00 30/09/2010 17:55
Lettera ottava

Il parroco

Enrico ad Eugenio

Roma, Marzo 1847.

Mio caro Eugenio,

Ormai ho incominciato ad aprirti tutto il mio cuore, e avvenga pure qualunque cosa, io voglio continuare ad aprirtelo. Certo, io non poteva mai immaginare che le cose fossero giunte a questo punto; e, se lo avessi sospettato, non avrei incominciata questa corrispondenza. Ma ora che la ho incominciata, voglio continuarla fino alla fine, e raccontarti candidamente tutto.

Dopo la ultima conversazione alla villa Patrizi, passarono alcuni giorni senza che io vedessi i miei tre amici: io non andava a cercarli, e, temendo che essi venissero a cercare me, pensava di cambiare abitazione, perchè non potessero più trovarmi, e troncare così una discussione dalla quale fino ad ora non ho ricavato alcun bene, e temo che non ne ricaverò che male. Mentre era in queste disposizioni, ricevo la lettera del signor Manson, che qui ti trascrivo.

‘Signor Abate,
‘Dal giorno in cui fummo insieme alla villa Patrizi, sono accadute delle cose assai interessanti, che mi hanno gettato in grande imbarazzo, ed hanno turbato molto le mie convinzioni.

‘Voi sapete che io non sono Cattolico romano, ma non sono neppure uno di que’ fanatici Protestanti, i quali non sanno trovare altro che male nella Chiesa romana. Io non dissimulo i suoi mali, e gli abusi che in essa si sono introdotti, ma confesso francamente che in essa vi sono delle cose buone, e che se è desiderabile una riforma nella Chiesa romana, non sarebbe perciò nè giusta nè opportuna la distruzione di essa (Nota 2 - Neocattolicismo).

‘Or bene, la sera che ci lasciammo, il signor Pasquali mi disse che lo scopo del suo soggiorno in Roma era di far conoscere al signor Sweeteman la metropoli del Cattolicismo, e di fargliela conoscere sotto il punto di vista religioso, acciò potesse ben conoscere il Cattolicismo romano, non in teoria, ma come esso veramente è. "Domani, egli mi disse, noi incominceremo le nostre osservazioni pratiche sui luoghi: se ci vorrete seguire, ne saremo ben contenti."

‘Io accettai con piacere l’invito, perchè anche io desiderava conoscere bene tutto il sistema ecclesiastico della Chiesa di Roma; e la esperienza e la saviezza del signor Pasquali, mi avrebbe mirabilmente servito allo scopo.

‘ "Ebbene, egli soggiunse, poichè abbiamo incominciato a discutere sul primato del papa, dirigeremo le prime nostre osservazioni a vedere come e con quali mezzi il papa esercita il suo primato."

‘La mattina dopo ci unimmo ed andammo in una chiesa che per ora non nomino: cercammo del parroco, il quale, conoscendo già il signor Pasquali, ci accolse con molta gentilezza.

‘Il signor Pasquali lo pregò di voler avere la bontà di accompagnarci e farci vedere e conoscere le congregazioni ecclesiastiche che formano la Curia romana.

‘Il parroco con un sorriso significante, ci disse: "Nescitis quid petatis (Nota 3 - Abuso de' passi della Bibbia): in primo luogo la cosa è assai lunga; in secondo luogo oggi essendo l’ultimo giorno di carnevale tutto è chiuso; finalmente desidererei, se è lecito, sapere per qual motivo desiderate vedere cotali cose, e perchè volete che io vi serva di cicerone."

‘ "Noi siamo forestieri, disse il signor Pasquali, e desideriamo conoscere la Curia romana: abbiamo bisogno di uno che c’introduca, e che ci possa spiegare bene tutte le cose; perciò preghiamo voi ad avere la compiacenza di accompagnarci."

Il parroco domandò allora al signor Pasquali chi eravamo; e saputo che eravamo suoi amici: "Ebbene, disse, di voi posso fidarmi: voi non mi comprometterete per certo, e questi signori, se sono vostri amici, non mi comprometteranno neppure. Però per oggi non possiamo andare in nessun luogo, perchè tutte le segreterie son chiuse: ma se volete assistere alla udienza che ora do ai miei parrocchiani, potrete forse anche da questa apprendere qualche cosa."

