00 28/02/2011 18:21
Lettera undicesima
Una veglia - Le Congregazioni
Enrico ad Eugenio
Roma, Marzo 1847.


Mio caro Eugenio,

Ti promisi nell’ultima mia, che ti avrei dato il ragguaglio esatto della serata passata co’ miei amici nella casa di Monsignor C. Ti confesso che mi dispiace di averti fatta una tale promessa: dovrò raccontarti cose dalle quali certo non potrai trarne edificazione; ma pure lo farò, perchè a te, mio caro Eugenio, non voglio nascondere nulla. Bisogna però che ti prevenga di alcune cose. Monsignor C. è prelato, è anco Arcivescovo, ma in partibus (Nota 1 - Vescovi in Roma): eppoi essendo stato Nunzio non appartiene alla sfera ecclesiastica, ma alla diplomatica (Nota 2 - Prelati romani): quindi a lui sono lecite delle cose che non sarebbero lecite ad un prelato della carriera ecclesiastica; quindi la sua veglia, fu una veglia di un ex-diplomatico, ed aspirante a posti diplomatici, piuttostochè una veglia ecclesiastica. Le veglie ecclesiastiche sono tutt’altro (Nota 3 - Le veglie romane): ti dico questo acciò tu non abbia a credere che in tutte le case de’ preti e de’ prelati si faccia quello che ti dirò essersi fatto nella veglia d Monsignor C.

Ti dichiaro inoltre che io son cattolico, sinceramente cattolico: e sebbene le ragioni del pasquali, le rivelazioni di quel Parroco, e le cose che ho vedute mi turbino alquanto; pure sono attaccato alla mia Chiesa, la ritengo per l’unica vera, sebbene la confessi alquanto decaduta dalla primitiva sua purità, ed alquanto disonorata per alcuni abusi che vi si sono introdotti: ma gli abusi sono degli uomini, la dottrina è di Dio; e con un poco di riforma disciplinare tutto potrebbe essere accomodato (Nota 4 - Riforma religiosa). Dopo tali premesse, veniamo al fatto.

Andammo dunque tutti quattro, all’ora indicataci nell’invito, al palazzo ove abita Monsignor C. La scala era splendidamente illuminata a cera. Entrammo nella sala: una quantità di servi in livrea gallonata, annunziavano ad alta voce nelle anticamere i nuovi arrivati; i nomi de’ quali d’anticamera in anticamera erano ad alta voce ripetuti, inguisachè giungevano assai prima delle persone nella sala ove era il Prelato: e ciò affinchè il Prelato avesse potuto secondo la etichetta, uscire ad incontrare la persona annunziata se il suo grado lo esigesse. Passammo quattro anticamere, e giungemmo alla sala del ricevimento. Era una vastissima sala superbamente mobiliata, e tutta illuminata a cera.

Il Prelato fece un passo verso di noi, diede amichevolmente la mano ai due Inglesi, e fece un leggiero saluto col capo a me ed al Valdese; presentò poi i due Inglesi a varii Cardinali, Prelati, e nobili che erano là: io, povero abatucolo, mi ritirai in un angolo della sala col Signor Pasquali, e ti assicuro che era ben mortificato. Intanto di mano in mano continuavano a venire gl’invitati, i quali, dopo i convenevoli saluti, si formavano in gruppi nella vastissima sala, e si trattenevano in conversazione. Le signore erano sedute sui sofà che erano appoggiati alle ricche pareti tutte parate di damasco, ed alcune sopra i seggioloni: esse erano corteggiate da’ Cardinali e Prelati giovani, che si trattenevano in piedi attorno ad esse, mentre i mariti facevano conversazione coi Cardinali e Prelati vecchi.

Il Signor Pasquali, che osservava tutto con un sorriso sardonico, mi disse:

"Cosa ve ne sembra, Signor Abate, di questi successori degli Apostoli? Mi sapreste trovare una qualche analogia fra la casa di questo Arcivescovo e la casa di S. Pietro, ove il Signore entrò per sanargli la suocera?"

