chiesa romana lo interpreta, togliendo in primo luogo questo comandamento da' suoi catechismi; poi, invocando non so quale tradizione, lo annulla, facendo sculture ed immagini, ed ordinando il culto di esse. E quando le è rimproverato cotal culto e le è citato il secondo comandamento di Dio, essa lo interpreta inventando tre barbari nomi di latria, iperdulia e dulia, dicendo che il culto di latria è dovuto solo a Dio, e gli altri si possono dare alle creature ed alle immagini. Questo è un solo esempio; ma potremmo dire altrettanto di tutte le altre particolari dottrine della Chiesa romana.

La seconda differenza è, che quando noi interpretiamo un passo della Bibbia con altri passi, esortiamo i nostri ascoltatori a verificare i passi che citiamo. Perciò si vedono i Protestanti che si occupano seriamente di religione, andare alla chiesa con la loro Bibbia e riscontrare i passi citati dal predicatore. Così facevano i discepoli di Berrèa che sono perciò lodati dallo Spirito Santo nel capo XVII degli Atti apostolici. La Chiesa romana, al contrario, prima toglie la Bibbia dalle mani del popolo; poi la cita in latino, cioè in una lingua non conosciuta dal popolo; finalmente non permette controllo alcuno.

La terza differenza è che noi non diamo le nostre interpretazioni come leggi, e non ci rendiamo nè giudici della Scrittura, nè legislatori del popolo; imperciocchè noi insegnamo che tutte le cose necessarie a salute sono contenute così chiaramente nella Scrittura da non aver bisogno di alcuna interpretazione. La Chiesa romana, al contrario, dice di essere il giudice infallibile delle Scritture, e vuole che le sue interpretazioni abbiano la stessa autorità che la Parola di Dio. Tale pretensione a noi sembra empia ed assurda; i papi sono uomini peccatori, benchè si facciano chiamare santissimi; ed è una empietà ed una assurdità insieme, che i peccatori vogliano essere giudici infallibili del senso della legge che condanna i loro peccati. Se questo principio si ammettesse nella legislazione criminale, ogni ladro, ogni assassino sarebbe il più grande galantuomo. Ammettere che uomini peccatori possano essere giudici ed infallibili interpreti del senso della Parola di Dio sulla quale dovranno essere giudicati, è una empietà ed una assurdità inconcepibile. Dio nel suo giudizio potrà aver riguardo alle loro pretese infallibili interpretazioni? Invece di essere essi sottomessi alla Parola di Dio, essi sottomettono la Parola di Dio a loro! Come sarebbe servito un padrone, se i servi potessero interpretare i suoi ordini positivi, spesso in senso contrario? Gli uomini debbono essere soggetti alla religione; ma i papi assoggettano la religione a loro stessi. Il solo re può autorevolmente interpretare i suoi editti; il solo Spirito Santo può dunque autorevolmente interpretare la Bibbia, che è il suo editto. Anzi posto che vi sia un uomo il quale possa autorevolmente interpretare la Parola di Dio, cotesto uomo avrebbe una autorità maggiore di quella di Dio; perchè il popolo non potrebbe seguire la legge, ma dovrebbe seguirne la interpretazione: quindi egli sarebbe al di sopra del legislatore. Ecco l'empietà e le assurdità che si ammettono ammettendo il tribunale preteso infallibile della Chiesa romana per la interpretazione della Bibbia!

Oltre a ciò, come farò io per assicurarmi che la Chiesa romana è la sola infallibile interprete della Bibbia? lo crederò perchè essa lo dice? Ma allora essa sarebbe giudice e testimonio nella propria causa. Dovrò cercare i suoi titoli nella Scrittura? Ma dovrò cercarli nella Scrittura come essa è, o come è dalla Chiesa romana interpretata? Nel primo caso, io sarò l'interprete della Scrittura; e se posso interpretarla in questo caso, perchè non potrò farlo egualmente negli altri? Nel secondo caso, la Chiesa romana testimonierebbe del suo giudizio disinteressato in causa propria?

