CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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GENERATI DA DIO PADRE

Ultimo Aggiornamento: 08/01/2009 11:24
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08/01/2009 10:59
 
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GENERATI DA DIO PADRE

Noi non siamo nati dal caso, né siamo venuti al mondo per sbaglio....Qualche volta forse può essere balenata in noi quest’idea, soprattutto nei momenti in cui abbiamo fatto fatica a focalizzare il senso profondo della nostra esistenza. Determinate esperienze di sofferenza esistenziale o di crisi di senso, oggi purtroppo molto diffuse, non ci hanno aiutato certo a cogliere la vita come una ricchezza inestimabile o come il dono più bello che ci è stato fatto.Anche un certo tipo di approccio alla vita umana, quale si evince oggi dai procedimenti di fecondazione artificiale e di manipolazione genetica, ci può portare fuori strada, facendoci pensare che la vita di un uomo sia una “cosa”, un “prodotto” di laboratorio, un insieme di cellule, un composto biochimico, di cui l’uomo può disporre più o meno a suo piacimento.

Quest’approccio materialistico alle sorgenti del nascere e del morire fa smarrire la dimensione di mistero, che invece avvolge in modo sostanziale la vita di ogni persona, fin dal suo concepimento. L’uomo non è né un prodotto, né un caso, né uno sbaglio. Non è neanche la conseguenza di un desiderio forte o, talvolta, di un capriccio da parte di una coppia o di una singola donna. Non è “qualcosa” che si spiega da sé o che trova in sé ogni risposta, ma è “qualcuno” che porta in sé la traccia dell’eternità e viene contrassegnato in modo essenziale dal mistero dell’amore.Ogni uomo è nato dall’amore e vive per amare. L’amore è la sua origine, la sua ragione di sussistenza, il suo fine. Un amore eterno, sotto tanti aspetti insondabile, ricchissimo potente. Un amore che trova nel donarsi reciproco dell’uomo e della donna una visualizzazione meravigliosa, eppure ancora pallida, dell’amore grande da cui proviene: l’amore di Dio, anzi l’amore “che è” Dio! (cfr. 1 Gv 4,8).Ognuno di noi è stato generato dall’amore di Dio, è stato voluto ed è continuamente tenuto in vita dall’amore di Dio. Ogni uomo è una “scintilla” del fuoco d’amore, che è Dio. E’ generato dal Padre ad immagine del suo Figlio Unigenito nella potenza dello Spirito Santo. E’ uscito dal cuore di Dio Padre, che lo ha generato e costantemente lo genera ad immagine del Figlio e lo tiene in vita con il “soffio” del suo Spirito, che è Signore e dà la vita.
Noi dunque proveniamo da Dio e siamo diretti alla comunione eterna con Lui. La nostra vita, che ha avuto origine nel mistero d’amore della relazione intratrinitaria, “é come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre”.[1] Siamo destinati alla gloria eterna, siamo “impastati” di eternità. Per questo motivo è sbagliato ritenere che la vita di un uomo intercorra tra la data della sua nascita e quella della sua morte, come comunemente si scrive sulle tombe. L’esistenza di un uomo comincia molto prima della sua data di nascita e si protrae ben oltre il giorno della sua morte, come si evince dalle parole della S. Scrittura:

“Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato” (Ger 1,5); “Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno” (Sal 139,13.15-16).La vita umana é perciò un dono di Dio, un frutto del suo amore creativo e generante. L’uomo è l’immagine di Dio sulla terra, il suo insigne rappresentante e luogotenente. Tutta la creazione fa risplendere la gloria di Dio ed é segno della sua bellezza , ma è in particolare l’uomo che ripresenta nel mondo e nella storia la magnificenza di Dio. “L’uomo vivente é la gloria di Dio”, giusta la lezione di S.Ireneo.[2] Non l’uomo morto o moribondo a causa della sua lontananza da Dio, ma l’uomo vivente, il quale non può vivere lontano dalla sua sorgente. Sgorgato dalla fonte dell’eterno amore, che è Dio, l’uomo è un assetato perenne di quest’amore e può tenersi in vita solo a condizione che non si stacchi da questa sorgente, ma da essa sempre attinga “l’acqua viva”, che ne alimenta l’esistenza (cfr. Gv 4,14; 7,37-39). E Dio é il primo ad essere interessato a questa necessità dell’uomo. Egli non assiste impassibile alla morte delle sue creature, perché vuole la vita e ha creato tutto per la vita. Per questo motivo interviene nella storia dell’uomo come Salvatore, come colui che costantemente riscatta gli uomini dal peccato e dalla morte. In questo modo l’amore di Dio si presenta non solo come creativo, ma anche nella sua dimensione ri-creativa: é un amore generante e ri-generante. Un’incessante opera di rigenerazione spirituale il Padre ha intrapreso nella storia degli uomini, inviando in essa il suo Unigenito Figlio, il quale, mediante la sua morte e risurrezione, ci dona lo Spirito Santo, che ci rigenera a nuova vita (cfr. Gv 3,3-6).Questa salvezza-redenzione non segna solo la vita spirituale dell’uomo, né si configura come realtà meramente religiosa. Solo una visione dualistica e settoriale della persona ci può far conce concepire la vita spirituale come qualcosa di staccato da quella corporale e la vita religiosa come altra cosa da quella biologica. L’uomo é segnato dalla unitotalità, per cui l’opera della redenzione lo investe nella globalità del suo essere. L’amore generante e rigenerante di Dio riguarda tutto l’uomo e tocca tutti gli ambiti della sua esistenza, la quale si conduce nella storia per camminare verso l’eternità.


Pedro

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08/01/2009 11:05
 
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1 - “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo”

Una meravigliosa sintesi di quanto abbiamo finora considerato si può trovare nell’inno di apertura della lettera agli Efesini, che è una “euloghia”, un canto di lode di chiara intonazione liturgica:

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo (Efes 1,3-5).

