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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Note sul libro dell’ESODO

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2011 20:30
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21/04/2011 20:29
 
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CAPITOLO 32
Capitolo 32
Si apre ora davanti a noi una scena ben diversa da ciò che ci ha occupati fin qui. Sono passate davanti ai nostri occhi le immagini delle cose che sono nei cieli, Cristo nella sua Persona gloriosa, nei suoi misericordiosi compiti, nella sua perfetta opera; il tutto rappresentato nel tabernacolo e negli utensili mistici. Siamo stati, in ispirito, sul monte per udire le parole di Dio stesso, le dolci dichiarazioni dei pensieri, delle affezioni e dei consigli divini di cui Gesù è «l’alfa e l’omega», il principio e la fine, il primo e l’ultimo.

Ora siamo chiamati a ridiscendere sulla terra per contemplarvi lo stato di rovina al quale l’uomo riduce tutto ciò che gli è affidato. «Or il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, si radunò intorno ad Aaronne e disse: Orsù, facci un dio, che ci vada dinanzi; poiché, quanto a Mosè, a quest’uomo che ci ha tratto dal paese d’Egitto, non sappiamo che ne sia stato» (vers. 1). Che degradazione! «Facci un dio»! Abbandonano l’Eterno per porsi sotto la guida di dèi fatti con mano d’uomo. Oscure nubi e dense nebbie avevano circondato la montagna; e gli Israeliti erano stanchi di aspettare colui che era assente e di appoggiarsi su un braccio invisibile ma reale. Credono che un dio fatto con un cesello valga più dell’Eterno; che un vitello che possano vedere valga più di un Dio invisibile ma presente ovunque; preferiscono una contraffazione visibile ad una invisibile realtà.

Ahimè! è sempre così nella storia dell’uomo. Al cuore umano piace qualcosa che si possa vedere; qualcosa che risponda ai suoi sensi e li soddisfaccia. Soltanto la fede può stare costante «come vedendo Colui che è invisibile» (Ebrei 11:27). Così, in ogni tempo, gli uomini hanno avuto la tendenza di elevare imitazioni delle realtà divine ed appoggiarsi su di esse. Le contraffazioni della religione sono fin troppo moltiplicate davanti a noi. Le cose che, per autorità della Parola di Dio, noi sappiamo essere divine e celesti realtà, la Chiesa professante le ha trasformate in umane e terrestri imitazioni. Essendo divenuta stanca di appoggiarsi su un braccio invisibile, di ricorrere a un sacerdote invisibile, di sottomettersi alla direzione di un capo invisibile, si è messa a fare tutte quelle cose; e così, di secolo in secolo, essa è stata attivamente occupata con un cesello in mano a formare e a scolpire una cosa dopo l’altra; così ora non troviamo più analogia fra una gran parte di ciò che vediamo intorno a noi e ciò che leggiamo nella parola di Dio, così come non v’era analogia tra «un vitello d’oro» e «l’Iddio d’Israele».

«Facci un dio»! Che pensiero! L’uomo si fa degli dèi e il popolo è disposto a mettere in essi la sua fiducia. Lettore, guardiamo dentro a noi e intorno a noi; chissà se non vi scopriamo qualcosa di simile. Riguardo alla storia d’Israele, leggiamo che tutte queste cose avvennero loro in figura per servire d’esempio, «e sono state scritte per ammonizione di noi, che ci troviamo agli ultimi termini dei tempi» (1 Corinzi 10:11). Approfittiamo dell’ammonizione, ricordiamoci che, anche se non ci facciamo esattamente un vitello d’oro, per prostrarci dinanzi ad esso, il peccato d’Israele è tuttavia una figura di qualcosa in cui anche noi siamo in pericolo di cadere. Ogni volta che nel nostro cuore cessiamo di appoggiarci esclusivamente su Dio, sia per ciò che riguarda la salvezza, sia per ciò che concerne i bisogni del cammino, è come se dicessimo: «Orsù, facci un dio». È superfluo dire che, in noi stessi, non siamo per nulla migliori di Aaronne o dei figliuoli di Israele; se essi onorano un vitello al posto dell’Eterno, siamo in pericolo di agire con lo stesso principio e di manifestare il medesimo spirito. Nostra unica salvaguardia è il rimanere molto alla presenza di Dio. Mosè sapeva che il vitello d’oro non era l’Eterno; per questo non lo riconobbe. Ma quando noi usciamo dalla presenza divina, è impossibile prevedere i grossolani errori e tutto il male nel quale possiamo essere trascinati.

