CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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TRANSUSTANZIAZIONE

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2008 20:31
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19/12/2008 20:28
 
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TRANSUSTANZIAZIONE

0 MUTAZIONE

ESPRESSIVA

«La dottrina della transustanziazione ha il suo solido fondamento nella Bibbia. IN CHE MODO Gesù ha realizzato questo sublime mistero? I testi che riportano l’istituzione dell’Eucaristia non possono intendersi che in un solo senso: ciò che Cristo porgeva non era più pane e vino, ma il suo corpo e sangue. Era avvenuta una MUTAZIONE DI SOSTANZA. Che le apparenze (accidenti) restino immutate lo provano i sensi; ne segue che la mutazione investe solo la sostanza dei due elementi. Si è avuta così una TRANSUSTANZIAZIONE. Infatti dicendo “questo” Gesù indica la cosa che esiste sotto le apparenze del pane: e questa cosa non può essere la sostanza del pane, altrimenti il Cristo avrebbe detto “questo (cioè: pane) è il mio corpo”, il che è assurdo, perché una cosa è il pane e una cosa è il corpo umano. Invece, se si ammette la presenza reale, di cui abbiamo parlato sopra, tutto diventa chiaro.

Cristo dice: “questo (cioè questa cosa che finora era sostanza del pane) è il mio corpo (ovvero è tramutata nella sostanza del mio corpo, pur sotto le apparenze di pane)”. E lo stesso è per il vino.

Ed in ciò nulla di assurdo. La materia è in continuo flusso. Si scinde, si disgrega. Dai corpi composti si separano i molteplici; poi questi nuovamente confluiscono a ridare corpi composti. La materia inerte e morta, assorbita, assimilata, si muta in materia viva. Un vivente, servendo di nutrimento ad un altro vivente può elevarsi a forma di vita più alta. Il cibo preso è triturato, scisso, disciolto nei suoi elementi, diventa la nostra sostanza. Il pane diventa carne, sostanza dell’uomo, diventa uomo.

La materia può mutare il pane nella sostanza vivente dell’uomo, e Dio, autore della natura, non potrà mutarla nel corpo vivente di Gesù Cristo, in un modo più nobile perché è tutta la sostanza del pane, anche la parte materiale, che cambia in un modo degno di lui, istantaneamente, interamente, non con una semplice trasformazione come avviene nella natura? Non assegnamo limiti all’onnipotenza divina!

Solo ciò che è assurdo non può essere fatto da Dio, e la transsustanziazione non è qualcosa di assurdo.

Infarri per effetto della transustanziazione è presente soltanto la sostanza del corpo e del sangue di Cristo, che subentra alla sostanza del pane e del vino, che cessa di sussistere, mentre l’estensione e gli altri accidenti sono presenti PER CONCOMITANZA e quasi ACCIDENTALMENTE, in quanto accom-pagnano virtualmente la sostanza.

Perciò il modo di esistere degli accidenti si conforma a quello della sostanza. Di conseguenza, la quantità (estensione) del corpo e del sangue di Cristo, non è oresente nel modo naturale, cioè secondo le tre dimensioni spaziali, quasi che Cristo tocchi le parti terminali dell’ostia, ma allo stesso modo con cui è presente la sostanza del corpo di Cristo, cioè senza estensione attuale, ma tutta intera in tutta l’ostia ed in ogni parte dell’ostia.

Questo non significa che il corpo di Cristo nell’ostia non conservi la capacità di estendersi secondo le tre dimensioni, ma solo non occupa ATTUALMENTE spazio, in modo che le dimensioni del suo corpo non si adattano a quelle dell’ostia. Il modo con cui esiste il corpo di Cristo nell’ostia è simile a quello dello spirito, per esempio dell’anima nel corpo. Mentre però l’anima è limitata ad un unico spazio (quello occupato dal corpo), il corpo di Cristo invece è presente in cielo secondo il suo modo di esistere naturale, occupando cioè uno spazio, e contemporaneamente, stando in molti luoghi, secondo quello sacramentale (illocale, adimensionale).

Anche se non riusciamo a comprendere perfettamente il modo con cui si opera questa meraviglia dell’amore infinito di Dio per gli uomini, crediamo al suo amore per noi, affidandoci alla sua parola infallibile: “il cielo e la terra passeranno, le mie parole non passeranno” (Matteo 24, 35)»
***************

La precedente citazione è tratta dalla lettera del gesuita già precedentemente citata e scritta a confutazione dei precedenti studi sulla Cena del Signore od Eucaristia. La esamineremo ora alla luce della Parola di Dio, unica verità infallibile per i credenti.