In questo inno l’Apostolo Paolo esalta la grandezza di Dio Padre, il quale è il soggetto protagonista dell’intero canto di lode e regge, anche da un punto di vista letterario, l’intera costruzione dell’inno.[3] Dio è considerato come il “Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (v.3), e quindi sempre in strettissimo rapporto col Figlio. Il Padre ha l’iniziativa di tutto il processo salvifico, mentre il Figlio é “il tramite e lo spazio storico dove si realizza la salvezza a favore dei credenti”.[4] Infatti è “in Cristo” che il Padre ci ha dato ogni bene salvifico spirituale, ossia ci ha “benedetti con ogni benedizione spirituale” (v.3). L’espressione “in Cristo”, che è fondamentale nel vocabolario teologico paolino, sottolinea che il beneplacito di Dio nei confronti dell’umanità avviene sempre attraverso l’unione salvifica dell’uomo col Cristo risorto e glorificato. Il Padre ci genera e ci rigenera sempre “in Cristo” e attraverso Cristo. La fonte della creazione e della ri-creazione è sempre il Padre, il quale è la provenienza eterna dell’amore, la causa sorgiva della vita e di ogni dono salvifico. Si accede però alla salvezza attraverso l’unione con il Figlio Unigenito, ad immagine del quale siamo stati creati e nel quale siamo stati predestinati ad essere figli adottivi di Dio (v.5). La salvezza consiste dunque nella partecipazione alla figliolanza divina di Cristo: siamo “figli nel Figlio”, partecipi della sua stessa natura divina, ricolmati di ogni grazia nell’amatissimo Figlio unigenito del Padre.[5] Tutto ciò avviene per iniziativa sovrana e gratuita di Dio, cioè senza alcun merito da parte nostra: il Padre ci ha scelti “in Cristo”, infatti, “prima della creazione del mondo” (v.4). Quest’ultima espressione non dice tanto un dato temporale, quanto piuttosto l’assoluta gratuità della salvezza e della predestinazione a figli, chiamati ad essere “santi e immacolati” al cospetto del Padre, come santo e immacolato è l’Unigenito Figlio nell’eterno dialogo d’amore trinitario.Tutto ciò accade “oggi” e in ogni momento della nostra vita in forza dello Spirito Santo, il quale rende contemporanea la salvezza attuata dal Padre “in Cristo”. Lo Spirito infatti ci fa partecipare intimamente al mistero pasquale di Cristo, ossia ci fa
attingere in continuazione alla fonte di grazia e di vita, sgorgata dalla morte e risurrezione di Gesù. Nello stesso tempo lo Spirito di Dio esprime la pienezza dei beni salvifici, essendoci stato donato come “caparra” della salvezza definitiva: in Cristo infatti abbiamo “ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale é caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si é acquistato, a lode della sua gloria” (Efes 1,13-14).Nell’unità d’amore dello Spirito Santo il Padre si relaziona al Figlio; in questa stessa unità anche noi viviamo la nostra figliolanza divina adottiva: “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà-Padre” (Gal 4,6). In questa stessa ottica l’Apostolo afferma ancora: “Tutti quelli infatti che sono gudati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà-Padre. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rom 8,14-17).
Pedro

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08/01/2009 11:07
 
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2 - “Piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità prende nome”

L’uomo è una “benedizione” di Dio. Generato dall’amore del Padre, ogni uomo è “figlio nel Figlio” Unigenito di Dio ed è ricolmo di ogni grazia salvifica, dal momento che nel suo cuore è stato riversato l’amore di Dio per mezzo dello Spirito Santo (Rom 5,5). Siamo figli di Dio! Questa è la nostra dignità più grande, una dignità incancellabile ed insopprimibile, che fa di ogni uomo un essere sacro, inviolabile, da rispettare in modo

assoluto. Riverire l’uomo e riverire Dio é un tutt’uno, così come offendere l’uomo significa automaticamente ledere il suo Creatore e Signore.[6] Ogni uomo é figlio di Dio, é generato ad immagine e somiglianza di Cristo, é tempio dello Spirito Santo, é destinato alla gloria eterna. Dobbiamo ora sforzarci di entrare ancora più in profondità nel mistero di questa figliolanza divina, in forza della quale possiamo rivolgerci a Dio, chiamandolo col nome familiare di “Abbà, Papà”. Vogliamo cercare di capire più a fondo la dinamica di questo eterno generare da parte di Dio e il significato essenziale del nostro essere figli di Dio. Possiamo farlo avvalendoci ancora una volta di un testo paolino, contenuto nella lettera agli Efesini. Dopo avere descritto il “mistero” della salvezza universale di tutti gli uomini, quale è stato rivelato in Cristo, l’apostolo Paolo così si esprime: “Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Efes 3,14-15). Il testo suggerisce che il mistero della generazione umana deriva dal mistero dell’eterno generare da parte di Dio Padre, in modo tale che la paternità umana e quella divina non sono separabili, ma anzi si richiamano a vicenda.