Io mi mordeva le labbra, ed ingoiava la pillola.

In un gruppo vicino a noi, due prelatini, tutti attillati e profumati (Nota 5 - Due prelati romani), facevano la corte ad una giovane signora; e dalle loro risa, dai loro gesti, e da qualche parola che, non ostante il rumore della conversazione generale, giungeva fino a noi, ci fu facile il conoscere che si trattava di una conversazione galante. Ci scostammo; ed il Valdese mi condusse con lui, e mi fece con bel garbo avvicinare ad altri gruppi. Dove si parlava di teatri, di cantatrici, di ballerine; dove si parlava di giuochi e di scommesse; dove si mormorava: infine la conversazione più edificante che intesi fu quella di tre vecchi preti i quali parlavano di politica.

Intanto si spalancarono le porte di un vicino salotto, illuminato parimente a cera con grande profusione. I Cardinali, Prelati, e preti si affrettarono ad offrire il braccio alle signore, ed esse, abituate a quella anomalia, si lasciarono da essi condurre nella sala. Una superba tavola imbandita di ogni delicatezza, era nel mezzo: pesci di ogni sorta apprestati con gusto squisito, confetture e frutta di ogni specie, senza neppure mancarvi l’ananasse del Perù, cuoprivano la tavola, e formavano quello che noi chiamiamo buffet, ed in Roma si chiama rinfresco. Camerieri in abito nero scalcavano e servivano le vivande fredde, le confetture, e la frutta; mentre altri passavano offrendo gelati e bibite, thè e vini, acciò ognuno si servisse secondo i suoi gusti. Le sole signore hanno il diritto di sedere nella camera del rinfresco, ed il cavaliere che la ha condotta, resta in piedi presso di lei a servirla. Quale orrore, vedere un prete, un Prelato, e qualche volta anche un Cardinale farla da damerino!

Ti confesso, caro Eugenio, che questo spettacolo mi ributtava; era quaresima, era un giorno di digiuno, eravamo in casa di un Arcivescovo, la maggior parte di coloro che erano là erano ecclesiastici, obbligati al digiuno; eppure si mangiava e si beveva allegramente (Nota 6 - Digiuno cardinalizio). È vero che erano tutti cibi di magro; ma quel lusso strabocchevole mi scandolezzava; anche i due Inglesi non ne furono punto edificati. Io era sul punto di andarmene; ma il signor Pasquali mi ritenne. "Anche a me, egli disse, è spiacevolissima questa veglia; anche io vi sono venuto e vi sto con dispiacere; ma bisogna veder tutto co’ propri occhi. Io ho accompagnato a Roma il signor Sweeteman, acciò conosca la Roma papale: ed egli tornando in Inghilterra, potrà dire ai fanatici ammiratori di Roma papale: ‘Io ho veduto tutto, e voi non avete veduto che quello che i preti vi han fatto vedere.’ "

Le signore erano in numero minore degli uomini; in conseguenza alcuni preti, che avevano ceduto il posto ai Prelati, non avevano dama da servire: essi, a quello che sembrava, amavano più della dama la bottiglia, quindi ve ne erano alcuni, che senza punto pensare nè alla quaresima nè al digiuno, mangiavano a piena bocca, e le bottiglie di sciampagna sparivano dinanzi a loro.

Due Prelati giovani facevano la corte ad una signora giovane; il Valdese aveva chiamato la mia attenzione su loro, ed io li guardava. Non so per qual cagione si accese querela fra di loro; uno di essi sembrò eccessivamente offeso dall’altro: i suoi occhi scintillavano per lo sdegno: si scambiarono delle parole, le quali in quel frastuono non potei comprendere, ma che mi sembrarono minaccie: uno di essi avendo in mano un trinciante, diede un colpo con esso al rivale, e lo ferì nella coscia. La signora mise fuori un grido e si alzò: tutta la conversazione fu turbata (Nota 7 - Querela prelatizia), e non so come sarebbe terminata la cosa se Monsignor C. il padrone della casa, ed altre persone autorevoli non si fossero poste in mezzo per pacificare i combattenti. Il prelato ferito fu condotto via, ed il Cardinal P., uomo di grande autorità, prese la parola, pregando tutta la società a non far parola di quel tristo incidente, assumendo la responsabilità egli stesso di far tacere i due Prelati e pacificarli.

