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CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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LA PREGHIERA DI GESU'

Ultimo Aggiornamento: 08/12/2008 05:43
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LA PREGHIERA DI GESU'

NELLA TRADIZIONE DELLA CHIESA

La formula

La preghiera di Gesù si dice in questo modo: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio  abbi pietà di me, peccatore. In origine, la si diceva senza la parola peccatore; questa è stata aggiunta più tardi alle altre parole della preghiera. Tale parola esprime la coscienza e la confessione della caduta, che bene si applica a noi, come fa notare Nil Sorskij, e piace a Dio, che ci ha comandato di rivolgergli preghiere con la coscienza e la confessione del nostro stato di peccato

Tenendo conto della debolezza dei principianti, i Padri li autorizzano a dividere la preghiera in due parti e dire talora: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, peccatore, e talaltra: Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore. E’ solo un permesso, una concessione, e non è per nulla un ordine o una prescrizione che si deve assolutamente osservare. E' molto meglio infatti utilizzare costantemente la stessa formula per intero, senza preoccuparsi di cambiarla, rischiando di distrarsi. Anche chi, a motivo della propria debolezza, prova il bisogno di alternare le formule non deve permettersi di farlo troppo spesso. Si può, per esempio, utilizzare una metà della preghiera fino al pasto di mezzogiorno e l'altra metà nel seguito della giornata. Gregorio Sinaita sconsiglia i cambiamenti frequenti: "le piante continuamente trapiantate non mettono radici".


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Istituita da Cristo

Istituita da Cristo

Pregare facendo uso del Nome di Gesù è un'istituzione divina: è stata introdotta non tramite un profeta o un apostolo o un angelo, bensì dal Figlio stesso di Dio. Dopo l'ultima cena, il Signore Gesù Cristo diede ai suoi discepoli dei comandamenti e dei precetti sublimi e definitivi; fra questi, la preghiera nel suo Nome. Egli ha presentato questo tipo di  preghiera come un dono nuovo e straordinario, d'inestimabile valore. Gli apostoli conoscevano già in parte la potenza del Nome di Gesù: per suo mezzo guarivano le malattie incurabili, sottomettevano i demoni, li dominavano, li legavano e li cacciavano. E' questo Nome potente e meraviglioso che il Signore comanda di utilizzare nelle preghiere, promettendo che agirà con particolare efficacia. "Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio Nome", dice ai suoi apostoli, "la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio Nome, io la farò" (Gv 14.13-14). "In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio Nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio Nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena" (Gv 16.23-24).


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Il Nome divino

Il Nome divino

Che dono meraviglioso! E’ il pegno dei beni eterni e infiniti. Esso proviene dalle labbra del Dio che, pur trascendendo ogni imitazione, ha rivestito un'umanità limitata e ha preso un nome umano: Salvatore. Quanto alla sua forma esterna, questo Nome è limitato; ma, poiché rappresenta una realtà illimitata - Dio -  riceve da lui un valore illimitato e divino, le proprietà e la potenza di Dio stesso. "Generoso donatore di un dono prezioso e incorruttibile! Come possiamo noi, miserabili peccatori quali siamo, ricevere questo dono? Non le nostre mani, né la nostra mente e neppure il nostro cuore ne sono capaci. Insegnaci tu stesso a conoscere, nella misura delle nostre possibilità, la grandezza di questo dono, il suo significato, e come bisogna riceverlo e farne uso, affinché non ci avviciniamo a esso in modo indegno e subiamo un castigo a motivo della nostra folle temerarietà, ma, grazie alla comprensione e all'uso corretto che ne facciamo, possiamo ricevere da te gli altri doni che hai promesso e che tu solo conosci.