La quarta differenza fra le nostre interpretazioni e quelle della Chiesa romana, consiste in questo: nessuno ci ha potuto, fino ad ora almeno, accusare di contorcere la Scrittura per il nostro guadagno, o servirsi di essa per accumulare ricchezze o dignità mondane. Ma la Chiesa romana è innocente su questo? Nel diritto canonico, 1. p. dist. 22 cap. Sacrosancta, vi è un decreto attribuito all'infallibile Anacleto nel quale è detto che S. Pietro fu chiamato Cefa cioè il capo, ed il principio dell'apostolato: ed ogni scolaretto sa che Cefa è parola siriaca che significa Pietro e niente altro: ecco una infallibile interpretazione! Nella nona sessione del Concilio Lateranense V, le parole del salmo LXXII, ove è detto: "Tutti i re della terra lo adoreranno, tutte le nazioni gli serviranno," sono interpretate come se fossero state dette per il papa; e poco dopo, interpretate come dette per il papa, quelle parole di Gesù Cristo: "Ogni podestà mi è stata data e nel cielo e sulla terra." L'infallibile Bonifacio VIII, nella sua estravagante unam Sanctam, dice che tutti debbono essere soggetti al papa, perchè è scritto: "E vi sarà un sol gregge, ed un solo pastore:" dice che anche la potestà civile deve essere sottomessa al papa, perchè è scritto: "Nel principio Iddio creò il cielo e la terra;" il papa deve avere anche il potere temporale, perchè nel capo XXII di Luca sta scritto: "Ecco qui due spade." Ecco alcuni pochi esempi dell'uso che fanno i papi del monopolio della interpretazione della Bibbia!

La quinta ed ultima differenza consiste in questo, che i protestanti non possono essere accusati di volgere con le loro interpretazioni la Bibbia in un senso profano e ridicolo; ma la Chiesa romana giunge anche a questa empietà con le sue interpretazioni. Non vogliamo qui parlare delle scurrilità individuali tanto frequenti, che abbiamo accennate in un'altra nota; ma indicheremo alcuni esempi d'interpretazioni ufficiali, nelle quali la Parola di Dio è esposta allo scherno. Il secondo concilio Niceno per definire la adorazione delle immagini, interpreta alcuni passi della Bibbia per applicarli a quella adorazione: si cita quel passo del capo II, V. 14 de' Cantici: "Fammi vedere il tuo aspetto, fammi udir la tua voce," e quell'altro: "Dio creò l'uomo alla sua immagine, secondo la sua simiglianza;" e quell'altro: "Abrahamo s'inchinò al popolo del paese;" "Mosè s'inchinò al suo suocero;" e: "Giacobbe benedisse Faraone;" e finalmente il passo del Vangelo (Luc. VIII, 16): "Niuno accesa una lampana, la copre con un vaso o la mette sotto il moggio; anzi la mette sopra il candelliere." Queste interpretazioni ridicole sono date da un Concilio infallibile, ritenuto dalla Chiesa romana per Concilio universale; ma oltre a ciò, papa Adriano, rispondendo ad un libro di Carlo Magno contro il culto delle immagini, aggiunge alla infallibilità del Concilio la infallibilità propria; dice che i padri di quel Concilio citarono giustamente que' passi.

Chi poi desiderasse vedere qualche cosa di peggio, per vedere come la Chiesa romana con la sua pretesa infallibile interpretazione mette in ridicolo la Parola di Dio, non ha che a prendere in mano il libro del gran papa Innocenzo III sui misteri della messa, il cerimoniale romano, il razionale di Durante, il libro del Toledo sulla istruzione pe' preti, i libri di S. Alfonso de' Liguori approvati ultimamente dalla Chiesa romana, nella sua canonizzazione. In essi troverà che l'altare sopra il quale si dice la messa deve essere di pietra, perchè è scritto che la pietra era Cristo, che si debbono accendere i lumi in pieno giorno, perchè Gesù Cristo ha detto: Io sono la luce del mondo; che il prete deve baciare l'altare, perchè sta scritto: Bacimi egli de' baci della sua bocca (Cant. I, 2); che il prete volta le spalle al popolo, perchè è scritto! Tu mi vedrai di dietro (Esodo XXXIII, 23); che il chierico che serve la messa, ed il diacono e suddiacono delle messe cantate, debbono sempre essere vicini al prete, perchè è scritto: Là ove io sarò, sarà altresì il mio servitore; che il prete si lava le mani due volte nella messa, perchè è scritto: Amplius lava me; che il vescovo cambia di scarpe prima di cantare la messa, perchè è scritto: Tratti le scarpe da' piedi; perciocchè il luogo sopra il quale tu stai è terra santa (Es. III, 5); che calza le scarpe di tela d'oro, perciocchè è scritto: O quanto son belli sopra questi monti i piedi di colui che porta le buone novelle! (Is. LII, 7); il vescovo si cuopre le mani co' guanti di seta, perchè è scritto: Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra (Matt. VI, 3). Potremmo citare una quantità immensa di passi così interpretati dalla Chiesa romana; ma questi bastino, perchè ognuno possa conoscere l'uso che la Chiesa romana fa della Bibbia, e quanto sia empia ed assurda la sua pretensione al monopolio della interpretazione.
Pedro

