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lettera diciannovesima

Lettera Diciannovesima

Diplomazia

Enrico ad Eugenio

Roma, Maggio 1849.

Mio caro Eugenio,

Eccomi di nuovo coi miei cari amici; eccomi al colmo delle mia felicità: ora posso dire che si è verificata in me, in tutta l’estensione della parola, la divisa della nostra cara Ginevra, post tenebras lux. Dopo tanti travagli, il mio avvenire è ridente; dopo tante afflizioni, sono nella più grande consolazione.

Ti ho promesso raccontarti la prigionia e la liberazione del mio buon amico Sig. Pasquali, amerei meglio che la sentissi dalla sua bocca; ma ciò essendo per ora impossibile, mi proverò dirti alla meglio ed in breve tutto quello che dai miei amici ho saputo sulla sua prigionia e la sua liberazione.

Non appena i miei amici ebbero sospetto che mi fosse accaduta qualche cosa, non vedendomi da qualche giorno, andarono nel convento ove era la mia abitazione, e si diressero verso la mia camera. Era appunto nel momento nel quale gli ufficiali della Inquisizione facevano l’ inventario delle mie carte e dei miei libri. Un birro dell’ inquisizione faceva la guardia fuori della porta della mia stanza per impedire a chiunque di avvicinarsi. I miei amici seppero da qualcuno dei frati che io era nelle prigioni dell’ inquisizione, e che nella mia camera si faceva la perquisizione. Il sig. Pasquali voleva entrare ad ogni costo per sapere le mie notizie, ma non gli fu permesso: anzi il superiore del convento obbligò i miei tre amici ad andarsene, e li rimproverò di essere essi stati la cagione del mio imprigionamento e della mia rovina.

I miei amici andarono immediatamente dal Console svizzero pregandolo di reclamarmi diplomaticamente come cittadino della libera Elvezia. Il Console svizzero è un uomo eccellente: mostrò gran dispiacere della disgrazia toccatami; disse che avrebbe fatto quanto era in suo potere, ma che prevedeva che tutto sarebbe stato inutile; che i suoi uffici si limitavano alla preghiera, non potendo minacciare; e che la Corte di Roma non si persuade nè di preghiere, nè di ragioni, e che solo il timore può qualche cosa su lei.

I miei amici allora fecero tutti gli sforzi possibili per giungere a penetrare nella mia prigione, e vedere così cosa avessero potuto fare in mio vantaggio; ma i loro, sforzi furono inutili, non fu loro possibile nè di vedermi, nè di farmi giungere una loro lettera.

Ecco come accadde l’ imprigionamento del Pasquali. Il S. Uffizio lo voleva nelle sue unghie, ma non voleva che si sapesse, per non mettere il campo a rumore. Il sig. Pasquali, sebbene italiano di nascita, pure, essendo stato tant’ anni in Inghilterra, aveva ottenuta la cittadinanza inglese, ed il Governo inglese non soffre che i suoi sudditi sieno carcerati dall’ inquisizione; bisognava dunque arrestarlo con inganno, e senza che nessuno se ne avvedesse; ed ecco come l’ Inquisizione giunse ad ottenere il suo scopo.

Un giorno sull’ imbrunire della sera, il Sig. Pasquali passeggiava solo per una via alquanto remota, come ve ne sono tante in Roma. Un uomo assai ben vestito, e con tutta l’ aria di gentiluomo, lo salutò, e facendosegli al lato gli disse essere egli grande amico del Console svizzero, presso il quale lo aveva veduto entrare; soggiunse che il Console gli aveva confidato il fatto del mio imprigionamento, e che egli, per la premura che avea di rendersi servizievole ai forestieri, avea fatto in modo che gli faceva sperare quasi certo un abboccamento con me; che egli era molto amico del Padre Commissario dell’ Inquisizione, e che nel caso che un abboccamento con me non fosse stato possibile, lo avrebbe fatto parlare col Padre Commissario al quale mi avrebbe potuto raccomandare, e dal quale avrebbe potuto avere certe notizie di me.

Il buon Pasquali cadde nel laccio, credè a quel preteso gentiluomo, e gli domandò quando si sarebber potute verificare quelle cose. “Anche ora, se volete, rispose l’ incognito; anzi questa è l’ora nella quale il Padre Commissario è meno occupato.” Andarono dunque al palazzo dell’ Inquisizione, l’incognito entrò nell’ appartamento del Padre Commissario, pregò il Pasquali di restare in anticamera per un momento fino a che il P. Commissario fosse prevenuto. Dopo un momento difatti uscì un servo dall’ appartamento e introdusse il Pasquali. Quando ebbe passate alcune camere, il servo gli disse, che il P. Commissario gli permetteva di vedere il prigioniero, ma solo per un quarto d’ora, e poi sarebbe passato da lui ove l’ incognito amico lo aspettava. Il Pasquali seguiva il servo contentissimo; questi si fermò davanti ad una prigione, l’aprì, invitò il Pasquali ad entrare dicendogli che egli lo avrebbe aspettato di fuori; ma, appena entrò, tirò a sè la porta, e con uno scroscio di risa richiuse il chiavistello. Così il Pasquali fu messo in prigione, e pochi momenti dopo fu fatto a lui quello che fu fatto a me, cioè il verbale di arresto, e la perquisizione sulla persona. Ebbe un bel protestare, le sue proteste furono accolte con risa di scherno (Nota 1 - Carcerazioni per tradimento).