Dopo questo incidente, si tornò tutti nella sala di conversazione: essa aveva subito una trasformazione; in vari punti della sala erano stati posti de’ tovalieri da giuoco con tutto l’occorrente. Le dame ed i giovani, Prelati e laici, passarono in un’altra sala, ove era il pianoforte e l’arpa, ed ove si cantava e suonava: i più vecchi si assisero ai tavolini ed incominciò il giuoco delle carte. Per noi forestieri che non siamo abituati a tali cose, era una cosa brutta il vedere i dignitari della Chiesa giuocare alle carte; ma qui in Roma non vi si fa scrupolo (Nota 8 - Il giuoco delle carte). Il signor Manson soffriva immensamente nel vedere tali cose, il signor Sweeteman ne era oltremodo scandolezzato, io ne era umiliato, ed il signor Pasquali con la sua calma ordinaria diceva al signor Manson: "Cosa ve ne pare dei vostri cari confratelli, i preti romani?" Poi diceva al sig. Sweeteman: "Siete maravigliato di questo? Ma ne vedrete delle più belle!" E, voltosi a me, diceva: "Signor Abate, ecco i vostri campioni, i successori degli Apostoli! Sono queste le occupazioni apostoliche?" Io era in un inferno.

Noi eravamo seduti sopra un canapè, alquanto distanti dai giuocatori. Monsignor C., che non giuocava, perchè come padrone di casa doveva attendere a tutta la conversazione, venne verso di noi, per non far parere che noi fossimo come intrusi, e tirando un seggiolone, si assise e, dirigendo la parola al signor Manson, "Io non son mai stato in Inghilterra, disse; si usano fra voi queste veglie piacevoli?" Il signor Manson rispose, che si usavano assai di frequente; ma che il modo era diverso, specialmente se erano date dai membri del clero, ovvero se molti uomini del clero vi erano invitati. "In quelle veglie, diceva, si prende il thè; dopo i convitati si intrattengono in conversazione che cade per lo più sopra soggetti religiosi; finalmente si legge un capitolo della Bibbia, si fanno delle osservazioni tendenti alla edificazione e si finisce la serata con una preghiera."

"Omnia tempus habent, ogni cosa al suo tempo, disse il Prelato; tempus flendi, et tempus ridendi: le veglie non sono nè per la Bibbia, nè per la preghiera: quando si vuole una predica si va in chiesa, non in una conversazione: io non posso approvare tali cose." A me dispiacque che Monsignore parlasse in quel modo; e mi avvidi che i due Inglesi ne furono scandolezzati.

Il signor Pasquali domandò allora al prelato, se tutte le veglie ecclesiastiche in Roma erano come quella. "Veramente questa, rispose il prelato, non è una veglia di ecclesiastici, nè una veglia di laici, è una qualche cosa di mezzo. Nelle veglie dei laici vi è ballo, e qui non vi è; nell veglie degli ecclesiastici non vi è quello che con vocabolo francese si chiama buffet, ma un semplice rinfresco; e poi si passa la serata ai tavolieri giuocando. Io ho voluto raunare un poco di tutto ad eccezione del ballo."

"Ma giuocare alle carte, disse il signor Sweeteman, crede che sia una cosa buona?

"È un divertimento innocente, rispose Monsignore: meglio è giocare alle carte che mormorare. Tutti i buoni preti di Roma passano le serate d’inverno a giuocare."

Intanto in un tavoliere si era levata una questione sopra un punto di giuoco, e Monsignore accorse per dare la sua decisione.