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Concili e papi che si contradicono
Nota 4. alla lettera decima di Roma Papale 1882

Citeremo soltanto alcuni esempli di Concili che hanno insegnato dottrine contradditorie. Vi è un decreto del Concilio di Neocesarea riportato nel diritto canonico (22 p. caus. 31, q. cap. De his), nel quale sono vietate le seconde nozze; che il Concilio di Trento permette. Noi non diciamo che il Concilio di Trento in questo abbia torto; ma solo constatiamo la contraddizione de' due Concili. Il Concilio di Granges dice che un prete può benissimo essere prete, ed esercitare il suo ufficio di prete, essendo ammogliato; parecchi altri Concili fino a quello di Trento dicono l'opposto.


Il Concilio Niceno (325) condanna la eseresia ariana: il Concilio di Tiro finito a Gerusalemme, dieci anni dopo, annulla la decisione di Nicea ed assolve Ario da quel Concilio condannato. Nell'anno 340, il Concilio di Antiochia assolve di nuovo Ario, e proclama la dottrina ariana; ma nel 341 il Concilio di Sardi ristabilisce la dottrina nicena, e condanna quella di Gerusalemme e di Antiochia. Però il Concilio di Rimini, tenuto poco dopo, condanna il Concilio Niceno, e ristabilisce l'Arianesimo.

Il Concilio di Efeso (430) condanna Nestorio ed Eutiche come eretici, e condanna la loro dottrina; nel 449, un altro Concilio di Efeso proclama vera la dottrina di Eutiche condannata nel Concilio precedente.

Nel 754 un Concilio generale di Costantinopoli chiama il pane ed il vino della S. Cena la immagine del corpo di Gesù Cristo; ma i Concili di Laterano, di Costanza, e di Trento condannano quella dottrina, e dichiarano eretici coloro che la sostengono.

Il Concilio di Costantinopoli (754) condanna espressamente il culto delle immagini; ed il Concilio Niceno II (787) ordina quel culto che il Concilio antecedente aveva anatematizzato. Il Concilio di Francforte (794) condanna di nuovo il culto delle immagini approvato dal Concilio di Nicea; ed il Concilio di Trento richiama in vigore il decreto del Concilio di Nicea, condannato dal Concilio di Francforte.

Il Concilio di Costanza (1414) proibisce ai laici la comunione sotto le due specie; ed il Concilio di Basilea (1431) la ordina. Il Concilio Fiorentino la permette ai Cattolici greci, e la vieta ai Cattolici latini.

Il Concilio di Basilea e quello di Costanza definiscono che il Concilio è superiore al papa; il Concilio Lateranense V definisce che il papa è superiore al Concilio.

Questi pochi esempi bastino per vedere quanto sia fallace la regola de' teologi romani di cercare la verità ne' Concili. Vediamo ora brevissimamente se le infallibili decisioni dei papi sieno esenti da tali contraddizioni.

Papa Ormisda nel 514 condanna come eretici certi monaci della Scizia, perchè sostenevano che uno della Trinità aveva sofferta la morte della croce; ma papa Giovanni II nel 532 dichiara que' monaci ortodossi, e la loro proposizione, infallibilmente condannata e dichiarata eretica dal suo predecessore, è da lui infallibilmente approvata e dichiarata ortodossa.

Papa Liberio approva la eresia ariana, già infallibilmente condannata da' suoi predecessori, e da lui stesso; e condannata poi dai suoi infallibili successori.

Papa Onorio I approva ed insegna la eresia de' monoteliti, papa Vigilio la eresia degli eutichiani, in contraddizione co' loro predecessori e successori, che condannavano quelle eresie.

Papa Gregorio I detto il Grande condannava il primato del vescovo di Roma, e non voleva che egli fosse chiamato Vescovo universale; ma papa Gregorio VII decretava con la stessa infallibilità di Gregorio I che il vescovo di Roma è e deve essere chiamato Vescovo universale.

