CRISTIANI   Nelle mani del Padre

Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
unica VIA, VERITA' e VITA e nostro unico SALVATORE.

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Il Cristocentrismo nel Vangelo secondo Giovanni

Ultimo Aggiornamento: 05/07/2009 17:33
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05/07/2009 17:29
 
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Il Cristocentrismo nel Vangelo secondo Giovanni
Alviero Niccacci, ofm
http://www.custodia.org


Il Vangelo di Giovanni sconcerta il lettore a cui è familiare l’immagine del Cristo e della sua opera tracciata dai Vangeli sinottici. Il Cristo giovanneo parla infatti un tutt’altro linguaggio; luoghi e fatti importanti non sono neppure nominati, mentre altri luoghi e fatti e soprattutto altri discorsi occupano grande spazio. Questo si spiega in parte tenendo presente la particolare prospettiva che ha guidato la riflessione cristiana su Gesù ed ha quindi portato alla formazione del IV Vangelo.

1. Sotto la spinta di vari problemi sorti nella comunità primitiva, si sviluppa un processo di approfondimento sui fatti e le parole del Signore. Giovanni, in rappresentanza di quelli che furono testimoni oculari, il cosiddetto « gruppo apostolico ‘noi’» (cf. 1,14), ripensa agli avvenimenti che ha « veduto ». Non è una vuota commemorazione, ma una anamnesi, cioè un « ricordo » (cf. 2,17.22; 12,16) che rende attuale l’opera del Signore per la comunità. Attraverso tale « ricordo » le parole e i fatti acquistano il loro pieno significato, perché vengono visti tutti alla luce della risurrezione; il Cristo storico diventa contemporaneo dei credenti che lo « vedono » con la fede senza averlo veduto con gli occhi.

Questo processo avviene sotto l’assistenza del « Paraclito » che conduce la Chiesa alla verità completa, cioè alla rivelazione del Cristo glorioso (cf. 16,12-14). Giovanni è più degli altri Evangelisti interprete di questa opera dello Spirito nella Chiesa e perciò a ragione il suo può essere chiamato il Vangelo dello Spirito.

2. E’ un vangelo cristologico. Infatti il problema della identità di Gesù e della fede in lui è senza dubbio centrale, addirittura preponderante. Si può parlare di cristocentrismo assoluto nel Vangelo di Giovanni. Basta dare uno sguardo alla composizione:

Due parti: cc 1-12 Libro dei segni + 13-21 Libro della gloria. Sei sezioni maggiori:

I. ( a ) 1 Cammino dei discepoli verso la fede in Gesù storico
II. ( b ) 2-4 Fede e segni
III. ( c ) 5,1-10,21 Rivelazione pubblica in occasione di varie feste
IV. ( b ) 10,22-12,50 Fede e segni, conclusione del ministero pubblico
V. ( c ) 13-19 Rivelazione piena in occasione della sua « ora »
VI. ( a ) 20-21 Cammino dei discepoli verso la fede in Gesù risorto.
      Tempo della Chiesa.
Pedro

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05/07/2009 17:30
 
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I // VI. Passaggio dalla fede dell’AT, espressa dal Battista, il quale proclama Gesù Agnello di Dio e Figlio di Dio (1,29-34), alla fede del NT in Gesù (Figlio dell’uomo). I discepoli che « vanno verso » Gesù (due discepoli di Giovanni Battista, poi altri) compiono la fede dell’AT. — L’argomento viene concluso nella sezione finale (cc. 20-21), dopo la risurrezione, quando la fede dei discepoli è veramente in grado di scoprire nel Maestro la sua piena realtà di « Signore e Dio » (« Mio Signore e mio Dio! », esclama Tommaso dopo aver toccato con mano: 20,28).