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La pratica degli apostoli

La pratica degli apostoli

Negli Evangeli, negli Atti e nelle Lettere noi vediamo la fiducia senza limiti che gli apostoli avevano nel Nome del Signore Gesù e la loro infinita venerazione nei suoi confronti. E' per suo mezzo che essi compivano i segni più straordinari. Certamente non troviamo nessun esempio che ci dica in che modo essi pregassero facendo uso del Nome del Signore, ma è certo che lo facevano. E come avrebbero potuto agire diversamente, dal momento che tale preghiera era stata loro consegnata e comandata dal Signore stesso, dal momento che questo comando era stato loro dato e confermato a due riprese? Se la Scrittura tace a questo proposito, è unicamente perché questa preghiera era di uso comune: non v'era dunque nessuna necessità di menzionarla espressamente, dato che era ben nota e che la sua pratica era generale.


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Un'antica regola

Un'antica regola

Che la preghiera di Gesù sia stata largamente conosciuta e praticata risulta chiaramente da una disposizione della chiesa che raccomanda agli analfabeti di sostituire tutte le preghiere scritte con la preghiera di Gesù. L'antichità di tale disposizione non lascia spazio a dubbi. In seguito, essa fu completata per tener conto della comparsa all'interno della chiesa di nuove preghiere scritte. Basilio il Grande ha steso quella regola di preghiera per i suoi fedeli; così, certuni gliene attribuiscono la paternità. Senz'altro, però, essa non è stata né creata né istituita da lui: egli si è limitato a mettere per iscritto la tradizione orale, esattamente come ha fatto per la stesura delle preghiere della liturgia. Quelle preghiere, che esistevano a Cesarea già fin dai tempi apostolici, non erano scritte, ma si trasmettevano in forma orale, allo scopo di proteggere quel grande atto liturgico dai sacrilegi dei pagani


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I primi monaci

I primi monaci

La regola di preghiera del monaco consiste essenzialmente nell'assiduità alla preghiera di Gesù. E' sotto questa forma che tale regola viene data, in maniera generale, a tutti i monaci; è sotto questa forma che è stata trasmessa da un angelo a Pacomio il Grande, vissuto nel IV secolo, per i suoi monaci cenobiti. In questa regola si parla della preghiera di Gesù allo stesso modo in cui si parla della preghiera domenicale, del salmo 50 e del simbolo della fede, cioè come di cose universalmente conosciute e accettate. Quando Antonio il Grande, che visse fra il III e il IV secolo, esorta i discepoli ad esercitarsi con il più grande zelo nella preghiera di Gesù, ne parla come di qualcosa che non ha bisogno del minimo chiarimento. Le spiegazioni relative a questa preghiera apparvero più tardi, a mano a mano che se ne perdeva la conoscenza viva. Così, un insegnamento dettagliato sulla preghiera di Gesù fu dato dai Padri del XIV e XV secolo, allorché la sua pratica prese a scomparire anche fra i monaci


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Testimonianze indirette

Testimonianze indirette

Nei documenti dei primi secoli del cristianesimo pervenuti fino a noi, la preghiera nel Nome di Gesù non è trattata a parte, ma solo in connessione con altri temi.

Nella Vita di Ignazio Teoforo, vescovo di Antiochia, che ricevette la corona del martirio a Roma sotto l'imperatore Traiano, leggiamo quanto segue: “Mentre lo si conduceva per essere consegnato alle bestie feroci, egli aveva incessantemente il Nome di Gesù Cristo sulle labbra; allora i pagani gli chiesero per quale motivo pronunciasse continuamente quel Nome. Il santo rispose che aveva il Nome di Gesù Cristo impresso nel cuore e che non faceva altro che confessare con la bocca colui che sempre portava nel cuore. Più tardi, dopo che fu divorato dalle belve, avvenne per volontà di Dio che il suo cuore restasse intatto fra le ossa. Gli infedeli che lo trovarono si ricordarono allora della  sua risposta; tagliarono quindi il cuore in due parti per verificare l’esattezza delle parole del santo. All'interno, sulle due metà, trovarono un'iscrizione a caratteri d'oro: Gesù Cristo. Così il santo martire Ignazio fu davvero, sia nel nome che nella vita, un 'Teoforo' (nome che in greco significa 'Portatore di Dio'), perché portava sempre nel cuore il Cristo-Dio, impresso dalla meditazione continua del suo spirito, come se fosse stato inciso dalla penna d'uno scriba”.Ignazio fu discepolo del santo apostolo ed evangelista Giovanni Teologo ed ebbe nella sua infanzia il privilegio di vedere il Signore Gesù Cristo. E’ lui il bambino di cui si parla nell'evangelo: il Signore lo pose in mezzo agli apostoli che avevano discusso per sapere chi fosse il più grande fra loro; dopo averlo abbracciato, Gesù disse loro: "In verità, vi dico:se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (Mt l8.3-4)