1) Transustanziazione, giuoco di parole

Non è qui il caso di entrare in una discussione filosofica in merito al concetto di transustanziazione. Qui intendiamo fare solo uno studio esegetico per vedere se la transustanziazione sia in armonia con la Bibbia oppure no.

Non posso tuttavia rilevare che il concetto di transustanziazione, così come è descritto con belle parole dal nostro amico, risulti per me del tutto inconcepibile e forse anche assurdo.

Va bene che il pane si trasformi nel mio corpo: diverrà sangue, grasso, carne ecc., ma non potrò mai dire che esso divenga tutto il mio corpo. Nell’Eucaristia al contrario il pane si trasforma in tutto il corpo, che, di conseguenza si trova tutto in ogni minima sua particella. Quindi il paragone tratto dall’assimilazione del cibo non ha nulla a che vedere con la transustanziazione.

Di più anche il confronto con l’anima spirituale e senza parti, che è tutta in ogni parte del corpo, non s’adatta al corpo che al contrario ha delle parti. Dove si esplica l’influsso dell’anima, ivi essa è nella sua totalità. Ma dove si esercita l’azione del corpo è solo una parte di esso che agisce, sia pure in collaborazione con tutte le altre parti.

Se calpesto un fiore, è solo il mio piede che entra in contatto col fiore, mentre tutto il resto, pur esercitando la sua collaborazione, rimane pur sempre staccata dal fiore e non in diretto suo contatto.

Di più vorrei che mi si spiegasse meglio che cosa sia la sostanza del corpo. Va bene che in ogni minima particella del pane vi è tutta la sostanza del pane: basta che ve ne sia una molecola sufficiente con le stesse proprietà del pane. Ma, quando ho una particella del corpo, potrò solo dire che ho una porzione di fegato, un pochino di cervello; non potrò mai asserire di avere tutto il corpo. Per avere il corpo che è assai più organizzato del pane, devo avere tutte le parti del corpo. Ora mi si può dire che cosa sia la sostanza del corpo se non questo complesso organizzato me vivente di parti umane, collaboranti insieme in un’unità atmonica? Come si può in tal caso avere un corpo senza lo spazio, senza qualcosa di esteso. E ripartirlo in diversi elementi? Avremo forse un embrione? Ma allora non avremmo il corpo di Cristo, poiché questo non esisteva ancora mentre Gesù era allo stato embrionale. Gesù, al contrario, secondo la concezione cattolica, direbbe espressamente che nel pane è presente «tutto» il corpo di Cristo.

Sarebbe più comprensibile il fatto del sangue: poiché ogni goccia di sangue è sangue e non abbisogna di tutta la complessità necessaria al corpo umano. Analizzando una minima traccia di sangue, il chimico mi sa dire se quello è sangue oppure no. Si noti, tuttavia, che Gesù non dice: questo è parte del mio sangue», ma «questo è il mio sangue», quindi «tutto» il mio sangue, inteso nella sua totalità. Ora quando analizzo una goccia di sangue posso dire che quivi è presente il sangue umano, ma non posso dire che sia presente tutto il sangue di un uomo. Ve n’è solo una o più gocce.

Nel caso di Cristo, al contrario, se voglio armonizzare la concezione cattolica col pensiero biblico, dovrei asserire che quivi non solo è presente la sostanza del sangue di Cristo, bensì anche tutto il suo sangue; quello che pulsava nelle vebe di Gesù al momento in cui parlava.

Non vedo dunque come non si possa parlare di assurdità nella concezione cattolica. Forse la mia mente, troppo positiva, non riesce a capire la speculazione cattolica ma il problema rimane sia per me che per i cattolici stessi, dal momento che devono confessare «Non riusciremo a comprendere perfettamente il modo con cui si opera questa meraviglia dell’amore infinito di Dio per gli uomini».

Sarebbe poi necessario vedere se la concezione eucaristica, poggiante sulla filosofia scolastica medioevale, si possa armonizzare con i postulati scientifici e filosofici odierni. Ma questo sarebbe un problema che ci condurrebbe troppo lontano.

Lasciamo, perciò, la scienza e la filosofia per tornare al punto di base: La BIBBIA.