Quella serata fu per me una serata d’inferno. Era la prima volta che mi trovava a cotali veglie; ma feci proponimento che sarebbe stata anche l’ultima. Subito che potei cogliere la occasione opportuna, mi ritirai solo, per risparmiarmi le osservazioni del Valdese. Io sono convinto che tali disordini debbono essere imputati agli uomini, e non alla religione che essi rappresentano; ciononostante mi fa un male immenso, vedere uomini in dignità ecclesiastica, che dovrebbe essere di buon esempio, passare così le loro serate; e poi, dopo una notte, direi quasi, di crapula, la mattina dire tranquillamente la loro messa, come non fosse stato nulla, assidersi ne’ confessionali e sgridare coloro che si confessano di colpe tanto minori di quelle ch’essi hanno sulla coscienza. Questi pensieri mi tribolarono una parte della notte; e sai tu quale era il pensiero che dominava su tutti? Era il paragone che faceva della condotta del Valdese eretico, con quella di que’ Prelati. "Come? Mi dicea, questo Valdese, che non ha che il Vangelo nella sua bocca, le operazioni del quale sono tanto in armonia col Vangelo, questi sarà eternamente dannato, sarà eretico, sarà degno del nostro disprezzo e della nostra esecrazione; e quei Prelati saranno i veri Cristiani, i successori degli Apostoli, i nostri modelli!" Per togliermi dalla mente cotali pensieri, mi determinai di andare la mattina a trovare quel parroco di cui ti ho parlato nell’altra mia, sperando che egli forse avrebbe potuto darmi delle buone spiegazioni.

Andai difatti la mattina seguente dal parroco, fui introdotto nel suo appartamento, e trovai in esso i miei tre amici. Ciò mi disorientò alquanto; ma, poichè mi vi trovai, vi restai. Il parroco era seduto avanti un tavolo, ed aveva ai suoi lati, ritti in piè, due individui, che poi seppi uno essere il sagrestano, l’altro il beccamorti; e sembravano seriamente occupati sopra un gran libro manoscritto: vedendomi, mi domandò subito cosa volessi; ma i miei amici dissero che io era con loro, ed allora mi pregò di attendere un istante. Dopo poco tempo, il sagrestano prese il grosso libro ed uscì insieme col beccamorti (Nota 9 - Lo stato delle anime).

"Che cosa è che tanto vi occupa?" disse il signor Pasquali al Parroco.

"Come? E non sapete che la Pasqua si avvicina, e che sono occupatissimo nel fare lo stato delle anime?" Il signor Manson pregò il Parroco a spiegargli cosa fosse lo stato delle anime, che egli faceva.

"Lo stato delle anime, rispose il Parroco, è tutto quanto vi è di più noioso e nello stesso tempo di più interessante nell’ufficio di Parroco." I miei amici ed io, non pratico di tali cose, credevamo che fare lo stato della anime volesse dire fare lo stato morale della parrocchia; quindi lo pregammo di volere spiegarci bene in che esso consistesse.

Il Parroco allora ci fece vedere un gran libro, era lo stato delle anime dell’anno precedente, e ci disse che in Roma i parrochi nel tempo di quaresima debbono andare per tutte le case e prendere esatto registro di tutte le persone che vi dimorano, sia che vi abbiano fisso domicilio, sia che il loro domicilio sia precario, sieno del paese, sieno forestiere; che di cotali registri dovevano essere fatti due estratti l’uno dei quali si dava al Vicariato, l’altro alla polizia, e l’originale restava nell’archivio della parrocchia (Nota 10 - Archivio parrocchiale. - Matr imoni).