a) Generare umano e generare divino

Rifacendosi a questo brano biblico, il Papa Giovanni Paolo II, nella sua “Lettera alle famiglie”, sottolinea che tutti gli esseri viventi del cosmo sono inscritti nella paternità divina come nella loro sorgente.[7] In particolare ciò vale per l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio. Sorprendentemente il testo biblico qui utilizza il verbo al plurale: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gn 1,26). Il Papa commenta in questo modo l’utilizzazione del plurale in questa frase: “Prima di creare l’uomo, il Creatore quasi rientra in se stesso per cercarne il modello e l’ispirazione nel mistero del suo Essere che già qui si manifesta in qualche modo come il ‘Noi’ divino”.[8] L’unico essere vivente creato ad immagine e somiglianza di Dio è l’uomo, il quale è creato nella differenza complementare della mascolinità e della femminilità (Gn 1,27). Potremmo dire che come Dio è in se stesso una relazione d’amore da cui sgorga ogni vita, così l’uomo è relazione d’amore del maschile e del femminile, che, nel loro reciproco donarsi, possono trasmettere la vita ad un nuovo essere umano. La paternità e la maternità umane, pur essendo biologicamente simili a quelle di altri animali, hanno in sé una particolare somiglianza con la paternità di Dio. Ciò accade perché il modello originario della famiglia va ricercato in Dio stesso, particolarmente nel suo mistero trinitario: “Il ‘Noi’ divino costituisce il modello eterno del ‘Noi’ umano; di quel ‘Noi’ innanzitutto che è formato dall’uomo e dalla donna, creati ad immagine e somiglianza divina”.[9] Il modello della famiglia é perciò la SS.Trinità, così come la paternità e la maternità umane trovano la loro causa sorgiva nella paternità di Dio, dalla quale “ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Efes 3,15).Da queste osservazioni di fondo il Papa desume il fatto che la paternità e la maternità umane sono radicate certamente nei dinamismi biologici, ma nello stesso tempo li superano, perché ogni generazione umana trova il suo modello originario nella paternità di Dio.[10] Nella paternità e nella maternità umane Dio stesso è presente, e lo è in modo diverso da come avviene in ogni altra trasmissione della vita sulla terra. La generazione di un uomo continua l’opera della creazione. Essa è un grande mistero, avvolto nell’amore generante e rigenerante di Dio, quale si esprime nell’amore dei due coniugi. In ogni uomo che nasce, Dio è all’opera. Dio, che ha voluto l’uomo fin dal principio, continua a volerlo in ogni concepimento e nascita umana. E, come ci insegna il Concilio, l’uomo “in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa”.[11] Ciò significa che ogni uomo è voluto da Dio “per se stesso”, ossia è finalizzato a se stesso e trova in se stesso il titolo di ricchezza del suo essere, che vale per tutti gli uomini, anche per quelli che nascono con malattie e minorazioni. La fondamentale vocazione di ogni uomo è quella di “essere uomo” a misura del dono ricevuto.A questo punto è necessario che al volere di Dio si armonizzi anche quello dei genitori, i quali devono volere la creatura umana come la vuole il Creatore: “per se stessa”.[12] I genitori, cioè, sono chiamati a volere il figlio prima di tutto per il figlio stesso, per quello che egli é, indipendentemente dal loro desiderio o dalle loro aspettative. E sono chiamati ad amarlo “per se stesso”, a prescindere dal suo comportamento nei loro confronti. Se si vuole concepire la procreazione umana secondo il disegno eterno di Dio, si deve ammettere che non può esserci discrasia tra la volontà generante di Dio e quella dei pro-creatori umani. Questa é la condizione indispensabile perché possa realizzarsi l’umanità dell’uomo, che consiste, in ultima analisi, nel tendere alla santità e all’eternità beata. Si può dire, infatti, che non c’è alcuna differenza tra la realizzazione dell’umanità dell’uomo e la santità. La perfetta conformazione tra volontà creativa di Dio e volontà pro-creativa dei genitori è il punto di partenza di un cammino verso la santità, che il nuovo essere umano percorrerà sotto la solerte guida dei suoi genitori e che consiste, in pratica, nel vivere secondo la propria natura umana, che è creata ad immagine e somiglianza di quella divina.

Pedro

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08/01/2009 11:10
 
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b) Dal “tu” umano al “Tu” divino

Se c’è una chiara relazione tra la paternità divina e quella umana, allora non è sbagliato utilizzare quest’ultima per tentare di capire qualcosa della misteriosa maniera in cui Dio é Padre di tutti gli uomini. Certamente questo è un processo analogico, che dice più dissomiglianza che somiglianza. Risulta infatti oltremodo difficile capire la paternità divina rifacendosi alla paternità e alla maternità umane, anche perché non sempre queste ultime sono vissute in modo esemplare. Se certi figli dovessero comprendere la paternità di Dio a partire dalla loro esperienza del padre terreno, sicuramente farebbero molta fatica a capire che Dio è amore, misericordia, bontà. Tuttavia la paternità e la maternità umane, considerate ora da noi nella loro migliore espressione, possono aiutarci a penetrare, sia pure in modo analogico, nel mistero della paternità di Dio. Ci può essere soprattutto di aiuto l’esperienza della maternità umana, che possiamo tranquillamente utilizzare, dal