Intanto il Sig. Sweeteman ed il Sig. Manson, che non vedevano ritornare a casa il Pasquali, erano in grande agitazione. Passate alcune ore, andarono alla polizia, e la polizia promise, che nel giorno dopo si sarebbe occupata di cercare il Pasquali, ma che non prometteva di trovarlo (Nota 2 - La polizia papale); il giorno dopo vi tornarono, e non vi era nessuna notizia. Andarono dal Console inglese, il quale sospettò una qualche aggressione (Nota 3 - Aggressioni sotto pretesto di carità), e scrisse immediatamente alla Segreteria di Stato, perché ordinasse alla polizia di far tutte le ricerche possibili onde ritrovare il Pasquali. Intanto però passavano le settimane senza che si sapesse nulla.

Un giorno si presenta al Sig. Manson un uomo vestito signorilmente (e forse quello stesso che avea carcerato il sig. Pasquali) (Nota 4 - Segreto del S. Uffizio come si mantiene), e gli disse che egli avea notizie del sig. Pasquali e notizie certissime, che egli poteva indicare un mezzo sicuro per averlo libero, e che lo avrebbe indicato a due condizioni: la prima, una promessa solenne di assoluto segreto; la seconda, un regalo da convenirsi. Il sig. Manson promise il segreto, e per il regalo si convenne che sarebbero stati dati cento scudi, quando la relazione fosse stata trovata esattamente vera. Colui si contentò e svelò al sig. Manson il come era stato carcerato il Pasquali, e disse quello che dovea farsi onde liberarlo.

Intanto il sig. Pasquali era stato esaminato nel S. Uffizio; il suo esame però fu fatto con la solennità che si conviene ad un dogmatizzante (Nota 5 - Esami pubblici, o solenni). Egli non fu esaminato come me dal secondo compagno in privato; fu condotto nella camera del giudizio, ov’ erano il P. Commissario, Monsignor Assessore, il Fiscale, i due Padri compagni del Commissario, due Consultori, il capo Notaio ed un Notaio sostituto.

Monsignore Assessore ordinò al Pasquali di giurare, il Pasquali rispose: “Il Signore insegna di non giurare in nessuna maniera, ed io non giurerò; io sono solito, per la grazia di Dio, di non mentire giammai, e di non giurare giammai.” Gli fu domandato a qual setta religiosa appartenesse: il sig. Pasquali rispose con le parole di S. Paolo: “Io servo all’Iddio de’ miei padri, secondo la professione che voi chiamate setta, e credo a tutto quello che è scritto nella Parola di Dio; in una parola, io sono Cristiano, e non appartengo a setta alcuna.” “Però, continuò l’ Assessore, voi appartenete ad una setta separata dalla Chiesa di Gesù Cristo.” “Domando perdono, rispose il Valdese, io appartengo alla Chiesa di Gesù Cristo, e non ad una setta; anzi, per la misericordia di Dio, appartengo ad una Chiesa che fin dai tempi apostolici esiste, e che conserva tuttora la dottrina, apostolica” (Nota 6 - Antichità de' Valdesi ).

Allora uno dei due Consultori domandò la parola, ed incominciò ad entrare in discussione col Pasquali. Il Pasquali a questo punto era pieno di una gioia inesprimibile, perchè gli si dava l’ occasione di testimoniare del Vangelo, in una riunione dei suoi più grandi nemici. “S. Paolo dice, incominciò il Consultore, che la sola Chiesa cattolica apostolica romana è la colonna e il firmamento della verità” (Nota 7 - La Chiesa colonna e sostegno della verità). “Reverendo Padre, interruppe Pasquali, S. Paolo non parlava della Chiesa romana in quel passo, ma parlava della Chiesa di Gesù Cristo: vi dirò io quando S. Paolo parlava della Chiesa romana. Egli ne parlava nel cap. XX degli Atti apostolici, quando diceva: “Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi dei lupi rapaci che non risparmieranno la greggia, e che d’ infra voi stessi sorgeranno degli uomini che proporranno cose perverse;” ecco quando S. Paolo parlava di voi. Ma ne parlava più chiaramente nel capo IV della sua prima lettera a Timoteo, quando diceva: “Lo Spirito dice espressamente, che negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla fede, attendendo a spiriti seduttori, ed a dottrine diaboliche d’uomini che proporranno cose false per ipocrisia, cauterizzati nella propria coscienza.”