Non la finiremmo mai se volessimo indicare solamente le contraddizioni de' papi; ma questi esempi bastino per dimostrare con quanta ragione il nostro Valdese diceva di non potere riconoscere tali autorità.
Pedro

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Girolamo accusa S. Paolo di doppiezza
Nota 5. alla lettera decima di Roma Papale 1882

Affinchè non sembri esagerata l'asserzione del Valdese a carico di S. Girolamo, citeremo per intero il passo di quel dottore, ed ognuno in esso potrà vedere che il Valdese dice meno di quello che realmente è: imperciocchè S. Girolamo non solo accusa S. Paolo, ma anche Gesù Cristo, che è la stessa Verità, di non aver parlato con tutta sincerità. Citeremo le parole di S. Girolamo senza tradurle, acciò i preti non dicano che le abbiamo male tradotte.

"Legimus, o eruditissimi viri, in scholis pariter, et Aristotelea illa, de Gorgiae fontibus manantia, simul didicimus, plura esse videlicet genera dicendi: et inter coetera aliud esse gumnastikvz scribere, aliud dogmatikvz. In priori, vagam esse disputationem; et adversario respondentem, nunc haec, nunc illa proponere: argumentari, ut libet, aliud loqui, aliud agere, panem, ut dicitur, ostendere, lapidem tenere. In frequenti autem, aperta frons, et ut ita dicam, ingenuitas necessaria est… Origines, Methodius, Eusebius, Apollinaris, multis versum millibus scribunt adversum Celsum et Porphyrium. Considerate quibus argumentis, et quam lubricis problematibus, Diaboli spiritu contexta subvertant: et quia interdum coguntur loqui, non quod sentiunt, sed quod necesse est, dicunt adversus ea, quae dicunt gentiles, Taceo de latinis scriptoribus, Tertulliano, Cypriano, Minutio, Victorino, Lactantio, Hilario, ne non tam me defendisse, quam alios videar accusasse. Paulum Apostolum proferam: quem quotiescumque lego, videor non verba audire, sed tonitrua. Legite epistolas ejus, et maxime ad Romanos, ad Galatas, ad Ephesios, in quibus totus in certamine positus est: et videbitis eum, in testimoniis quae sunt de Veteri Testamento, quam artifex, quam prudens, quam dissimulator sit ejus, quod agit. Videntur quaedam verba simplicia, et quasi innocentis hominis rusticani, et qui nec facere nec declinare noverit insidias: sed, quocumque respexeris, fulmina sunt. Haeret in causa; capitomne, quod tetigerit; tergum vertit, ut superet; fugam simulat, ut occidat. Calumniemur ergo eum, atque dicamus ei: Testimonia, quibus contra Judaeos, vel coeteras haereses, usus es, aliter in suis locis, aliter in tuis epistolis sonant. Videmus exempla captiva; servierunt tibi ad victoriam quae suis in voluminibus non dimicant. Nonne nobis loquitur cum Salvatore, aliter foris, aliter domi loquimur? Turbae parabolas, discipuli andiunt veritatem. Proponit Pharisaeis Dominus quaestiones, et non edisserit." Apolog. pro libr. Adv. Jovinian. tom. 2, pag 105, 106.

Pedro

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Come deve essere la controversia cristiana
Nota 6. alla lettera decima di Roma Papale 1882

La controversia del Valdese in queste lettere, è la controversia di un uomo il quale sa di aver ragione; è la controversia di un Cristiano, il quale non ha altro in mira che far conoscere la verità. La controversia de' teologi romani è tutta differente: essi, seguendo le traccie del gran controversista S. Girolamo, travisano e deformano i fatti, corrompono e stiracchiano i testi. Ogni mezzo per essi è buono, purchè giungano a vincere. Difficilmente troverete un controversista romano che non iscenda a personalità, ed anche a calunnie contro il suo avversario; essi scendono alle ingiurie ed ai termini da trivio, e più ingiuriano, più credono aver ragione, e più sono lodati dal loro partito. Nè si creda già che la civiltà del presente secolo abbia contribuito a moderare cotali contraversisti. Leggete gli scritti di controversia del P. Perrone, che è stimato essere il più gran teologo vivente; e vedrete in essi tante personalità, tante calunnie, tante trivialità da disgustare ogni onest'uomo. Qual è l'effetto che produce una tale controversia? Non edifica i fedeli, non dimostra la verità, ed irrita maggiormente coloro contro cui è diretta. Supponete uno che abbia errato: se è ripreso dolcemente, se gli si fa con le buone ragioni conoscere il suo torto; egli rientra in sè, confessa il suo errore, e torna alla verità; ma se invece è insultato e calunniato al modo di S. Girolamo e del P. Perrone, egli istizzerà maggiormente; e per quanto fossero buone le ragioni del libro scritto contro di lui, le calunnie, le personalità, le ingiurie, paralizzeranno tutto il buon effetto ch'esse avrebbero potuto produrre.
Pedro