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2) La cena del Signore è un segno-ricordo

In paolo leggiamo: «Fate questo IN MEMORIA di me» (in greco: éis ten emèn anàmnesin (1 Corinzi 11, 24). Queste parole richiamano espressamente le altre riguardanti la Cena Pasquale, nel cui contesto anche quelle di Gesù furono pronunciate.

«E ciò sarà come un SEGNO sulla tua mano,      
come RICORDO (zikkaròn) fra i tuoi occhi» (Esodo 13, 9).

La parola greca «memoria» (anàmnesis) traduce sempre l’ebraico «zikkaròn», che significa «trarre alla coscienza il ricordo di un evento passato». Perciò, è in questa linea direttiva di segno-ricordo che dobbiamo intendere la Cena del Signore.

3) I segni profetici

I profeti amavano accompagnare la loro missione con frequenti atti simbolici, destinati ad incidere maggiormente nell’animo degli uditori la verità che desideravano comunicare. Il loro atto diveniva quindi una predicazione mediante gesti, formante con il loro insegnamento verbale una unità inscindibile e compatta.

Geremia mette a marcire nelle acque dell’Eufrate la sua cintura per significare che i legami che tenevano uniti il popolo eletto all’Eterno ormai non tengono più (Geremia 13, 1-11); altra volta rompe un vaso in pesenza del popolo a preannunzio della rovina di Gerusalemme (Geremia 19, 1-13); altra volta ancora si pone sulle spalle un giogo ad indicare la futura inevitabile prigionia babilonese; così nasconde in una fornace d’Egitto i fondamenti del trono che dovrà servire a Nabucadnezar, quando verrà a colpire quel paese (Geremia 43, 8-13).

Il bagaglio portato a spalle da Ezechiele simboleggia l’esilio che attende gli Ebrei (Ez 12, 5-7).

Gesù ha imitato i profeti ripetendo spesso dei gesti simbolici destinati ad essere di segno alla gente del suo tempo. Come quando siede a tavola in casa di Levi in compagnia di «molti pubblicani e pec-catori», gente equivoca evitata con cura dalla gente per bene dell’epoca (Marco 2, 13-17; Luca 15, 1-2), o come quando pronuncia una parabola silenziosa scrivendo in terra, secondo Geremia 17, 13, a guisa di appello al ravvedimento, davanti alla donna adultera e ai suoi accusatori (Giovanni 8, 6), o come quando, per sottolineare la necessità del mutamento, pone in mezzo ai discepoli un piccolo fanciullo (Matteo 18, 1-6), o come quando depone le sue vesti, si cinge di un asciugatoio e si mette a lavare i piedi ai discepoli, a significare che il Maestro e Signore deve essere il servitore di tutti (Giovanni 13, 1ss,;Luca 22, 27). Si può anche citare la cosiddetta purificazione del Tempio (Marco 11, 11-16), la scelta dei dodici apostoli come primo nucleo rappresentativo delle dodici tribù del nuovo popolo di Dio (Marco 3, 13-19; Matteo 10, 1 ss.), l’entrata in Gerusalemme sul dorso dell’asinello, come segno dell’adempimento delle Scritture (Zaccaria 9, 9; Marco 11, 1ss.), la maledizione del fico a simbolo della reiezione d’Israele (Mc 11, 12ss.).

In tale linea direttiva si pone pure il gesto compiuto da Cristo nell’ultima Cena. Distribuendo il pane ed il vino, che accompagna con delle parole esplicative, Gesù intendeva compiere un segno simbolico destinato ad imprimere nelle menti dei discepoli ciò che tra breve si sarebbe attuato nel suo corpo e nel suo sangue, quando egli sarebbe morto sulla croce per la redenzione del genere umano.

4) Segno e realtà nella Bibbia

Il «segno» presso la Bibbia è essenzialmente connesso con la realtà prefigurata per volontà di Dio, che ne garantisce l’efficacia.

Se il segno non si avvera è prova che esso non è un vero segno divino, ma un atto compiuto da un falso profeta (Deuteronomio 18, 21-22; Ezechiele 13, 6-7). Vi è quindi un rapporto inscindibile tra segno e adempimento. Mediante il segno «gli atti dell’uomo di Dio fanno entrare in anticipo nella realtà gli avvenimenti futuri che raffigurano». L’atto compiuto a mo’ di segno costituisce «una parte – una parte già realizzata – dell’avvenimento annunciato, e perciò il pegno del suo imminente adempimento totale».