Io allora dissi ai miei amici, che sembravano attoniti a tale notizia, che quello stato d’anime si faceva affinchè il Parroco potesse conoscere coloro che soddisfano al precetto della comunione pasquale (Nota 11 - Precetto pasquale). Io credeva realmente che fosse così, ma quel parroco imprudente, sorridendo, disse: "A quello che vedo il signor Abate è troppo semplice. So che comunemente si dice così e si crede così; ma la cosa non istà a questo modo. Il signor abate col tempo apprenderà che noi abbiamo delle ragioni ufficiali e delle ragioni reali (Nota 12 - Tre dottrine): le prime le usiamo per combattere i Protestanti quando ci attaccano; ed essi, che non sanno ordinariamente di noi che quello che leggono nei libri, restano scornati; le seconde poi sono per noi: e siccome non voglio far misteri coi miei amici, e spero che il sig. Abate essendo con loro non mi comprometterà, così dirò la verità come essa è.

"Se si trattasse della soddisfazione del precetto pasquale, basterebbe registrare il nome, e tutt’al più l’età de’ nostri parrocchiani: ma osservate quante cose bisogna che ricerchiamo e che registriamo." E qui ci fece vedere il modulo, nel quale erano sopra ciascuno individuo registrate tutte le possibili particolarità.

"E per i Protestanti o Israeliti (Nota 13 - Jus gazagà e pretatico), che sono nella vostra parrocchia, come vi regolate?" disse il sig. Pasquali.

"Come per tutti gli altri, rispose il parroco, salvochè si mette nella casella delle osservazioni che sono Protestanti.

Per gli Israeliti non è il caso di parlarne; perchè essi non possono abitare fuori del ghetto. Dei Protestanti poi dobbiamo ogni anno darne una nota particolare al Vicariato, come dobbiamo dare una nota di tutti i preti e chierici."

"Sembra dunque, disse il Valdese, che i parrochi di Roma sieno una specie di commessi di polizia."

Non ci abbassate tanto, rispose il parroco; ne siamo piuttosto i direttori. La polizia dipende quasi interamente da noi; e, per darvene una prova, osservate." Così dicendo, tirò un cassetto della sua scrivania, e ne trasse un pacco di lettere che la polizia gli aveva dirette per avere informazioni sopra varie persone. "Vedete, soggiungeva, il Vicariato non azzarda mai di carcerare o di processare una persona (Nota 14 - Cosa è un precetto?) senza prima avere domandata e ricevuta la nostra informazione: la polizia poi, meno casi di alta importanza politica, o di evidente reità, non procede alla carcerazione senza il parere nostro."

"Allora ho fallato, disse il Valdese: non doveva chiamarvi commessi, ma piuttosto delatori."

Il parroco parve un poco offeso della risposta piccante del Valdese; e, levatosi da sedere, ci invitò a seguirlo per continuare la visita delle segreterie (* Vedi lettera 9: Le congregazioni ecclesiastiche ). "Suppongo, disse, che anche il signor Abate è dei nostri, e che verrà con noi." Io risposi che veramente non era quello l’oggetto della mia visita; ma che sarei andato volentieri con lui, e coi miei amici.

Uscimmo dunque, ed andammo verso la piazza di S. Carlo ai Cattinari. Nella vicina piazza di Branca, al palazzo Santa Croce, è posta la segreteria della congregazione del Concilio. Mentre entrammo nel palazzo, il parroco diceva a’ miei amici: "Questa congregazione fu istituita da Papa Pio IV, ed ha per ufficio d’interpretare i decreti del sacrosanto concilio di Trento: essa è composta di cardinali e di prelati; ed appartengono ad essa i più abili canonisti che sieno in Roma. Il famoso Benedetto XIV era stato segretario di questa congregazione; e prima di lui il grande canonista Prospero da Fagnano."

Entrammo nella segreteria. Vedemmo una vasta sala con una quantità di tavolini all’intorno, ed avanti ciascuno di essi era seduto un prete occupato a scrivere. Le pareti della sala erano coperte di scaffali pieni di carte: un movimento continuo di persone che andavano e venivano, dimostrava che molti erano gli affari che si spedivano in quella segreteria. Un prete, in fondo alla sala, distribuiva le grazie ed i rescritti, e ne riceveva il pagamento secondo la tassa. Traversammo questa prima sala, ed entrammo in un gabinetto, ove era Monsignor T., sostituto del segretario. Il parroco domandò a Monsignore il permesso di farci vedere l’archivio.

