danno in affitto a terzi. Sul restante immenso patrimonio immobiliare, niente.
C’è un libraio che esercita l’attività in suo immobile; a trecento metri c’è la libreria delle
suore paoline. La chiesa cattolica pretende che il libraio paghi l’Ici e che le suore paoline ne
siano esenti. In una provincia c’è una casa di cura di proprietà di una Spa o di una Srl e c’è
un ospedale del Sacro Cuore che fa capo alla congregazione dei Poveri servi della Divina
Provvidenza. Le due strutture sanitarie hanno le stesse tariffe e le stesse convenzioni con
la regione. La chiesa cattolica pretende che la casa di cura che fa capo alla società paghi
l’Ici e che l’ospedale che fa capo alla congregazione religiosa ne sia esente.
La laicità dello Stato, che comporta la non discriminazione in base alla professione
religiosa, vorrebbe che libraio e suore paoline pagassero o non pagassero l’Ici alla stessa
maniera, che l’ospedale della spa e quello dei Poveri servi della Divina Providenza
pagassero o non pagassero l’Ici alla stessa maniera. La chiesa cattolica, invece, è contro la
laicità dello Stato.
Dalla Cei veniamo a sapere che gli enti religiosi non facevano la denuncia dell’Ici per gli
immobili in cui svolgevano l’attività commerciale e che la generalità dei comuni non
faceva alcun accertamento. Il comune di Ancona costituiva un’eccezione, una mosca
bianca, retto probabilmente da persecutori della chiesa cattolica, alla caccia di martiri
fiscali.
Con la sentenza della Cassazione si era aperta una breccia pericolosa per la chiesa
cattolica e così il governo Berlusconi viene piamente sollecitato a fare qualche cosa. Il
governo emana un decreto legge sulle infrastrutture (il 163/2005) e vi inserisce un articolo
6 che con le infrastrutture non ha nulla a che vedere, ma parecchio con gli interessi della
chiesa cattolica. Nel caso specifico il governo intendeva chiarire la portata di una delle
norme di esenzione previste dall’articolo 7 del decreto legislativo 504 del 1992 – quello
istitutivo dell’ICI – affermando che tale norma “si intende applicabile anche nei casi di
immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e
cultura di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1985, n. 222,
pur se svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto”. E chi è
che decide se vi è connessione con finalità di religione o di culto? Naturalmente la chiesa
cattolica.
Per questo attentato alla laicità dello Stato si è ricorsi al decreto legge. La Costituzione
stabilisce che il decreto legge è uno strumento per emanare norme giuridiche in casi
eccezionali di necessità e urgenza. Una persona sana di mente pensa che non vi sia
nessuna necessità e urgenza di ampliare i privilegî della chiesa cattolica e che,
eventualmente, vi sia necessità e urgenza di far pagare le tasse a preti, frati, suore, vescovi,
come avviene per tutti gli altri cittadini.
Nel mese di ottobre dello scorso anno una parte dell’opinione pubblica e della stampa
reagì scandalizzata. La chiesa cattolica, candidamente, rispondeva che in fondo la norma
del decreto legge era soltanto l’interpretazione autentica di un’esenzione in vigore da
dodici anni. Il decreto legge fu convertito dal Senato con una maggioranza che andava ben
oltre quella berlusconiana. Il provvedimento, poi, non fu presentato alla Camera e
decadde. Poco dopo, la stessa norma fu inserita nella legge finanziaria e il regalo alla
chiesa cattolica fu confezionato.