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La chiesa primitiva

La chiesa primitiva

Non v'è dubbio che l'evangelista Giovanni insegnò la preghiera di Gesù a Ignazio e che questi, in quel periodo fiorente del cristianesimo, la praticava al pari di tutti gli altri cristiani. In quel tempo tutti i cristiani imparavano a praticare la preghiera di Gesù: anzitutto per la grande importanza di questa preghiera, quindi per la rarità e il costo elevato dei libri sacri ricopiati a mano e per il numero ridotto di quanti sapevano leggere e scrivere (gran parte degli apostoli erano analfabeti), infine perché questa preghiera è di facile uso e ha una potenza e degli effetti assolutamente straordinari.


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Il pastore di Erma

Il pastore di Erma

"Il Nome del Figlio di Dio", disse un angelo a Erma, discepolo immediato degli apostoli, «è grande, infinito e regge tutto il mondo. Se ogni creatura è sorretta dal Figlio di Dio, che ti pare di quelli che sono chiamati da lui e portano il suo Nome e camminano nella via dei suoi comandamenti? Vedi, dunque, chi sostiene? Quelli che con tutto il cuore portano il suo Nome. Egli è divenuto il loro fondamento e li regge con amore, poiché non si vergognano di portare il suo Nome


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Callistrato

Callistrato

Nella storia della chiesa troviamo questo racconto: "Un soldato di nome Neocoro, originario di Cartagine, faceva parte della guarnigione romana che presidiava Gerusalemme al tempo in cui il Signore nostro Gesù Cristo patì volontariamente le sofferenze e la morte per la redenzione del genere umano. Alla vista dei miracoli che si compirono al momento della morte e della risurrezione del Signore, Neocoro credette nel Signore e fu battezzato dagli apostoli. Finito il periodo di servizio, Neocoro ritornò a Cartagine e comunicò il tesoro della fede a tutta la sua famiglia. Fra coloro che accolsero il cristianesimo si trovava un nipote di Neocoro, Callistrato. Quando raggiunse l'età richiesta, Callistrato entrò a far parte dell'esercito. La guarnigione nella quale fu incorporato era composta di idolatri che si misero a sorvegliare Callistrato, perché avevano notato che non venerava gli idoli ma che, durante le notti, faceva lunghe preghiere in un luogo solitario. Un giorno che tendevano l'orecchio per cercar di afferrare quel che diceva, lo udirono ripetere incessantemente il Nome del Signore Gesù Cristo e lo denunciarono al comandante. Callistrato, che aveva confessato Gesù nella solitudine e nell'oscurità della notte, lo confessò anche in pieno giorno, pubblicamente, e suggellò la confessione versando il proprio sangue


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Declino progressivo

Declino progressivo

Uno scrittore del V secolo, Esichio di Gerusalemme, si lamenta già che la pratica di questa preghiera è andata fortemente in declino fra i monaci. Col tempo, tale declino si accentuerà ulteriormente; così, i santi Padri con i loro scritti si sforzarono di incoraggiare questa pratica. L'ultimo in ordine di tempo a scrivere su questa preghiera fu il beato starec Serafim di Sarov. Lo starec non redasse lui stesso le Istruzioni, che apparvero sotto il suo nome, ma esse furono messe per iscritto, a partire dal suo insegnamento orale, da uno dei monaci che stavano sotto la sua direzione; esse portano chiaramente il segno di un'ispirazione divina.  Ai nostri giorni, la pratica della preghiera di Gesù è quasi abbandonata da coloro che fanno vita monastica. Esichio cita la negligenza come causa di tale abbandono; bisogna proprio riconoscere che quest'accusa è giustificata


