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unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Privilegî economici e fiscali della Chiesa cattolica romana

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2009 16:21
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04/01/2009 16:17
 
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In Italia, in base al famigerato Concordato, abbiamo l’insegnamento della religione

cattolica nelle scuole pubbliche con insegnanti scelti dai vescovi e pagati dallo Stato. Gli

insegnanti di religione cattolica sono di fatto funzionari della chiesa cattolica, anche se

giuridicamente sono funzionari dello Stato, anzi messi in ruolo con una corsia

preferenziale. La legge per l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione è stata

approvata nell’agosto del 2003 durante il governo Berlusconi, con l’appoggio di

Margherita e Udeur.

È un altro 8 per mille che lo Stato dà alla chiesa cattolica, anzi di più dell’8 per mille. L’8

per mille dato alla chiesa cattolica corrisponde a circa un miliardo di euro. Lo stipendio

diretto e indiretto per i 35.000 insegnanti di religione passa di molto il miliardo di euro

all’anno. Lo stipendio ai professori di religione è un regalo indiretto alla chiesa cattolica.

Lasciamo da parte, poi, i diritti degli insegnanti di religione che non devono essere

divorziati o madri nubili o essere in analoghe situazioni peccaminose.

Il mantenimento pubblico di questo esercito di propagandisti della fede non basta. In Italia

c’è, poi, il finanziamento pubblico della scuola cattolica, pardon, scuola privata. Ma in

Italia dire scuola privata significa dire scuola cattolica. La stragrande maggioranza delle

scuole private italiane, infatti, o é direttamente gestita da un qualche ordine religioso o si

ispira comunque all’educazione cattolica. In materia l’articolo 33 della nostra Costituzione

è diventato carta straccia. Ricordate? “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed

istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Alla scuola privata italiana arriva un

fiume di denaro appartenente ai contribuenti attraverso mille rigagnoli il cui percorso è

arduo seguire: contributi statali, finanziamenti a singoli progetti, buoni scuola alle

famiglie, sussidi regionali e di altri enti locali.

A livello statale i principali canali attraverso cui le scuole «non statali» ricevono denaro

pubblico sono: i sussidi diretti alle scuole sotto forma di contributi per la gestione delle

scuole (dell’infanzia e primarie) e di finanziamenti di progetti «finalizzati all’elevazione di

qualità ed efficacia delle offerte formative» (per le scuole medie e superiori) e i contributi

alle famiglie (i cosiddetti buoni scuola) per le scuole di ogni ordine e grado.

Nel finanziamento alla scuola privata, cioè cattolica, non c’è da fare molta distinzione a

seconda dell’orientamento politico, di centro-destra o di centro-sinistra.

Nel 1999 l’allora ministro della Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer, emanava due

decreti (dm 261/98 e dm 279/99) poi coordinati in un unico testo che aveva per esplicito

oggetto la «concessione di contributi alle scuole secondarie legalmente riconosciute e

pareggiate».

Con l’approvazione della legge sulla parità scolastica, la n. 62 del 2000 (siamo all’epoca

del governo D’Alema) le scuole private entrano a far parte a pieno titolo del sistema di

istruzione nazionale e pertanto da questo momento in poi devono essere trattate «alla

pari», anche sul piano economico. La legge istituiva di fatto i buoni scuola statali, per i

quali stanziava 300 miliardi annui di vecchie lire a decorrere dal 2001.

Il dm 27/2005 della ministra Letizia Brichetto in Moratti non parla più di «concessione di

contributi» ma esplicitamente di «partecipazione alle spese delle scuole secondarie

paritarie».

Per il 2005 i «contributi alle scuole non statali» (circolare ministeriale n. 38 del 22 marzo

2005) ammontano complessivamente a poco meno di 500 milioni e 500 mila euro. Come se

non bastasse per il 2005 sono stati finanziati con un milione di euro progetti di

«formazione del personale preposto alla direzione delle scuole paritarie» (circolare n. 77

del 14 ottobre 2005).

I cosiddetti buoni scuola sono dei contributi destinati alle famiglie a parziale o totale

copertura delle spese di iscrizione dei figli alle scuole. Il buono scuola statale per il 2005 è

stato di 353 euro per l’iscrizione alle scuole primarie paritarie, 420 euro per l’iscrizione alle

scuole medie paritarie e di 564 per l’iscrizione al prima anno delle scuole superiori

paritarie.

Le iscrizioni alle scuole cattoliche che, almeno qui nel Veneto, stavano subendo una

progressiva diminuzione, grazie ai buoni scuola hanno invertito la tendenza. I buoni

scuola costituiscono un finanziamento indiretto delle scuole cattoliche.

Poiché la legge sulla parità scolastica non fa alcun cenno all’eventuale incompatibilità dei

buoni scuola statali con quelli regionali, si è creato un sistema a doppio regime: nelle

regioni che lo prevedono, le famiglie possono ricevere sia il buono scuola nazionale che

quello regionale. È il caso, per esempio, del Veneto, regione antesignana in fatto di buoni

scuola. Con la legge regionale n. 1 del 2001 il Veneto ha istituito i buoni scuola da

destinare alle famiglie degli studenti iscritti alle scuole statali e paritarie. La regione

stabilisce però che «il contributo può essere concesso solo qualora la spesa sostenuta sia

uguale o superiore a euro 200».

Poiché le tasse di iscrizione alle scuole statali non superavano di solito quella cifra,

l’intero ammontare del fondo messo a disposizione dalla regione andava di fatto nelle

tasche delle famiglie che decidevano di iscrivere i propri figli alle scuole private, che

ricevono, a seconda del reddito e del tipo di scuola, dai 310 ai 1.300 euro cumulabili con il

buono statale.

Gli oratorî parrocchiali sono sempre stati uno strumento per il reclutamento infantile e

giovanile. Alcuni o molti di noi, da piccoli, hanno frequentato l’oratorio. L’oratorio era

percepito come un luogo in cui si andava a giocare e dove si incontravano altri bambini. Il

periodo era quello delle elementari, qualche volta si prolungava alle medie. Poi, per lo più,

alle superiori c’era la fuga dalla parrocchia. Qualche volta appariva in cortile il prete che

faceva interrompere il gioco perché c’era una qualche riunione, che iniziava con la

preghiera e un coro che parlava del Bianco Padre che da Roma ci guidava e finiva con “al

tuo cenno, alla tua voce un esercito all’altar”. L’oratorio non era un servizio per i bambini

o per le famiglie, era uno strumento per il reclutamento infantile. Le cose sono sempre

state chiare. Poi, è intervenuta l’ipocrisia della legge.

Nella passata legislatura venne fatta addirittura una legge per gli oratorî, non tanto per

disciplinarli, che non è compito dello Stato, quanto per foraggiarli, che non sarebbe

neppure un compito dello Stato laico. Il 1° agosto del 2003 venne approvata la legge sugli

oratorî, sul modello di alcune leggi regionali già introdotte dalle giunte di centro-destra di

Lazio, Lombardia, Abruzzo, Piemonte e Calabria. Attraverso questa legge «lo Stato

riconosce e incentiva la funzione educativa e sociale svolta nella comunità locale, mediante

le attività di oratorio o attività similari, dalle parrocchie e dagli enti ecclesiastici della

Chiesa Cattolica, nonché dagli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha


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