momento che Dio ci viene presentato nella Bibbia anche nei suoi atteggiamenti “materni”.Cominciamo con l’affermare che il bambino prende coscienza di se stesso attraverso l’amore della madre. Questa é un’esperienza che il bambino non vive, ovviamente, a livello riflessivo e formale, ma solo a livello percettivo. Il bambino intuisce e percepisce che la madre lo ama, lo chiama della maternità umana, che possiamo tranquillamente utilizzare, dal momento che Dio ci viene presentato nella Bibbia anche nei suoi atteggiamenti “materni”.Cominciamo con l’affermare che il bambino prende coscienza di se stesso attraverso l’amore della madre. Questa é un’esperienza che il bambino non vive, ovviamente, a livello riflessivo e formale, ma solo a livello percettivo. Il bambino intuisce e percepisce che la madre lo ama, lo chiama per nome, lo accarezza, lo nutre, lo protegge. Egli sperimenta che non solo alcune sue qualità, ma tutto il suo “io” personale è amato dalla madre. Percepisce che c’è una profonda unione, quasi una simbiosi, tra il suo essere e quello della madre, che sono distinti, eppure profondamente uniti nell’amore.[13]L’unione materno-fetale in qualche modo non si interrompe mai, nemmeno dopo il taglio del cordone ombelicale. Tuttavia sarà necessario, in una certa fase dello sviluppo, che il bambino si distacchi da questa “simbiosi” con l’essere della madre, perché prenda coscienza del suo “io”, del suo nome proprio, della sua originale personalità. A questo provvede, in buona parte, il padre, il quale si incunea nel rapporto tra madre e figlio, invitando quest’ultimo ad uscirne per essere in grado di affrontare la vita. Se quello materno è un amore che accoglie e avvolge, l’amore paterno è rivolto alla maturazione del distacco del figlio dalla madre, per cui è un amore che diventa via alla vita, sostegno forte per percorrere le strade del mondo e della storia.[14] Nella crescita armoniosa di un uomo c’è bisogno sia della tenerezza materna che dell’autorità paterna; c’è la necessità sia dell’amore accogliente, remissivo, misericordioso che dell’amore forte, esigente, capace di farci affrontare la vita.Ora, nella paternità di Dio c’è l’uno e l’altro tipo di amore. Noi siamo avvolti nell’amore “materno” di Dio, che ci dà la vita, ci nutre, ci sostiene, ci fa entrare in profonda simbiosi con Lui. Bastano alcune espressioni bibliche per convincerci di quest’affermazione: “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò” (Is 66,13); “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”( Is 49,15); “Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sal 131,2). Il Papa Giovanni Paolo I, nel suo brevissimo pontificato, ebbe modo di esprimere in più d’una occasione quest’idea della maternità di Dio. Ecco che cosa disse, per esempio, nel breve discorso all’Angelus del 10 settembre 1978: “Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabileSappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E’ papà; più ancora è madre!”[15] Possiamo perciò tranquillamente affermare che nella paternità di Dio ci sono tutti gli elementi dell’amore materno, fatto di tenerezza, comprensione, dolcezza. E’ evidente però che dobbiamo stare attenti a non far emergere il simbolismo di una “dea-madre”, verso cui gli ebrei avevano una chiara e netta preclusione, proprio per evitare di mescolare il culto di Jahvé ai culti della fecondità, molto praticati presso i popoli vicini ad Israele. Anche l’apostolo Paolo presta grande attenzione a questo pericolo, allontanando con forza il culto verso Dio Padre da ogni forma di mescolamento con alcuni culti pagani a divinità femminili, quali Artemide, la “Diana degli Efesini”, o Cibele, la “Grande Madre”, che  aveva molti seguaci a Roma. Il cristianesimo primitivo si trova a lottare il pensiero gnostico, che arriva ad identificare la “Madre divina” con lo Spirito Santo e colloca la donna talvolta in cielo, proprio in quanto “madre divina”, e talvolta all’inferno, in quanto tentatrice dell’uomo nel campo sessuale.[16] Tutto questo spiega perché la Chiesa primitiva si è sempre mostrata molto cauta nell’utilizzare simbolismi femminili e materni per parlare di Dio.[17] Tuttavia niente ci impedisce di affermare che l’amore paterno di Dio è anche materno, in quanto possiede in sé le caratteristiche tipiche dell’amore che genera, accoglie, avvolge, oltre che dell’amore forte ed esigente, che invita ad assumersi le responsabilità della vita. D’altronde anche quando viene presentato come padre, Dio ci viene fatto conoscere con tratti di premura e di dolcezza che hanno un che di materno: “Quando Israele era un giovinetto io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. ma più li chiamavo, più si allontanavano da me. Essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli di amore. Ero per loro come un padre che solleva un bimbo alla sua guancia. Mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Osea 11.1-4). Insomma, la verità é che “Dio trascende le differenze dei sessi. Noi lo chiamiamo Padre, perché Gesù ci ha insegnato a farlo e smettere di usare quest’appellativo equivarrebbe a cessare di pregare come Gesù ci ha invitati”.[18] Quello che più conta è affermare l’analogia tra l’esperienza umana dell’amore paterno e materno e la realtà dell’amore di Dio Padre. Il bambino sperimenta l’amore della madre e del padre come autentica donazione completa dei suoi genitori a lui, una donazione che nell’essere umano é