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Il potere del Nome

Il potere del Nome

La forza spirituale della preghiera di Gesù risiede nel Nome del Dio-Uomo, il nostro Signore Gesù Cristo. Benché siano molti i passi della sacra Scritturache proclamano la grandezza del Nome divino, tuttavia il suo significato fu spiegato con grande chiarezza dall'apostolo Pietro dinanzi al sinedrio che lo interrogava per sapere "con quale potere o in nome di chi" egli avesse procurato la guarigione a un uomo storpio fin  a a nascita. "Allora Pietro, pieno di Spirito santo, disse loro: 'Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a voi tutti e a tutto il popolo d'Israele: nel Nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati"' (At 4.7-12) Una tale testimonianza viene dallo Spirito santo: le labbra, la lingua, la voce dell'apostolo non erano che strumenti dello Spirito.

Un altro strumento dello Spirito santo, l'apostolo dei gentili, fa una dichiarazione simile. Egli dice: "Infatti, chiunque invocherà il Nome del Signore sarà salvato" (Rm 10.13). "Gesù Cristo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il Nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra" (Fil 2.8-10).

(estratto dal libro di I. Brjancaninov: Preghiera e lotta spirituale, ed Gribaudi).


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sr. Paola o.p.

NEL NOME...

Per una riflessione sulla “preghiera di Gesù”

 Alba, settembre 1997

INDICE

La preghiera del nome di Gesù

La preghiera di Gesù (o: a Gesù) (45)

Che cos’è

Innanzi tutto un chiarimento linguistico. Normalmente si parla di “preghiera di Gesù” e questa espressione è la traduzione di una frase russa, anch’essa equivalente del greco euch Ihsou (euchè Iesoú) dove il nome ’Ihsou è un genitivo oggettivo.

Si tratta di una speciale forma di preghiera in uso presso i cristiani orientali sorta come risposta al precetto paolino di pregare sempre. La preghiera a Gesù si compone di una breve frase che costituisce un atto di fede nella divinità di Gesù e nello stesso tempo è implorazione di misericordia: “Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me” (46).

La formula sembra essere uno sviluppo del Kyrie eleison, ma “Signore pietà” ha anche il senso dell’invocazione del dono dello Spirito

“per poter vivere la vita stessa del Figlio rivolto al Padre fin dall’inizio, [...] la vita Trinitaria che è insieme il Paradiso perduto ed il Regno che deve venire” (47).

Questa invocazione di misericordia si trova già nei vangeli; ricordiamo in particolare:

“La folla li sgridava perché tacessero; ma essi gridavano ancora più forte: “Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!”” (48);

“Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore” (49);

“Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!” (50).

Questa preghiera assume però un aspetto particolare per il suo legame ad una tecnica respiratoria e di concentrazione mentale


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L’evoluzione storica: brevi cenni (51)

Come già si è detto, questa preghiera ha le sue radici nell’antico monachesimo orientale.

Possiamo trovare un primo cenno già nel Pastore di Erma (prima metà del II sec.):

“Il nome del Figlio è grande e immenso ed è lui che sostiene il mondo intero” (52).

Questa teologia viene poi sviluppata dai padri niceni e post-niceni, ma è nella Vita di Antonio, scritta da sant’Atanasio (IV sec.), dove è riportata la pratica della preghiera monologica (preghiera composta di una sola formula o parola). Sant’Agostino riferisce di queste preghiere e ne riporta le caratteristiche: frequenti, molto brevi, quasi lanciate rapidamente (quodammodo iaculatas: da qui l’espressione orazione giaculatoria).

Il profondo desiderio di silenzio aveva costretto i monaci a cercare vie per giungere all’assenza di ogni pensiero: Evagrio sembrava aver invitato ad una seria rinuncia ad ogni pensiero, ma Cassiano ci fornisce una interpretazione di questo invito e dona alla preghiera pura di Evagrio il nome di oratio ignea, ma si accorge anche della pericolosità della mente vuota. Per purificarla, Cassiano suggerisce di “darle” la Sacra Scrittura.

Tuttavia anche questo metodo permette distrazioni. Così gli esicasti lentamente inventano le preghiere giaculatorie con diverse formulazioni.

