Gli oneri di urbanizzazione sono contributi, dovuti ai Comuni, da coloro che realizzano
interventi di costruzione e di trasformazione edilizia. Il rilascio del permesso di costruire
comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione. Gli oneri di urbanizzazione sono dovuti a
titolo di partecipazione alle spese che i Comuni sostengono per l´urbanizzazione del loro
territorio.
Si distinguono in oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. Gli oneri di
urbanizzazione primaria sono relativi a questi interventi: strade residenziali, spazi di sosta
o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas,
pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato. Gli oneri di urbanizzazione secondaria
sono relativi ad altri interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo nonché
strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, mercati di quartiere,
delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree
verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie.
I comuni sono obbligati a versare l’8 per cento (si badi, non l’8 per mille) degli oneri
ricevuti per l’urbanizzazione secondaria per le chiese. Cito per tutti il caso della legge
regionale lombarda n. 12 del 2005 che, in un apposito articolo, obbliga i Comuni a versare
l’8 per cento dei proventi degli oneri di urbanizzazione secondaria agli “enti
istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica”. La possibilità che
altre confessioni possano accedere ai finanziamenti previsti è limitata dalla richiesta di
«una presenza diffusa, organizzata e stabile nell’ambito del comune» e dai criteri di
ripartizione, basati sulla «consistenza e incidenza sociale delle rispettive confessioni» (artt.
70 e 72).
L’obbligo esiste in tutte le regioni, per tutti i comuni d’Italia. Ogni anno alcuni miliardi di
euro passano dalle casse comunali a quelle della chiesa cattolica, anche là dove c’è carenza
di asili nido e di scuole materne, che pure riguardano l’urbanizzazione secondaria, mentre
non c’è carenza di chiese cattoliche, anzi c’è abbondanza. Ormai in Italia il numero delle
chiese è eccessivo rispetto al numero di cittadini che le frequentano e non c’è più bisogno
di costruirne ancora. Molte rimangono chiuse il maggior numero dei giorni della
settimana, del mese o dell’anno. Da notare che anche quelle non usate o poco usate sono
esenti dall’Ici. Alcune vengono aperte un giorno all’anno per la festa del santo al quale
sono dedicate. Basterebbe nella finanziaria un piccolo comma per disporre che
quest’obbligo è abrogato e i comuni avrebbero più disponibilità, o meno carenza, per
soddisfare bisogni collettivi veri e più importanti.
Credo che questo 8 per cento sia ben più pesante dell’8 per mille. Non mi risulta che
siano mai stati fatti i conti di quanto sia l’ammontare complessivo in Italia o che,
comunque, sia stato diffuso attraverso i mezzi di comunicazione.
L’8 per mille è stato introdotto a seguito del concordato del 1984 e frutta alla chiesa
cattolica circa un miliardo di euro all’anno; è il più noto dei canali attraverso i quali il
denaro pubblico va a finanziare questa confessione religiosa.
Più precisamente, l’8 per mille è disciplinato dalla legge 222/1985, che dà esecuzione al
concordato peggiorando gli obblighi finanziari dello Stato e migliorando i vantaggi
economici della chiesa cattolica rispetto al precedente concordato.
Prima di questa legge lo Stato pagava lo stipendio al clero diocesano cattolico. Se avesse
continuato così, diminuendo il clero (come sta di anno in anno diminuendo) sarebbe
diminuito anche il peso economico per lo Stato. Con il Concordato del 1984 si è passati dal
pagamento dello stipendio ai singoli preti al finanziamento della chiesa cattolica italiana in
quanto tale. Per stare nel concreto, della somma che la Cei riceve con l’8 per mille neppure
il 40% va per il sostentamento del clero.
La Cei fissa annualmente il reddito mensile minimo per tutti i sacerdoti diocesani. Se non
vi arrivano con i propri mezzi, la Cei integra con i proventi dell’8 per mille. Nel 1999 3.200
preti sono stati autosufficienti, solo 103 sono stati a pieno carico della Cei, 36.509 hanno
ricevuto un’integrazione. Perché ai preti cattolici deve essere garantito un reddito mensile
minimo e agli altri cittadini italiani no? È questa la sana laicità di cui parla Ratzinger?