L’archivio è composto di più camere, piene da ogni lato di carte, che contengono i decreti e le interpretazioni date al concilio di Trento. "Ora, disse il signor Pasquali sorridendo, non mi maraviglio più che la Chiesa romana dica che la Bibbia è oscura; poiché essa ha trovato il modo di riempire tante camere con le interpretazioni date al suo concilio di Trento." Quindi avvicinandosi al vecchio prete archivista gli domandò se quelle erano tutte le decisioni emanate dalla santa Congregazione dacchè fu fondata. "Oh! Rispose il buon prete, queste non sono che una piccola parte: le altre sono nell’archivio generale al palazzo Salviati; e vi assicuro che ve ne sono tante da caricarne parecchi bastimenti. Ella non sa che ogni giorno si spediscono un centinaio di rescritti nella segreteria." "E per tutti si paga?" domandò il Pasquali. "Naturalmente, rispose il prete: i rescritti ordinari costano sedici paoli."

Uscimmo di là, ed andammo alla segreteria della Reverenda Fabbrica di S. Pietro. "Questa congregazione, ci diceva il parroco, fu istituita da papa Clemente VIII, per invigilare alla amministrazione della fabbrica di S. Pietro: ma siccome questa amministrazione non aveva nulla di spirituale, trattandosi della manutenzione di un fabbricato, così papa Clemente VIII anche per provvedere di fondi la fabbrica, le diede autorità di sorvegliare alla esecuzione di tutti i legati pii, non già perchè essi fossero scrupolosamente adempiuti; ma perchè nel caso di una mancanza qualunque, anche per dimenticanza o inavvedutezza, la reverenda Fabbrica entrasse immediatamente in possesso de’ fondi e li applicasse a sè stessa. A tale effetto essa è costituita anche in tribunale, con leggi da disgradarne i turchi (Nota 15 - Come agisce il tribunale della Rev. Fabbrica). Essa si occupa anche di assolvere i preti dall’obbligo di dire le messe per le quali già hanno ricevuto il pagamento, o come essi dicono la elemosina." Queste cose ci diceva quel parroco intorno a quella sacra congregazione, ed io non le credeva. Ma il diavolo ci fece entrare in quella segreteria in un momento in cui fummo testimoni di un fatto che ci scandolezzò davvero.

Trovammo nella segreteria un prete che quistionava ad alta voce con un altro prete impiegato della segreteria. L’oggetto sul quale la loro questione cadeva, era il seguente. Cotesto prete aveva da’ devoti espilato tanto denaro, equivalente al prezzo di cinquemila messe che si era assunto l’obbligo di dire (Nota 16 - Mercato di messe): il denaro lo aveva mangiato, e le messe non le aveva dette; e domandava alla segreteria della Fabbrica l’assoluzione dall’obbligo di dire quelle messe (Nota 17 - Messone). Il prete impiegato diceva che l’assoluzione la avrebbe ottenuta, ma che doveva fare il deposito a ragione di un baiocco per messa, secondo la tassa: senza aver prima depositato cinquanta scudi, non isperasse ottenere l’assoluzione. Il prete birbante (perdonami se lo chiamo così) pretendeva di avere una facilitazione, perchè il numero delle messe era vistoso e perchè diceva che non era la prima volta che ricorreva alla Reverenda Fabbrica per quelle assoluzioni; ma il prete impiegato restava duro.

Noi restammo di sasso per tale incidente: il parroco stesso ne fu dispiaciuto, e ci fe’ uscire dalla segreteria. Io me ne tornai in casa avvilito, ed in grande turbamento.

Ti dico la verità, mio caro Eugenio, non so come finirò.

Prego Dio che mi mantenga nella fede, ma sento che vacillo.

Prega anche tu per il tuo affezionatissimo
Pedro