Già dal V sec. troviamo un certo numero di testi che dimostrano l’importanza del nome di Gesù nelle giaculatorie usate dagli asceti: questa invocazione ha la potenza di esorcizzare i demòni e di scacciare i logismoi, i pensieri, e di mantenere nel ricordo di Dio. Fra di essi troviamo i grandi esponenti della fase sinaitica: Nilo di Ancira (o il Sinaita), Diadoco di Fotica, Giovanni Climaco ed Esichio (53). Questa scuola, non legata al luogo geografico del Sinai, anche se da esso prende origine, è caratterizzata dalla convinzione che il pensiero è generatore dell’atto, del primato del logos sull’ethos, della theoria sulla praxis. Inoltre la pietà è impregnata da una tenerezza che, purtroppo, non avrà seguito nel periodo athonita.

Attribuito a Nilo dalla Filocalia è il Discorso sulla preghiera dove giunge a dire:

“60. Colui che prega in Spirito e Verità non celebra più il creatore a motivo delle sue creature, ma lo canta traendo la lode da lui stesso.

61. Se sei teologo pregherai veramente. E se preghi veramente sei teologo” (54).

Proprio Diadoco, vescovo di Fotica (458 ca.), sembra essere stato il primo testimone di questa spiritualità: nella sua opera, Discorso ascetico diviso in cento capitoli pratici di scienza e discernimento spirituale (55) afferma che

“chi vuole purificare il proprio cuore, lo infiammi perpetuamente con il ricordo del Signore Gesù, avendo questo solo come studio e opera incessante” (56), e

“Se poi, in seguito, l’uomo comincia a progredire con l’osservanza dei precetti e invoca incessantemente il Signore Gesù, allora il fuoco della santa grazia si distribuisce anche ai sensi esteriore del cuore a consumare interamente la zizzania della terra umana” (57).

In qualche modo la formula della preghiera di Gesù comincia a prendere forma e a presentare una certa tecnica.

Sempre fra i sinaiti, troviamo Barsanufio e Giovanni, contemporanei di Diadoco: di loro ci è pervenuta una raccolta di lettere spirituali indirizzate ad altre persone. Un suggerimento di Giovanni contro le tentazioni consiste non tanto nell’affrontarle (metodo adatto per i “forti”), quanto nel rifugiarsi nel nome di Gesù:

“A noi deboli, non rimane che rifugiarci nel nome di Gesù” (58).

Molto interessante un testo di un altro sinaita, Giovanni Climaco (VI-VII sec.), in cui il ricordo di Gesù, inteso come attualizzazione della sua presenza, diviene anche la forma della preghiera stessa:

“L’esichia consiste nello stare in continua adorazione del Signore, sempre alla sua presenza, con il ricordo di Gesù aderente al suo respiro; allora potrai toccare con mano i vantaggi dell’esichia” (59).

Con Giovanni, dunque, comincia a circolare l’idea di “collegare” la preghiera con il respiro.

Le Centurie, erroneamente attribuite ad Esichio, di cui si è accennato sopra, sono un altro testo fondamentale della preghiera di Gesù:

“Che il ricordo di Gesù sia unito al tuo respiro ... e a tutta la tua vita” (60).


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L’aggiunta è molto importante perché significa che tutta la vita deve essere orientata al “ricordo di Gesù” ed è sempre in quest’opera che per la prima volta si parla di “preghiera di Gesù”, una preghiera collegata al respiro e che purifica, unifica lo spirito. Ne nasce un dialogo con il Maestro interiore, Cristo stesso, che fa conoscere al cuore la sua volontà: il fine della preghiera è questo ascolto e l’invocazione ci permette di “partecipare al santo nome di Gesù” (61).