Volea il Pasquali citare altri passi su quel proposito, ma fu interrotto dal Presidente, il quale gli disse che dovea limitarsi a rispondere semplicemente alle interrogazioni. Gli fu dunque domandato: “Cosa pensate voi del Papa?” “Io penso, rispose, che egli è quell’uomo di cui parla S. Paolo nel c. II della seconda lettera ai Tessalonicesi” (Nota 8 - Il capo II della seconda ai Tessalonicesi). Un grido di orrore scoppiò unanime dalla bocca di quegli uomini, ed il Presidente alzandosi disse: “È un eretico ostinato, non abbiam bisogno di altre prove.” Tutti si alzarono e ad un cenno del Presidente il Pasquali fu ricondotto nella prigione, e forse eravamo tutti e due destinati ad essere gittati in uno di quei forni di cui ti ho parlato, se Dio non provvedeva alla nostra salvezza.

Mentre accadevano queste cose nel Sant’ Uffizio, il signor Manson non perdeva il suo tempo, egli era andato insieme col sig. Sweeteman dal Console inglese, e gli avean raccontato ciò che egli avea saputo dall’incognito, cioè, che il Sig. Pasquali era nelle prigioni del S. Uffizio, dalle quali non sarebbe mai più uscito, e gli manifestò il consiglio che l’ incognito gli avea dato per liberarlo. Il consiglio era questo, che il Console inglese domandasse immediatamente un’ udienza al papa, e gli parlasse con grande risolutezza, come se parlasse per ordine del suo Governo, e domandasse risolutamente la immediata liberazione del Pasquali, che non cedesse in nulla, e sopratutto che non accordasse tempo, perché altrimenti tutto era perduto. “Assicuratevi, avea detto l’ incognito, che la poca esperienza del papa, il suo naturale timoroso ed indeciso, il timore che in questi momenti inspira alla Curia romana Lord Palmerston, faran sì che il papa accondiscenderà alle domande del Console, forse mettendo per condizione l’ esilio del Pasquali. Sopratutto però, avea detto l’ incognito, che il Console parli di questo solo col papa, e procuri, per quanto è possibile, di non uscire dall’ udienza senza avere ottenuta per iscritto la liberazione del Pasquali.”

Il Console aggradi il consiglio, ed indossata immediatamente l’uniforme, andò al Quirinale (Nota 9 - Palazzi apostolici), entrò nelle anticamere con aria molto preoccupata, come se dovesse parlare al papa di affari interessantissimi; andò diritto dal maestro di camera, e con la stessa aria di preoccupazione domandò una sollecita udienza. Fu quasi subito ammesso alla presenza del papa, e seppe così ben fare, che il papa concepì timore di tirarsi addosso il corruccio dell’ Inghilterra. Il Console fece conoscere che il Pasquali era suddito inglese, e che l’ Inghilterra non avrebbe potuto soffrire in pace di vedere un suo cittadino nelle carceri dell’ Inquisizione, mentre in Inghilterra i Cattolici godono intera libertà. Fece conoscere al papa che se il Pasquali era immediatamente liberato, la cosa non avrebbe avuto alcun seguito; ma se non lo fosse stato, egli Console avrebbe dovuto immediatamente scrivere al suo Governo, ed allora l’ affare si sarebbe trattato diplomaticamente, e la riuscita non sarebbe al certo stata vantaggiosa al Governo pontificio. Il papa si spaventò, e promise che avrebbe liberato il Pasquali; ma il Console gli fece osservare che quella promessa, sebbene valevolissima, pure non lo dispensava dal dovere scrivere immediatamente al suo Governo, e perciò pregava il papa a volere realizzare subito quella promessa, degnandosi di scrivere di propria mano un ordine per la immediata liberazione del Pasquali.

“Vostra Santità, egli diceva, non deve dipendere da nessuno in questa cosa, è un affare puramente religioso, ed i Ministri non vi hanno che far nulla.” Il papa allora scrisse se l’ ordine di liberazione e lo consegnò al Console, il quale a tutta corsa andò al S. Uffizio, presentò l’ordine, e volle che immediatamente gli si consegnasse il Pasquali.

Era un’ ora dopo il mezzogiorno quando i due miei amici videro giungere alla loro casa il Console col Sig. Pasquali, il quale dopo un mese di prigione era così consunto e deteriorato in salute, che sarebbe stato difficile il riconoscerlo. Il Console gli ordinò di mangiare qualche cosa, ed intanto egli fece preparare i loro passaporti per Malta, li fece partire nello stesso giorno, temendo che il papa, ripensando a quello che avea fatto, avesse potuto, sotto un altro pretesto, far di nuovo imprigionare il Pasquali (Nota 10 - Buonafede della polizia). Essi pagarono allora i cento scudi all’ incognito delatore, raccomandarono me al Console il quale non potè far nulla, non essendo io suddito inglese, e partirono per Napoli, ove presero l’imbarco per Malta.

Pedro