II // IV. Mediante la testimonianza del Battista, l’Evangelista imposta il problema fondamentale « chi è Gesù? » e ne da una prima risposta attraverso una serie di titoli messianici (c. 1). Il processo di fede, che consiste essenzialmente nell’« andare verso » Gesù, è analizzato nelle sue varie manifestazioni attraverso persone tipiche: i primi discepoli (la Chiesa in germe), Nicodemo (l’incomprensione giudaica), il Battista (la fede dell’A.T.), la samaritana (la fede degli « eretici »), l’ufficiale di Cafarnao (la fede dei pagani) (cc. 2-4). — Il problema viene poi ripreso più da vicino, mentre cresce l’opposizione dei nemici del Signore. Di nuovo una serie di titoli messianici (Figlio di Dio, Figlio dell’uomo) e il « segno » per eccellenza, quello di Lazzaro, danno una risposta sempre più precisa sulla persona e sul destino di Gesù alla vigilia della sua « ora ». I giordani credono senza i segni (10,40-42), i giudei non credono nonostante i segni, il segno della risurrezione di Lazzaro, la venuta dei greci (12,20-36), il senso della morte di Gesù, preparazione della Grande Pasqua. (10,22-12,50).

III // V. Tra queste sezioni sul problema di Gesù e della fede in lui, sono collocate la rivelazione pubblica del Signore in occasione di varie feste giudaiche (5,1-10,21) e la rivelazione piena in occasione della sua « ora » (cc. 13-19). La prima è una rivelazione ancora incompleta, perché il suo « tempo non era ancora venuto » (7,6). Il Signore si manifesta uguale al Padre (c. 5), pane di vita (c. 6), luce del mondo (c. 9), porta di salvezza, buon Pastore (c. 10); parla della sua origine da Dio (cc. 7-8) e della sua futura « esaltazione » (cc. 10-12). — Quando poi « è venuta l’ora », Gesù si rivela pienamente ai credenti. Di fronte ai discepoli riuniti nella intimità di una cena, mostra il valore purificatore della sua morte imminente (c. 13). I temi delle sue relazioni con il Padre e con i discepoli si intrecciano tra loro, mentre lo sguardo si apre verso il futuro in cui si colloca l’attività del Paraclito verso i discepoli e verso lo stesso Gesù (cc. 14-16). Segue un’intensa preghiera per i discepoli presenti e futuri, perché partecipino al rapporto che esiste tra il Padre e il Figlio (c. 17). E’ l’« ora » della suprema rivelazione di Gesù e della « consumazione » (cc. 1 8-19).

Pedro

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05/07/2009 17:31
 
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3. Il Vangelo di Giovanni è anche il Vangelo della Chiesa, destinato cioè ai credenti del suo tempo e del tempo futuro che si trovano lontani dai fatti narrati. Anche la Chiesa viene presentata in stretta relazione con il Cristo. Dopo aver presentato il Verbo incarnato, portatore della rivelazione del N.T., a confronto con il Battista, l’erede della fede dell’A.T., e il graduale passaggio da Giovanni a Gesù (c. 1), l’Evangelista inizia a presentare le nuove realtà cristiane: il « vino buono », segno dei doni messianici, alle nozze di Cana, e il nuovo « tempio » dei cristiani in occasione della prima Pasqua a Gerusalemme (c. 2); la nascita « dall’alto » a Nicodemo, rappresentante del giudaismo aperto, l’« acqua viva » e il culto « in spirito e verità » alla Samaritana, rappresentante di un gruppo separato del giudaismo; il « vero pane dal cielo » (cc. 3-6). Si tratta essenzialmente di un’esposizione catechetica rivolta ai nuovi credenti allo scopo di mostrare loro come le realtà cristiane risalgano al Signore stesso, il centro della fede e della vita.