Anche Filoteo il Sinaita (o di Batos, monastero del Monte Athos, XIII sec.), erede di Climaco, ha un brano, tratto dai Quaranta capitoli di sobrietà (62), che anticipa lo sviluppo dell’esicasmo, dove la preghiera di Gesù viene associata alla percezione di una luce sovrannaturale:

“La sobrietà purifica luminosamente la coscienza. E quando questa è purificata, è come quando una luce nascosta improvvisamente risplende e scaccia una grande tenebra; quando questa è stata scacciata per una sobrietà vera, prolungata e genuina, la coscienza mostra di nuovo le cose nascoste. Attraverso l’intelletto, la luce bramata insegna con la sobrietà il combattimento invisibile, la battaglia spirituale, e come bisogna scagliare le lance nel duello solitario, ferire con i pensieri, come con dardi ben assestati - in modo che non sia invece l’intelletto ad essere segretamente colpito dai dardi scoccati contro Cristo, luce serena, anziché contro la tenebra funesta. Chi ha gustato quella luce ha compreso ciò che dico. Gustare di questa luce ancor più estenua l’anima che ne è nutrita; ed essa non ne è mai sazia: anzi, quanto più ne mangia, tanto più ne ha fame. È una luce che attira la mente come il sole gli occhi; e che - essendo inesplicabile e spiegata non da parole, ma dall’esperienza di chi ne è colpito (o ferito, piuttosto) - mi costringe al silenzio” (63).

Nei secc. VIII e IX non si trovano testi particolarmente importanti, ma nel X sec. troviamo Simeone il Nuovo Teologo, il grande mistico bizantino, al quale era stato attribuito il primo trattato sul metodo esicasta di preghiera: Metodo per la santa preghiera e l’attenzione. La critica lo pensa comunque contemporaneo a Niceforo (XIV sec.): alcuni attribuiscono l’opera al Niceforo stesso, altri ad uno Pseudo-Simeone il Nuovo Teologo (64). Nella Vita di Simeone il Nuovo Teologo, scritta da Niceta Stetatos, viene riportata una testimonianza sulla vita di questo monaco del famoso monastero Studion di Costantinopoli:

“Una notte, mentre era in preghiera, lo spirito purificato unito allo Spirito Santo, vide una luce dall’alto che gettava all’improvviso i suoi raggi su di lui; una luce reale e grandissima che rischiarava tutto e rendeva tutto chiaro come il giorno. Illuminato da questa luce, gli sembrò che tutta la casa e la cella dove si trovava fosse svanita in un istante e in un istante si fosse annientata, ch’egli stesso fosse rapito in aria e avesse dimenticato interamente il corpo. In questo stato - com’egli stesso diceva e scriveva ai suoi confidenti - fu riempito di una grande gioia e inondato di grandi lacrime e, ciò che è strano in questo meraviglioso evento, è il fatto che, non ancora iniziato a simili rivelazioni, nel suo stupore gridava a voce alta e senza tregua: “Signore, abbi pietà di me!”, come si rese conto appena ritornato in sé; giacchè in quel momento ignorava del tutto che la sua lingua parlasse e la sua parola fosse udita da altri... Molto tardi, essendosi questa luce a poco a poco ritirata, egli si trovò nel suo corpo e all’interno della sua cella e notò che il cuore era pieno di una gioia inesprimibile e la bocca pronunciava ancora ad alta voce: “Signore, abbi pietà di me!”” (65)


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In questa preghiera, si riferisce al Padre, a Dio, o proprio a Cristo? Niceta, ci trasmette anche un dialogo:

“Sei tu Dio?” “Sì, sono il Dio divenuto uomo per te” (66).

che ci permette di credere che la preghiera di Simeone, per il  fosse proprio rivolta a Cristo, a colui per il quale aveva sempre manifestato un amore tenerissimo.

Dalla seconda metà del XIII sec. e nel XIV, il Monte Athos è il luogo di una particolare rinascita e fioritura dell’ideale esicasta della pura contemplazione e della vita eremitica. Risalgono a questo periodo le prime descrizioni dettagliate della tecnica psicosomatica associata alla preghiera di Gesù e anche una certa rigidità. Autori fondamentali di queste opere sono Niceforo, Massimo il Kausohalyba, Teolepto di Filadelfia, Gregorio il Sinaita e, come detto sopra, lo Pseudo-Simeone il Nuovo Teologo.