‘Allora scendemmo guidati da lui in una camera al piano terreno vicina alla sacrestia, sopra la porta della quale è scritto in grandi caratteri PARROCCHIETTA (Nota 4 - Parrocchietta). Fuori della porta vi erano più di trenta persone, uomini e donne del popolo, che aspettavano la udienza parrocchiale. Un uomo lurido e di fisionomia ributtante era alla porta della parrocchietta per introdurre di mano in mano le persone alla udienza: egli esercitava l’ufficio di ciamberlano. La fisionomia di quell’uomo mi fece ribrezzo, e dimandai chi egli si fosse: il parroco sorridendo mi rispose: "È il mio beccamorti" (Nota 5 - Il beccamorti).

‘Entrati in quella camera, il parroco si assise nel suo seggiolone, e noi ci siedemmo ai lati.

‘Primo ad essere ammesso a quella udienza fu il sagrestano, il quale entrò con una quantità di carte in mano, e le presentò alla firma del parroco, assicurandolo della loro regolarità (Nota 6 - Il sagrestano): erano fedi di vita per poter dalle pubbliche casse ricevere pensioni e sussidii, certificati di malattia per poter ottenere il permesso di mangiare carni nella quaresima, fedi di nascita o di morte, e cose simili. Firmate dal parroco quelle carte, il sagrestano uscì, ed il beccamorti incominciò ad introdurre i parrocchiani.

‘Io credeva che tutta quella gente fosse là per domandare al parroco qualche spiegazione religiosa, ovvero per domandare un qualche consiglio di coscienza; e mi prometteva di uscire da quella udienza edificato. Ma quale fu il mio disappuntamento nel vedere che la religione non entrava per nulla in quella udienza pastorale! Uno veniva per domandare il permesso di portare armi proibite; un altro voleva il permesso di avere armi da caccia; un altro voleva un certificato per avere un impiego; un altro un permesso per ottenere un passaporto per l’estero, e cose simili.

‘Nel mezzo della udienza si presenta una signora con abito di seta, ed ornata di gioie, e, passando immediatamente in mezzo a tutti, domanda al parroco un certificato di povertà, che le era necessario, essa diceva, costringere il marito dal quale si era separata a pagarle gli alimenti (Nota 7 - Legge sugli alimenti), ed il parroco immediatamente lo fece.

‘Noi ci riguardammo attoniti: ed il parroco, veduto il nostro stupore, appena uscita quella signora, ci disse: "Voi siete stupiti, e forse anche scandolezzati per quel certificato di povertà che ho rilasciato a quella signora; e sareste più stupiti se sapeste che quella signora è mantenuta da un ricchissimo suo cognato, fratello del di lei marito, il quale non ha che una pensione di venti scudi al mese: essa abita in un magnifico appartamento, ha una serva ed una cameriera, ed il suo cognato paga tutto, purchè essa non conviva col marito, anzi lo vessi più che può. Ebbene, cosa volete? Se io le avessi ricusato quel certificato, mi sarei tirato addosso una fiera persecuzione. Il suo cognato è uomo devoto, ed ha una quantità di cardinali amici: essa è protetta da Monsignor A..."

‘ "Ma come potete, interruppe il signor Pasquali, fare un certificato falso? Dite pure quello che volete, voi avete asserito il falso."

‘ "Piano, piano, riprese il parroco con calma: in primo luogo potrei rispondere che il mio certificato non è che una semplice formalità richiesta dalla legge, e non arreca danno a nessuno; per cui, anche nel caso che fosse falso, sarebbe una bugia non dannosa, e divenuta necessaria per liberarmi da una certa persecuzione: in questo caso la morale della nostra santa Chiesa insegna che una tale bugia non è che un peccato veniale che si cancella con l’acqua santa (Nota 8 - Teoria delle bugie). In secondo luogo vi dirò che nella nostra pratica parrocchiale noi abbiamo trovato il modo di fare certificati falsi senza mentire, o almeno senza esporsi al pericolo di essere dichiarati mentitori. Ecco, per esempio, a quella signora ho fatto il certificato così: Attesto io sottoscritto che la sig. N. N. per quanto a me consta è povera. Dicendo per quanto a me consta, tutto è salvato; imperciocchè constare vuol dire sapere di certo e con prove evidenti: ora, non avendo io prove evidenti di sua ricchezza, devo supporre che sia vera la povertà che essa accusa. In terzo luogo tutto quello che ha quella signora, lo ha dalla carità del suo cognato e da qualche regalo di Monsignore A... non ha dunque nulla di proprio; vive di carità: dunque è veramente povera. Finalmente nei nostri crocchi (Nota 9 - Il crocchio) si è deciso che un certificato di povertà si può fare anche ai ricchi; imperciocchè anche un ricco può dirsi povero relativamente ad un altro più ricco di lui: anzi alle volte il ricco è più povero dell’accattone, perchè ha maggiori bisogni ai quali non può soddisfare, e soffre."