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Differenza fra Apostoli e discepoli

Nota 7. alla lettera decima di Roma Papale 1882

Vi è nel Vangelo una gran distinzione fra gli Apostoli ed i discepoli; e per non aver presente tale distinzione, si confondono sovente gli Apostoli ed i discepoli. Discepoli erano tutti coloro che seguivano il Signore per ricevere le sue istruzioni: fra questi ne scelse dodici che chiamò Apostoli. Gli Apostoli finchè il Signore fu sulla terra continuarono ad essere anche discepoli, ma dopo l'ascensione di Gesù Cristo non sono mai più chiamati discepoli: allora i discepoli erano tutti i cristiani: Timoteo era un discepolo, Anania era un discepolo; tutti i Cristiani erano discepoli. Prima però dell'ascensione di Cristo al cielo, quando si parla degli Apostoli e si chiamano discepoli, o sono chiamati per nome, o è detto i dodici discepoli; quando si parla de' discepoli in generale, sotto il qual nome generico sono compresi anche gli Apostoli, si deve intendere di tutti coloro che seguivano la dottrina di Gesù. Una lettura un poco attenta del Nuovo Testamento ci farà trovare una quantità di passi in prova di quanto abbiamo detto.

Pedro

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Cosa è la Chiesa?

Nota 8. alla lettera decima di Roma Papale 1882

Siccome forse non avremo più occasione in questo libro di parlare della Chiesa, crediamo opportuno di darne qui una nozione tanto breve, quanto ce lo può permettere una nota.

La Chiesa non è una società; l'idea di una Chiesa modellata sul tipo delle società umane, non può essere l'idea della Chiesa di Gesù Cristo. La Chiesa è nominata 104 volte nel Nuovo Testamento, e neppure una volta è nominata nel senso di una società.

Come definisce la Chiesa S. Paolo? "La casa di Dio, la Chiesa dell'Iddio vivente, la colonna e sostegno della verità" (1 Tim. III, 15). La Chiesa dunque non è una società: ogni società ha il diritto di costituirsi, e la Chiesa è costituita da Dio; ogni società ha il diritto di eleggersi gli ufficiali, e la Chiesa deve riconoscere, non eleggere quelli che Dio le dà; la società ha il diritto di scegliersi un capo, di darsi delle leggi, e la Chiesa ha il suo capo unico costituito da Dio, cioè Gesù Cristo, alla destra del Padre; ha le sue leggi immutabili nel Nuovo Testamento.

Essa non è una società, ma la casa di Dio: Dio dunque è il solo, l'unico padrone di essa, ed Egli ha costituito per capo della sua casa Gesù Cristo. Dio solo dunque ha il diritto di comandare nella sua casa, e tutti coloro che sono, per la libera sua grazia, ammessi in quella casa debbono tutti egualmente essere sottomessi alle leggi del padrone di casa. Spetta al padrone di casa e non ad altri scegliere i servi, e metterli nel loro grado; ed i servi nella Chiesa sono i ministri. Se i servi voglion farla da padroni, sono ribelli al vero padrone della casa; se alcuni di essi si sollevano sopra gli altri, sono ribelli. Ecco la idea che noi ci facciamo della Chiesa considerata come casa di Dio.

La Chiesa non è una società, ma è la Chiesa dell'Iddio vivente. Cosa vuol dire Chiesa? È parola greca che letteralmente significa assemblea: essa è un'assemblea di uomini credenti in Gesù Cristo; essa è il corpo di Gesù Cristo, ed ogni fedele non è che un membro di questo corpo di cui Gesù Cristo è la testa: vi può egli essere anarchia fra le membra di un corpo vivente? Se un membro non funziona, è un membro morto che dà noia a tutto il corpo; se un membro incangrenisce, si taglia e si getta via, acciò non corrompa tutto il corpo.