Un esempio chiarissimo di questa identificazione tra segno e realtà l’abbiamo in 2 Re 13, 14-19. Ecco il brano biblico: «Eliseo era infermo della malattia per la quale morì. Venne a lui Joas, re d’Israele, e piangendo al suo cospetto diceva: “Padre mio, padre mio, carro d’Israele e suo condottiero””. Ed Eliseo gli disse: Portami un arco e delle frecce”. Essendogli stato portato un arco e delle frecce, disse al re d’Israele: “Metti la mano nell’arco””. E quando il re vi ebbe posta la mano, Eliseo pose le sue mani su quella del re e disse: Apri la finestra a Levante”, Avendola egli aperta, Eliseo disse: “Tira una freccia”, ed egli la tirò. Soggiunse Eliseo: “È la freccia della salvezza del Signore, è la freccia della salvezza contro la Siria. Tu batterai la Siria in Afec sino allo sterminio”. Poi soggiunse: “Prendi altre frecce”. Ed avendole prese, Eliseo disse al re d’Israele: “ Batti con una contro terra”. Ed avendo percosso tre volte il suolo, si fermò. Onde adirato l’uomo di Dio contro di lui, gli didde: “Se tu avessi percosso la terra cinque o sei o sette volte, avresti percosso la Siria sino allo sterminio, mentre ora non la vincerai che tre volte”» (versione Ricciotti).

Per la medesima ragione Anania, falso profeta, nella speranza di infrangere il segno di Geremia, che a pegno della futura sottomissione al re di Babilonia, se ne andava in giro con un giogo al collo, gli strappò «strappò le ritorte dal collo, facendole a pezzi!» (Geremia 28, 10. Distrutto il segno, sembrava naturale che fosse annientata la realtà. Ma Anania ciò non può effettuare in quanto il segno, voluto da Dio, non poteva essere distrutto da mani umane. Gli rispose infatti Geremia: «Le ritorte di legno hai spezzato, ma in loro vece tu hai fatto delle ritorte di ferro» (ivi, v. 13).

Il segno-ricordo ha anche la potenza di rendere attuale la realtà passata. Al figlio che gli domanda il perché del rito pasquale, il padre deve rispondere: «Questo fece PER ME il Signore, quando uscii dall’Egitto» (Esodo 13, 8). Il che è commentato da Gamaliele: «Bisogna che in ogni generazione l’uomo si consideri come tratto dall’Egitto. Bisogna che ogni Israelita sappia che egli stesso è stato liberato dalla schiavitù». «I figliuoli d’Israele si sentivano partecipi della redenzione operata nel passato, attuale nel presente, ed erano protesi verso la redenzione a venire; nella notte della Pasqua e nel mese di Nisan doveva venire il Messia, come già sapeva Gerolamo. Essi sono stati redenti in questa notte e in essa saranno redenti».

Identico il valore della Cena del Signore; mediante il banchetto del pane e del vino viene attuato un segno che ha un rapporto inscindibile con la realtà del Calvario. Tale azione simbolica rende presente la realtà della morte e risurrezione del Cristo, del sangue versato e del suo corpo dato per noi, non in virtù di un cambiamento di sostanza, ma in virtù del nesso inscindibile tra segno e realtà. Anche nella Cena pasquale giudaica gli elementi rimanevano sostanzialmente i medesimi elementi di prima, ma assumevano per virtù divina un nesso con la liberazione dall’Egitto, di cui erano la rappresentazione attuale e l’evocazione meravigliosa.

Anche le frecce erano pur sempre delle frecce scagliate a terra, ma rendevano già attuali le vittorie contro gli Aramei della Siria, sicché il loro numero stava in inscindibile rapporto con il numero delle future vittorie. La sorte toccata ai capelli di Ezechiele, di cui una parte è bruciata, un’altra tagliata a pezzi e una terza gettata al vento, rende attuali e quasi riproduce la futura sorte degli abitanti di Gerusalemme, che saranno in parte uccisi, in parte arsi ed in parte dispersi. Il profeta potrà anzi dire in merito: «Questa è Gerusalemme» (Ezechiele 5, 5). Segno e realtà si identificano non in virtù di un cambiamento di sostanza, ma in virtù di una disposizione divina nell’ordine del segno.. Il pane mangiato, dopo essere stato spezzato e distribuito e distribuito; il vino versato si identificano così con il corpo ed il sangue di Cristo, che essi evocano, in virtù del nuovo segno istituito da Cristo Gesù..