consapevole e voluta, che interpella il bambino a donarsi a sua volta in modo deliberato e cosciente non solo ai suoi genitori, ma anche agli altri. Il bambino percepisce così, in modo misterioso ma reale, che in questo donarsi e in questo riceversi come dono c’è la verità del suo essere.[19] Egli cioè comprende che il suo essere è un dono e proviene da un “tu” generante, che a sua volta si è ricevuto come dono da un altro “tu” generante. Andando a ritroso non sarà difficile scoprire che all’origine di ogni generazione umana c’è un “Tu” generante grande e potente, che non è stato generato da nessun altro, ma che ha solo la facoltà attiva di generare. Sarà agevole allora comprendere comprendere il senso delle parole di S.Paolo: “Piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Efes 3,14-15).
Pedro

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08/01/2009 11:13
 
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3 - “Non da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”

L’uomo è generato da Dio per amore. La procreazione umana é una partecipazione dell’eterno generare da parte del Padre, da cui proviene ogni paternità umana.Se l’uomo guarda nella profondità di se stesso non può non scoprire nel suo cuore la traccia dell’amore di Dio. Egli così si autoriconosce come “scintilla” del fuoco d’amore che è Dio, come frutto del divino beneplacito, come un essere coronato di gloria e di onore, creato di poco inferiore agli agli angeli (Sal 8,6).Sgorgato dal mistero dell’eterno generare di Dio, l’uomo avverte il bisogno di entrare in comunione con Colui che è la fonte del suo essere, così come vive in “simbiosi” col grembo materno da cui è stato partorito. Nato dal mistero dell’eterna relazione d’amore intratrinitaria, l’uomo sente di dover partecipare a questo mistero di comunione, così come partecipa di fatto alla comunione d’amore dei suoi genitori. Ma come è possibile per l’uomo entrare in comunione con Dio , dal momento che la sua natura è diversa, ossia è nettamente inferiore rispetto a quella di Dio?Certamente l’uomo intuisce in modo naturale una presenza di Dio nella sua vita, perché può comprendere già con la sola luce della ragione che il suo essere scaturisce dal Creatore eterno. Particolarmente egli avverte questa presenza nelle esperienze autentiche di amore umano, le quali lo mettono a contatto con la sorgente di ogni amore, che é Dio. L’uomo si rende conto che l’amore vero non é solo un’attrazione, un istinto, ma una necessità ontologica del suo essere.[20] Egli comprende che l’esperienza di amare e di essere amato lo trascende, al punto che gli mancano perfino i termini per esprimere che cosa prova amando e sentendosi riamato; non é in grado nemmeno di spiegare esaurientemente perché si é innamorato di quella persona, anziché di un’altra: può solo balbettare qualche spiegazione, ma avverte che essa è sempre insufficiente a descrivere le motivazioni profonde del suo animo. Tutto questo non può non rinviarlo a qualcosa di più grande, che lo trascende, nel senso che supera le sue stesse possibilità umane. L’uomo si accorge che il rapporto d’amore con un “tu” umano risveglia in lui l’eco profonda di quel rapporto eterno d’amore col “Tu” divino, da cui il suo essere è sgorgato. L’esperienza umana dell’amore lo aiuta ad immergersi nel mistero eterno di amore, che é Dio, facendogli sperimentare quanto siano vere le parole della prima lettera di S.Giovanni: “Chiunque ama é generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio é amore” (1 Gv 4,7-8). Tuttavia queste esperienze naturali di conoscenza di Dio non permettono di entrare in una relazione di comunione con Lui, perché c’è sempre una netta diversità di natura tra l’uomo e Dio. Questa comunione può avvenire solo per grazia di Dio, perché sarebbe radicalmente impossibile alle forze dell’uomo poterla realizzare. Solo attraverso la grazia l’uomo può attuare il suo desiderio profondo di relazionarsi con Dio nell’amore. Con l’aiuto della grazia l’uomo capisce di essere amato e chiamato da Dio, percepisce di essere stato chiamato all’esistenza per amore! Che l’uomo possa essere chiamato e amato da un altro essere umano appartiene alla sua natura. Ma di fronte alla chiamata divina l’uomo non possiede la capacità né di percepire questa chiamata, né tanto meno di darvi una risposta. Ciò può avvenire solo per grazia. La grazia di Dio ci fa partecipare misteriosamente, ma realmente, alla stessa natura divina e ci fa prendere coscienza che noi siamo figli di Dio, amati e prediletti da Lui, chiamati all’eterna comunione con Lui nella gloria.L’adozione nostra a figli non è perciò qualcosa di “dovuto” da parte di Dio, né sarebbe possibile alle nostre sole forze umane. Essa avviene per amore gratuito da parte del Padre, che in Cristo ci genera e ci rigenera, riversando nei nostri cuori lo Spirito Santo, il quale ci fa gridare: “Abbà, Padre” (Gal 4,6 ).Comprendiamo così le parole del prologo del vangelo di Giovanni, in cui si afferma che i figli di Dio non sono stati generati “né da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo”, ma unicamente da Dio (Gv 1,13). Il Verbo, che si è fatto carne, ci ha concesso di partecipare alla sua stessa gloria di Figlio: “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia” (Gv 1,16 ). Dal Verbo Incarnato, che è “pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14d), promana una corrente ininterrotta di grazia che si riversa con abbondanza sugli uomini.[21] L’espressione “e grazia su grazia” indica l’abbondanza inesauribile di questa “pienezza a cui tutti noi attingiamo per vivere nella condizione di figli di Dio.Col dono della grazia l’uomo comprende che l’amore di Dio è sempre più incomprensibile. Nell’ordine naturale quest’incomprensibilità è un fatto negativo, perché le due persone che si amano sentono il bisogno di comprendersi. Ma nell’ordine della grazia quest’incomprensibilità diventa un fatto positivo, perché ci fa comprendere che non è possibile comprendere l’inaudito amore di Dio, il quale ci fa partecipare alla sua stessa natura divina, facendoci superare per grazia gli angusti limiti della nostra natura umana. Ci rendiamo conto così che non possiamo inquadrare la paternità divina nei nostri ristretti schemi umani. Già a livello umano, d’altronde, può capitare che il figlio non sempre capisca l’azione del Padre nei suoi confronti. Tante volte il padre corre il rischio di non essere capito ed è costretto ad affermare che il figlio comprenderà più avanti che quanto egli sta facendo è solo per il suo bene. Ciò può accadere anche nei nostri rapporti con Dio, le cui disposizioni o permissioni talvolta ci sconcertano, fino a farci dubitare del suo amore di Padre. Possiamo pensare, in questa luce, all’angoscia mortale che si impadronisce dell’anima di Gesù nell’orto del Getsèmani (Mc 14,33 ss.), quando egli avverte su di sé il carico di tutto il il peccato dell’umanità e sente di dover obbedire alla volontà salvifica del Padre, che attraverso il suo sacrificio d’amore vuole redimere l’umanità.[22] Dobbiamo perciò ammettere che l’amore di Dio Padre si può presentare anche nelle situazioni più angosciose e nelle sofferenze più incredibili.Un amore pienamente comprensibile ai nostri occhi sarebbe ancora un amore fatto a misura umana, mentre Dio ci ama, ovviamente, in modo divino.Ancora una volta dobbiamo ammettere che la nostra relazione filiale col Padre non scaturisce da “volere di carne” o da “volere di uomo”, ma unicamente dalla grazia generante e rigenerante di Dio. Per grazia riusciamo a comprendere che non sempre si può comprendere. Per grazia ci abbandoniamo, nella fede, al divino progetto d’amore che il Padre ha pensato per ciascuno di noi. Per grazia coltiviamo la virtù teologale della speranza, che ci libera sia dalla presunzione di salvarci senza merito, sia dalla disperazione di credere che nemmeno Dio può salvarci. Per grazia rispondiamo all’amore del Padre col nostro amore umano, che è, esso stesso, una partecipazione dell’amore intratrinitario. Così possiamo affermare che noi rispondiamo a Dio “in Dio stesso e grazie a Dio”, attraverso le virtù teologali di fede, speranza e carità.[23]
Pedro

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08/01/2009 11:17
 
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4 - “Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”

Generati dall’eterno amore di Dio, noi entriamo in comunione d’amore con Lui attraverso la sua grazia, che ci permette di superare il dislivello esistente tra la nostra natura umana e la natura divina. La grazia di Dio colma quel dislivello fra Creatore e creatura che non fu accettato da Adamo ed Eva, divenendo così la causa principale del peccato originale. Il peccato di Adamo è la pretesa di essere come Dio, disobbedendo a Lui


e considerandolo come un rivale. Non sono mancate, nel corso dei secoli, analisi filosofiche, sociologiche e psicoanalitiche che hanno inteso presentare ancora in questi termini il rapporto dell’uomo con Dio. Dio è stato visto come il nemico dell’uomo, colui dal quale bisognava liberarsi per poter liberare l’uomo.[24] Il peccato di Adamo consiste in questa pretesa di autonomismo etico e ontologico
l’uomo vuole mangiare dell’albero della vita e dell’albero della conoscenza del bene e del male (Gn. 3,1 ss.). Vuole essere l’uomo da solo, senza Dio, a decidere circa le sorgenti della vita e circa la bontà e la verità morale del suo comportamento.[25] Una tale pretesa però ha condotto l’uomo alla morte. L’uomo non si spiega senza Dio, non trova né libertà né verità senza una relazione d’amore col suo Creatore. Solo riferendosi a Colui che lo ha generato dall’eternità e obbedendo