‘ "Ma cotali dottrine, disse il signor Pasquali, non sono le dottrine del Vangelo."

‘ "Eh caro amico, riprese il parroco, il Vangelo è bello e buono; ma bisogna sapersi adattare alle circostanze. Io, a dirla schiettamente, non sono tanto persuaso di tali dottrine, e sento una certa repugnanza nel praticarle; ma qui in Roma non si può ottener nulla senza un certificato del parroco: se noi lo neghiamo, corriamo il rischio di essere uccisi o bastonati, come è accaduto a qualche mio collega (Nota 10 - Parrochi bastonati)." Dopo questo discorso, fece segno al beccamorti acciò introducesse le altre persone che aspettavano udienza.

‘Non vi starò a dire minutamente cosa accadesse nel resto di quella udienza; ma vi dirò in generale che io ne restai molto scandalizzato. Ora era un uomo che esponeva al parroco la cattiva condotta di sua moglie, ed esigeva che il parroco la punisse: ora era una donna che ricorreva contro gli strapazzi che riceveva dal marito. Due donne del volgo entrarono insieme accusandosi scambievolmente d’immoralità, e gridavano e schiamazzavano, e sarebbero forse venute alle mani se il beccamorti ad un cenno del parroco non le avesse messe alla porta. Ultima ad entrare fu una giovane, la quale tutta piangente veniva ad accusare un suo seduttore, ed a domandare al parroco che esso seduttore fosse da lui stato costretto a sposarla.

‘Terminata la udienza che non durò un’ora, il parroco ci condusse nelle sue camere, ed io gli domandai ogni quanto tempo si dava quell’udienza. "Ogni quanto tempo! Rispose: due volte al giorno: la sola domenica si dà una volta."

‘Il signor Pasquali gli domandò di spiegarci quali erano le attribuzioni de’ parrochi in Roma. "Esse sono molte e delicatissime, rispose: vi basti sapere che il parroco in Roma è in relazione ufficiale con quasi tutti i dicasteri, e con quasi tutti i tribunali (Nota 11 - Tribunali romani): le sue più strette relazioni però sono col Vicariato. Il Vicariato di Roma, ossia il tribunale del cardinal Vicario, è nello stesso tempo un tribunale ed un dicastero di polizia: è un tribunale criminale per le donne di mala vita ed i delitti contro il buon costume (Nota 12 - Tribunale criminale del Vicariato), è una polizia riguardo a’ chierici. Il Vicariato non fa nulla senza prima avere inteso il parroco: il primo documento di ogni processo criminale al Vicariato è la denunzia o il rapporto del parroco. In quanto a’ chierici, se un giovane vuol prendere l’abito ecclesiastico, ad ogni ordine che vuol prendere vi vuole il certificato di buona condotta del parroco: ogni sei mesi i preti debbono rinnovare il celebret, ovvero il permesso di poter dir la messa, e ci vuole il certificato del parroco. Una volta all’anno ogni parroco deve mandare al Vicariato la nota di tutti i preti che abitano nella sua parrocchia, ed informare su tutti: ogni volta che si avvede di qualche mancanza di un prete o di un chierico, deve tosto informare il Vicariato: se un prete è accusato di qualche colpa, il Vicariato non procede senza aver prima domandate per iscritto le informazioni al parroco. In una parola, i parrochi sono il braccio destro del Vicariato."

‘ "Se così è, disse il signor Sweeteman, devono essere favole tutte le cose che si raccontano de’ preti e della impunità che loro si accorda.