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Siamo chiamati a vivere per fede; con la vista dei sensi non possiamo vedere nulla. Gesù è salito in alto e Dio ci dice di aspettare pazientemente la sua apparizione. La Parola di Dio, applicata al cuore dall’energia dello Spirito, è il fondamento della fiducia nelle cose temporali e spirituali, presenti e future. Dio ci parla del sacrificio di Cristo; noi lo crediamo, per grazia, e mettiamo le anime nostre sotto l’efficacia di questo sacrificio e sappiamo che non saremo mai confusi. Ci parla anche d’un grande Sommo Sacerdote, entrato nei cieli, Gesù, il Figlio di Dio, la cui intercessione è onnipotente. Per grazia crediamo e ci riposiamo con fiducia sulla sua potenza; e sappiamo che saremo interamente salvati. Ci parla di un Capo vivente al quale siamo uniti, nella potenza di una vita di risurrezione, e dal quale nessuna influenza di angeli, di uomini e di demoni ci potrà separare; e, per grazia, crediamo e ci attacchiamo a questo Capo benedetto con una fede semplice, e sappiamo che non periremo mai. Egli ci parla della gloriosa apparizione del Figlio che verrà dai cieli; e, per grazia, crediamo e cerchiamo di fare l’esperienza della potenza di questa «beata speranza» (Tito 2:13); e sappiamo che non saremo delusi. Ci parla ancora di una «eredità incorruttibile, immacolata ed immarcescibile, conservata nei cieli per noi» (1 Pietro 1:4), eredità nella quale entreremo nel tempo stabilito; e, per grazia, crediamo e sappiamo che non saremo confusi. Ci dice che i capelli del nostro capo sono tutti contati e che non ci mancherà alcun bene; noi, per grazia, crediamo e godiamo di una dolce tranquillità di cuore. La realtà è questa, e il nostro Dio vorrebbe che la realizzassimo sempre. Ma il Nemico è sempre attivo e cerca di farci rigettare queste divine realtà, inducendoci a prendere il «cesello» dell’incredulità perché ci facciamo noi stessi degli «dèi». Vegliamo; preghiamo di essere guardati da lui; testimoniamo contro lui; agiamo contro lui: solo così egli sarà confuso, Dio sarà glorificato e noi saremo abbondantemente benedetti.

Quanto a Israele, nel capitolo che stiamo meditando, egli rigettò Dio in modo totale «e Aaronne rispose loro: Staccate gli anelli d’oro che sono agli orecchi delle vostre mogli dei vostri figliuoli e delle vostre figliuole e portatemeli... Egli li prese dalle loro mani e, dopo averne cesellato il modello, ne fece un vitello di getto. E quelli dissero: O Israele, questo è il tuo dio che ti ha tratto dal paese d’Egitto. Quando Aaronne vide questo, eresse un altare davanti ad esso, e fece un bando che diceva: Domani sarà festa in onore dell’Eterno» (versetti 2-5). Era mettere Dio completamente da parte e sostituirlo con un vitello. Quando arrivarono a dire che un vitello li aveva fatti salire dal paese d’Egitto, essi avevano evidentemente perduto ogni cognizione sulla presenza e sul carattere del vero Dio. Come avevano fatto presto a deviare dal vero cammino per cadere in un errore così grossolano! E Aaronne, fratello e compagno di Mosè, nella sua carica li ha condotti fino a quel punto, e ha osato dire davanti a un vitello d’oro: «Domani sarà festa in onore dell’Eterno». Come tutto questo è triste e umiliante! Dio sostituito da un idolo! Una cosa formata con un cesello da una mano e dall’immaginazione dell’uomo fu messa al posto del «Signore di tutta la terra».

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Tutto questo implicava da parte di Israele una deliberata rinuncia alle sue relazioni con l’Eterno. Egli aveva abbandonato Dio e Dio di conseguenza agiva a suo riguardo ponendosi sullo stesso terreno del popolo. «E l’Eterno disse a Mosè: Va’, scendi; perché il tuo popolo che hai tratto dal paese d’Egitto, s’è corrotto, si sono presto sviati dalla strada ch’io avevo loro ordinato di seguire. Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo di collo duro. Or dunque, lascia che la mia ira s’infiammi contro a loro, e ch’io li consumi! Ma di te io farò una grande nazione». C’era là, per Mosè, una porta aperta ed egli manifestò in questa circostanza una grazia straordinaria, e una rara analogia di spirito col profeta simile a lui che Dio avrebbe suscitato. Egli rifiuta di essere o di ricevere qualcosa al di fuori del popolo. Egli intercede presso Dio sul fondamento della Sua propria gloria e ripone Israele su di Lui con queste commoventi parole: «Perché, o Eterno, l’ira tua si infiammerebbe contro il tuo popolo che hai tratto dal paese d’Egitto con gran potenza e con mano forte? Perché direbbero gli Egiziani: Egli li ha tratti fuori per far loro del male, per ucciderli su per le montagne e per sterminarli di su la faccia della terra? Calma l’ardore della tua ira e pentiti del male di cui minacci il tuo popolo. Ricordati di Abrahamo, d’Isacco e di Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: Io moltiplicherò la vostra progenie come le stelle dei cieli; darò alla vostra progenie tutto questo paese di cui vi ho parlato ed esso lo possederà in perpetuo» (vers. 11-13). Era quella una potente supplica. La gloria di Dio, la giustificazione del suo santo nome, l’adempimento del suo giuramento; sono le ragioni sulle quali Mosè s’appoggia per supplicare l’Eterno di calmare l’ardore della sua collera. Non poteva trovare in Israele nulla su cui fondare la sua intercessione. Trovava tutto in Dio.

