2) La cena del Signore è un segno-ricordo
In paolo leggiamo: «Fate questo IN MEMORIA di me» (in greco: éis ten emèn anàmnesin (1 Corinzi 11, 24). Queste parole richiamano espressamente le altre riguardanti la Cena Pasquale, nel cui contesto anche quelle di Gesù furono pronunciate.
«E ciò sarà come un SEGNO sulla tua mano,
come RICORDO (zikkaròn) fra i tuoi occhi» (Esodo 13, 9).
La parola greca «memoria» (anàmnesis) traduce sempre l’ebraico «zikkaròn», che significa «trarre alla coscienza il ricordo di un evento passato». Perciò, è in questa linea direttiva di segno-ricordo che dobbiamo intendere la Cena del Signore.
3) I segni profetici
I profeti amavano accompagnare la loro missione con frequenti atti simbolici, destinati ad incidere maggiormente nell’animo degli uditori la verità che desideravano comunicare. Il loro atto diveniva quindi una predicazione mediante gesti, formante con il loro insegnamento verbale una unità inscindibile e compatta.
Geremia mette a marcire nelle acque dell’Eufrate la sua cintura per significare che i legami che tenevano uniti il popolo eletto all’Eterno ormai non tengono più (Geremia 13, 1-11); altra volta rompe un vaso in pesenza del popolo a preannunzio della rovina di Gerusalemme (Geremia 19, 1-13); altra volta ancora si pone sulle spalle un giogo ad indicare la futura inevitabile prigionia babilonese; così nasconde in una fornace d’Egitto i fondamenti del trono che dovrà servire a Nabucadnezar, quando verrà a colpire quel paese (Geremia 43, 8-13).
Il bagaglio portato a spalle da Ezechiele simboleggia l’esilio che attende gli Ebrei (Ez 12, 5-7).
Gesù ha imitato i profeti ripetendo spesso dei gesti simbolici destinati ad essere di segno alla gente del suo tempo. Come quando siede a tavola in casa di Levi in compagnia di «molti pubblicani e pec-catori», gente equivoca evitata con cura dalla gente per bene dell’epoca (Marco 2, 13-17; Luca 15, 1-2), o come quando pronuncia una parabola silenziosa scrivendo in terra, secondo Geremia 17, 13, a guisa di appello al ravvedimento, davanti alla donna adultera e ai suoi accusatori (Giovanni 8, 6), o come quando, per sottolineare la necessità del mutamento, pone in mezzo ai discepoli un piccolo fanciullo (Matteo 18, 1-6), o come quando depone le sue vesti, si cinge di un asciugatoio e si mette a lavare i piedi ai discepoli, a significare che il Maestro e Signore deve essere il servitore di tutti (Giovanni 13, 1ss,;Luca 22, 27). Si può anche citare la cosiddetta purificazione del Tempio (Marco 11, 11-16), la scelta dei dodici apostoli come primo nucleo rappresentativo delle dodici tribù del nuovo popolo di Dio (Marco 3, 13-19; Matteo 10, 1 ss.), l’entrata in Gerusalemme sul dorso dell’asinello, come segno dell’adempimento delle Scritture (Zaccaria 9, 9; Marco 11, 1ss.), la maledizione del fico a simbolo della reiezione d’Israele (Mc 11, 12ss.).
In tale linea direttiva si pone pure il gesto compiuto da Cristo nell’ultima Cena. Distribuendo il pane ed il vino, che accompagna con delle parole esplicative, Gesù intendeva compiere un segno simbolico destinato ad imprimere nelle menti dei discepoli ciò che tra breve si sarebbe attuato nel suo corpo e nel suo sangue, quando egli sarebbe morto sulla croce per la redenzione del genere umano.
4) Segno e realtà nella Bibbia
Il «segno» presso la Bibbia è essenzialmente connesso con la realtà prefigurata per volontà di Dio, che ne garantisce l’efficacia.
Se il segno non si avvera è prova che esso non è un vero segno divino, ma un atto compiuto da un falso profeta (Deuteronomio 18, 21-22; Ezechiele 13, 6-7). Vi è quindi un rapporto inscindibile tra segno e adempimento. Mediante il segno «gli atti dell’uomo di Dio fanno entrare in anticipo nella realtà gli avvenimenti futuri che raffigurano». L’atto compiuto a mo’ di segno costituisce «una parte – una parte già realizzata – dell’avvenimento annunciato, e perciò il pegno del suo imminente adempimento totale».