A una preoccupazione analoga risponde la posizione dell’Evangelista circa l’escatologia, cioè l’epilogo finale della storia della salvezza. Il vangelo di Giovanni rappresenta nel N.T. il migliore esempio dell’« escatologia realizzata ». Per lui, cioè, sono gia presenti, nella vita dei cristiani e della Chiesa, quelle realtà che vengono in genere presentate come le ultime: la figliolanza divina (cf. 1,12), la vita eterna (cf. 5,25), il giudizio (cf. 3,19-21). Va ricordato che Giovanni, il quale oltre al Vangelo non ha scritto un libro degli Atti come aveva fatto Luca, ha concentrato nella sua opera non solo l’attività di Gesù ma anche il « tempo della Chiesa ». L’Evangelista vuol mostrare ai cristiani che la vita e l’organizzazione ecclesiastica sono radicate nella persona e nel ministero stesso di Gesù. La Chiesa è presentata in stretto rapporto con il Cristo come il « regno di Dio » (3,5.9), la « sposa » (3,29), il « gregge » di Cristo (10,16). Si spiega che Gesù doveva morire per il nuovo « popolo » (11,50); si insiste sull’unione personale dei credenti con il Signore (c. 15) e sull’unità tra di loro (cf. 17,21-23).

Soprattutto sul Calvario, Giovanni ha presente il tema della Chiesa e ne sviluppa vari aspetti: regalità universale del Crocifisso, unità della Chiesa, maternità di Maria, dono dello Spirito e dei sacramenti (cf. 19,19-37).

Infine, nella conclusione del Vangelo, si descrive il passaggio dal Cristo agli Apostoli e quindi l’inaugurazione del tempo della Chiesa vero e proprio (cf. 20,21-23; 21,10-11.15-17). In questo modo la Chiesa può intraprendere il suo cammino attraverso i secoli, sorretta dalla presenza continua del suo Signore e dall’assistenza dello Spirito santo.

Pedro

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05/07/2009 17:31
 
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4. Da questo sguardo sommario all’insieme del IV Vangelo risulta già l’ampiezza e la profondità del cristocentrismo di Giovanni. Gesù Verbo incarnato è il compimento della fede e delle realtà salvifiche dell’AT. Tutti i popoli sono invitati ad andare a lui, a credere in Lui attraverso le opere che Egli compie, a scoprire nella sua realtà umana il Messia atteso, il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo; a mangiare la sua parola e il suo corpo e sangue per avere la vita e la risurrezione nell’ultimo giorno. Cristo è la Porta, il mediatore unico della salvezza; è il Pastore che dà la vita per le sue pecore e ha con loro uno strettissimo rapporto personale; è la Vite vera, chi resta in lui porta frutto. I discepoli sono chiamati a seguire l’esempio del loro Maestro e Signore attraverso l’amore vicendevole, esempio che Gesù ha dato lavando loro i piedi, gesto simbolico del dono della sua vita per la loro salvezza.

I discepoli devono essere uno come il Padre e il Figlio sono uno; così saranno partecipi della comunione ineffabile del Padre e del Figlio e godranno dell’assistenza dello Spirito Santo dopo la partenza del Cristo, quando saranno mandati nel mondo senza però essere del mondo, e alla fine godranno della stessa gloria del Figlio (Gio 17, la « preghiera sacerdotale »). Lo Spirito Santo sarà « un altro Paraclito », quasi un alter ego del Cristo, il quale promette: « Non vi lascerò orfani, vengo a voi » (14,18). Il Paraclito sarà consolatore, maestro pieno dei discepoli (« Lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, Lui vi insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto io… lo Spirito della verità, vi condurrà alla verità intera… Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà… »); sarà testimone del Cristo insieme ai discepoli e accusatore del mondo incredulo. Alla fine del Vangelo il Risorto consegna le sue pecore a Pietro mediante un triplice affidamento dopo avergli richiesto una triplice dichiarazione di amore al di sopra degli altri discepoli.

5. Come piccolo saggio di lettura nella luce del cristocentrismo di Giovanni possiamo riflettere un pochino sul Prologo del Vangelo di Giovanni. È un passo che mostra bene la centralità del Cristo nel disegno di Dio Padre fin dall’inizio, prima della creazione. Il Prologo (1,1-18) ha un andamento innico sublime:

( a ) vv. 1-3 Il Verbo era Dio e mediatore della creazione
( b ) vv. 4-9 Il Verbo era luce degli uomini
    *vv. 6-8 Giovanni Battista non era la luce ma testimone della luce
( C ) vv. 10-13 Incredulità e fede: diversa accoglienza del Verbo venuto nel mondo
(b’) vv. 14-17 Il Verbo divenne carne, è fonte di Grazia e Verità
    *v. 15 La testimonianza del Battista verso Gesù
(a’) v. 18 Il Verbo incarnato è rivelatore del Padre.
Pedro

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05/07/2009 17:32
 
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Il Verbo è Dio e creatore universale (vv. 1-3), si fa carne (v. 14), è il rivelatore del Padre: « Dio nessuno l’ha mai visto; Dio Unigenito che è presso il seno del Padre, Lui lo ha rivelato » (v. 18). Il Verbo è luce degli uomini (vv. 4-9) e fonte di grazia e verità (vv. 14-17). Ognuna di queste due parti (b - b’) è interrotta volutamente con la menzione del Battista: in questo modo l’Evangelista introduce l’argomento essenziale del cap. 1: la relazione tra Giovanni e Gesù, il Precursore e il Cristo, e il passaggio dall’A al NT.

« In principio » richiama l’inizio della Genesi, la Parola per mezzo della quale Dio crea (« disse e avvenne »), la divisione tra luce e tenebre. L’opera di Dio nella storia iniziò con la creazione mediante la Parola; l’opera definitiva di Dio si compie con la nuova creazione, che è la nuova umanità dei Figli di Dio, mediante la Parola (il Verbo). È la stessa Parola/Verbo: preesistente, in relazione unica con il Padre, Dio lui stesso, mediatore della creazione, della salvezza e della rivelazione definitiva del Padre.

Il Verbo-Logos, non con il termine stesso ma certo con realtà, richiama la concezione antico testamentaria della Sapienza personificata, preesistente alla creazione, intimamente associata a Dio durante creazione, anzi lei stessa creatrice; viene ad abitare tra gli uomini e pone la sua tenda in Israele; invita ad andare a lei, ascoltarla e mangiare il suo cibo; la sua predicazione viene però rifiutata; perciò ritorna al cielo da dove è venuta; gli uomini non la vedono più: la cercano senza trovarla; solo Dio conosce la via ad essa; alla fine tornerà come giudice nel Figlio dell’uomo. Secondo questa traiettoria della Sapienza (dal cielo presso Dio, tra gli uomini, rifiutato, di nuovo presso Dio, da dove tornerà alla fine come giudice) viene concepito e descritto il mistero ineffabile di Dio che si fa uomo. La figura della Sapienza è la base della più antica cristologia dei Vangeli. Il fatto di identificare Gesù con la Sapienza preesistente fa di Lui il principio, il centro e la fine del piano della salvezza.

Soprattutto il Vangelo di Giovanni presenta una cristologia essenzialmente sapienziale. Dopo il Prologo che proclama il Cristo come Logos preesistente presso Dio, primogenito, che discende dal cielo e « pone la sua tenda » fra gli uomini, nel seguito del Vangelo Egli è pieno di gloria e di grazia; va in cerca degli uomini (5,14; 9,35); « grida » in pubblico invitandoli (7,28.37; 12,44; cf. Pro 1,20; 8,1-3); chiama i suoi discepoli « figlioli » (Gio 13,33) e « amici » (15,15), promette un cibo e una bevanda che danno la vita (Gio 6; cf. Pro 9,2-5; Sir 24,18-20); i suoi nemici lo cercheranno ma non lo troveranno (Gio 7,34; 8,21; cf. Pro 1,28).

6. La dottrina dell’assoluto Primato di Cristo era comune nella grande tradizione della Chiesa antica: Ireneo, Atanasio, G. Crisostomo, Cirillo di Alessandria, Atanasio Sinaita, Isacco da Ninive, S. Agostino ecc. Da questa dottrina alcuni hanno tratto la conseguenza che l’incarnazione non poteva essere dipendente dal peccato, che era anzi di per se stessa redentiva; così già Ruperto di Deutz, che la propose come ipotesi, e poi la Scuola francescana che la sviluppò con decisione contro l’opinione opposta, restando però posizione di minoranza.