Il torto più grave dei cattolici è stato quello di trasferire la mutazione dal campo del segno a quello delle sostanze.


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19/12/2008 20:31
 
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5) Cambiamento nell’ordine del segno

Assai vicina alla concezione biblica di segno-ricordo è la recente ipotesi diffusa, come manoscritto, da un teologo di fama scomparso da non molti anni e che volle rimanere anonimo. Tale ipotesi fu naturalmente condannata dalla Chiesa Cattolica con l’Enciclica «Humani Generis”.

Essa sostiene che il pane e il vino possono essere visti sotto tre diversi aspetti. Uno, quello fisico, risulta da determinate molecole ed elementi analizzabili in un laboratorio di chimica. Un altro è quello del filosofo che si diletta a studiarne la natura e la ragione ultima della loro diversità. Un terzo aspetto è quello del credente. La realtà opaca del pane e del vino diviene per lui un segno di ordine spirituale, che attesta l’intelligenza creatrice di Dio e il suo amore provvidente con cui va incontro alle esigenze umane procurandogli il dovuto sostentamento.

Agli occhi di un cristiano che celebra la Cena del Signore (o fa la Comunione, per usare un’espressione cattolica), il pane e il vino assumono un significato simbolico ancora più profondo: «Per la sua fede tutto è mutato. Prima era solo un segno e una prova della divina Provvidenza procurante ai suoi figli gli alimenti indispensabili per la sua vita naturale; in quel momento sono divenuti il simbolo efficace del sacrificio di Cristo, e conseguentemente, della sua presenza spirituale: la loro realtà religiosa è intimamente mutata. Per volere di Dio creatore, gli elementi della Cena hanno acquistato un nuovo valore: hanno subito una trasformazione – e la più profonda – che li tocca in quell’intimo grado di essere costituente la loro vera realtà. Ecco che cosa possiamo noi chiamare con il nome di Transustanziazione: noi non ne diminuiamo la realtà, ma affermiamo che si attua non sul piano delle apparenze, né su quello della scienza o della filosofia. Per credere che questa trasformazione è reale, basta solo credere che la verità religiosa è l’ultima parola del reale».

Verissimo! È proprio qui, nel piano simbolico e religioso, che la realtà del pane e del vino, diviene un segno della morte e risurrezione di Gesù. In questo sta tutto il valore del segno che ogni domenica ripetono i cristiani. Anziché parlare di transustanziazione, che letteralmente significa trasmutazione di sostanze, preferisco dire «cambiamento espressivo», un simbolismo rientrante cioè nel genere del segno-ricordo.

Per esso la Cena del Signore, in armonia con il volere di Dio, rende perennemente viva e palpitante nel cuore dei credenti la realtà della nostra redenzione in virtù del sacrificio offerto da Gesù una volta per sempre sul Calvario.


CONCLUSIONE

Quando il primitivo cristiano, pensando al pane e al vino usati nella Cena del Signore, si chiedeva: «Che è mai questo per me?», non intendeva domandarsi che cosa esso fosse nella sua sostanza, ma che cosa esso significasse per lui. E allora giungeva alla conclusione che esso era il Cristo per lui, vale a dire rappresentava il Cristo per lui straziato sulla croce e risorto in Gloria.

Oggi l’occidentale, quando si chiede: «Che è mai questo pane per me?», risponde come i primitivi cristiani: «Esso è il Cristo per me». Ma, dimenticando il ragionamento semita sposta l’accento dall’aspetto relazionale all’aspetto sostanziale. Il pane e il vino non sono più la raffigurazione, il segno del Cristo, bensì la sua stessa sostanza che miracolosamente prende il posto della sostanza del pane. Il pane non è più pane, ma è il Cristo sostanzialmente presente, il vino non è più il vino ma sangue di Cristo sostanzialmente presente. In questo incontro di due mentalità diverse, gli occidentali, anziché cercare di capire che cosa intendessero gli orientali con le loro parole, le hanno intese secondo la concezione occidentale, che guarda alla sostanza mentre gli orientali si riferivano al suo significato.

Alla domanda: «Che è questo?», noi pensiamo subito alla sostanza, mentre l’orientale pensa piuttosto al suo significato. È per questo che la presentazione dell’Eucaristia del catechismo olandese, che mette l’enfasi sul significato nuovo che il pane acquista, quello cioè di presentarmi il Cristo, di significare il nutrimento spirituale ed eterno che attraverso esso io ricevo, assume un aspetto che per molti lati ci accosta al concetto biblico.