Un esempio chiarissimo di questa identificazione tra segno e realtà l’abbiamo in 2 Re 13, 14-19. Ecco il brano biblico: «Eliseo era infermo della malattia per la quale morì. Venne a lui Joas, re d’Israele, e piangendo al suo cospetto diceva: “Padre mio, padre mio, carro d’Israele e suo condottiero””. Ed Eliseo gli disse: Portami un arco e delle frecce”. Essendogli stato portato un arco e delle frecce, disse al re d’Israele: “Metti la mano nell’arco””. E quando il re vi ebbe posta la mano, Eliseo pose le sue mani su quella del re e disse: Apri la finestra a Levante”, Avendola egli aperta, Eliseo disse: “Tira una freccia”, ed egli la tirò. Soggiunse Eliseo: “È la freccia della salvezza del Signore, è la freccia della salvezza contro la Siria. Tu batterai la Siria in Afec sino allo sterminio”. Poi soggiunse: “Prendi altre frecce”. Ed avendole prese, Eliseo disse al re d’Israele: “ Batti con una contro terra”. Ed avendo percosso tre volte il suolo, si fermò. Onde adirato l’uomo di Dio contro di lui, gli didde: “Se tu avessi percosso la terra cinque o sei o sette volte, avresti percosso la Siria sino allo sterminio, mentre ora non la vincerai che tre volte”» (versione Ricciotti).
Per la medesima ragione Anania, falso profeta, nella speranza di infrangere il segno di Geremia, che a pegno della futura sottomissione al re di Babilonia, se ne andava in giro con un giogo al collo, gli strappò «strappò le ritorte dal collo, facendole a pezzi!» (Geremia 28, 10. Distrutto il segno, sembrava naturale che fosse annientata la realtà. Ma Anania ciò non può effettuare in quanto il segno, voluto da Dio, non poteva essere distrutto da mani umane. Gli rispose infatti Geremia: «Le ritorte di legno hai spezzato, ma in loro vece tu hai fatto delle ritorte di ferro» (ivi, v. 13).
Il segno-ricordo ha anche la potenza di rendere attuale la realtà passata. Al figlio che gli domanda il perché del rito pasquale, il padre deve rispondere: «Questo fece PER ME il Signore, quando uscii dall’Egitto» (Esodo 13, 8). Il che è commentato da Gamaliele: «Bisogna che in ogni generazione l’uomo si consideri come tratto dall’Egitto. Bisogna che ogni Israelita sappia che egli stesso è stato liberato dalla schiavitù». «I figliuoli d’Israele si sentivano partecipi della redenzione operata nel passato, attuale nel presente, ed erano protesi verso la redenzione a venire; nella notte della Pasqua e nel mese di Nisan doveva venire il Messia, come già sapeva Gerolamo. Essi sono stati redenti in questa notte e in essa saranno redenti».
Identico il valore della Cena del Signore; mediante il banchetto del pane e del vino viene attuato un segno che ha un rapporto inscindibile con la realtà del Calvario. Tale azione simbolica rende presente la realtà della morte e risurrezione del Cristo, del sangue versato e del suo corpo dato per noi, non in virtù di un cambiamento di sostanza, ma in virtù del nesso inscindibile tra segno e realtà. Anche nella Cena pasquale giudaica gli elementi rimanevano sostanzialmente i medesimi elementi di prima, ma assumevano per virtù divina un nesso con la liberazione dall’Egitto, di cui erano la rappresentazione attuale e l’evocazione meravigliosa.
Anche le frecce erano pur sempre delle frecce scagliate a terra, ma rendevano già attuali le vittorie contro gli Aramei della Siria, sicché il loro numero stava in inscindibile rapporto con il numero delle future vittorie. La sorte toccata ai capelli di Ezechiele, di cui una parte è bruciata, un’altra tagliata a pezzi e una terza gettata al vento, rende attuali e quasi riproduce la futura sorte degli abitanti di Gerusalemme, che saranno in parte uccisi, in parte arsi ed in parte dispersi. Il profeta potrà anzi dire in merito: «Questa è Gerusalemme» (Ezechiele 5, 5). Segno e realtà si identificano non in virtù di un cambiamento di sostanza, ma in virtù di una disposizione divina nell’ordine del segno.. Il pane mangiato, dopo essere stato spezzato e distribuito e distribuito; il vino versato si identificano così con il corpo ed il sangue di Cristo, che essi evocano, in virtù del nuovo segno istituito da Cristo Gesù..
Il torto più grave dei cattolici è stato quello di trasferire la mutazione dal campo del segno a quello delle sostanze.