alle sue leggi, l’uomo trova la verità di se stesso e la libertà delle sue azioni.La venuta nel mondo di Gesù, il Figlio unigenito di Dio fattosi carne (Gv1,14), è essenzialmente legata alla redenzione dell’uomo.[26] Gesù si fa uomo “per noi e per la nostra salvezza”, realizzando la redenzione dell’umanità attraverso un atto di perfetta obbedienza al Padre, che si contrappone alla disobbedienza di Adamo[27]: “come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini....Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rom 5,12.15.19). Attraverso l’opera redentiva di Cristo l’uomo ha riacquistato la sua dignità di figlio di Dio e ha potuto riallacciare il rapporto di amore che lo lega al suo Creatore. In questo modo l’uomo ha potuto anche tornare a coltivare il suo antico desiderio, che é quello di essere come Dio. Un desiderio che, sulla base dell’opera redentiva di Cristo, si deve però rettificare: dal voler essere “Dio-contro Dio” al voler essere “Dio-con-Dio”, in modo tale che il demoniaco “sarete come dèi” divenga l’evangelico “sarete come Dio”, ma per Gesù nello Spirito Santo con il Padre. [28] E’ in quest’ottica che sentiamo risuonare le parole di Gesù: “Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Quella di Cristo è una richiesta morale che sembra inaudita, iperbolica e assurda: quando mai, infatti, potremo acquisire la stessa perfezione del Padre celeste? Eppure il nostro impegno morale consiste precisamente nel conseguire questa perfezione di carità, avendo come modello esemplare Gesù, il quale incarna nella sua vita terrena la bontà e la misericordia del Padre suo e Padre nostro. E’ possibile ottenere questa perfezione? Se Gesù ce lo ha chiesto, è sicuramente possibile.

Naturalmente si può realizzare questa perfezione solo per grazia, in quanto è lo Spirito Santo che ci conforma  progressivamente a Gesù e ci fa così conseguire la perfezione di carità, che è tipica del Padre. L’azione dello Spirito Santo si esercita attraverso i doni soprannaturali, che ci vengono infusi nel battesimo. Questi doni ci aiutano a discernere ciò che Dio vuole da noi (consiglio) e a realizzarlo nonostante le difficoltà (fortezza); ci fanno vivere con il Signore un vero rapporto d’amore filiale (pietà), che si nutre del timore di deludere le sue attese o di ferire il suo cuore di Padre (timor di Dio); ci introducono nel suo mistero d’amore attraverso la mediazione delle cose create (scienza) o l’intuizione soprannaturale delle verità rivelate (intelletto); ci fanno “gustare” in modo esperienziale la conoscenza amorosa di Dio (sapienza).[29]In particolare la nostra somiglianza col Padre deve avvenire sul terreno della misericordia. E’ in questo senso, infatti che l’evangelista Luca traduce il detto parallelo di Gesù riportato in Matteo. Mentre nella versione matteana viene scritto: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48), nella versione di Luca la frase viene tradotta così: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36 ). Possiamo perciò desumere che l’imitazione della perfezione del Padre consiste essenzialmente nello sforzo di incarnare la sua misericordia, ossia la capacità che il Padre possiede di chinare il suo cuore sulle miserie umane. “Misericordia” é infatti letteralmente il cuore che si china sulle miserie umane: su quelle materiali, per cui si manifesta come beneficenza; su quelle spirituali, per cui si pesenta come perdono e comprensione.[30] S.Agostino sostiene che “la misericordia é la compassione del nostro cuore per l’altrui miseria che, nei limiti del possibile, siamo spinti a soccorrere”.

[31] Molte volte il Padre ci viene presentato nella S.Scrittura, come il misericordioso, che volge il suo cuore verso gli uomini e si mostra sempre disposto al perdono. Dio é “lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà” (Es 34,6), “Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore, Dio fedele” (Sal 86,15). Ma è soprattutto nella bellissima parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32) che Gesù stesso ci mostra il cuore misericordioso del Padre. A questa parabola possiamo fare riferimento per cercare di capire come nella nostra vita possiamo imitare la misericordia di Dio.

Pedro

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08/01/2009 11:20
 
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a) Il figlio prodigo e il Padre misericordioso

Analizzando la parabola del figlio prodigo si vede subito che il protagonista non è il figlio “sbandato” e peccatore, ma il Padre buono. Questi non viene presentato nelle vesti del censore moralista, pronto a sottolineare il peccato del figlio minore e la sua trasgressione alla legge morale. In queste vesti viene presentato piuttosto il figlio maggiore, il quale manifesta un atteggiamento severo e censorio, che lo rende incapace di gioire per il ritorno del fratello. Scrupoloso nel sottolineare i suoi atti di adempimento del dovere e gli sbagli del fratello, questo figlio maggiore confonde ancora la santità con la perfezione delle proprie prestazioni e con l’esibizione delle proprie osservanze. Il suo criterio di “giustizia” è quello farisaico, fondato sostanzialmente sull’osservanza esteriore e minimalistica della legge, che conduce a forme gravi di autogiustificazione, dall’alto delle quali ci si ritiene sempre capaci di giudicare le malefatte degli altri.
E’ proprio questa giustizia degli scribi e dei farisei che deve essere superata, se si vuole accedere al Regno dei cieli (Mt 5,20). L’atteggiamento del Padre è completamente diverso da quello del figlio maggiore.

Egli, che pure potrebbe assumere l’aria del severo giudice, essendo stato il disobbedito e l’offeso, ci viene invece descritto da Gesù come l’incarnazione della misericordia. Questo Padre non impone l’amore al figlio minore, che ha deciso di andarsene, perché sa benissimo che un amore imposto non è più un amore.

Non si comporta con i figli nei termini di un severo punitore, ma cerca il dialogo e la fiducia, adottando atteggiamenti di tolleranza e di pazienza. Con il figlio maggiore assume il modulo del ragionamento convincente, che sa far risaltare gli errori dell’interlocutore, senza con questo offenderlo o irretirlo. Verso il figlio minore palesa una grande tolleranza, che si traduce in una fiduciosa attesa, sostenuta da un amore implacabile, in forza del quale egli sa accogliere il figlio pentito, anche quando questi ritorna a lui con indosso i luridi e puzzolenti cenci di un porcaro....Questo Padre sa vincere con la forza della misericordia e non con quella della severità, che impone l’osservanza minuziosa di regole perfette. Egli sa accogliere la sincera richiesta di perdono del figlio minore, perché sa scrutare nella profondità del suo cuore ed è in grado di capire che chi è stato grande nel male può esserlo anche nel bene. Non è difficile pensare che proprio questa sua bontà misericordiosa ha potuto suscitare il ritorno del figlio, il quale ha trovato il coraggio di rialzarsi e di intraprendere la via del ritorno verso la casa paterna proprio perché si è reso conto di poter contare su un Padre buono, “lento all’ira e grande nell’amore”. Se invece avesse sospettato che il padre era un intollerante censore, probabilmente non avrebbe trovato la forza di tornare a casa.Non è da pensare però che la misericordia del Padre sia sinonimo di debolezza. Quest’interpretazione dolciastra della bontà mal si combina con la figura di un Dio che è esigente, anzi radicale nelle sue richieste morali.
 
