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Lettera quarta

Lettera quarta

I Monumenti

Enrico ad Eugenio

Roma, Gennaio 1847.

Mi è rincresciuto trovare nella tua ultima lettera un sospetto sulla mia condotta. Tu dubiti che la ragione per cui ho tardato un mese a scriverti, nonostante la mia promessa, sia stata quella di non voler confessare la mia disfatta. No, caro amico, io ancora non sono mai uscito perdente dalla disputa, e spero anzi uscirne vittorioso. Non ti ho scritto appunto, perchè non voleva noiarti scrivendoti discussioni: voleva aspettare la decisiva vittoria, che non può tardare, e quindi ti avrei scritto tutto. Ma poichè tu brami sapere tutti i dettagli, sono pronto ad accontentarti. Io mi esterno con te come con un amico del cuore quale tu sei: non ti nascondo nulla, neppure i pensieri del mio animo; sicuro che tu non vorrai compromettermi.

Ecco dunque cosa accadde nella visita dei monumenti.
Andai il giorno convenuto dal signor Manson, e trovai gli altri due. Prendemmo una carrozza, e, secondo il programma del mio maestro, condussi i miei amici alla chiesa di S. Pietro in vinculis (Nota 1 - Chiesa di S. Pietro in vinculis). Essa è posta sulla punta meridionale del monte Esquilino. Un bellissimo portico a cinque arcate, chiuse con eleganti cancelli di ferro, apre l’ingresso alla magnifica basilica, che è di una architettura gaia insieme e maestosa! Non ti dirò nulla del bellissimo quadro di S. Agostino opera del Guercino, nè dell’altro rappresentante la liberazione di S. Pietro dal carcere, opera del Domenichino. Il capo d’opera di Michelangiolo, cioè la statua di Mosè, destinata per il mausoleo di Giulio II, ecclissa tutto in quella chiesa.

Il sig. Manson, il sig. Sweeteman, ed io eravamo incantati davanti a quella statua che dimostra fin dove possa giungere il genio dell’arte cristiana. Il Valdese però sorrideva della nostra ammirazione; quindi, percuotendomi leggermente sulla spalla, “Signor abate, mi disse, mi spieghi un poco una cosa che io non comprendo. La vostra Chiesa dice che i templi sono luoghi santi, luoghi consacrati al Signore, case di orazione; ed applica ai suoi templi tutto ciò che la Bibbia dice del tempio di Gerusalemme: come dunque può essa trasformare i suoi templi in studii di belle arti o musei, ed esporli così alla profanazione di noi protestanti, che entriamo in essi non per pregare, ma per vedere gli oggetti d’arte?”

Risposi che le immagini erano nelle chiese per eccitare la devozione nel popolo, e che più erano belle più rispondevano al loro scopo. “Luoghi comuni, interruppe: non anticipiamo sulla questione delle immagini, essa verrà a suo tempo. Ma, sebbene vi accordassi quello che voi dite, questo monumento certo non è posto qui per eccitare la devozione, ma per onorare un cadavere di un Papa.” “Alla casa del Signore, soggiunsi, si conviene la magnificenza.” “Sta scritto però, rispose egli: La santità è bella nella tua casa in perpetuo” (Salm. XCIII, 5).

Passammo nella sacrestia ove ci aspettava il P. Abate (Nota 2 - Abate di detta chiesa), il quale ci accolse con molti complimenti. Nella sacrestia vi è un bell’altare in marmi, e sopra esso un armadietto fatto di marmi preziosi, e di bellissimo lavoro. Il P. Abate fece accendere quattro candele, si mise la cotta e la stola, aprì l’armadietto, e ne trasse una bell’urna di cristallo di roccia ove si conservano le catene di S. Pietro. Il P. Abate ed io ci inginocchiammo innanzi alle sante catene, e pregammo in silenzio; quindi baciammo quelle reliquie, ed il P. Abate richiuse l’armadio.

Dopo ciò, spogliati gli abiti sacri, raccontò che nel quinto secolo Giovenale Patriarca di Gerusalemme donò alla imperatrice Eudossia la catena con la quale era stato inceppato san Pietro in Gerusalemme per ordine dell’empio Erode: Eudossia ne fece un dono al Papa S. Leone I, il quale avvicinò quella catena con l’altra con la quale S.Pietro era stato legato in Roma per ordine di Nerone. Le due sante catene, toccandosi, si unirono e divennero una sola catena che è quella che colà si conserva. Allora la imperatrice fece rifabbricare questa chiesa; dico rifabbricare, perchè essa era già una chiesa fabbricata da S. Pudente, e consacrata da S. Pietro.

Da qui il titolo di S. Pietro in vinculis.

“È poi ben certa questa storia?” domandò il Valdese.

“Per dubitare della verità di essa, rispose il P. Abate con gravità, bisognerebbe dubitare della stessa evidenza: se vogliono prendersi la pena di salire fino al mio appartamento, farò loro vedere i documenti che provano la verità di essa.”

Salimmo allora all’appartamento del P. Abate, il quale trasse da’ suoi scaffali il primo volume delle opere del P. Tillemont, e alla pagina 172 lesse queste parole: “ - La tradizione dice che S. Pietro convertì in Roma il senatore Pudente che dimorò nella sua casa, e consacrò in essa la prima chiesa di Roma, divenuta poscia S. Pietro in vinculis.

Io era fuori di me per la consolazione, ed ammirava la prudenza del mio maestro nell’avere così bene diretta la mia visita ai monumenti. Il signor Manson esclamò: “Ah! bisogna venire a Roma per istruirsi nelle antichità ecclesiastiche!”

Il Valdese, con la sua solita freddezza, disse: “Ma ella crede, P. Abate, che realmente Tillemont prestasse fede a quel fatto?”

“Io non so come se ne possa dubitare, riprese il P. Abate: Tillemont si fonda sulla tradizione.”
Pedro