‘ "Disgraziatamente, rispose il parroco, non sono favole, e se lei sapesse quello che sappiamo noi, vedrebbe che quello che si dice non è che una piccolissima porzione di quello che veramente è. Ma crede lei che sarebbe cosa ben fatta mettere tutto al pubblico? Il Vicariato ha adottati due savissimi provvedimenti per evitare cotale scandalo: esso procede solamente quando la cosa è già pubblica, e che lo scandalo non può più essere evitato; quando i secolari ricorrono, quando insomma non si puol fare a meno di procedere: ma se il prete agisce con prudenza, se sa far tacere chi potrebbe parlare, allora non si procede; perchè il rimedio sarebbe peggiore del male. Supponete per esempio che un prete conviva con una cognata, una nepote, una governante, e che i vicini non sieno per nulla edificati sulla sua condotta; e che cotesto prete per la sua posizione, le sue ricchezze, le sue influenze, la sua ipocrisia, si faccia temere, e chiuda così la bocca a chi potrebbe accusarlo: come volete che allora si proceda? Il Vicariato chiude un occhio, come sul dirsi, e noi li chiudiamo tutti e due per non mettere al pubblico quello che è nascosto. Il secondo provvedimento è di far passare come calunniosi molti ricorsi contro i preti. Supponete per esempio che un prete zelante, un buon confessore, un buon predicatore, sia accusato d’immoralità: non credete voi che per il maggior bene della religione sia cosa migliore far passare l’accusa per calunniosa? Cosa direbbero gl’increduli, cosa direbbe il popolo, se vedesse che i più zelanti sostenitori della religione sono alle volte i più immorali?"

‘Caro signor Abate, non potete credere qual colpo terribile fossero per me queste rivelazioni! il sig. Pasquali mi lanciò uno sguardo malizioso, ed il parroco continuò:

‘ "Il Vicariato agisce come tribunale sui delitti contro il buon costume: le donne di cattiva vita sono tutte sotto la giurisdizione del Vicariato, ed ogni parroco deve avere un libro ove sono registrate tutte le donne di mala vita che dimorano nella sua parrocchia."

‘ A tale notizia ci fuggì dalla bocca un Oh! Di sorpresa: allora il parroco trasse da un cassetto del suo scrittoio un libro in forma di rubrica con l’alfabeto in margine, intitolato il libro delle Ammonizioni canoniche, nel quale erano registrate per ordine alfabetico tutte le cattive donne della sua parrocchia. "Quando un parroco, continuò, è stanco di soffrire una di queste donne, o la scaccia dalla sua parrocchia, ed essa è obbligata a sloggiare immediatamente, ovvero la denunzia al tribunale criminale del Vicariato, ed essa, a meno che non abbia potenti protettori, è immediatamente carcerata (Nota 13 - Potere de' parrochi di Roma)."

‘ "Non crediate però che ne’ nostri libri sieno registrate tutte le donne disoneste: poveri noi se ciò fosse! Chi ci salverebbe dall’ira de’ grandi? Vi sono soltanto quelle disgraziate che, per non morire dalla fame o per essere state sedotte e rovinate nella loro innocente gioventù, sono costrette contro lor voglia a menar cattiva vita (Nota 14 - Il parroco Sorrentino)."

‘ "Ma il papa, domandai, sa egli tutte coteste cose?"

Il papa, rispose, è stato vescovo, e le sa meglio di me: ma noi abbiamo un principio sul quale è basata tutta la condotta del tribunale del Vicariato, ed è che di due mali debbe eleggersi il minore."

‘ "Questo principio è empio, rispose il signor Sweeteman che non potè più frenarsi: S. Paolo dice (Rom. III, 8) che giusta è la condannazione di coloro che lo ammettono."

‘ "Distinguo, rispose il parroco: S. Paolo parla di coloro i quali fanno il male acciò da quello ne venga un bene; ma noi non diciamo che debba farsi il male, ma che può tollerarsi: altro è fare un male, altro tollerare che altri lo faccia."

‘ "Ma quando quel male che si tollera, riprese il mio giovane amico, si può e si deve impedire, e non s’impedisce, allora si acconsente ad esso; e S. Paolo dice (Rom. I, 22) che coloro i quali acconsentono o permettono il male sono rei come lo sono coloro che lo fanno."