La misericordia di Dio va perciò coniugata col suo amore geloso, che proibisce all’uomo di adorare qualunque altra divinità. Jahvé è un Dio geloso, che non tollera trasgressioni idolatriche ed esige un amore pienamente fedele. Questa “gelosia” di Dio altro non é che lo stesso eccesso del suo amore, che è talmente forte da non potersi dividere con nessun altro idolo, costruito da mani d’uomo.[32] Un amore che, proprio perché improntato alla massima misericordia, é assai esigente, in quanto non accetta le mezze misure e le mediocrità o i facili “accomodamenti”. L’amore del Padre, dunque, ci propone mète sempre più alte di quelle coltivate nei nostri piccoli sogni, ci fa tendere in modo progressivo ad una perfezione di carità che sta sempre “oltre” i nostri raggiungimenti storici e si misura sempre in chiave escatologica. Dinanzi alla misericordia smisurata del Padre e alle radicali esigenze del suo amore “geloso” non possiamo che sentirci poveri, piccoli e peccatori.

Le nostre pretese di sentirci “a posto” cadono e l’esibizione dei nostri adempimenti risulta meschina. Allora, e solo allora, ci sentiamo figli amati dal Padre, capaci di gustare fino in fondo il suo abbraccio paterno. E ci arrendiamo alla sua bontà, ci sentiamo disarmati dal suo perdono, “sconfitti” dal suo amore. Questa “sconfitta” è la nostra vera vittoria!Essere misericordiosi come lo è il Padre significa, allora, in primo luogo fare esperienza del suo amore sanante e perdonante. Il che significa vivere la sproporzione esistente fra le nostre povere prestazioni morali e l’infinito amore con cui il Padre ci accoglie, ci rialza e ci fa tornare a vivere. Sulla base di quest’esperienza ci verrà più facile esercitare la misericordia con i fratelli.

Ci convinceremo più facilmente di non essere né migliori né più bravi degli altri, per cui riusciremo a non giudicare i fratelli, ma anzi riusciremo a scorgere i tratti di bontà che albergano in ciascuno di loro. Saremo così in grado di perdonare gli errori commessi dagli altri e le offese subìte, perché avremo memoria delle tante volte in cui il Padre celeste ha perdonato noi e ci ha “condonato i nostri debiti”. Sarà per noi spontaneo chinarci sulle miserie materiali e spirituali di quanti ci circondano, perché l’amore usato dal Padre nei nostri confronti avrà reso lungimirante il nostro occhio e lo avrà fatto capace di vedere tutte le forme di disagio e di bisogno esistenti attorno a noi. La nostra carità sarà vissuta così in modo autentico, sostenuta sempre dalla misericordia, nella convinzione di quanto asserisce S. Agostino: “Se stendi la mano per donare, ma nel cuore non hai misericordia, non hai fatto niente; se invece hai misericordia nel cuore, anche se non hai niente da donare con la tua mano, Dio accetta la tua elemosina”.

[33]Saremo così nella continua tensione di voler essere misericordiosi come lo è il Padre, pur avendo la perenne consapevolezza di non esserlo mai abbastanza. Ma proprio questa consapevolezza ci preserverà dalla presunzione di sentirci degli “arrivati” e ci spronerà a proseguire instancabilmente sulla strada dell’amore.

Capiremo che, in ultima analisi, il conseguimento della perfezione non sarà tanto il frutto del nostro sforzo, ma la conseguenza della grazia abbondante che Dio riversa su di noi. E questo ci convincerà del fatto che non siamo noi a farci santi, ma é Dio che ci santifica con la potenza del suo Santo Spirito.

La santità non sarà vista come il risultato di una serie eccezionale di prestazioni morali, ma come la logica conclusione di un’esistenza che si è “consegnata” nelle mani di Dio e si é lasciata guidare docilmente da Lui.
Pedro

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08/01/2009 11:22
 
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b) “E’ tutto suo padre!”

Quando un figlio assomiglia molto al Padre, la gente dice: “E’ tutto suo padre!”. Sarebbe bello se di ognuno di noi si potesse dire la stessa cosa, facendo riferimento alla nostra somiglianza con Dio nostro Padre. Sul piano ontologico questa somiglianza c’é sicuramente, perché ogni uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,26-27).

Sul piano morale invece questa somiglianza deve essere conseguita attraverso la quotidiana corrispondenza agli inviti del Signore, il quale non ci fa mancare la sua grazia, perché tale corrispondenza possa attuarsi. C’è una meravigliosa dialettica tra la grazia di Dio e la libertà umana, tra la legge morale che il Signore ci propone e la grazia che Egli ci dona per adempierla. Questa dialettica é ampiamente trattata nelle lettere paoline, mentre viene mirabilmente sintetizzata da S. Agostino con queste parole: “La legge è stata data perché si invocasse la grazia; la grazia é stata data perché si osservasse la legge”.

[34] In questa luce il santo vescovo di Ippona pregava: “Da quod iubes et iube quod vis (Dona ciò che comandi e comanda ciò che vuoi)”.[35]A ben riflettere, la nostra capacità di rispondere agli inviti di Dio si situa proprio sulla nostra somiglianza con Lui e sul nostro desiderio di voler essere come Lui. Abbiamo considerato che portiamo nel nostro essere la traccia indelebile della nostra provenienza da Dio, il “codice genetico” della sua paternità! Possiamo dire che portiamo nella nostra persona non solo il DNA dei nostri genitori, ma anche quello di Dio!
Questo ci rende capaci di assomigliare a Lui, oltre che sul piano ontologico, anche su quello morale. Questo ci dona anche la fierezza di essere figli di Dio e la gioia di sentirci dire: “E’ tutto suo Padre!”. Possiamo così coltivare anche l’abitudine di pronunciare questa stessa frase nei confronti di ogni fratello che incontriamo: “E’ tutto suo Padre!”.