L’Eterno aveva detto a Mosè: «Il tuo popolo che hai tratto dal paese d’Egitto», ma Mosè risponde a Dio: «Il tuo popolo che hai tratto dal paese d’Egitto». Gli Israeliti, erano, malgrado tutto, il popolo dell’Eterno, la sua gloria, il suo giuramento; tutti erano implicati nel loro destino. Dal momento in cui l’Eterno si unisce al suo popolo, la sua gloria è in causa; su questo solido fondamento la fede guarderà sempre a Lui. Mosè dimentica se stesso, completamente. L’anima sua è occupata della gloria e del popolo dell’Eterno. Che servitore! Ve ne sono ben pochi come lui! Eppure, in mezzo a questa scena, come è lontano dall’altezza del suo Maestro: la differenza fra loro è infinita! Mosè scese dalla montagna e «come fu vicino al campo vide il vitello e le danze; e l’ira di Mosè si infiammò ed egli gettò dalle mani le tavole e le spezzò a piè del monte» (vers. 19). Il patto era rotto e le testimonianze di questo patto ridotte in frantumi; poi dopo aver eseguito il giudizio con una giusta indegnazione, «Mosè disse al popolo: Voi avete commesso un gran peccato; ma ora io salirò all’Eterno; forse otterrò che il vostro peccato sia perdonato» (vers. 30).

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Come tutto è differente da ciò che vediamo in Cristo! Egli scese dal seno del Padre con le tavole della legge non nelle sue mani ma nel suo cuore. Scese non per conoscere le condizioni del popolo ma con una conoscenza perfetta. Inoltre, invece di distruggere le testimonianze del patto ed eseguire il giudizio, magnificò la legge e la rese onorevole, portando nella sua benedetta persona, sulla croce, il giudizio del suo popolo; poi, avendo compiuto ogni cosa, risalì al cielo non con un «forse otterrò che il vostro peccato sia perdonato» ma per deporre sul trono della maestà, nei luoghi altissimi, le testimonianze imperiture di una espiazione già compiuta. Questo stabilisce una differenza immensa e davvero gloriosa! Benedetto sia Dio! Non abbiamo bisogno di seguire con ansietà il nostro Mediatore per sapere se, forse, Egli compirà la redenzione per noi e soddisferà la giustizia offesa. Egli ha compiuto tutto! La sua presenza nei cieli dichiara che l’opera è stata fatta. Pronto a lasciare questo mondo, ha potuto dire con la calma di un vincitore cosciente della vittoria (benché dovesse ancora passare per la scena più oscura della croce) :«Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai dato a fare». Salvatore benedetto! Noi possiamo adorarti e trionfare per l’onore e la gloria di cui t’ha rivestito la giustizia eterna! Il posto più elevato nei cieli è tuo e ai tuoi santi non resta che attendere il giorno in cui «ogni ginocchio si piegherà e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore alla gloria di Dio Padre» (Filippesi 2:10-11). Che questo giorno venga presto!

Alla fine di questo capitolo, l’Eterno proclama i suoi diritti, in governo morale, con le seguenti parole: «Colui che ha peccato contro a me, quello cancellerò dal mio libro! Or va, conduci il popolo dove t’ho detto. Ecco, il mio angelo andrà dinanzi a te; ma nel giorno che verrò a punire, io li punirò del loro peccato» (vers. 33-34). Quello è un Dio in governo, non l’Iddio del Vangelo. Qui parla di togliere via il peccatore; nel Vangelo lo vediamo togliere il peccato. La differenza è grande.

Il popolo deve essere condotto, sotto la mediazione di Mosè, dalla mano di un angelo. Era uno stato di cose assai differente da quello che era esistito tra l’Egitto e il Sinai. Israele aveva perso ogni diritto fondato sulla legge; così a Dio non restava che rientrare nella sua propria sovranità e dire: «Farò grazia a chi vorrò far grazia, e avrò pietà di chi vorrò aver pietà» (cap. 33:19).

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