Ma questo corpo di Cristo è la Chiesa dell'Iddio vivente. Perchè dice dell'Iddio vivente? Vi sono delle case e dei palazzi che portano il nome del padrone che li ha fabbricati, sebbene il padrone non viva più; allora non è egli che comanda in quella casa, ma colui che gli è succeduto. Non è così della Chiesa; e perciò essa si chiama dell'Iddio vivente; per addimostrare che Dio non ha lasciata la sua casa ad uomini, nè ne ha commessa la cura ad un uomo; ma egli è vivente e la dirige da sè stesso.

La Chiesa è la colonna e sostegno della verità. Esaminiamo un poco questa parola di cui si è tanto abusato nella Chiesa romana. Non è bastato allo Spirito Santo il dire che la Chiesa è colonna della verità, ma ha voluto aggiungere sostegno; per indicare che essa non è una colonna trionfale, non una colonna di pompa, ma una colonna di sostegno: essa dunque ha per ufficio di sostenere la verità. La colonna di sostegno sostiene l'edificio che le è posto sopra; ma non può cangiarlo a sua voglia: la Chiesa dunque sostiene, non fabbrica la verità; sostiene, ma non cangia a sua voglia la verità. Ora cosa è la verità? Ce lo dice Gesù Cristo stesso: La tua Parola è verità. La Chiesa dunque ha per ufficio di sostenere la Parola di Dio, e non può mettere in luogo di essa la parola de' papi, de' concilii, della tradizione. Ecco dunque qual è la vera Chiesa cristiana! quella che è casa di Dio, che non riconosce per capo se non che Colui che è stato costituito da Dio, cioè Gesù Cristo, che non riconosce altre leggi che quelle poste dal padrone di casa; quella che è la Chiesa dell'Iddio vivente; quella che ritiene e sostiene la Parola di Dio tal quale essa la ha ricevuta.

Se poi si vuol considerare la Chiesa come una società, non la mettiamo al livello di una società umana; così facendo, negheremo la sua divinità: essa è una società, se si vuole; ma fondata da Dio, presieduta da Gesù Cristo, il quale non ne è il Presidente onorario, ma il capo effettivo, il quale la regge, il quale solo ha il diritto di legislazione; ed ha lasciato soltanto ai suoi membri il diritto, anzi il dovere di esercitare la disciplina, secondo le leggi date da lui. Quando si organizza una Chiesa al modo della Chiesa romana, essa sarà più o meno conforme ad una società umana; ma non sarà la Chiesa di Gesù Cristo.

Ma se il potere delle chiavi è dato a tutti i veri Cristiani, dice il nostro abate, non vi sarà più distinzione di vescovi, di preti, di laici; non vi sarebbe più gerarchia.

La gerarchia ecclesiastica, noi rispondiamo, sarebbe un gran bene che non esistesse nel Cristianesimo; perchè essa non è stata istituita da Gesù Cristo, ma dagli uomini che da servi sono voluti divenire padroni. Gesù Cristo ha stabiliti i suoi ministri, cioè i suoi servitori nella Chiesa: e se consideriamo l'andamento della Chiesa apostolica, noi troviamo che nella Chiesa vi erano gli anziani, i diaconi, e gli altri ministri; ma che l'autorità era esercitata non da loro, bensì dall'assemblea. Noi non troviamo mai nella Bibbia la distinzione fra chierici e laici. Troviamo bensì nella Bibbia un clero mhd' wz katakurieuontez tvn klhrwn non come signoreggiando sul clero (1 Pietr. V, 3): ma il clero non sono i vescovi nè i preti, bensì la eredità del Signore, cioè la Chiesa; ed appartengono al clero tutti coloro che appartengono alla Chiesa, cioè i veri Cristiani. Così nei primi tempi erano chiamati ecclesiastici tutti quanti i Cristiani, perchè appartenenti alla Chiesa.

Ma ciò non vuol già dire che nella Chiesa vi sarebbe anarchia. Se la Chiesa è la casa di Dio, è impossibile in essa la anarchia, ma vi deve essere l'ordine; però non un ordine stabilito dagli uomini ed a profitto di alcuni, ma l'ordine stabilito da Dio stesso a profitto dell'intero corpo.