Questo metodo suppone comunque e sempre una preparazione morale: assenza di affanni e pensieri circa cose ragionevoli e irragionevoli (è l’amerimnia di cui abbiamo già parlato), una coscienza pura e la libertà da tutte le passioni.

Inoltre sono richieste delle condizioni esteriori:

- una cella tranquilla;

- un atteggiamento del corpo: seduti su un piccolo sgabello (25 cm. circa), con la barba appoggiata sul petto, lo sguardo fissato sull’ombelico e rimanere in questa posizione nonostante il dolore che essa può causare.

Questo esercizio richiede anche:

- un controllo del respiro, rallentarlo;

- una esplorazione mentale del proprio profondo alla ricerca del “cuore”: questo atteggiamento accompagna (e precede) il controllo del respiro;

- l’invocazione ripetuta e perseverante del nome di Gesù (67).

Questi teorici non dicono, almeno in termini espliciti, che l’invocazione va sincronizzata con il battito cardiaco o con il respiro.

Il metodo esicasta subirà una decisa contestazione da parte del greco-calabrese Barlaam, ma troverà un suo difensore in Gregorio Palamas, che ne approfondirà ancora il contenuto. Un dato importante della riflessione di Gregorio Palamas è che il corpo non è cattivo in sé, può aiutare lo spirito nella preghiera, e, trasformato dall’azione dello spirito, partecipare della comunione con Dio e divenire tempio di Dio (68).

Un accenno è doveroso anche per Massimo il Kausohalyba e Teolepto di Filadelfia. Il primo, innamorato della vita solitaria (al punto di incendiare - caiw - più volte la propria capanna  - calubh - per difendere la sua solitudine), raccontava di aver chiesto alla Vergine la grazia della “preghiera spirituale”, sinonimo di “preghiera di Gesù”. Mentre era dinanzi ad un’icona della Madonna, provò nel petto una sensazione di calore e di dolcezza e cominciò a pronunciare la preghiera. Massimo univa il ricordo di Gesù a quello di Maria, ma purtroppo non ci è dato di sapere come.


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Teolepto di Filadelfia è un notevole teorico della preghiera di Gesù: si occupa della sua psicologia senza dedicare troppo spazio alla dimensione psico-tecnica.

Nella sua opera, Discorso che espone l’attività nascosta in Cristo e mostra in breve la fatica della professione monastica (69), troviamo dei testi che rendono l’autore uno dei maestri di questa preghiera:

“Sedendo nella casa, ricordati di Dio, elevando l’intelletto da tutte le cose; prostrati a lui in silenzio, riversa davanti a lui tutto il tuo cuore e aderisci a lui con l’amore. Giacché il ricordo di Dio è contemplazione di Dio, che attira a sé lo sguardo e il desiderio dell’intelletto e lo circonda con i raggi della sua luce” (70);

“La preghiera pura, unendo a sé intelletto, ragione e spirito, fissa seza distrazione con la ragione il nome, con l’intelletto il Dio invocato e con lo spirito manifesta la compunzione, l’umiltà e la carità; così scongiura la Trinità che non ha principio, il Padre, il Figlio e lo Spirito santo, il Dio unico” (71).

Finita la polemica, nel XIV sec. Callisto e Ignazio, monaci al Monte Athos, scriveranno il Metodo e canone rigoroso - con l’aiuto di Dio - attestato per quelli che hanno scelto la vita esicasta e monastica (72), un testo in cui si trova una messa a punto del metodo di preghiera esicasta.

Si raccomanda:

- una cella oscura, perché la vista disperde lo spirito;

- la ripetizione della preghiera “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me!” sincronizzata con il respiro: con la prima parte lo spirito si slancia verso il Signore, con la seconda rientra in se stesso; la formula espressa in questo modo è consigliata ai principianti, ma successivamente la si può ridurre anche a una parte sola, al solo nome di Gesù;

- il tempo da dedicare a questa preghiera è indicato in 3 ore e mezza al giorno: 1 ora al tramonto, 1/2 ora dopo compieta; 1 ora al risveglio; 1 ora dopo la recita di quelle che noi oggi chiamiamo Lodi mattutine (73).