In quest’itinerario di somiglianza progressiva al Padre, sulla base dell’imitazione del Figlio Unigenito e con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, ci sostiene la stupita consapevolezza di fede, che faceva esclamare all’evangelista Giovanni: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1 Gv 3,1).
Pedro

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08/01/2009 11:24
 
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NOTE

1] GIOVANNI PAOLO II, Tertio millennio adveniente, 10/11/1994, n.49.

[2] S.IRENEO, Adversus haereses, IV, 20, 7: PG 7, 1057; S Ch 100/2, 648-649.

[3] cfr. R.FABRIS, Le lettere di Paolo, Borla, Roma 1980, pp.213-222.

[4] Ibidem p.216.

[5] cfr. M. CASCONE, Totalmente di Dio. Maturità interiore e spirituale in Madre M. Candida dell’Eucaristia, Cultura nuova editrice, Firenze 1994, pp.55-62.


6] CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n.27.

[7] GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie, 2/2/1994, n.6.

[8] GIOVANNI PAOLO II, Ibidem.

[9] GIOVANNI PAOLO II, Ibidem.

[10] GIOVANNI PAOLO II, Ibidem, n.9.

[11] CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes n.24.

12] GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie, op.cit., n.9.

[13] Esattamente come avviene nel mistero della SS.Trinità, in cui le tre Persone Divine sono distinte, eppure sono un solo Dio (cfr. H.U. VON BALTHASAR, L’accesso alla realtà di Dio, in AA.VV., Mysterium salutis, Queriniana, Brescia 1977, III, pp.19-59).

[14] Secondo la psicoanalisi freudiana il padre regola la distanza tra madre e figlio: separando il figlio dalla madre, consente al figlio di conquistare la propria autonomia e la propria maturità.

[15] cit. in P. BERETTA (a cura di), Giovanni Paolo I, lo spazio di un sorriso. I venti discorsi del suo pontificato, Ed. Paoline, Roma, 1979, p.70.

16] cfr. A. PRONZATO, Il Padre nostro, preghiera dei figli, Gribaudi, Torino 1989, pp.75-77.

[17] Spiega anche perché la Bibbia e la riflessione teologica dei primi secoli si impegnano a non identificare Dio con la sessualità, presentando il linguaggio sessuale nella limpidezza della sua profanità, quale si evince, per esempio, dal Cantico dei Cantici. Scrive in proposito R.Cantalamessa: “Dio è al di sopra del sesso, senza rapporti diretti con esso, ma non per questo indifferente o ostile ad esso; ne è fuori, ma lo fonda, in quanto creatore cosciente e compiaciuto del maschio e della femmina” (R. CANTALAMESSA, Cristianesimo e valori terreni. Sessualità, politica e cultura, Ancora, Milano, 1976, pp.7-8).


18] W.A. WISSER’T HOOFT,La paternité de Dieu dans un monde emancipé, Labor et fides, Gèneve 1980, p.188.

[19] cfr. H.U. VON BALTHASAR, op. cit., pp.22-26.

[20] “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita é priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (GIOVANNI PAOLO II, enc. Redemptor hominis, 4/3/1979, n.10).

[21] cfr. G. SEGALLA, Giovanni, in Nuovissima versione della Bibbia n.36, Ed. Paoline, Roma 1980, p.148.

[22] cfr. R. CANTALAMESSA, La vita in Cristo, Ancora, Milano 1997, pp. 63-72.


23] cfr. H.U. VON BALTHASAR, op. cit., pp.33-49.

[24] cfr. A. MILANO, Padre, in Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline, Roma 1979, pp.1067-1096.

[25] E’ quanto sta accadendo proprio ai nostri giorni, sia attraverso il diffondersi di una mentalità contraccettiva e abortista, sia attraverso lo smarrimento del senso del peccato o la trasposizione morale, per la quale il male viene chiamato bene e il bene viene considerato male. Cfr. a questo riguardo GIOVANNI PAOLO II, enc. Veritatis splendor, 6/8/1993.


26] “La religione dell’Incarnazione è la religione della Redenzione del mondo attraverso il sacrificio di Cristo, in cui è contenuta la vittoria sul male, sul peccato e sulla stessa morte” (GIOVANNI PAOLO II, Tertio millennio adveniente, doc. cit., n.7).

[27] cfr. R. CANTALAMESSA, Il mistero pasquale, Ancora, Milano 1992, pp.23-41.

[28] cfr. A. MILANO, op.cit., p.1093.

[29] Sui doni dello Spirito Santo cfr. R. SPIAZZI, Lo Spirito Santo nella nostra vita, Massimo, Milano 1997, pp.135-270; M. PANCIERA, Sette stelle nel tuo cuore, Coop. “Rinnovamento nello Spirito Santo”, Roma 1993; M.ZERBONI, Lo Spirito Santo e i suoi doni, Ed. Segno, Udine 1998.


30] cfr. M. COZZOLI, Virtù sociali, in T.GOFFI - G.PIANA (a cura di), Corso di morale, Queriniana, Brescia 1984, pp. 95-102.

[31] S.AGOSTINO, De civitate Dei, 5, PL XLI, 261.

[32] Sono numerose le citazioni bibliche a sostegno di questa tesi. Solo a mo’ di esempio ricordiamo le seguenti: Es 20,5-6; 34,14; Deut 4,24; 5,9; 6,15; Num 25,11; Ez 8,3-5; Zac 1,14.

[33] S.AGOSTINO, Enarat. in Ps. 5, PL XXXVII, 1660.


34] S. AGOSTINO, De spiritu et littera, 19,34:CSEL 60, 187. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, enc.Veritatis splendor, cit., n.23.

[35] S.AGOSTINO, Confessiones, X, 29,40: CCL 27,176; cfr. De gratia et libero arbitrio, XV: PL 44,899. Cfr.GIOVANNI PAOLO II, enc. Veritatis splendor, cit., n.24.


Pedro

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