La potestà delle chiavi, secondo la Chiesa romana, è privilegio esclusivo dei preti, e dà ai preti il potere di aprire e chiudere il cielo a chi essi vogliono, secondo i loro capricci, e senza controllo alcuno; ma non è così che quel potere è inteso nel Vangelo. Gesù lo dà a tutti i suoi discepoli, e si esercita non in via giudiziaria ed a capriccio, ma facendo da ambasciadori di Cristo verso i peccatori. Ecco come San Paolo spiega questo potere che si deve esercitare da ogni Cristiano: "Se dunque alcuno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie son passate; ecco tutte le cose son fatte nuove. Or il tutto è da Dio che ci ha riconciliati a sè per Gesù Cristo; ed ha dato a noi (a tutti i Cristiani) il ministerio della riconciliazione: conciossiachè Iddio abbia riconciliato il mondo a sè in Cristo, non imputando loro i loro falli; ed abbia posta in noi la parola della riconciliazione (la parola della riconciliazione è il Vangelo; e Dio lo ha posto, anzi come dice S. Giacomo, lo ha innestato, in tutti i Cristiani). Noi dunque facciam l'ambasciata per Cristo, come se Iddio esortasse per noi; e vi esortiamo per Cristo: siate riconciliati a Dio" (2 Cor. V, 17-20). Chiunque accetta volentieri l'ambasciata riceve la riconciliazione, la remissione de' peccati da Dio, per mezzo dell'uomo, che è non giudice, ma ambasciadore: chi la ricusa non solo non riceve la remissione dei peccati; ma quei peccati gli sono ritenuti, ed ai peccati vecchi aggiunge il nuovo peccato, di avere, cioè, dispregiata l'ambasciata di Dio che lo chiamava alla riconciliazione.
Pedro

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Studio delle antichità ecclesiastiche

Nota 9. alla lettera decima di Roma Papale 1882

Lo studio delle antichità cristiane è utilissimo, e direi quasi necessario per coloro che sono chiamati ad insegnare e difendere il Cristianesimo; ma due qualità difficili a trovarsi sono necessarie nella persona che si dà a quello studio, acciò esso sorta un effetto giovevole al cristianesimo. La prima è di darsi a quello studio scevro dai pregiudizi. Se si va con animo prevenuto per trovare nell'antichità di che appoggiare le nostre opinioni preconcette, quello studio non servirà che a mantenerci nell'errore. È in questa maniera che si studiano le antichità ecclesiastiche in Roma, è in questa maniera che sono studiate da' Puseiti. La seconda difficoltà a superarsi in quello studio è questa. Per poter studiare con profitto le antichità ecclesiastiche, bisogna essere profondamente istruiti nella critica, nella patristica e nell'archeologia, senza di che, si darà corpo alle ombre come ha fatto il P. Mamacchi.

Bisogna inoltre ritenere che lo studio dell'antichità non può essere un criterio di verità: un errore non diviene una verità perchè è antico. Quindi in materia religiosa l'antichità ecclesiastica non può fare autorità in materia di dottrina; l'autorità in materia di dottrina non può essere che la Bibbia. L'antichità ecclesiastica bene studiata ci porta anzi a conoscere l'origine ed il progresso degli errori in materia religiosa, e sotto questo punto di vista quello studio è utile, e forse anche necessario ai ministri del Vangelo.

Pedro

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Abito de' preti

Nota 10. alla lettera decima di Roma Papale 1882

L'abito de' preti in Roma è di tre sorte: l'abito talare, l'abito di campagna, l'abito corto o di città. L'abito talare consiste in una sottana che scende fino a' piedi, con una folta fila di bottoni nella parte anteriore, poi un mantello che scende dietro le spalle fino a' piedi. Questo è l'abito de' parrochi e dei chierici studenti. L'abito di campagna consiste in un soprabito nero che scende fino alla metà della gamba: e questo è l'abito che si usa da' preti come si deve, in viaggio ed in campagna; e si usa anche dai preti di minor conto in città; ma con quell'abito non sarebbero ricevuti nè da un prelato nè da un cardinale. L'abito corto è un abito di panno nero che giunge fin sotto le ginocchia, abbottonato per il davanti fino allo stomaco, ed ha attaccato dietro le spalle un mantellino di seta lungo quanto l'abito. Questo è l'abito usuale de' cardinali, de' vescovi, de' prelati, de' canonici, e di tutti i preti che stanno sul loro decoro; è l'abito con il quale si può andare a far visita, eccettochè al papa, dinanzi al quale bisogna andare in abito talare. Il nostro Enrico come studente indossava abitualmente l'abito talare: per andare alla veglia di Monsignor C., bisognava che indossasse l'abito corto.
Pedro

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