‘Il parroco non rispose nulla alla osservazione del sig. Sweeteman, ma mi sembrò che ne fosse alquanto sconcertato. "Ciononostante, continuò a dirci, non è il solo Vicariato che occupa un parroco di Roma; ma tutti i tribunali, tutti i dicasteri, e quasi tutte le congregazioni lo occupano molto. In Roma non si può ottenere nulla senza il parroco: se si vuol concorrere ad un impiego, se si vuole una grazia, se si vuole una udienza dal papa o da qualche alto personaggio, vi vuole il certificato del parroco; se volete un passaporto per andare a fare i fatti vostri, non potete ottenerlo senza il nostro permesso per iscritto: qualunque diritto abbiate ad una pensione, non potete averla senza il nostro certificato; e, quando la avete ottenuta, dovete ogni mese presentarvi con un nostro certificato per riscuoterla; un malato non è ricevuto all’ospedale senza un nostro certificato, ed i parenti o amici non possono andarlo a visitare senza il nostro permesso per iscritto: quando una povera donna prende ad allattare un fanciullo esposto, non può ricevere dallo stabilimento la magra mesata, senza presentare ogni mese un certificato del parroco, il quale attesti che tanto la balia che il fanciullo godono perfetta salute: in una parola, in Roma non si può ottener nulla senza di noi. Ma quello che più ci occupa sono i sussidi (Nota 15 - La Commissione de' sussidi), che se da un lato ci dànno un gran potere, dall’altro ci attirano sopra le odiosità, e ci dànno un terribile da fare. La corrispondenza ufficiale poi non è piccola cosa. La polizia, il S. Uffizio, i tribunali, i dicasteri ci domandano spesso informazioni segrete sopra l’uno o l’altro de’ nostri parrocchiani, sulla sua condotta privata, sulla sua maniera di pensare; e noi dobbiamo subito informare, e guai a noi se dicessimo di non saperne nulla!"

‘ "Ma come fate, soggiunsi, a sapere esattamente la condotta privata di tutti i vostri parrocchiani? Suppongo che in Roma le parrocchie saranno molto piccole."

‘ "V’ingannate, rispose: le parrocchie in Roma non sono grandissime è vero; ma in media ogni parrocchia dà almeno quattromila anime: ve ne sono però che ne contano fino a diecimila. Come poi si faccia da noi per sapere a puntino i più reconditi segreti, questo è un punto orribile che non vorrei svelare a chicchessia, perchè ne sento rossore; è una cosa che pesa orribilmente sulla mia coscienza di Cristiano e di uomo onesto, e sulla quale prego Dio ad aprirmi una via onde uscire da tale imbarazzo. Io spero che voi, amici del signor Pasquali che conosco assai bene per uomo onesto e discreto, non vorrete compromettermi, e perciò vi dirò tutto.

‘ "Il confessionario ed i sussidii, ecco i due mezzi da noi messi in opera per avere in mano la più rigorosa polizia della nostra parrocchia. Non già, notate bene, che i parrocchiani vengano a confessarsi da noi: essi temono di confessarsi dal parroco, ed il parroco in Roma è quello che confessa meno di ogni altro prete: ma ogni parroco ha le sue sette o otto devote sparse per la parrocchia, le quali sono mantenute da lui con i sussidi che si dovrebbero ai veri poveri, e queste devote spiano devotamente la parrocchia: esse s’introducono nelle case sotto diversi pretesti; esse prendono amicizia con le serve, e le collocano a padrone; esse vanno caritatevolmente a prestare la loro assistenza ai malati, a passare le notti con essi, e la mattina sono al confessionario del parroco a fare le loro rivelazioni, ed a ricevere da lui commissioni ed istruzioni per impadronirsi di altri segreti. Non vi maravigliate, miei signori: è una iniquità, lo so; ma come fare altrimenti? Quando il Vicariato vi domanda informazioni per un processo criminale, esse devono formare la base dell’atto di accusa, devono essere complete e date sollecitamente: se voi dite di non saper nulla su quella persona o su que’ fatti, ovvero date buone informazioni, quando il Vicariato o altro tribunale che v’interpella ne ha delle cattive, siete accusato di non fare il proprio dovere, siete screditato presso i superiori, siete perduto."