L’otto per mille (OPM) fu ideato dalla Commissione paritetica chiamata a stilare la bozza
della legge che doveva regolamentare le questioni economiche e finanziarie fra le Parti. La
delegazione cattolica era capeggiata da mons. Nicora, poi vescovo di Verona; attualmente
è cardinale e presiede l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), il
secondo ufficio finanziario del Vaticano. Viene dopo lo IOR, reso famoso da Marcinkus e
dai suicidi di Sindona e Calvi.
L’unico scopo dell’OPM è quello di garantire il finanziamento statale alla Chiesa cattolica
come tale. A tanto non si era spinto il Concordato del 1929 che, pur riconoscendo a questa
numerosissimi privilegî non la finanziava direttamente, ma si limitava a pagare lo
stipendio (congrua) ai preti titolari di una parrocchia.
Molti credono, con la propria firma, di dare alla chiesa cattolica l’8 per mille dell’Irpef
che pagano allo Stato. Non è così. Il singolo contribuente non dà niente alla chiesa
cattolica. Dice la legge che una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle
persone fisiche è “destinata, in parte, a scopo di interesse sociale o di carattere umanitario
a diretta gestione statale e, in parte, a scopo di carattere religioso a diretta gestione della
Chiesa cattolica”.
Questa legge, che cozza contro la laicità dello Stato, affida alla chiesa cattolica la gestione
di una quota di un’imposta statale. La quota è proporzionata alle scelte espresse: “In caso
di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione
alle scelte espresse”.
Con questo meccanismo abbiamo che neanche il 40 per cento dei contribuenti firma la
destinazione dell’8 per mille e tuttavia alla chiesa cattolica va più dell’88 per cento della
torta.
Di anno in anno diminuisce la quota che va allo Stato. Ed è comprensibile questa poca
fiducia nello Stato. Si fa di tutto per screditare lo Stato, evidentemente per avvantaggiare
la chiesa cattolica. Si è passati dal 14,43% delle dichiarazioni del 1997 all’8,65% di tre anni
fa. Dice la legge che lo Stato dovrebbe destinare la propria quota “per interventi
straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione
beni culturali”. Invece, non è così. Ad esempio, le cosiddette “missioni di pace” in Albania
e nel Kosovo furono finanziate coi soldi dell’8 per mille statale del 1999, 2000 e 2001. La
finanziaria 2004 ha scippato per tre anni all’8 per mille statale 80 milioni di euro annui. Nel
2004 lo Stato ha ricevuto circa 100 milioni di euro. Detraendo gli 80 milioni di euro
trasferiti al bilancio generale, rimangono 20 milioni di euro. Di questi 20 milioni di euro il
44,64%, cioè quasi la metà, è andato alla conservazione dei beni culturali legati al culto
cattolico.
Questa situazione è poco nota, ma sembra fatta apposta per dissuadère i contribuenti
laici a firmare per lo Stato. L’uso dell’8 per mille dello Stato a favore delle Confessioni
religiose, che già usufruiscono di un loro 8 per mille è irrispettoso nei confronti dei
contribuenti che hanno scelto esplicitamente lo Stato al posto, appunto, delle Confessioni
religiose.
La quota dell’8 per mille dello Stato viene destinata con decreto del Presidente del
consiglio dei ministri. Nel decreto apparso sulla Gazzetta Ufficiale del 26 gennaio 2005 era
possibile leggere, ad esempio, queste destinazioni dell’8 per mille statale: Pontificia
università Gregoriana di Roma (370 mila euro); curia generalizia Casa di Santa Brigida,
Roma (400 mila euro); seminario vescovile di Fiesole (200 mila euro); venerabile
confraternita Santa Maria della Purità, Gallipoli, Lecce (300 mila euro); Opera
preservazione della fede, Ventimiglia, Imperia (420 mila euro); Opera Pia Casa Regina
Coeli, Napoli (40 mila euro); Associazione volontari per il servizio internazionale, Forlì
(202.941 euro). L’ Avsi è un’organizzazione non governativa aderente alla Compagnia
delle opere, il «braccio economico» di Comunione e liberazione.
Otto per mille, esenzione Ici, otto per cento degli oneri di urbanizzazione secondaria,
mantenimento dei funzionari e propagandisti della chiesa cattolica sotto forma di
insegnanti di religione, cappellani militari, carcerari, ospedalieri, finanziamento degli
oratori, finanziamento della scuola cattolica sono tutti espedienti con i quali lo Stato
italiano toglie ad atei, agnostici, indifferenti religiosi, non praticanti, miliardi di euro per
regalarli alla chiesa cattolica.
Tutto in base al Concordato o a varie leggi