Nonostante l’attenzione dedicata alla stesura di un metodo di preghiera, gli autori non incorrono mai nell’errore di considerare questi esercizi come il fine ultimo o come autosufficiente per pregare veramente: si tratta di un aiuto, ma l’aiuto essenziale, più importante, senza il quale non vi può essere vera preghiera, è la grazia di Dio. Tuttavia, occorre anche ricordare che il credente che impegnandosi in questo cammino di preghiera, anzi proprio per questo, non è esentato dalla fede ortodossa e dalle buone opere.

Dal XV al XVIII sec. troviamo un periodo dimesso, in cui questa preghiera sembra dimenticata, anche se già dalla prima metà del XV sec. inizia ad approdare in Russia.

Ma alla fine del sec. XVIII, la chiesa greca conosce un notevole risveglio con Nicodimo e Macario e sono proprio essi che, in collaborazione, pubblicano la Filocalia (74), una raccolta di testi particolarmente importanti relativi alla preghiera di Gesù e alla vita esicasta.

Secondo Nicodimo, è fondamentale l’importanza della liberazione dalle realtà esteriori, ponendo molta cura nel “difendere” i propri sensi, ma anche la propria immaginazione, imparando a entrare in se stessi, nel proprio spirito. Questo atteggiamento contemplativo non è “inattivo”: è necessario ripetere la preghiera di Gesù, mettendo in essa tutta la volontà, la forza e l’amore di cui si è capaci. È estremamente interessante come venga indicata una pronuncia della formula “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me!”, alla quale segue un momento di silenzio in cui si trattiene il respiro perché la preghiera sia ripetuta dal “verbo interiore”.

I frutti di questa orazione sono il distacco dalle cose sensibili, umiltà, contrizione, lacrime, chiara visione di se stessi “come dinanzi ad uno specchio”, purezza perfetta, gioia ineffabile (75).

La pratica della preghiera a Gesù, pur con un certo ritardo, giunge anche in Russia, dove nel XVIII sec. troviamo la prima traduzione della Filocalia, a cura dello starets (76) Paisij Velichkovskij. Serafino di Sarov, uno dei santi russi più amati, si forma anche sulla Filocalia e raccomanda l’esercizio della preghiera di Gesù.

Teofane il Recluso, il più conosciuto tra gli asceti russi, procede alla stesura di una monumentale Dobrotoljubie (77), che presenta però una diversa scelta dei testi rispetto alla Filocalia di Nicodimo e Macario.

Tuttavia è con l’opera Racconti di un pellegrino russo (78) che si diffonde la preghiera di Gesù. Vi sono molte ipotesi circa l’origine di questa opera, ma molte rimangono le domande senza risposta: tuttavia, si può essere quasi certi che si è trattato di una esperienza vissuta.

Si tratta di un cammino spirituale di un pellegrino che dopo aver udito l’invito paolino, “pregate incessantemente” (79), vuole comprendere come ciò sia realizzabile. Uno starets lo aiuta in questa ricerca e dopo avergli indicato la preghiera di Gesù, gli spiega alcuni passi della Filocalia, che poi diventerà sua compagna inseparabile, per indicargli un metodo.

Lo starets riprende il trattato di Simeone il Nuovo Teologo, indicando la necessità del silenzio e della solitudine, la posizione del corpo, il controllo del respiro, la mente orientata al cuore, la ripetizione della preghiera di Gesù, sforzandosi di evitare ogni pensiero estraneo (80).

Il pellegrino giunge a ripetere, invocare, la preghiera di Gesù 12.000 volte al giorno; successivamente la preghiera si ripete quasi da sola, al ritmo del battito del cuore e lui stesso la pronuncia con questo ritmo: al primo battito, Signore, al secondo Gesù, al terzo Cristo, e via di seguito. Successivamente il pellegrino si mette alla ricerca del centro del cuore, cercando di dirigere il suo sguardo verso il centro di se stesso, così come lo starets gli aveva insegnato (81). E a sua volta - ed è emblematico - lo trasmetterà a un compagno di viaggio (82).

da
http://digilander .libero.it/ benparker/


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08/12/2008 05:43
 
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