‘Il povero parroco nel dire queste cose aveva il cuore oppresso, e si vedeva che la forza della coscienza lo spingeva a cotali rivelazioni, che senza questo sarebbero state imprudenti. "Voi siete un uomo onesto, gli disse il signor Pasquali; pregate e siate certo che presto o tardi Dio vi libererà da questi lacci d’iniquità ne’ quali vostro malgrado siete involto. Ma diteci di grazia, come e quando esercitate gli uffici essenziali al pastore delle anime, la predicazione, le visite ai malati, agli afflitti, agli erranti, ai poveri; la istruzione, la edificazione e cose simili?"

‘ "Questi che voi chiamate offici essenziali al parroco, e secondo me dovrebbero essere tali, sono tenuti da noi per uffici secondari e di poca importanza. La predicazione per esempio è una semplice formalità; vi sono de’ parrochi che non predicano quasi mai e fanno fare la spiegazione del Vangelo dal loro viceparroco; ve n’è uno, ed è de’ migliori e dei più stimati, il quale è incapace di predicare, e non ne fa alcun mistero: egli non ha mai predicato; gli altri fanno la spiegazione del Vangelo (Nota 16 - La spiegazione del Vangelo) di rado e male, e se non vi fossero le poche devote di cui vi ho parlato, non vi sarebbero ascoltatori. Per quello che riguarda la istruzione, ecco in cosa consiste: essa si fa nelle domeniche libere cioè nelle domeniche in cui non vi sono feste particolari; essa dura un’ora, nella quale si fa recitare a memoria ai pochi fanciulli del popolo che intervengono, il catechismo piccolo del cardinal Bellarmino; poi il parroco fa un piccola spiegazione alle ragazze grandi, di quel catechismo, e tutto finisce con le litanie lauretane, ed il baciamano al parroco che si fa da tutte le giovani (Nota 17 - Il catechismo). Per le visite ai poveri vi sono i deputati della commissione de’ sussidii; per gl’infermi vi è il viceparroco, ed altri preti pagati per questo: il parroco non va che nelle famiglie principali della sua parrocchia."

‘Il sig. Pasquali, allora, levandosi da sedere per il primo, diede fine alla visita, e stringendo la mano al parroco disse: "Io vi consiglio mio buon amico, a meditare sul vers. 1 del capo IV della prima lettera ai Corinti, ed applicarlo al vostro caso: "Così faccia l’uomo stima di noi, come di ministri di Cristo e di dispensatori dei misteri di Dio." E ci licenziammo.

‘Vi confesso, caro signor Abate, che la conversazione con questo parroco, che mi pare uomo sincero, mi ha sconcertato: i miei sogni dorati su Roma incominciano a svanire. Ma quello che mi ha disgustato è una seconda conversazione che desidererei comunicarvi a voce, se vorrete darmi un appuntamento. Io ho bisogno di spiegazioni; se Roma è così, io cesso dall’ammirarla.

‘Credetemi vostro servo
‘W. Manson M.A.’

Dopo una tal lettera, potrai comprendere, caro Eugenio, che io sono più sconcertato del sig. Manson, e ti assicuro che essa mi ha posto in una falsa posizione. Gli argomenti di fatto distruggono i più belli raziocini de’ teologi. Io sento una voce interna che mi dice: "Tu sei nell’errore, il Valdese ha ragione;" so che questa voce è quella del demonio, ma sento che è molto potente e non mi lascia un momento in riposo. Spero che questa tentazione sia passeggiera; perchè, al fine, anche in mezzo alla tentazione, sento la voce di Dio che mi dice che la verità è nella mia religione, non in quella del Valdese. Conosco che in Roma vi sono degli abusi; ma questi abusi vengono dagli uomini, non della dottrina, la quale è santa e vera.

Quello però che accresce la mia angustia è che non ho alcuno al quale possa aprire il mio cuore se non a te; ma tu qual conforto puoi darmi?

Risposi al signor Manson ringraziandolo della sua comunicazione, e pregandolo per il momento a dispensarmi da un abboccamento; piuttosto, gli scrissi, se avesse avuta qualche cosa a dirmi, si fosse servito della posta. Per il momento io proprio non mi sento capace di discutere: Dio mi darà forza per l’avvenire.

Addio, caro Eugenio, ama il tuo affezionatissimo
Pedro