È su questa linea direttiva che la chiesa cattolica dovrebbe muoversi per giungere alla esatta valutazione biblica della cena del Signore. Solo così si potrà capire che la Cena non è altro che un mangiare, uniti assieme, un po’ di pane e un po’ di vino in ricordo del Cristo; un entrare, in tal modo, maggiormente in comunione con lui e con i fratelli mediante la fede in Gesù Cristo, morto e risorto per nostra giustificazione. Non si tratta di una modificazione materiale che si avveri nel pane e nel vino, bensì del fatto che al di là del pane e del vino, io credente vedo il corpo ed il sangue di Cristo – discerno il Corpo del Signore – direbbe Paolo – e mi nutro in tal modo dei benefici spirituali che mi vengono dal Cristo. Con la Cena del Signore il credente attende che Gesù venga in realtà nel suo fisico per portarlo con sé nella gloria, anzi con tale cena invoca ed affretta tale ritorno con la invocazione «Maràm atà»; «Vieni Signore Gesù, vieni!».

Non è che lo crede venire sostanzialmente nel pane e nel vino; anzi pensando a lui ne sente ancor più la mancanza. Perciò il suo cuore lo brama ardentemente, e spiritualmente per fede si unisce a lui in modo più intimo e sentito (1 Corinzi 10, 16-17).

 

BIBLIOGRAFIA

Oltre ad articoli e studi citati nelle note, ricordo:

XAVIER LEON-DUFOUR, Le mystère du Pain de vie (Jean VI) in «Recherches de Science Religeuse» 46 (1956) 481-523.

J. DUPONT, Ceci est mon corps, ceci est mon sang, in «Nouvelle Revue Theologique» 90 (1958) 1025-1044.

FRANZ J. LEENHARDT, Le sacrament de la Sainte Cène, Neuchâtel, Delachaux 1948.

NOËLE MAURICE DENIS ET ROBERT BOULET, L’eucharistie ou la Messe dans ses variétés, son histoire et ses origines. Paris Letouzey, 1953.

MAX THURIAN, L’Eucharistie. Memorial du Seigneur, sacrifice d’action de grâce et d’intercession, Neuchâtel, Delachaux, 1959.

P. NEUENZEIT, Das Herrenmahl, Studien zur paulinischen Eucharistiesauffassung. Monaco, Köel-Verlag  1960 (con bibliografia numerosissima ed accurata).
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[1] Sarebbe utile che tale analisi scientifica fosse permessa per il cosiddetto sangue di S. Gennaro a Napoli e le cosiddette tracce di sangue che si vedono sulla S. Sindone di Torino. Così si potrebbe rimuovere alcuni dubbi esistenti in merito. Ma purtroppo con scuse inconcludenti, i Vescovi hanno finora impedito l’analisi di tali elementi.

[2] Abbiamo già visto che la Bibbia ci conduce nella linea direttiva di un simbolo-segno e non in quella di una trasmutazione di sostanze.

Si vedano le analisi fatte alle parole della istituzione: Questo è il mio corpo. Dallo studio precedente si può rilevare come sia illogico il ragionamento dell’obiettante che su tali parole poggia tutto il concetto cattolico di transustanziazione. Dicendo: «Questo è il mio corpo, afferma l’obiettante, Gesù non vuol dire che «la sostanza del pane è il suo corpo, perché ciò sarebbe assurdo. Una cosa infatti è il pane e una cosa è il corpo umano». Ma l’assurdità scompare quando si pensa che Gesù con la sua affermazione intendeva dire che il pane presente era simbolo, segno del suo corpo. Si rilegga il capitolo precedente.

[3] A. LODS, Prophètes d’ Israèl et les debuts du Judaism, Parts 1935, pag. 59

[4] Pes. X.5b; cfr Esodo 13- 3-10

[5] V. Subilia, opera citata, pag. 134

[6] Acta Apostolicae Sedis 42 (1950) 570-571. Il breve accenno dell’Enciclica è meglio illustrato da A. Piolanti, De Symbolismo et ubiquismo eucharistico a Pio XII proscriptis, in «Euntes Docete» 1951 pp. 56-71. Egli stesso cita il testo dattiloscritto francese circolante in Francia prima del 1950 ed attribuito «ad un noto teologo da poco defunto».

[7La citazione è tratta dal Piolanti, articolo citato pg. 59, nota 7


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