Pedro

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05/07/2009 17:33
 
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A partire dal sec. X i testi sulla Sapienza (soprattutto Pro 8 e Sir 24) vengono utilizzati nell’Ufficio e nelle Messe della Beata Vergine Maria per celebrare in lei la donna ideale e la vera sapiente. Come Madre ella fu vista inseparabile dal Figlio nel piano eterno del Padre, e quindi anche nella fase precedente la creazione del mondo. In quanto Sophia viene celebrata come la madre vergine del Logos e come Sede della Sapienza.

Un successivo sviluppo teologico ha visto in Maria Sede della Sapienza l’immagine e il modello della Chiesa, in particolare di coloro che si consacrano totalmente al Regno di Dio.

Così sull’immagine femminile della Sapienza personificata si modella sia l’amore tra l’uomo e la donna nel matrimonio che l’amore di Cristo per la Chiesa, di cui il matrimonio è « mistero », e persino la scelta della verginità per il Regno dei Cieli.

Giovanni Duns Scoto vide bene l’unità e l’armonia del piano di Dio della creazione e della redenzione. Insegnò che Gesù, Figlio di Dio incarnato, non è una specie di ripensamento in seguito al peccato dell’uomo ma precisamente il compimento del piano eterno di Dio insieme a sua Madre. L’incarnazione era parte del piano di Dio fin dall’inizio; il Figlio di Dio doveva diventare uomo perché la creazione giungesse alla perfezione in lui; la via della croce per redimere e riconciliare il mondo fu scelta per mostrare nel modo più evidente l’amore di Dio in Cristo e attirare così l’amore delle creature. Gesù doveva diventare il Primogenito della creazione, il Capo della Chiesa, suo corpo, il Signore dell’universo. Un universo perfettamente sottomesso a Cristo e per mezzo di lui al Padre. Un universo capace di cantare la sua gloria per sempre.

Sappiamo che il Ven. Gabriele Allegra, O.F.M., ebbe per un certo periodo delle entusiaste discussioni con Teilhard de Chardin, S.J., sull’argomento del Cristo Alfa e Omega, del Cristo Pleroma, o compimento della creazione, “le Grand Christ”, come lo chiamò de Chardin. Così racconta Allegra stesso:

“Così leggemmo e commentammo in diverse riprese i testi dell’Apostolo e dello Scoto e una volta che gli dissi: – a me pare che la Chiesa oggi abbia bisogno di una Teologia cosmica e che essa bisogna costruirla alla luce del Primato universale e assoluto di Cristo, – il Padre proruppe in questa frase che doveva ripetermi tante volte: – « oui, c’est le mot, il nous faut une Théologie cosmique, ce cera la Théologie de l’avenir. »: Gabriele Allegra O.F.M., Il Primato di Cristo in S. Paolo e in Duns Scoto. Le mie conversazioni col P. Teilhard de Chardin, S.J., Pechino 1942-1945, Palermo 1966, p. 9.

Teilhard raggiunse le sue conclusioni sulla “cristificazione dell’universo” come filosofo della natura che desiderava integrare le scienze naturali nella fede cristiana. Padre Allegra gli mostrò che la sua idea era fondamentalmente in accordo con la dottrina di S. Paolo e con quella di Giovanni Duns Scoto. Possiamo aggiungere che S. Paolo, come anche Giovanni, basò il suo insegnamento sul movimento della sapienza dell’Antico Testamento. La speculazione sulla Sapienza personificata si sviluppò per secoli, forse un millennio, fino al suo compimento in Cristo. Su questa base è possibile sviluppare una “teologia cosmica” di cui la Chiesa ha forse ancor più bisogno oggi, in epoca di globalizzazione, che negli anni ’40.

Nota Bene :
Una prima pubblicazione a stampa di questo articolo si trova in: G. Lauriola (ed.), Dalle cristologie al cristocentrismo, (Centro Studi Personalisti “Giovanni Duns Scoto”. Quaderni 20), Alberobello 2004, 67-75.
Pedro

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